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Autore: Anjulie    25/11/2005    2 recensioni
A volte si cerca nella vita qualcuno da amare e, a volte, non lo si cerca affatto ma capita... l'importante è che sia sempre l'altra metà del cielo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Dominic Monaghan, Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO I

 

Quando una donna si rende conto di essere bella

perde la grazia di ignoralo.

La bellezza aumentata dalla semplicità è ineffabile.

Non c’è nulla di più adorabile

di un’innocente abbagliante

che cammina,

 tenendo in mano, senza saperlo

la chiave d’un Paradiso

(V. Hugo)

 

Dopo i convenevoli di rito le bottiglie di birra vennero stappate con meticolosa precisione e Orlando condusse Dom ed Elijah nello studio dove si trovava Galatea. La statua era posata su un cavalletto al centro della stanza in modo da poter essere esaminata da ogni angolazione, ripiegata su se stessa come un morbido fiore.

Orlando pigiò l’interruttore e subito la sua scultura venne illuminata fa un fascio di luce potente proveniente da un gruppo di faretti alogeni.

- Vi presento Galatea. – annunciò con un gesto teatrale.

Non appena la vide Dom si lasciò sfuggire un fischio stonato

- Santo cielo! – esclamò sbalordito – E’ una donna nuda! -

Lij si lasciò scappare una risatina – Già. Era ora che finalmente ne vedessi una, Dom! – non riuscì a trattenersi da prenderlo in giro.

Dom gli lanciò un’occhiataccia offesa – A differenza di te io sono un estimatore delle belle donne e mi emoziono sempre – disse con sussiego, ignorando il sorrisetto ironico di Elijah. Poi si voltò verso Orlando – Ma dico io, ti sembra il caso di far vedere tutto questo ben di Dio a noi povere anime innocenti? – parodiò, mostrandosi falsamente scandalizzato. 

Orlando bevve un sorso di birra direttamente dalla bottiglia

- Allora che ve ne sembra? – chiese sorridendo, mentre Lij girava intorno a Galatea contemplandola da ogni angolazione

- Bella… - Lij esalò il suo commento come se l’avesse elaborato trattenendo il fiato, mentre procedeva al suo attento esame – Sensuale… terribilmente erotica… quando l’hai fatta? -

Orlando si strinse nelle spalle – L’ho finita pochi giorni fa. – rispose mentre Dom avvicinava il suo viso a quello della scultura

- Ehi, non è Kate! -

Orlando roteò gli occhi, alzandoli al cielo – Direi proprio di no. -

Lij lo guardò esasperato – Certo che no, Dom. E’ una modella. – spiegò con pazienza

- Cazzo, che ragazza! Quasi quasi mi do alla scultura anch’io. – commentò Dominic facendo un passo indietro.

Orlando e Lij si scambiarono un’occhiata di rassegnata sopportazione ma Dom parve non farci caso, continuando a guardare la statua. Incrociò le braccia, sfiorandosi le labbra con il bordo della bottiglia di birra – Allora, dimmi dove l’hai conosciuta? – chiese.

Orlando sorrise lentamente – Chi? – chiese con aria innocente iniziando a divertirsi.

- Come chi.. - Dom roteò gli occhi – Quando fai così giuro che ti prenderei a sberle. La ragazza intendo! -

Orlando assunse un’aria innocente – Io non ho conosciuto proprio nessuno. -

- Ma va… - anche Lij - E’ un bene che non stiate più insieme perché Kate si sarebbe incazzata come una biscia a vedere questa scultura. Praticamente è un’ammissione di corna in piena regola! – affermò convinto.

L’espressione di Orlando era largamente compiaciuta - Per la verità Galatea non è la confessione di nessun tradimento. – affermò, i suoi occhi che brillavano di una luce maliziosa – Non questo per lo meno. - 

Dom lo guardò scettico

- Ci vuoi far credere che hai scolpito questa statua senza esserti scopato la modella? -

Orlando si strinse nelle spalle – E’ così. -

Anche Lij lo guardò incredulo e Orlando si affrettò a spiegare – La modella non esiste. L’ho solo immaginata. -

- Non ci credo! – Dom scosse il capo con decisione

Anche Lij lo fissò scettico - E’ stupefacente. -

Dom gli mollò un sonora pacca sulla spalla.

- E bravo il nostro Orlando! Così se ti va male la carriera puoi sempre ripiegare con la scultura. -

Elijah sorrise, buttando giù un sorso di birra  - E’ bellissima, puoi andarne fiero. -

Lui li ringraziò facendo una smorfia di finta modestia.

- Grazie ragazzi, ero certo di poter contare su di voi. Se un giorno mi ritrovassi nell’indigenza mi ricorderò delle vostre parole e voi sarete costretti ad acquistare almeno qualcuno dei miei capolavori per una cifra esorbitante. – affermò con una luce diabolica negli occhi.

Dom fece una smorfia

- Sono disposto a comprare solo se la prossima volta posso vedere l’originale in carne ed ossa. Sai com’è, non compro mai a scatola chiusa. -

- Okay l’hai promesso. Stavo pensando di iniziare a scolpire uomini nudi… magari Lij potrebbe farmi da modello… -

A Dom la birra andò di traverso e iniziò a tossire

- Attento Orlando che se Dom vede il mio sederino perfetto potrebbe decidere di convertirsi! – disse Lij ridendo

- Di sicuro non se vedo il tuo! – Dom stava iniziando a riprendersi dall’attacco di tosse

- Perché che cosa c’è che non va nel mio? – Lij cercò di dare una sbirciatina al suo posteriore

- E’ basso Lij – lo prese in giro Orlando.

- Capirai! Ha parlato quello che ce l’ha più piatto di una tavola da surf! -

- Già – Dom rincarò la dose – Guarda che ce ne siamo accorti tutti che porti quei pantaloni enormi solo per mascherare il fatto che non hai di culo. -

Orlando si portò una mano sul retro abbondante dei suoi calzoni dandosi una palpatina di controllo

- No, guarda che questa si chiama moda, – affermò con sicurezza – il mio sedere ha sempre riscosso molto successo tra chi ha avuto il privilegio di metterci le mani sopra. -

- Ma va, quattro sgallettate non possono certo apprezzare la perfezione – Dom si accarezzò il proprio quasi con affetto – E in ogni caso potremo chiamare un po’ di ragazze e indire un concorso per stabilire quale è il più ... appetente. -

Lij e Orlando scoppiarono a ridere – Già ci manca solo questo! -

Gli occhi azzurri di Dom brillarono di malizia mentre rifilava a Orlando alcuni vezzosi colpetti d’anca  - Avete solo paura della sfida perché sapete benissimo che il mio vincerebbe il primo premio! -

 

Ashton Marie Winter sollevò il capo dal mobile che stava spolverando con impegno e si passò un braccio sul volto accaldato, scostandosi una ciocca di capelli dalla fronte.

Dire che quel giorno era disperata sarebbe stato un banale eufemismo, eppure la mattinata era iniziata come quella di un venerdì qualunque, senza dare segni particolari del disastro incombente.

Durante l’ora di letteratura aveva svolto tranquillamente il compito sulla Prima Guerra Mondiale e nell’intervallo aveva riletto con attenzione la brutta, prima di tirare fuori dallo zaino gli appunti di matematica per le successive due ore. Aveva ricevuto le solite occhiate di disprezzo da parte di Sandy Happleby e delle sue degne compari Kristin Templeton e Tiffany Olsen, per contro, aveva ricevuto una dose doppia di abbracci da parte di Selene che le avevano risollevato notevolmente il morale. 

Selene Portrainy era magnifica.

L’amica migliore che chiunque avrebbe potuto desiderare e Ashton le voleva un bene immenso.

Ashton aveva conosciuto Selene quando la ragazza si era trasferita a Londra con suo padre alcuni anni prima e da quel momento erano divenute inseparabili. David Portrainy era un diplomatico di carriera e proprio durante uno dei suoi incarichi all’estero aveva conosciuto la madre di Selene, figlia di un generale israeliano. Si erano piaciuti istantaneamente e di lì a poco si erano sposati, rimanendo a vivere in Israele nonostante gli attentati e i pericoli di quella terra straziata dalla guerra e dal terrorismo. Dopo la morte dell’adorata moglie Rachele, David e Selene avevano continuato a vivere a Gerusalemme per alcuni anni, per poi decidere di ritornare in Inghilterra, ottenuto finalmente il trasferimento di David al Ministero degli Esteri a Londra.

Selene era rimasta indietro con gli studi e, su suggerimento di un insegnante dell’istituto, Ashton l’aveva aiutata a rimettersi in pari. Si erano conosciute, così, semplicemente, sui libri di letteratura e di matematica, ma fra di loro era nata una speciale affinità, una complicità, che suscitava lo stupore e le invidie di coloro che le circondavano.

Fin dal primo momento che l’aveva vista Ashton aveva giudicato Selene bellissima.

Di poco più alta di lei, aveva splendidi capelli color tiziano, lunghi e ondulati che scendevano ad incorniciare un viso dai lineamenti esotici, leggermente spruzzato di lentiggini, che la faceva assomigliare ad una bambola di delicata porcellana. Dotata da madre natura di un fisico sodo e scattante che attirava gli sguardi dei ragazzi come calamite, Selene emanava un’entusiastica gioia di vivere che contagiava chiunque le stesse accanto, ammaliato dal suo sorriso birichino e dalla bellezza dei suoi occhi verdi come le foglie d’estate. Sportiva, dinamica, generosa fino all’eccesso, esuberante quanto Ashton era introversa, appariva profondamente diversa da Sandy Happleby e dalle altre ragazze che frequentavano la loro scuola. Nonostante appartenesse ad una famiglia benestante non aveva nulla dell’affettata compostezza che caratterizzava molte delle allieve del St. Dorothea’s College e non possedeva neppure un briciolo di ipocrisia.

Fin qui la versione ufficiale. L’immagine che Selene dava di sé agli altri.

Eppure sotto quell’apparenza di forza e determinazione sembrava impossibile che una ragazza così giovane fosse stata colpita duramente dalla vita ma Ashton sapeva che cosa l’amica si fosse lasciata alle spalle nell’abbandonare Israele.

Non solo la famiglia, la religione, le usanze e gli amici, ma anche il grande amore, quello con la A maiuscola, quello che forse è l’unico per tutta la vita: il sergente Ariel Mordecai, vent’anni, elicotterista dell’esercito, ucciso durante un conflitto a fuoco nella striscia di Gaza.

Duramente provata dalla scomparsa della madre che adorava, Selene era quasi impazzita dal dolore di fronte alla morte di Ariel ed era stata proprio la sua disperazione a convincere David Portrainy della necessità di allontanarsi da quella terra che aveva preso ad entrambi ciò che avevano di più caro.

Prima di arrivare a Londra, Selene aveva sempre considerato Israele come al sua patria e, nonostante il padre fosse cristiano, lei era stata educata alla religione ebraica della famiglia materna, venendo a contatto con la storia del suo paese, la sua situazione politica e il suo passato di dolore che ne avevano toccato l’animo sensibile.

L’incontro con Ashton, che non proveniva da una famiglia prestigiosa e lavorava per mantenersi agli studi, era stato come una ventata d’aria fresca e di concreta quotidianità tra le allieve affettate e snob che frequentavano il St. Dorothea’s College e che ricercavano la sua amicizia per interesse personale. Selene le si era affezionata immediatamente.

Ashton l’aveva aiutata a superare il dolore per la morte di Ariel con la sua presenza silenziosa e costante al suo fianco. Senza chiedere nulla, senza pretendere spiegazioni. Facendola ritornare alla vita un giorno dopo l’altro, non per dimenticare, ma per far si che l’angoscia straziante diventasse un po’ più sopportabile.

Selene si stupiva per come Ashton affrontava la sua non facile situazione economica e familiare e soprattutto la ammirava per l’incredibile orgoglio con cui affrontava Sandy Happleby e le altre.

Le ragazze del St. Dorothea’s College potevano deriderla per i suoi abiti non alla moda e la vita semplice ma nessuna di loro riusciva a recitare Shakespeare con la passione di Ashton o a scrivere con il suo stesso brio e la sua eleganza.

Selene la prendeva benevolmente in giro chiamandola “ la nuova Beatrix Potter” e insisteva perché mandasse i suoi racconti a qualche casa editrice. In un momento di entusiastica debolezza Ashton l’aveva assecondata, confidandole che avrebbe voluto frequentare l’Università e diventare insegnante. Adorava la letteratura e, attraverso le sue parole, i versi dei grandi poeti del passato pulsavano di nuova vita di fronte ad una stupefatta Selene.

Nessuno avrebbe mai scommesso uno scellino sull’amicizia nata tra quelle ragazze tanto diverse per modi, abitudini e classe sociale ma fin dal loro primo incontro era nata tra di loro un’intesa particolare, che aveva avvicinato quella ricca signorina borghese alla ragazza che viveva nella casa accoglienza di Padre Dowell, nel quartiere di St. Giles, che frequentava l’autorevole istituto solo grazie ad una borsa di studio e che, terminata la scuola, si guadagnava da vivere lavando i piatti nei ristoranti di lusso della city oppure facendo le pulizie negli appartamenti a Mayfair o Notting Hill.

Era stato Padre Dowell a trovarle quegli impieghi e Ashton era profondamente grata al sacerdote per il suo continuo interessamento nei suoi confronti ma orgogliosamente aveva sempre rifiutato ogni tipo di aiuto economico provenisse da lui o da Selene.

Per la verità Ashton proprio sola non era. Nel quartiere viveva un’anziana signora che la ragazza chiamava affettuosamente nonna Martha, pur non essendo legate da alcun vincolo di parentela. Martha Simmons era stata amica di Caroline Winter e aveva confortato Ashton piccolina nei giorni bui dopo la morte di sua madre. Ashton le voleva bene e adesso era lei ad occuparsi dell’anziana vedova, compensando a vicenda il loro reciproco bisogno di affetto.

Una donna sola e senza figli e una giovane ragazza senza genitori. Sì, perché suo padre, Ashton, non lo aveva mai conosciuto.

Caroline Winter aveva raccontato alla figlia di essersi innamorata di un politico, un uomo sposato, presso la cui famiglia era stata assunta come cameriera, ma mai, neppure quando ormai stava così male da far temere a tutti il peggio, aveva voluto rivelare l’identità del padre di Ashton. 

Più volte nonna Martha aveva insistito perché Caroline rivedesse le proprie opinioni ma la donna si era chiusa in un ostinato silenzio. Per non addolorare la madre gravemente ammalata Ashton, allora ragazzina dodicenne, non le aveva mai chiesto nulla ma, più volte, aveva esaminato di nascosto la fotografia di un vecchio giornale che ritraeva gli esponenti delle due Camere del Parlamento, interrogandosi su quale loro potesse essere suo padre.

Poi il tempo era passato e conoscere l’identità di quell’uomo aveva perso importanza, mentre la priorità di mantenersi agli studi e cercarsi un lavoro erano divenute le costanti della sua vita quotidiana, impedendole di rimuginare troppo su quello che avrebbe potuto essere e che non era stato.

Con un sospiro Ashton cosparse la credenza di cera d’api e iniziò a stenderla con l’impegno della disperazione. Aveva salutato Selene, in partenza per trascorrere il fine settimana in montagna con il padre all’uscita da scuola, ma quando era arrivata a casa di nonna Martha aveva trovato le stanze vuote e silenziose. Una vicina che aveva incontrato sulle scale le aveva riferito che la donna era stata ricoverata quella mattina in preda ad un malore, probabilmente dovuto alla glicemia elevata che non sempre riusciva a tenere sotto controllo.

Il medico del consultorio presso il quale, mesi prima, Ashton l’aveva convinta a rivolgersi, le aveva prescritto una terapia a base di fiale di insulina ma la ragazza sapeva che, con la sua esigua pensione del sussidio sociale, la donna spesso non riusciva a risparmiare abbastanza denaro per acquistare la medicina. Più volte Ashton si era procurata l’insulina comprandola direttamente in farmacia ma il suo magro stipendio non le consentiva di farlo regolarmente ed evidentemente il suo sforzo non era stato sufficiente.

Si era precipitata in ospedale ma le condizioni di nonna Martha erano apparse subito parecchio critiche. L’anziana signora non possedeva un’assicurazione e il medico di turno aveva avvisato Ashton che avrebbero dovuto pagare di tasca propria le spese per il ricovero e le medicine che le venivano somministrate. Poi dal momento che l’orario delle visite era terminato da un pezzo le aveva intimato bruscamente di ritornare più tardi.

All’Oratorio Ashton aveva appreso da Peter O’Toole, un giovane medico che prestava gratuitamente servizio presso il consultorio locale, che Padre Dowell si era recato in visita pastorale dal suo vescovo e sarebbe ritornato solo la settimana successiva.

Non sapeva davvero a chi chiedere aiuto e, in preda alla disperazione, si recata al lavoro con il cuore sotto la suola delle scarpe.  

Era stanca, preoccupata, e il peso dell’infelicità e dell’impotenza le gravò sulle spalle esili e, quasi con meraviglia, sentì una lacrima scivolarle lungo la guancia e cadere, mescolandosi alla cera. Non riuscì a trattenersi e presto anche una seconda e una terza lacrima andarono a far compagnia alla precedente.

- Sicuramente la mia credenza sarà splendida, lucidata con le tue lacrime, ma preferirei che mi spiegassi perché oggi sei così affranta. –

Ashton sollevò lo sguardo verso la padrona di casa e si asciugò frettolosamente le guance con la manica del maglione.

- Mi dispiace, Sandra. Ma oggi è stata proprio una giornata terribile. – rispose avvilita.

Sandra Harris la guardò con un misto di compatimento e disapprovazione. Era una bella donna di circa trentaquattro anni con lunghi capelli biondi e due occhi verdi da gatta, dotata di un fisico alto e statuario che le aveva consentito di intraprendere per alcuni anni la carriera di fotomodella. Poi i fotografi avevano iniziato a non cercarla più per i loro servizi e Sandra si era ritrovata senza un lavoro fisso. Aveva iniziato a lavorare per un’agenzia di accompagnatrici ed era stata introdotta nell’ambiente dei vip, sempre a contatto con personaggi più o meno famosi del mondo dello spettacolo, sempre a folleggiare alle loro feste private o meno. Rimanere seppure ai margini di quell’ambiente ricco e sofisticato, fatto di lussi e celebrità, era diventato un imperativo categorico della sua vita, quasi una sorta di droga, e da lì a diventare una squillo d’alto bordo il passo era stato breve.

Il lavoro come donna delle pulizie a casa di Sandra era stato l’unico impiego che Ashton si era procurata da sé, senza l’aiuto di Padre Dowell, rispondendo ad un annuncio su un giornale, ma, anche dopo aver scoperto la professione non proprio ortodossa della donna aveva continuato a pulirle la casa. Sandra non ne faceva mistero e Aston dal canto suo riteneva che fossero affari suoi il modo in cui Sandra viveva e inoltre aveva bisogno di soldi. Nonostante la borsa di studio il St. Dorothea’s College non le forniva minimamente né i libri né il materiale scolastico e il denaro che Ashton guadagnava da Sandra finiva tutto nell’acquisto di libri e nelle spese supplementari che pagava direttamente alla direttrice dell’istituto.

Con aria assorta Sandra tamburellò sul pacchetto delle sigarette con l’unghia ben curata.

- , niente può essere così grave da inondarmi la casa di lacrime – replicò sfilando una sottile sigaretta bianca dal pacchetto e rigirandosela tra le dita. 

- Nonna Martha è stata ricoverata questa mattina e io ho bisogno del denaro pagare il ricovero e comperare l’insulina. – si sfogò Ashton, riprendendo a strofinare - L’impresa di pulizie mi pagherà alla fine della prossima settimana e siamo solo a venerdì -

Sandra la guardò severamente - Non riesco a capire perché tu ti ostini ad aiutare quella vecchietta che non è neppure una tua parente – la rimproverò, accendendosi la sigaretta – Ti sfianchi ogni giorno a pulire a destra e a manca, vai in giro conciata come una derelitta, e per cosa poi? -

Ashton irrigidì la mascella caparbiamente

- Martha Simmons mi è stata molto vicina dopo la morte di mia madre. Si può dire che sia l’unica parente rimastami. – replicò ostinata, continuando a strofinare – Devo trovare il modo di aiutarla ma non riesco a trovare il modo di guadagnare i soldi che mi servono. -

Sandra la osservò con attenzione per un istante, colpita dalla sua tenacia. Quella ragazzina di diciassette anni aveva un coraggio nell’affrontare la vita che ben pochi adulti possedevano e lei, Sandra Harris, che aveva sempre badato a se stessa senza mai lasciarsi impietosire dai piagnistei altrui, provò un moto di compassione.

Squadrò la sottile figura inginocchiata e valutandone l’aspetto con occhio esperto e un’idea improvvisa le balenò mente. Obbiettivamente doveva riconoscere che, anche infagottata in quegli abiti un po’ troppo grandi per lei, Ashton possedeva un fisico flessuoso e una grazia innata. Era piccola di statura e sembrava addirittura troppo giovane per la sua età ma lineamenti del viso erano raffinati, la carnagione pallida non aveva difetti e i lunghi capelli dai riflessi color mogano erano folti e lucenti.

Sì, forse avrebbe funzionato.

- Di quanto hai bisogno, all’incirca? -

Ashton alzò la testa di scatto trattenendo il fiato

- Duecento sterline. – rispose speranzosa - Vuoi dire che tu, me li presteresti? – chiese un tantino intimidita. Ma Sandra si mise a ridere

- Oh no, cara, frena frena. – rispose, emettendo dalle labbra una nuvola di fumo azzurrino – Una cosa che ho imparato fin dall’inizio è che non si prestano mai soldi a nessuno. Neppure agli amici. Potrebbe diventare un’abitudine spiacevole. – Di fronte al viso deluso di Ashton, Sandra chiarì meglio il concetto – Lo so che non verresti mai a chiedermi soldi per te stessa ma quella donna che ti ostini a volere aiutare potrebbe averne ancora bisogno e allora tu verresti di nuovo a bussare alla mia porta. – Tirò un’altra boccata dalla sigaretta - Ti propongo un modo per guadagnare quei soldi. Potresti venire con me stasera. – le suggerì

Ashton le lanciò un’occhiata sbieca e arrossì violentemente – Ma io… veramente. – Tacque imbarazzata non riuscendo ad ammettere il motivo per cui non se la sentiva di accompagnarla e Sandra si mise a ridere.

- No, dai. Non intendevo. Lo so benissimo che tu non fai certe cose. – Sandra la guardò con intenzione, valutandone rapidamente il viso affaticato, gli abiti consumati e le mani ruvide per il continuo contatto con saponi e detersivi. – Se tu fossi come me non avresti bisogno di spezzarti la schiena a pulire il mio appartamento con la faccia e il corpo che ti ritrovi. – disse con la sincerità quasi brutale che la contraddistingueva.

Se mai fosse stato possibile il volto di Ashton si fece ancora più rosso

- Ma io non so se… -

- E’ solo una festa e il compenso è di trecento sterline a serata. –

Ashton tacque di botto.

Trecento sterline! Era più di quanto lei riuscisse a raggranellare in due settimane lavando i piatti dei ristoranti o facendo le pulizie negli appartamenti di Notting Hill. Prima che il suo cervello avesse ripreso a funzionare le sue labbra avevano già formulato la domanda.

- Dici davvero? -

Sandra le lanciò un’occhiata di sufficienza – Non vedo perché dovrei mentirti. Una mia collega si è ammalata improvvisamente e questa sera l’agenzia ha procurato ad un decina di ragazze un ingaggio per una festa a Mayfair. Una villa di lusso, gente dello spettacolo, attori, registi, cantanti, non so se mi spiego. Tutto quello che dobbiamo fare è andare là, ballare con gli ospiti e rallegrare un po’ l’atmosfera. Sarebbe solo per una sera. -

Il cervello di Ashton aveva ripreso a funzionare e vorticava affannosamente: trecento sterline! Con trecento sterline avrebbe potuto pagare il conto dell’ospedale, comperare l’insulina per nonna Martha e magari un maglione oppure una coperta che le tenesse un po’ più caldo…

Sarebbe stato meraviglioso.

Si riscosse e fissò Sandra con attenzione. Improvvisamente aveva le mani gelide e fece un lungo respiro prima di azzardarsi a chiedere .

- Nelle trecento sterline non è compresa alcuna… prestazione particolare, vero? -

Sandra la guardò per un istante stupita poi scoppiò a ridere

- No, no assolutamente. Quello che decidi di fare con un ospite sopra o sotto le lenzuola è affare tuo e lo stesso per quanto riguarda il compenso. Sei libera di disporre del tuo corpo e della tua morale come meglio credi, piccola Ashton. –

Ashton respirò un tantino più sollevata ma si agitò a disagio nel sentirsi addosso gli occhi verdi e penetranti di Sandra.

- Non sei mai stata baciata. – l’entreneause fece questa affermazione tirando un’ultima boccata alla sigaretta e spegnendola in un posacenere di pesante cristallo, calma e sicura come se si trattasse di una semplice constatazione. – Non è forse vero? –

Alzò lo sguardo fino ad incontrare quello stupito della ragazza e sorrise brevemente - Non meravigliarti Ashton, so quello che dico. Si vede lontano un miglio che sei ancora una ragazzina ma gli uomini che troverai là fuori a quella festa sono dei lupi e ci impiegheranno meno di un minuto a decidere che tu sei proprio il bocconcino più adatto per passare una bella serata. Se non vuoi devi semplicemente dire di no e soprattutto essere convincente. La tua ingenuità non ti servirà a molto di fronte alle loro astuzie e alle malizie più disarmanti, perciò mia cara meglio travestirsi da lupo e mostrarsi quanto più algida e sofisticata tu possa essere. –

Ashton la guardò un tantino smarrita - Credi che ci riuscirò? – domandò ansiosamente

Lo sguardo di Sandra si addolcì un poco davanti a quel viso preoccupato e annuì lentamente valutandola con intenzione

- A certi uomini piace il tipo bambolina. Non dovrai fare altro che ballare con quelli che ti invitano ed essere gentile. -

Ashton si torse le mani indecisa  – L’agenzia mi pagherà davvero trecento sterline?–

Sandra alzò le spalle annoiata – Certo, perché non dovrebbe? Ma adesso sbrigati. Puoi usare il mio bagno per prepararti. Intanto ti cerco qualcosa da mettere. Non puoi venire alla festa vestita a quel modo. – disse indicando con un vago gesto di disgusto i jeans consunti e il maglione di lana grossolana che aveva indosso per fare le pulizie.

Ashton annuì e nell’ora successiva si dedicò a ritornare quello che per troppo tempo aveva dimenticato di essere: una giovane donna dall’aspetto avvenente che per una volta nonn mortificava il suo aspetto in abiti trasandati. Assaporò con profonda soddisfazione quel lusso inaspettato. Dopo un lungo bagno, su insistenza di Sandra, si cosparse il corpo di essenza al gelsomino e mise una crema emolliente sulle mani rovinate dai saponi e dai detersivi. Lavò i capelli applicandovi un balsamo nutriente e i morbidi riccioli color mogano vennero raccolti e rialzarti in una raffinata acconciatura, trattenuti da forcine di argento e cristallo. Il suo viso venne truccato in maniera sapiente e, dimenticata in un angolo la sua dozzinale biancheria intima di cotone, indossò un paio di sottili mutandine di seta e un paio di calze autoreggenti di pizzo chiarissimo. Ashton non aveva mai posseduto degli indumenti intimi tanto belli e preziosi e la sensazione di quelle calze sottili sulle sue gambe affusolate la faceva sentire raffinata e terribilmente seducente.

L’abito che Sandra aveva scelto per lei era la cosa più sofisticata e lussuosa che avesse mai visto e sicuramente la più audace. La seta bianca scendeva morbida sui suoi fianchi allargandosi in un’ampia gonna dall’orlo asimmetrico che addosso a Sandra terminava dietro, a punta, poco sotto il polpaccio, mentre a lei lasciva appena scoperti i piedi calzati da sandali a tacco alto e si allungava sul dietro in un piccolo strascico. Il davanti del corpino era costituito soltanto da un morbido drappeggio che modellava impudente il profilo tondo del seno e la vita sottile. La stoffa ricadeva fluida sul suo petto creando una scollatura alquanto profonda, trattenuta soltanto da due sottili catenelle d’argento tempestate di cristalli che giravano a formare un laccio prezioso attorno a ciascuna spalla. La schiena della ragazza era interamente scoperta fin oltre la vita, con il risultato di non lasciare limiti a chi, con l’immaginazione, avesse voluto avventurarsi ad immaginare l’opulenza del suo fondoschiena delineato dalla stoffa della gonna. Con gesti esperti Sandra le drappeggiò abilmente uno scialle di velo trasparente sulle spalle e poi si allontanò per ammirare compiaciuta la sua creazione

- Sei perfetta. – mormorò aggiustando un piccolo particolare – Quasi irreale. Quasi un’elfa. -

Rise da sola della sua battuta mentre spingeva una Ashton sconcertata davanti allo specchio perché potesse ammirarsi. La ragazza gettò un’occhiata alla sua immagine e trattenne il fiato stupita.

Davanti ai suoi occhi non c’era più la ragazza di St. Giles che giocava con gli orfani di Padre Dowell, sempre di corsa e affannata. Davanti al suo sguardo meravigliato c’era una principessa delle fiabe, del tutto simile a quelle di cui aveva letto da bambina, abbigliata con un vestito luccicante. I capelli scuri elegantemente acconciati e scostati dal volto mettevano mirabilmente in risalto i lineamenti perfetti e la carnagione d’alabastro, mentre l’abito delineava sensuale e raffinato le morbide curve del suo corpo facendola assomigliare ad un’evanescente creatura ultraterrena.

Si chiese cosa avrebbe detto Selene nel vederla vestita a quel modo.

Alle sue spalle Sandra sorrise compiaciuta

- Allora che ne dici? - 

Ashton si toccò una guancia con al punta delle dita – Non posso crederci. – mormorò ancora stupita.

Sandra rise – Credici e adesso andiamo. Non bisogna mai arrivare tardi al lavoro. -

  
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