E di nuovo mille grazie per le vostre recensioni! Sono talmente onorata che penso che esagireste un po' con la vostra gentilezza e la lode... ma fa niente, amo molto le esagerazioni :)
Spero che vi piacerà.
CAPITOLO
SEDICI
I’m
ready to go.
(John
Denver, Leaving on a Jet Plane)
Charlie si
sentiva un po’ insicuro sulle gambe. Però doveva andare tutto per il meglio:
quella era la sua ultima lezione e l’avrebbe portata a termine in un modo o un
altro. Solo quella lezione, poi avrebbe concluso tutto. Era quasi all’arrivo
della prima tappa. Niente più confessioni, niente più calcoli per questo o quel
collega e anche il gruppo di contrabbandieri era stato arrestato. Niente più confessioni
salvo due, quella al suo corso e forse la più difficile.
«Buongiorno»
salutò gli studenti, tentando di sembrare energico come al solito. Non era
affatto semplice. La memoria delle ore passate era ancora nella sua mente.
Ancora prima di
aver informato il suo primo corso quella mattina, aveva parlato ad Amita della
sua malattia fuori, nel campus. L’aveva detto chiaramente che sarebbe
sopravvissuto, che sarebbe solamente dovuto andare in ospedale per un po’. Le
aveva raccontato tutto. Lei aveva pianto e lui aveva tentato di consolarla. Però
il pensiero che forse avrebbe dovuto lasciarla per sempre in un futuro
abbastanza vicino era stato tremendo per lui. In ogni caso lei lo appoggiava.
Era sconvolta, ma avrebbe lottato con lui. Cosa mai sarebbe potuto accadergli
se Amita era al suo fianco?
Volse i suoi
pensieri di nuovo nella matematica. Doveva tenere duro, almeno per quell’ultimo
giorno.
«Ci
riallacceremo all’ultima lezione e parleremo un po’ più delle dispersioni, però
questa volta non più con gli errori quadratici lineari, ma con quelli
quadratici medi. Alcuni di voi potrebbero già conoscere la formula» disse,
voltandosi verso la lavagna per scrivere la formula che in fondo non era troppo
complicata.
Successe di
nuovo. Stelle danzavano ancora una volta davanti ai suoi occhi. Charlie li
chiuse. Credeva di barcollare un po’ e si appoggiò leggermente contro la
lavagna.
Non
crollare… tieni duro… solamente un altro paio di minuti…
Pochi secondi
dopo era finito. Charlie riuscì a riaprire gli occhi e continuò a scrivere la
formula. Questo non sarebbe dovuto succedergli un’altra volta: i suoi studenti
avrebbero potuto notare qualcosa…
Si voltò. «Come
potete vedere…»
«Ah… professore
Eppes?»
Uno dei suoi
studenti, un giovanotto brillante ma nervoso di nome Stevens, aveva alzato la
mano.
«Sì?»
«Ehm… non
dovrebbe essere il reciproco di N dopo il segno d’uguaglianza?»
Charlie si
voltò di nuovo verso la lavagna. In effetti... Lì c’era N, non 1/N. Come poteva
essergli accaduto?
Per un attimo
rimase davanti alla lavagna come pietrificato prima di riuscire a prendere il
gesso, sbrigativo, eliminando il suo errore.
«Certo. Lei ha
ragione. Grazie, Mr. Stevens».
Charlie faceva
fatica a far nascere un sorriso sulle sue labbra e Stevens sembrava felice di
aver potuto correggere il suo professore.
Charlie tentò
di non farsi confondere troppo da quell’errore e continuò la lezione. «Quel
parametro dello stocastico ha una grande importanza nella matematica applicata
e viene spesso utilizzato…»
Quando ebbe
concluso quella lezione Charlie fu certo che doveva esser stata una noia per i
suoi studenti. In seguito, pensandoci, non avrebbe saputo più spiegare come era
riuscito a sostenere i minuti successivi, per lui lunghi come un’eternità, ma
alla fine, in fondo, era fiero di sé. Non era crollato e dopo quell’incidente
imbarazzante non aveva fatto altri errori. Adesso, però, era sfinito. Eppure
doveva superare un altro ostacolo.
«Prima che ve
ne andiate» fermò i suoi studenti che dopo la conclusione della sua lezione
cominciavano a riporre le loro cose, ma che, sentendo la sua voce, si fermarono
«prima che ve ne andiate vorrei informarvi che dovrete consegnare i vostri
compiti non a me, ma al professore Kipler».
Le facce degli
studenti si dipinsero di stupore e Charlie sapeva che doveva loro una
spiegazione.
Si schiarì la
gola. «Il professore Kipler non solo correggerà i vostri compiti, ma, a tempo
indeterminato, assumerà anche la direzione di questo corso».
Charlie si
fermò. Non sapeva ancora come dirlo ai suoi studenti. Con il tempo avrebbe
dovuto essere in grado di farlo, si era detto.
«Perché?»
domandò una studentessa dalla seconda fila.
«Sarò impedito
fino a nuovo ordine».
I suoi
studenti, che avevano solo pochi anni in meno a lui, si guardarono. Probabilmente
pensarono all’occupazione secondaria di Charlie per l’FBI. No, probabilmente
pochissimi di loro in quel momento stavano pensando a una cosa talmente banale
come una malattia. Però, avevano il diritto di saperlo. Charlie l’aveva già
fatto capire a sé stesso, anche se non era stato facile. Ed era ancor più
difficile far diventare quell’intenzione una realtà…
«Ha qualcosa da
fare con l’FBI?» la domanda, quasi repressa, bisbigliata interruppe il silenzio
teso e fece saltare Charlie dai suoi pensieri, convincendolo a dire la verità.
«No. No, devo
deluderla. La ragione della mia
assenza è molto meno spettacolare». Respirò
a pieni polmoni. «Sono malato. Perciò
sospenderò fino a nuovo ordine il mio insegnamento alla CalSci».
Charlie guardò
facce prive di comprensione e piene di spavento. Qua e là, occhi restavano sul
professore con compassione. Non poteva sopportarlo, doveva assolutamente
alleggerire un po’ l’atmosfera.
«Dunque… oggi è
la vostra ultima occasione per rinfacciarmi tutte le cose che fino ad ora, per
gentilezza, non avete detto» disse a tutti tentando di sorridere. Avrebbe
voluto piangere. Non sarebbe riuscito a sostenerlo ancora per molto. Doveva
finire quella cosa in fretta. Comunque non sapeva più cos’altro dire.
«Dunque… vi… vi
saluto, augurandovi una vita fortunata… fate in modo che la CalSci sia fiera di
voi!»
Aveva finito.
Era alla fine, sia della sua lezione che della sua forza. Voleva solamente
restare solo, risposarsi. Però non gli fu ancora dato. I suoi studenti erano
ancora lì, attorno a lui, e lo fissavano.
«Lei morrà?»
Era stato un
bisbiglio fioco, dal fondo della sala. La domanda, che in fondo non era una
sorpresa per Charlie, lo colpì come una sferzata. Ma tentò di passarci sopra.
«Allora non
sono riuscito ad insegnarvi nulla? Le coincidenze sono una realtà matematica! Non
è possibile calcolare il momento della morte, solo le probabilità…»
Si interruppe.
I visi solenni dei giovani davanti a lui facevano chiaramente intendere i loro
pensieri. Charlie respirò
profondamente.
«Forse. Le mie prospettive non sono cattive. Però
vi prego di perdonarmi se rinuncio a diventare uno dei vostri oggetti di
esperimenti matematici dandovi le mie probabilità di sopravvivenza».
«Lei è il
miglior professore che abbiamo mai avuto!»
Charlie voltò
la testa. Lì, c’era una studentessa con occhi umidi che aveva appena chiuso la
bocca. I suoi compagni annuirono fortemente. Charlie aveva aperto la propria
bocca, però non sapeva cosa rispondere.
«Ma dai, non
esagerare!» mormorò alla fine.
Trovò la
reazione dei suoi studenti davvero commovente ed era veramente grato per la
loro compassione, ma in quel momento non c’era altro che desiderava che essere
solo.
«Vi… vi
ringrazio molto per la vostra partecipazione. Però sarei molto grato se mi
lasciaste solo adesso».
I suoi studenti
capirono. Finalmente lasciarono l’aula, l’uno dopo l’altro. Charlie si accorse
appena delle loro parole d’addio mentre tentava di raccogliere i suoi
documenti. Nella sua testa girava tutto, ronzava e rombava, aveva le vertigini
e la nausea. Non appena furono usciti dall’uditorio gli ultimi studenti, ciò
che rimaneva della sua forza sembrò scappare con loro. Completamente esausto si
appoggiò contro il muro accanto all’enorme lavagna, lasciandosi scivolare a
terra. Nascose il viso tra le mani fresche, provando sollievo e appoggiò i
gomiti sulle ginocchia. Sarebbe finito fra poco. Fra poco si sarebbe alzato e –
andato nel suo ufficio e raccolto qualche cosetta – si sarebbe ritirato
definitivamente e sarebbe tornato a casa. Voleva solo riposare un attimino. Fra
poco l'avrebbe fatto… ma non adesso.
Come da lontano
– o era un sogno? – Charlie si accorse che l’uditorio stava di nuovo diventando
pieno di gente. Probabilmente era una vista strana per gli studenti: uno dei
loro professori – o poteva considerarsi un compagno? Non sembrava più anziano
di loro e solo pochi erano già stati ad una sua lezione – era seduto accanto al
muro del loro uditorio, quasi indifferente alla gente attorno a lui. Bizzarro.
Ad un tratto,
delle voci gli chiesero se fosse tutto a posto. Di nuovo questa domanda
snervante. Charlie tentò di rassicurarli nel modo il più disinvolto possibile
che stava bene, che era tutto in ordine. Si rilassò solo un po’. Non c’era
nulla di male, in fondo. “Possiamo aiutarla?” “No, grazie, non è necessario”. Scrollando
le spalle, gli studenti lo lasciarono stare.
«Charles?»
Charlie sapeva
che cosa stava per accadere.
«Sarò via in un
attimo».
Doveva essere
uno dei suoi colleghi. Chi altro lo avrebbe chiamato col suo nome?
«Charles… stai
bene?»
Gradualmente,
la nebbia cominciò a svanire. C’era solo un uomo che poteva essere davanti a
lui in quel momento.
«Sì, certo. Sarò
via in un attimo, Larry».
Larry non
credette a nessuna di quelle parole. Si abbassò sulle ginocchia, tastando la
fronte del suo miglior amico.
«Hai la febbre»
constatò un po’ inquietato. «Dovresti
andartene a casa». Riflette per un attimo. «Vieni,
ti accompagno nel tuo ufficio e tu ti riposerai. E quando avrò finito qui ti
porto a casa».
Charlie capì
che sarebbe stato inutile protestare, già solo perché Larry aveva ragione.
Larry diede un
esercizio ai suoi studenti prima di aiutarlo ad alzarsi, sostenendolo fino al
suo ufficio.
«Grazie, Larry»
disse Charlie sinceramente quando si sedette sulla sua sedia.
Larry non disse
niente. Guardò in silenzio il suo amico. Qualche
secondo dopo Charlie si accorse che Larry era ancora lì.
«Cosa c’è? Dai,
devi andare dai tuoi studenti».
«Sei sicuro che
io possa lasciarti solo?»
«Certo. Se ci dovrebbero essere problemi posso
sempre chiamare aiuto. E comunque, cosa dovrebbe succedermi qui?»
«Va bene»
rispose Larry in modo esitante. «Dunque…
stai qui. Tornerò dopo e ti porterò a casa».
«Non sei
obbligato a farlo, Larry…»
«Ma lo farò».
Con questo,
Larry sparì.