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Autore: y3llowsoul    27/11/2010    4 recensioni
Aprì gli occhi. Si accorse immediatamente che qualcosa non andava. Era confuso. Nonostante tutto stesse girando, lui poteva distinguere che la prospettiva che se gli presentava davanti era molto inconsueta. Chiuse di nuovo gli occhi, un po’ per le vertigini, un po’ perché non dovesse più sopportare quell'angolatura.
Un Eppes ha una malattia grave e non sa come dire agli altri. Come reagiranno loro?
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Charlie Eppes, Don Eppes
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Leucemia 16

E di nuovo mille grazie per le vostre recensioni! Sono talmente onorata che penso che esagireste un po' con la vostra gentilezza e la lode... ma fa niente, amo molto le esagerazioni :)

Spero che vi piacerà.

CAPITOLO SEDICI

All my bags are packed.

I’m ready to go.

(John Denver, Leaving on a Jet Plane)

 

Charlie si sentiva un po’ insicuro sulle gambe. Però doveva andare tutto per il meglio: quella era la sua ultima lezione e l’avrebbe portata a termine in un modo o un altro. Solo quella lezione, poi avrebbe concluso tutto. Era quasi all’arrivo della prima tappa. Niente più confessioni, niente più calcoli per questo o quel collega e anche il gruppo di contrabbandieri era stato arrestato. Niente più confessioni salvo due, quella al suo corso e forse la più difficile.

«Buongiorno» salutò gli studenti, tentando di sembrare energico come al solito. Non era affatto semplice. La memoria delle ore passate era ancora nella sua mente.

Ancora prima di aver informato il suo primo corso quella mattina, aveva parlato ad Amita della sua malattia fuori, nel campus. L’aveva detto chiaramente che sarebbe sopravvissuto, che sarebbe solamente dovuto andare in ospedale per un po’. Le aveva raccontato tutto. Lei aveva pianto e lui aveva tentato di consolarla. Però il pensiero che forse avrebbe dovuto lasciarla per sempre in un futuro abbastanza vicino era stato tremendo per lui. In ogni caso lei lo appoggiava. Era sconvolta, ma avrebbe lottato con lui. Cosa mai sarebbe potuto accadergli se Amita era al suo fianco?

Volse i suoi pensieri di nuovo nella matematica. Doveva tenere duro, almeno per quell’ultimo giorno.

«Ci riallacceremo all’ultima lezione e parleremo un po’ più delle dispersioni, però questa volta non più con gli errori quadratici lineari, ma con quelli quadratici medi. Alcuni di voi potrebbero già conoscere la formula» disse, voltandosi verso la lavagna per scrivere la formula che in fondo non era troppo complicata.

Successe di nuovo. Stelle danzavano ancora una volta davanti ai suoi occhi. Charlie li chiuse. Credeva di barcollare un po’ e si appoggiò leggermente contro la lavagna.

Non crollare… tieni duro… solamente un altro paio di minuti…

Pochi secondi dopo era finito. Charlie riuscì a riaprire gli occhi e continuò a scrivere la formula. Questo non sarebbe dovuto succedergli un’altra volta: i suoi studenti avrebbero potuto notare qualcosa…

Si voltò. «Come potete vedere…»

«Ah… professore Eppes?»

Uno dei suoi studenti, un giovanotto brillante ma nervoso di nome Stevens, aveva alzato la mano.

«Sì?»

«Ehm… non dovrebbe essere il reciproco di N dopo il segno d’uguaglianza?»

Charlie si voltò di nuovo verso la lavagna. In effetti... Lì c’era N, non 1/N. Come poteva essergli accaduto?

Per un attimo rimase davanti alla lavagna come pietrificato prima di riuscire a prendere il gesso, sbrigativo, eliminando il suo errore.

«Certo. Lei ha ragione. Grazie, Mr. Stevens».

Charlie faceva fatica a far nascere un sorriso sulle sue labbra e Stevens sembrava felice di aver potuto correggere il suo professore.

Charlie tentò di non farsi confondere troppo da quell’errore e continuò la lezione. «Quel parametro dello stocastico ha una grande importanza nella matematica applicata e viene spesso utilizzato…»

 

Quando ebbe concluso quella lezione Charlie fu certo che doveva esser stata una noia per i suoi studenti. In seguito, pensandoci, non avrebbe saputo più spiegare come era riuscito a sostenere i minuti successivi, per lui lunghi come un’eternità, ma alla fine, in fondo, era fiero di sé. Non era crollato e dopo quell’incidente imbarazzante non aveva fatto altri errori. Adesso, però, era sfinito. Eppure doveva superare un altro ostacolo.

«Prima che ve ne andiate» fermò i suoi studenti che dopo la conclusione della sua lezione cominciavano a riporre le loro cose, ma che, sentendo la sua voce, si fermarono «prima che ve ne andiate vorrei informarvi che dovrete consegnare i vostri compiti non a me, ma al professore Kipler».

Le facce degli studenti si dipinsero di stupore e Charlie sapeva che doveva loro una spiegazione.

Si schiarì la gola. «Il professore Kipler non solo correggerà i vostri compiti, ma, a tempo indeterminato, assumerà anche la direzione di questo corso».

Charlie si fermò. Non sapeva ancora come dirlo ai suoi studenti. Con il tempo avrebbe dovuto essere in grado di farlo, si era detto.

«Perché?» domandò una studentessa dalla seconda fila.

«Sarò impedito fino a nuovo ordine».

I suoi studenti, che avevano solo pochi anni in meno a lui, si guardarono. Probabilmente pensarono all’occupazione secondaria di Charlie per l’FBI. No, probabilmente pochissimi di loro in quel momento stavano pensando a una cosa talmente banale come una malattia. Però, avevano il diritto di saperlo. Charlie l’aveva già fatto capire a sé stesso, anche se non era stato facile. Ed era ancor più difficile far diventare quell’intenzione una realtà…

«Ha qualcosa da fare con l’FBI?» la domanda, quasi repressa, bisbigliata interruppe il silenzio teso e fece saltare Charlie dai suoi pensieri, convincendolo a dire la verità.

«No. No, devo deluderla. La ragione della mia assenza è molto meno spettacolare». Respirò a pieni polmoni. «Sono malato. Perciò sospenderò fino a nuovo ordine il mio insegnamento alla CalSci».

Charlie guardò facce prive di comprensione e piene di spavento. Qua e là, occhi restavano sul professore con compassione. Non poteva sopportarlo, doveva assolutamente alleggerire un po’ l’atmosfera.

«Dunque… oggi è la vostra ultima occasione per rinfacciarmi tutte le cose che fino ad ora, per gentilezza, non avete detto» disse a tutti tentando di sorridere. Avrebbe voluto piangere. Non sarebbe riuscito a sostenerlo ancora per molto. Doveva finire quella cosa in fretta. Comunque non sapeva più cos’altro dire.

«Dunque… vi… vi saluto, augurandovi una vita fortunata… fate in modo che la CalSci sia fiera di voi!»

Aveva finito. Era alla fine, sia della sua lezione che della sua forza. Voleva solamente restare solo, risposarsi. Però non gli fu ancora dato. I suoi studenti erano ancora lì, attorno a lui, e lo fissavano.

«Lei morrà?»

Era stato un bisbiglio fioco, dal fondo della sala. La domanda, che in fondo non era una sorpresa per Charlie, lo colpì come una sferzata. Ma tentò di passarci sopra.

«Allora non sono riuscito ad insegnarvi nulla? Le coincidenze sono una realtà matematica! Non è possibile calcolare il momento della morte, solo le probabilità…»

Si interruppe. I visi solenni dei giovani davanti a lui facevano chiaramente intendere i loro pensieri. Charlie respirò profondamente.

«Forse. Le mie prospettive non sono cattive. Però vi prego di perdonarmi se rinuncio a diventare uno dei vostri oggetti di esperimenti matematici dandovi le mie probabilità di sopravvivenza».

«Lei è il miglior professore che abbiamo mai avuto!»

Charlie voltò la testa. Lì, c’era una studentessa con occhi umidi che aveva appena chiuso la bocca. I suoi compagni annuirono fortemente. Charlie aveva aperto la propria bocca, però non sapeva cosa rispondere.

«Ma dai, non esagerare!» mormorò alla fine.

Trovò la reazione dei suoi studenti davvero commovente ed era veramente grato per la loro compassione, ma in quel momento non c’era altro che desiderava che essere solo.

«Vi… vi ringrazio molto per la vostra partecipazione. Però sarei molto grato se mi lasciaste solo adesso».

I suoi studenti capirono. Finalmente lasciarono l’aula, l’uno dopo l’altro. Charlie si accorse appena delle loro parole d’addio mentre tentava di raccogliere i suoi documenti. Nella sua testa girava tutto, ronzava e rombava, aveva le vertigini e la nausea. Non appena furono usciti dall’uditorio gli ultimi studenti, ciò che rimaneva della sua forza sembrò scappare con loro. Completamente esausto si appoggiò contro il muro accanto all’enorme lavagna, lasciandosi scivolare a terra. Nascose il viso tra le mani fresche, provando sollievo e appoggiò i gomiti sulle ginocchia. Sarebbe finito fra poco. Fra poco si sarebbe alzato e – andato nel suo ufficio e raccolto qualche cosetta – si sarebbe ritirato definitivamente e sarebbe tornato a casa. Voleva solo riposare un attimino. Fra poco l'avrebbe fatto… ma non adesso.

Come da lontano – o era un sogno? – Charlie si accorse che l’uditorio stava di nuovo diventando pieno di gente. Probabilmente era una vista strana per gli studenti: uno dei loro professori – o poteva considerarsi un compagno? Non sembrava più anziano di loro e solo pochi erano già stati ad una sua lezione – era seduto accanto al muro del loro uditorio, quasi indifferente alla gente attorno a lui. Bizzarro.

Ad un tratto, delle voci gli chiesero se fosse tutto a posto. Di nuovo questa domanda snervante. Charlie tentò di rassicurarli nel modo il più disinvolto possibile che stava bene, che era tutto in ordine. Si rilassò solo un po’. Non c’era nulla di male, in fondo. “Possiamo aiutarla?” “No, grazie, non è necessario”. Scrollando le spalle, gli studenti lo lasciarono stare.

«Charles?»

Charlie sapeva che cosa stava per accadere.

«Sarò via in un attimo».

Doveva essere uno dei suoi colleghi. Chi altro lo avrebbe chiamato col suo nome?

«Charles… stai bene?»

Gradualmente, la nebbia cominciò a svanire. C’era solo un uomo che poteva essere davanti a lui in quel momento.

«Sì, certo. Sarò via in un attimo, Larry».

Larry non credette a nessuna di quelle parole. Si abbassò sulle ginocchia, tastando la fronte del suo miglior amico.

«Hai la febbre» constatò un po’ inquietato. «Dovresti andartene a casa». Riflette per un attimo. «Vieni, ti accompagno nel tuo ufficio e tu ti riposerai. E quando avrò finito qui ti porto a casa».

Charlie capì che sarebbe stato inutile protestare, già solo perché Larry aveva ragione.

Larry diede un esercizio ai suoi studenti prima di aiutarlo ad alzarsi, sostenendolo fino al suo ufficio.

«Grazie, Larry» disse Charlie sinceramente quando si sedette sulla sua sedia.

Larry non disse niente. Guardò in silenzio il suo amico. Qualche secondo dopo Charlie si accorse che Larry era ancora lì.

«Cosa c’è? Dai, devi andare dai tuoi studenti».

«Sei sicuro che io possa lasciarti solo?»

«Certo. Se ci dovrebbero essere problemi posso sempre chiamare aiuto. E comunque, cosa dovrebbe succedermi qui?»

«Va bene» rispose Larry in modo esitante. «Dunque… stai qui. Tornerò dopo e ti porterò a casa».

«Non sei obbligato a farlo, Larry…»

«Ma lo farò».

Con questo, Larry sparì.

 

  
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