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~ Dick e le donne ~
Dick chiuse con violenza la portiera del suo pick-up
appena parcheggiato nel vialetto di casa e infilò, fumante di rabbia, le mani
nelle tasche del giubbotto.
(Maledizione! Qual era il dannato problema della Reyes?! Si era fatto avanti, no?
Si era offerto di darle dei soldi e di accompagnarla, cosa voleva di più?! E se n’era andata con Brad, Cristo Santo! Stava
aspettando il suo bambino! Come
poteva fare gli occhi dolci a un altro?!)
Attraversò il giardino e raggiunse il portico dei suoi
vicini. Suonò il campanello con stizza.
(E lui, Brad?! Con quel discorso
su come non si doveva stancare perché i primi mesi sono pesanti? E tutta quella
scena da Eccomi-Sono-Il-Tuo-Principe-Azzurro-Appena-Sceso-Dal-Bianco-Destriero?
Vomitevole…)
La porta si aprì, rivelando la vecchia Mrs. Kerr. “Oh, ciao, Elijah. Sei venuto a
prendere Kaylee?”
“Sì, Mrs. Kerr.”
“Kaylee, è arrivato tuo
fratello!”
Un istante dopo, una furia dai capelli ricci gli si
avventò addosso all’altezza della vita, mozzandogli il respiro. “Ehi, gnomo! Vacci piano, eh?” grugnì, prendendola per il collo della maglietta
e staccandosela di dosso. “Grazie e arrivederci, Mrs. Kerr.”
Si avviò a grandi passi verso casa, seguito a ruota dalla
sorellina. “Elijah, aspetta! Vai troppo veloce!”
“Non ci posso fare niente se hai le gambe da pigmea”
replicò piatto, cercando le chiavi nella tasca del giubbotto. Non si sorprese
del pugno che gli arrivò in risposta in mezzo alla schiena.
“Sei uno stupido macaco!” gridò offesa Kaylee,
mettendosi le mani sui fianchi e guardandolo dal basso in alto.
Era così buffa che, nonostante l’umore nero, Dick
ridacchiò, camuffando il tutto con un colpo di tosse. Aprì la porta e le fece
platealmente segno di entrare per prima. “Prima i mostriciattoli” disse con un
sogghigno, che fu subito cancellato dal ben piazzato calcio nello stinco che
gli tirò la sorella. “Ma porc…!” esclamò, tenendosi
la zona colpita.
Kaylee gli fece una linguaccia e
sgattaiolò in casa.
“Dove vai, mocciosa?” ruggì Dick, rincorrendola. “Se ti
prendo sei morta!”
La ragazzina si mise prontamente dietro il divano. “Se ti
avvicini mi metto a urlare!”
“Provaci!”
Kaylee aprì la bocca e si esibì in un
prolungato strillo spacca-timpani.
Dick si portò le mani alle orecchie. (Cazzo!
Quella bambina aveva dei polmoni di acciaio!) “Va bene, va bene: non ti
uccido.” Kaylee richiuse la bocca e lo guardò con un
sorrisino soddisfatto. Al che Dick si aggrottò e la puntò con l’indice,
minaccioso. “Per ora.”
La sorellina lanciò un piccolo grido soffocato e si
nascose dietro il bracciolo del divano.
Compiaciuto, Dick salì le scale che lo conducevano alla
sua camera. “Non avvicinarti alla mia stanza” le ricordò.
“Perché? Deve venire
un’altra di quelle tue amiche antipatiche?” chiese Kaylee,
scrutandolo dalla tromba delle scale con il nasino arricciato dal disgusto.
“No. Oggi non sono
proprio dell’umore…” biascicò, chiudendosi la porta della camera alle spalle,
perdendosi così il faccino perplesso della sorella.
Un paio di ore più tardi, mentre era a metà di una
sessione di flessioni parecchio intensa, il cellulare di Dick cominciò a
suonare con insistenza. Il ragazzo gli lanciò un’occhiata, ma, non riconoscendo
il numero, continuò i suoi esercizi.
La suoneria si interruppe. Dopo un paio d’istanti riprese.
Dick la ignorò; quando però ricominciò a suonare per la terza volta, lo
agguantò e rispose con un seccatissimo: “Pronto!”.
“Dick? Sei tu?”
“Certo che sono io! Tu chi diavolo sei?”
Un attimo di silenzio sconcertato. “Sono Gladys.”
“Gladys chi?”
“Co-Come Gladys
chi? Siamo stati a letto insieme una settimana fa!”
Dick si concentrò un attimo. Una settimana fa? Allora
doveva essere la rossa della tavola calda dov’erano andati a festeggiare la
recente vittoria della squadra. “Ah, sì: Gladys. Come mai mi hai chiamato?”
“Come mai non mi
hai chiamata tu! Non posso credere che tu non abbia trovato un minuto del tuo
tempo per chiamarmi!”
“Che ti posso dire? Sono un ragazzo
molto impegnato.”
Dall’altra parte provenne un suono di aria risucchiata.
“Sei proprio uno stronzo!” la voce della ragazza si ruppe alla fine.
Dick roteò gli occhi, annoiato. “Mai
detto il contrario. Ascolta, non ho il tempo di dar retta ai tuoi
isterismi. È stato bello, sei stata un’ottima compagna di scopata, ma è meglio
se passi a qualcun altro, okay? Tanto con il modo in cui ti vesti non avrai
difficoltà… Ma che? Ha attaccato?! Stupide
femmine…” borbottò, gettando il cellulare sul letto.
Qualcuno si schiarì la voce e Dick sobbalzò per la sorpresa,
voltandosi di scatto verso la soglia della sua camera. Sgranò gli occhi. “Oh,
Cristo! Mamma che ci fai qui?”
La donna era appena tornata a casa, come dimostrava il
cappotto che aveva ancora indosso. Lo guardava a metà tra lo sbalordito e il
tremendamente seccato. E quando sentì la sua poco rispettosa esclamazione,
assottigliò gli occhi. “Elijah! Che modo è di parlare?!
E con tua sorella qui a due passi!”
Dick fece una smorfia e si morse l’interno della guancia.
“È stata una brutta giornata, ma’.”
“Non mi interessa quanto brutta sia stata la tua giornata:
non voglio mai più sentire simili volgarità sotto questo tetto! E lascia il
Signore Iddio e tutti i Suoi Santi in Paradiso.”
“… Sì, ma’…”
“Adesso fila a farti una doccia e vai ad aiutare tua sorella
a preparare la tavola.” Gli lanciò un’occhiata dura da sopra la spalla, mentre
si dirigeva verso la propria camera. “Dopo cena faremo un bel discorsetto io e
te.”
Dick sospirò. (Merda. Sua madre era proprio incazzata.)
Raccattò una maglietta abbastanza pulita sotto un paio di jeans lanciati sulla
sedia tre giorni prima e si diresse verso il bagno con passo da condannato al
patibolo. “Stupide femmine…”
“Allora? Si può sapere
chi era quella ragazza e perché le hai parlato in quel modo?” inquisì sua madre,
una volta mandata Kaylee a giocare in camera sua.
“Ne dobbiamo proprio parlare,
ma’?” gemette Dick. Mrs. Dickson gli lanciò
un’occhiata che non ammetteva repliche. Sospirò. “Non è nessuno: è solo una
tipa che ho incontrato qualche sera fa.”
Stavolta fu Mrs. Dickson a
sospirare. “Eli, quando ti deciderai a trovarti una
brava ragazza e smettere di passare da una all’altra?” Scosse la testa e
strinse le labbra. “Anche tuo padre è fatto così: cambia ragazze come se
fossero calzini…”
“Io non sono come lui” ribatté ferito il ragazzo,
corrucciando le sopracciglia.
Sua madre batté un pugno sul tavolo, facendolo sussultare.
“E allora dimostralo! Piantala di fare il donnaiolo!” Si
pinzò la base del naso con espressione tormentata e fece un grosso sospiro.
Poi gli prese le mani e gli parlò con voce triste: “Eli, tesoro, voglio solo che tu capisca. Mi rendo conto che dire di essere stato con molte ragazze alla tua
età ti renda popolare agli occhi dei tuoi amici, ma questo comportamento alla
lunga ti porterà solo guai”.
Dick fece una smorfia. (Lo sapeva. Lo sapeva anche troppo
bene…)
“Non c’è proprio nessuna ragazza che ti piaccia più delle
altre?”
“Sì, c’è. Ma ha preferito Brad.”
“Oh.”
“Già…”
Sua madre gli carezzò il dorso delle mani con i pollici. “E
allora vuol dire che non era quella giusta.”
Dick grugnì, sarcastico. “Sì? Beh, oggi
anche un’altra ragazza ha preferito lui a me…” borbottò amaro. “Sembra
che Bradford Hurst sia il
dannato Principe Azzurro di tutte le studentesse della Foster. E io il Lupo Cattivo.”
“Tesoro, forse se cercassi di essere un po’ più gentile…”
“Ma io sono stato gentile con
“Aiuto per cosa?” Il viso di sua madre si era fatto
curioso. (Ahia… Doveva depistarla. Subito.)
“Ma niente, ma’… Non sta molto bene in questi giorni, un
po’ di influenza, sai?, e Brad ha detto che ha letto
dell’argomento e lei è tornata a casa con lui” concluse con una smorfia.
Mrs. Dickson sollevò un
sopracciglio, fissandolo perplessa per qualche istante.
“Comunque, non importa” si affrettò a dire, alzandosi e
facendo uno scatto verso le scale. “Non me ne frega niente della Reyes…”
“Elijah?” lo richiamò subito la donna.
“Sì?”
“Non pensare che mi sia dimenticata della tua punizione
per aver usato un linguaggio scurrile.”
“Una punizione, ma’?! Ma ho quasi diciott’anni!”
“Hai detto bene: quasi”
enfatizzò sua madre con un sorrisetto. “E finché vivrai sotto questo tetto ogni
volta che io o tua sorella ti sentiremo imprecare dovrai versare un dollaro in
questo barattolo” decretò, indicando un vasetto per le conserve messo in bella
vista sul bancone della cucina.
Dick fissò sua madre a bocca aperta. “Stai scherzando?!” esclamò, oltraggiato.
“Ti sembra che stia scherzando?” domandò lei, col volto di
nuovo severo.
Borbottò improperi tra i denti.
“Mamma! Elijah ha
detto la parolaccia che incomincia con la ‘m’!” giunse una voce dalla cima
delle scale.
“Maledetta spiona!” sibilò Dick, lanciando un’occhiataccia
alla sorella, che lanciò un urletto e si chiuse nella
sua stanza.
Mrs. Dickson lo raggiunse,
porgendogli il barattolo. “Forza” lo esortò, agitando il contenitore.
Riluttante, Dick tirò fuori un dollaro. Sua madre si schiarì la gola. Roteò gli
occhi e ne mise dentro un altro. La donna sorrise e andò a rimettere a posto il
barattolo. “Se continui così, mio caro, per la fine dell’anno avremo un bel
fondo per il college” ridacchiò.
Dick fece le scale brontolando contro le ‘stupide femmine’
che gli rendevano la vita un inferno. Una volta in camera, si gettò a peso
morto sul letto, gettando un’occhiata distratta allo schermo del computer
ancora acceso: due box di conversazione troneggiavano al centro.
Uno era di Madison (Ehi
Dick! Festa a casa di Carol Jennings… Ci vediamo là?). Lo
chiuse senza pensarci due volte. (Non era proprio dell’umore di sgattaiolare
fuori di casa per andare alla festa di una sfigata, che sperava di diventare
popolare servendo birra analcolica.)
L’altro messaggio era da parte di Brad. Dobbiamo parlare, diceva. Dick sbuffò dal naso. “E di cosa? Di come cambiare i pannolini?”
brontolò, sarcastico. Si disconnesse con un certo sadico compiacimento
nel non aver replicato all’amico. Si sdraiò nuovamente sul materasso,
appoggiando la testa sulle mani intrecciate e fissando il soffitto con un gran
broncio.
(Quel presuntuoso! Era convinto di essere tanto migliore
di lui! Solo perché sapeva che i primi mesi della gravidanza erano pesanti…
Capirai: bastava digitare ‘gravidanza’ su un motore di ricerca di Internet per
accedere a quelle informazioni!)
Si mise a sedere di scatto, con gli occhi spalancati.
(Ma certo! Come aveva fatto a non pensarci prima?!)
Trafficò qualche istante al computer, prima di trovarsi
davanti a una lunga lista di siti. “Molto bene…” mormorò, cliccando sul primo: ‘Gravidanza settimana per settimana’. Scorse i quaranta
link delle quaranta settimane che rimandavano ad altrettante pagine e
fotografie. Per un attimo fu tentato di alzarsi e andare a quella
cavolo di festa della Jennings. Poi scosse la
testa e raddrizzò le spalle. Espirò più volte come faceva per caricarsi prima
di una partita di campionato e cliccò sul primo collegamento. “Puoi farcela, Dickson” si incitò. E cominciò a leggere.
Commenti:
Ebbene, eccomi qui con un giorno d’anticipo
rispetto al solito!^^ Impegni l’indomani e Dick che voleva assolutamente far
sentire la propria voce mi hanno costretta a pubblicare un giorno prima.
Dunque, cos’abbiamo: un bulletto
arrogante, che viene prevaricato a casa dalla sua mamma. (Ho pensato che il
nostro “caro” Dick avesse proprio bisogno di qualcuno che lo rimettesse in riga
e chi meglio della mamma?^_^)
Beh, questo è il punto di vista del paparino
sullo scontro del precedente capitolo: a voi le vostre conclusioni.
Ringrazio moltissimo tutti coloro che stanno
seguendo questa storia, in particolar modo Valentina78,
Plastic, Korat, Lucille_Arcobaleno e Gea_Kristh che
hanno voluto condividere con me le loro opinioni: grazie mille, ragazze! Spero
che anche questo capitolo vi aggradi.
Un salutone a
tutti/e quanti/e!
A tra due lunedì, a
questo punto!^^
Ale