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Autore: Mia    27/11/2005    6 recensioni
Commento di Erika – La modalità narrativa ed espressiva ricalca quella di testi antichi (ed in ciò non si è riusciti male, anzi); qui abbiamo la storia di Didone, regina che donò il cuore ad Enea, che non si fece scrupolo di abbandonarla. La storia dal punto di vista della regina. Forse il racconto (in prima persona) risulta a volte troppo lineare nel narrare lo svolgimento dei fatti, per quanto siano descritti con forza tutti i sentimenti provati dalla protagonista. Riassunto dell'autrice – Roma e Cartagine. Enea e Didone. Come, dall’amore, possa nascere la guerra.
Genere: Drammatico, Fantasy, Generale, Introspettivo, Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Il dolore di Didone

Roma e Cartagine, Enea e Didone

Cartago delenda est

 

Le lacrime mi offuscano la vista mentre, dall’alto della rocca di Cartagine dalle dorate spiagge, osservo le veloci navi dei Troiani allontanarsi sempre più dalle coste Africane, con il vento favorevole ed il mare calmo sotto di loro, diretti nella lontana Esperia.

Oh me infelice! Quale dolore mi attanaglia il cuore vedendo i porti vuoti, segno evidente della partenza del crudele Enea, figlio dell’Urania Afrodite.

Mi getto a terra e con tremendo spasimo mi percuoto il petto e mi strappo i biondi capelli, ancora pregni del suo odore.

Queste parole mi escono dalle labbra mentre languo nel mio immenso dolore: -Oh Zeus! Lo straniero partirà irridendo in codesto modo il mio nuovo regno?- sì, dopo aver elogiato le bellezze di Cartagine dalle spiagge dorate, la abbandona per mare, prendendosi gioco di me, del mio immenso amore nei suoi confronti.

Non può farlo! Dopo avermi illuso, dopo avermi fatto credere che mi amava, abbandona me e Cartagine vilmente, di notte, con la protezione delle tenebre.

Vile, meschino Enea! Una ferita profonda hai provocato nel mio cuore, ferita che non si richiuderà.

Riprendo con rinnovato odio e vigore: -I miei uomini non imbracceranno le armi funeste né le lunghe lance di bronzo, non accorreranno da tutta la grande città di Cartagine dorata, non strapperanno le navi dai cantieri?- mi fermo ancora una volta.

Ipocrita! Sono un’ipocrita: io che per prima ho accolto i Troiani nella mia grande città e nella mia nobile casa, ora incito dentro di me il mio popolo a violare questa mia decisione, pur sapendo che sarebbe impossibile raggiungere la veloce nave di Enea divino.

Ricordo perfettamente quando i Troiani arrivarono a Cartagine dalle dorate spiagge, e rammento il mio atteggiamento nei loro confronti.

Accolsi i visitatori nel mio bel palazzo.

Erano stanchi, provati da un lungo viaggio per mare, ed io non ebbi il cuore di non offrire loro la mia protezione e la mia ospitalità, la quale è sacra a Zeus Egioco, il grande Dio Padre, colui che governa il tuono e le tempeste.

Posai il mio sguardo a turno su ognuno dei Troiani giunti fino a me e lessi nei loro occhi una grande gratitudine, che mi colmò il cuore di piacere, ma come vorrei ora che il mio cuore fosse stato più fermo, e le mie decisioni più dure.

Dopo averli osservati, parlai loro con voce mite ed incoraggiante, ricordando il mio viaggio verso questa terra che ora è la mia patria.

Infatti anche io, con il cuore colmo di paura e di affanni, di dolore e rimpianti, ero partita dalla mia terra natia per approdare con i miei compagni e le ottanta fanciulle che avevo preso con me dalla bella Cipro per farne le loro future spose, nella terra del nobile re Iarba. Riuscii perciò a comprendere perfettamente gli stati d’animo di questi Troiani approdati in una terra straniera.

Anch’io come loro mi ero sentita persa, spaesata; ora invece sono la regina di Cartagine, ma solo grazie alla mia intelligenza ed alla mia forza, che mi hanno permesso di governare una città così grande e potente da sola, senza un uomo accanto.

Ricordo che Iarba, quando mi concesse di erigere una città sulla sua terra, mi porse una pelle di bue e mi disse, con un sorriso di superiorità sulle labbra, che avrei avuto a disposizione tanto terreno quanto ne poteva racchiudere al suo interno la pelle dell’animale. Sapevo che il sovrano voleva approfittarsi di me, che ero una donna indifesa, vedova e sola, ma io non glielo permisi: tagliai la pelle del bue in tante strisce sottili che disposi una accanto all’altra in forma circolare; così creai il perimetro della città che ora sto costruendo con le mie risorse e governando con le mie sole forze.

Scossi leggermente il capo e tornai a concentrarmi sui Troiani che mi stavano davanti; per mascherare questo mio movimento, reclinai il capo e dissi loro: -Allontanate il nero timore dai vostri cuori, nobili Teucri, e liberatelo dagli affanni. Una situazione assai spiacevole ed il fatto che il mio regno sia neonato, mi obbligano a misure estreme, ed a vegliare con guardie su tutti i confini di Cartagine dalle sabbie dorate. Chi ignora la stirpe degli Eneadi e la divina città di Troia, sacra a Zeus Padre, i suoi eroi, le loro gesta e gli incendi spaventosi che provocarono i Danai vincitori? Noi Punici non abbiamo il cuore così duro: che vogliate raggiungere la grande Esperia e gli ampi campi saturni, o le terre di Erice ed il molto nobile re Aceste, io vi congederò da Cartagine sicuri di aiuto e vi soccorrerò di mezzi. Ma volete voi, nobili Troiani, risiedere con me in questo nuovo regno? La forte città che sto fondando è anche vostra; ancorate quindi le veloci navi che dalla Troade splendente vi condussero qui: Troiano o Tirio, per me non vi sarà differenza alcuna. – feci a questo punto una breve pausa, dopo la quale pronunciai le parole che ora desidererei non avessero mai oltrepassato il soglio delle mie labbra – E fosse presente, spinto a sua volta da Noto, vento meridionale, divino figlio di Eos dalle rosee dita, il nobile Enea! Ma certo manderò uomini fidati ad esplorare le dorate spiagge di Cartagine divina ed i confini della Libia, i quali possano riferirci se per caso, il molto nobile figlio di Anchise, si aggiri naufrago per città o per selve.-

Quando mai tali funeste parole uscirono dalla mia bocca? Pandemia Afrodite, perché mandasti a me tuo figlio quel funesto giorno? Perché volesti che me ne innamorassi? Non riceverò mai risposta a queste domande.

Con lo sguardo offuscato dalle salate lacrime, rivolto verso il mare aperto dove stanno scomparendo le navi dalle bianche vele dei Troiani, continuo il mio grido di dolore: -Andate, recate veloci le fiamme, date armi, forzate sui remi delle agili navi Cartaginesi!- mi fermo di nuovo.

Qualche cosa dentro di me pare cambiare. Il mio spirito combattivo si placa, lasciandomi vuota e stanca, accasciata a terra, con le belle vesti lacere, i biondi capelli scomposti ed il viso rigato di lacrime amare di dolore.

Non avrei la forza di sostenere una battaglia fisica contro Enea… il divino figlio dell’Urania Afrodite occupa tuttora un posto speciale nel mio cuore straziato: penso di amarlo ancora.

Odio me stessa in questo momento. Io, che mi ero ripromessa di restare fedele al buon Sicheo, il mio defunto marito, mi sono innamorata di quel giovane Troiano reduce di tante sventure, proprio come me; ma anche ora che egli mi ha crudelmente abbandonata, invece di ritornare con il cuore e con la mente ai tempi in cui il mio amato Sicheo era ancora vivo, prima di essere ucciso da mio fratello Pigmalione, tutto il mio essere è ancora dedicato al crudele Enea.

Me misera e meschina!

Le parole precedentemente pronunciate trovano contraddizione in quelle che ne seguono, dettate dal mio nuovo stato d’animo, dal nuovo pensiero che si è fatto largo nella mia mente, o che vi era sempre stato insinuato senza che io me ne fossi accorta.

-Cosa dico mai? Dove mi trovo? Quale follia mi sconvolge la mente? Me infelice! Solo adesso le empie azioni mi toccano? Allora avrebbero dovuto, quando accordavo lo scettro. Ecco la destra e l’onestà di colui il quale si dice che rechi con sé i divini Penati della sacra patria ed abbia portato sulle forti spalle il padre stremato dagli anni! Non potevo dilaniarne il corpo e disperderlo nei flutti del mare di Poseidone Cronide?- la voce mi si incrina e taccio ancora.

Le mie erano parole dettate dalla rabbia, dal rammarico e dal dolore, ma dentro di me so bene che mai avrei potuto fare ciò che ora urlavo; che mai ne avrei avuto il coraggio o la forza.

Altri ricordi mi affollano la mente, inaspettati, improvvisi, inesorabili, crudeli, ed io, non riuscendo a scacciarli, ne sono sopraffatta.

Ricordo che, dopo aver rivolto cordiali parole di ospitalità ai Troiani giunti nella mia nobile dimora ed aver espresso il mio dispiacere per l’assenza del molto nobile principe figlio del nobile Anchise e della divina Afrodite, alzai lo sguardo e vidi apparire davanti a me Enea.

Simile ad un Dio appariva il figlio dell’Urania Afrodite: sembrava risplendere di luce propria come il più luminoso astro che brilli nel cielo di Urano; come se la sua divina madre avesse ispirato nel figlio la bella chioma aurea ed il purpureo fiore di gioventù e la lieta grazia negli occhi.

Egli si rivolse subito a me, che apparivo molto meno impressionata dei suoi compagni, ai quali la sua apparizione era giunta inattesa, quasi fosse stato un morto tornato dall’Ade oscuro sulla terra di Gea.

Mi disse allora con voce vigorosa, per potenza superata solo dal ruggito di rabbia del Padre Zeus prima di un temporale, queste parole: -Ecco, sono io che cerchi, il Troiano Enea, scappato alle alte onde del mare di Libia. Oh, sola pietosa delle indescrivibili pene di Troia dalle divine mura, che noi, relitti dei Danai, ormai stremati da tutte le disgrazie della terra di Gea e del mare di Poseidone Cronide, bisognosi di tutto, accogli nella tua divina città e nella tua nobile casa. Renderti giuste grazie non è in nostro potere, fenicia Elisa, né di alcuno, ovunque sia, della gente di Troia dalle alte mura, dispersa nel vasto mondo. Gli Dei, se il loro potere difende i buoni, se in un luogo vale giustizia, ti rendano degni compensi. Quale età fortunata ti produsse? Quali magnanimi genitori ti crearono tale? Finché i fiumi sfoceranno nel mare di Poseidone Cronide e le ombre esploreranno il cavo dei monti ed il cielo di Urano alimenterà le stelle, sempre dureranno il tuo onore, il tuo nome e la tua gloria, qualunque terra mi chiami.-

Sciocca che mi feci incantare da queste sue parole, dalle sue lusinghe, poste con quella voce dal timbro irresistibile, quasi fosse stati ispirato dal divino Apollo, Dio della musica e del bel canto!

Quando mi ebbe detto questo, si volse ai compagni e ne salutò alcuni fra i più cari al suo cuore, mentre io lo osservavo, ancora stupita dalla sua improvvisa apparizione, quasi fosse stato avvolto in una nuvola invisibile, e stupita anche dalla sua straordinaria sorte.

Quando egli ebbe finito di salutare i compagni ritrovati, io mi rivolsi a lui per la prima volta; se solo non l’avessi fatto…

-Quale fato funesto ti insegue, figlio dell’Urania Afrodite, fra tante minacce? Quale forza ti spinge su rive sconosciute? Sei tu Enea, che Afrodite Urania generò con il nobile Anchise presso le onde del Simoenta? Ricordo che il nobile Teucro venne a Sidone bandito dalla patria, in cerca di un nuovo regno con l’aiuto di Belo; allora questi devastò e conquistò col ferro la ricca Cipro. Già da quel tempo ero a conoscenza della caduta della città troiana e del tuo nome. Il medesimo nemico esaltava i Teucri con grandi lodi, e vantava la medesima discendenza. Perciò avanti, giovani Troiani, entrate nel nostro palazzo. – dopo questo invito, i miei pensieri precedenti assunsero forma di parole, che pronunciai perché mi sentivo sicura ed ero certa che mi avrebbero compresa – Il Fato volle che anche io, col cuore colmo di affanni, mi fermassi infine in queste terre. Conoscendo il dolore, ho imparato a soccorrere gli infelici.-

Non l’avessi fatto, non so cosa sarebbe cambiato; probabilmente nulla, poiché il Fato non si può contrastare, essendo superiore agli Dei ed allo stesso Padre Zeus.

Detto questo, mi allontanai dalla presenza dei Troiani, ma nonostante la mia distanza, la figura di Enea restò impressa nella mia mente di donna infelice e misera.

Riprendo il mio urlo di odio e dolore dal punto in cui mi ero interrotta, di nuovo animata dal fuoco del disprezzo: -Ed uccidere con ferro affilato i suoi compagni e lo stesso Ascanio ed imbandirlo sulla tavola del padre crudele?- credevo di poter continuare con freddezza, indifferenza, ma così non è.

Mai la mia mano di donna avrebbe potuto abbattersi su di un bambino, l’amato figlio di Enea.

La mancanza di un figlio mi è sempre pesata, tanto che quando vidi Ascanio ne rimasi affascinata e desiderai con tutta me stessa di poter un giorno avere un figlio… un figlio da Enea…

Ricordo che ordinai che venisse portato cibo abbondante ai Teucri rimasti presso le navi nel porto di Cartagine, ed organizzai un maestoso banchetto per Enea ed i suoi compagni.

Alla sera ci riunimmo tutti attorno al tavolo per banchettare.

Ed ecco che vidi avanzare verso di me un fanciullo, il quale recava nelle mani un prezioso manto ricamato a figure d’oro, un velo bianco con sopra trapuntato un fregio tutto intorno.

Questo era chiaro frutto di un lavoro sopraffino, e notai che molti si soffermarono ad osservarlo, incantati dalla sua bellezza.

I miei occhi però si riempirono di lacrime che riuscii a reprimere a fatica alla vista di Ascanio, il figlio di Enea, più che dei doni da lui portati.

Vidi il fanciullo incrociare il mio sguardo per un breve attimo, prima di buttare le braccia al collo del padre, il quale lo sollevò da terra con affetto.

A questo punto entrambi volsero i loro sguardi, così azzurri, così simili, verso di me, che, dopo un attimo di titubanza, accolsi il piccolo Ascanio sulle mie ginocchia.

Me misera! Come vorrei non averlo fatto!

Il mio amato marito, il nobile Sicheo, che ora provo quasi vergogna a nominare, non era mai riuscito a fecondare il mio ventre, e mio fratello Pigmalione lo aveva strappato alla vita prima che ci potesse riuscire, perciò io ero vedova e priva dell’amore di un figlio.

Il desiderio di una gravidanza cominciò a crescere dentro di me fin dal primo momento che vidi il bell’Ascanio varcare la porta del mio palazzo e non ci trovo nulla di strano, ma ciò che mi lascia stupita è il fatto che, quando presi Ascanio sulle mie ginocchia, la mia mente cominciò a svuotarsi dal pensiero del mio amato marito Sicheo, al quale ero rimasta fedele fino a quel giorno funesto che accolsi i Troiani nella mia casa.

Cominciai ad accarezzare il capo dorato del bambino, mentre un sorriso mi increspava dolcemente le labbra ed aumentava in me il desiderio di recare dentro il mio ventre una creatura così splendida.

E mentre la mia mano entrava a contatto con i morbidi capelli di Ascanio, nel mio cuore e nella mia mente si insinuava un unico volto: quello di Enea.

Volevo vedere il suo volto in quello della mia creatura, volevo che fosse lui il padre di mio figlio.

Ed ora che il mio desiderio è stato esaudito, desidero con tutta me stessa che questo seme che sta germogliando dentro di me venga espulso dal mio corpo, cancellando il ricordo di Enea.

Mi porto le mani al ventre ancora piatto, ma che io avverto essere colmo di vita e lo tasto lentamente.

Le sensazioni che provo sono contrastanti: provo un senso di dolcezza e di amore nei confronti di questo figlio, misto ad una leggera punta di odio nei confronti di colui che lo generò.

Un brivido mi corre lungo la schiena a questo nuovo pensiero che mi balena nella mente e che mi sfugge sotto forma di dure parole dalle labbra: -Ma insicura era la lotta. E lo fosse stata! Di chi mai, in punto di morte, devo aver timore? Avessi portato alte fiaccole nel campo ed una volta empito le tolde di fiamme, estinto il figlio e il padre e la stirpe, avessi gettato sulla funesta pira me stessa!-

Fu a causa di queste parole e del corrispondente pensiero che rabbrividii. Se davvero volevo distruggere Enea e la sua funesta stirpe, anche il figlio che recavo in grembo avrebbe dovuto perire.

Non ci sono altre soluzioni ed io lo so molto bene; o forse ci sarebbero, ma il dolore che mi affligge è troppo grande perché io le possa prendere in considerazione.

Abbasso il capo e le lacrime riprendono a scorrere copiose sulle mie pallide guance, ormai scavate da questo salato torrente che le percorre in tutta la loro lunghezza.

Mi porto nuovamente le mani al ventre e lo carezzo dolcemente, questa volta con la mente sgombra per un momento dal pensiero del padre.

Dentro di me, mentre compio questi gesti, cerco di figurarmi questo bambino cresciuto. Con rammarico però penso che questo non accadrà mai: questo bambino non nascerà, poiché io ho intenzione di scendere nell’Ade oscuro e ritrovare il mio amato Sicheo, che forse mi permetterà di dimenticare Enea. Il mio dolore si consumerà nella buia dimora di Ade Cronide e della giovane Persefone, consorte e nipote del Dio dei morti.

Ho preso la mia decisione e non tornerò indietro. Alzo perciò il capo ed osservo per un attimo l’orizzonte, oltre il quale sono già sparite da tempo le navi del crudele Enea.

Infine alzo una supplica verso il cielo, rivolta agli Dei.

Le mie parole sono cariche di odio ed in esse si percepisce chiaramente la mia brama di vendetta.

-Oh sole di Apollo Lungisaettante che illumini con i tuoi caldi raggi tutte le opere della terra di Gea, e tu Hera divina, sorella e moglie di Zeus Padre onnipotente, autrice e complice dei miei affanni, Ecate invocata dai trivi ululando, ed Erinni vendicatrici e Dei di me morente, accogliete quello che dico, punite con equa potenza i maligni, ed ascoltate le mie suppliche. Se l’infame deve raggiungere il porto della bella Esperia ed approdare alla terra e questo richiedono i fati di Zeus tonante, ed il termine resta immutabile: ma travagliato dalle armi bronzee e dalla guerra funesta di un popolo valoroso, allontanato dalle terre, strappato dal dolce abbraccio del biondo Ascanio, scongiuri aiuto e veda le immeritate morti dei suoi compagni, e quando si sia piegato alle leggi di una pace iniqua, non goda del regno e del dolce lume; ma cada prima dell’ora, e giaccia insepolto tra la sabbia fine. Di questo vi prego, col sangue effondo quest’ultima voce. E voi, oh Tirii, perseguitate con odio la sua stirpe e tutta la razza futura, offrite un tal dono alle nostre ceneri. Non vi sia amore né patto tra i popoli. E sorgi, vendicatore, dalle mie ossa, e perseguita con il freddo ferro e con il bruciante fuoco i coloni Troiani, ora, in seguito, o quando se ne presenteranno le forze. Lidi opposti ai lidi, onde ai flutti auguro, armi alle armi; combattano essi e i nipoti.-

E a queste parole si placa per un poco l’animo mio, ed io taccio, riprendendo ad osservare il mare azzurro, ora non più mosso dal passaggio delle veloci navi troiane.

Dentro di me so che queste mie preghiere saranno esaudite, so che i Cartaginesi saranno in lotta con i discendenti di Enea in futuro, poiché questo io scriverò con il mio sangue.

Verrà un giorno il vendicatore che infliggerà dolori e sconfitte infinite alla stirpe del crudele figlio di Anchise.

Sento dei leggeri passi dietro di me e subito li riconosco, poiché molte volte li ho uditi risuonare nelle stanze del nobile palazzo di Cartagine dalle dorate spiagge, o nelle camere del palazzo della mia patria fenicia ed ora mi è facile riconoscerne il suono fra altri mille.

Senza voltarmi, mi rivolsi a colei che avanzava verso di me, credendo che io volessi celebrare un rituale magico per liberarmi dal pensiero di Enea, chiamandola con l’amato nome di Barce, che fu la nutrice del mio adorato Sicheo, e le dissi: -Amata nutrice, chiama la sorella Anna, dille che si affretti a bagnare il corpo di acqua fluente, e rechi con sé le vittime sacrificali e la prescritta espiazione; così venga; e tu fascia le tempie di pia benda. Penso di compiere i sacrifici secondo il rituale intrapresi e disposti a Zeus signore del fulmine, di porre fine alle mie infinite sofferenze bruciando sul rogo l’effige del Troiano traditore.-

Ho pronunciato queste parole senza mai staccare gli occhi dal mare cristallino, leggermente increspato dalla lieve brezza che spirava, né girarmi verso la nutrice; capisco che se ne sta andando solo dal rumore dei suoi passi, il quale si fa sempre più debole e fioco fino a che non scompare.

Ora che l’amata Barce si è allontanata, riesco a girare il capo.

Sono agitata, stravolta dall’atrocità dei miei intenti.

Sebbene non possa vedere il mio viso, so di essere terribilmente pallida, come se il mio corpo si stia già preparando alla morte.

Rimango lì su quella scogliera ancora per qualche tempo.

Mi accarezzo di nuovo il ventre che solo io so essere gonfio di vita e do un muto addio alla creatura che vi dimora, poiché so che non la vedrò mai.

Il mio pensiero vola di nuovo ad Enea, alle sue parole, alle sue false promesse, uscite da labbra ancora calde di passioni amorose, perciò false, affrettate.

Contraggo le mani fino a che non le chiudo in pugni così stretti che mi ferisco da sola la carne dei palmi con le unghie.

Se così tanto lo avevo amato un tempo, dimenticando la mia promessa al marito adorato, il buon Sicheo, e tutte le proposte di matrimonio che avevo rifiutato, nascondendomi dietro ad essa, la quale però era crollata in un attimo alla vista del bell’Enea.

L’odio monta dentro di me, fino a che non esplode: correndo mi allontano dalla rocca di Cartagine sacra a Hera e mi dirigo verso la mia nobile casa.

Irrompo con violenza nel palazzo, spalancando le porte con forza; salgo i gradini con furia, reggendomi appena le vesti in modo da non cadere e giunta nell’intimità della mia stanza mi chiudo la porta alle spalle.

Mi avvicino al letto e sfodero la spada che vi giace accanto, come abbandonata.

Ne osservo la lama lucente per qualche istante e vedo riflessi i miei occhi azzurri che bruciano di rabbia e dolore.

Rimango immobile per un po’ad osservarla.

È la spada di Enea.

Egli me l’ha lasciata come ricordo, poiché io stessa avevo espresso questo desiderio: mai avrei pensato che quel dono sarebbe diventato lo strumento del mio suicidio.

Infine, abbasso lentamente la spada e mi guardo attorno, sempre tenendola ben salda nella mano destra.

Vedo sul mio giaciglio le vesti troiane che indossava Enea… le lacrime tornano a pungermi gli occhi ed il pensiero vola alle nostre notti d’amore trascorse su quello stesso letto che vedo innanzi a me, vuoto.

Lentamente mi siedo su di esso, ed infine appoggio una guancia sul cuscino, ed osservo un punto indefinito davanti a me.

Infine dico, mentre una lacrima mi scende lungo il viso, finendo a bagnarmi le labbra: -Dolci spoglie accogliete questa anima e scioglietemi da tali tremende pene. Ho vissuto ed ho percorso la via che mi aveva assegnato la crudele sorte, ed ora la mia ombra gloriosa scenderà nell’Ade oscuro, regno del Cronide signore Ade. Ho innalzato una meravigliosa città, ho veduto erigersi le mura da me costruite, ho vendicato lo sposo amato, punito il fratello nemico; felice, troppo felice sarei stata se solo le veloci navi dei Troiani non avessero mai toccato le nostre sponde!-

Dicendo questo, affondo il viso nel guanciale per soffocare il pianto ed aggiungo: -Morirò non vendicata, ma morirò. Così voglio discendere fra le ombre eterne. Beva questo fuoco con gli occhi del mare il crudele Troiano e rechi con sé la maledizione della mia morte.-

Mi rialzo, impugno nuovamente la lucente spada di Enea e la guardo.

Eravamo così simili tu ed io, amato Enea: entrambi reduci di tremendi dolori e sofferenze, vedovi e privati del coniugale affetto, costretti a fuggire dall’adorata patria per portare a termine il loro destino in una terra straniera.

Avrei tanto voluto fare parte del tuo destino, ma i piani divini sono diversi per te, crudele Troiano.

Ora tu sei lontano da Cartagine divina, ma la mia morte porterà rovina su di te e la tua stirpe.

Avvicino la spada al mio petto ed alla fine, con un movimento rapido mi trafiggo l’addome.

Un dolore lancinante mi avvolge e sento la creatura che cresceva dentro di me morire e fluire dall’apertura delle gambe, bagnando le candide vesti di sangue scuro.

Emetto solo un leggero gemito di dolore mentre mi accascio sul letto.

Odo le urla delle mie ancelle, le quali si precipitano verso di me, gridando disperate, strappandosi le vesti ed i bei capelli.

Sento delle braccia sollevarmi con tocco gentile e delicato: una lacrima mi cade sulle labbra, e poco dopo sento la voce familiare della mia amata sorella, Anna dalle bionde chiome, che mi dice fra i singhiozzi convulsi che le squassano il giovane petto: -Era dunque questo, sorella? Desideravi ingannarmi? Questo mi predisponevano la pira, le fiamme e le are? Abbandonata, cosa accuserò prima? Spregiasti la sorella nella morte? Se tu mi avessi chiamata ad uno stesso fato, uno stesso dolore e momento avrebbe rapito entrambe con il freddo ferro. Ho innalzato il rogo con queste mani, le stesse che ora stringono il tuo corpo morente; ho invocato gli Dei della nostra patria, per non essere presente, crudele, alla tua funesta morte? Hai ucciso te e me, sorella, ed il tuo glorioso popolo ed i nobili padri e la tua bella città. Fate che io deterga le ferite, se erra ancora un estremo alito, lo colga con le labbra.-

Questo odo uscire dalle tue labbra, amata sorella, mentre mi stringi dolcemente al petto e bagni le mie lacrime con le tue.

Scendi ora dai gradini della mia altra dimora, e nel frattempo mi abbracci forte, cullandomi fra le tue braccia, appoggiata al tuo seno.

Il tuo candido abito si tinge del carminio del mio sangue.

Soffro, Anna; il dolore mi attanaglia, ma io non sono morta ancora.

Sento il sangue fluire dalla mia ferita aperta ed odo i tuoi gemiti soffocati, colmi di dolore e di pianto.

Tento di aprire gli occhi, le cui palpebre sono rese pesanti dalla morte imminente che mi sta prendendo. Cerco di muovermi, di alzarmi, ma ricado all’indietro, sconfitta dalla ferita nel mio petto, profonda e dolorosa.

Tre volte provo, appoggiandomi al gomito, a sollevarmi, e tre volte ricado su di esso, trafitta dal dolore.

Sollevo allora gli occhi pesanti verso il cielo di Urano, cercando la luce e quando la trovo emetto un gemito di felicità.

So che gli Dei non mi hanno ancora strappato la vita, tagliandone il sottile filo, poiché non muoio per il destino, ma prima dell’ora prestabilita; ma ora sento una felicità immensa invadermi, prendendo il posto della mia anima, la quale scivola via lentamente dalle mie spoglie mortali.

Chiudo gli occhi e sospiro, e con questo mio ultimo alito, esce dalla bocca la mia vita.

  
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