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Autore: Doralice    29/11/2010    5 recensioni
Una cacciatrice di licantropi in crisi esistenziale, un prete poco ortodosso che dispensa consigli sottoforma di bustine di the, un vampiro dandy che non si fa mai gli affari suoi, un'insospettabile infermiera dalla doppia vita, un armaiolo vegetariano-animalista-pacifista e un licantropo di sani principi ma dalla mente perversa... cosa volete di più??
Genere: Commedia, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Teresa Lisbon, Un po' tutti | Coppie: Cho/Lisbon
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Incontri ravvicinati del quarto tipo


Non è da molto che sto dormendo. Coso mi ha svegliata balzandomi sul petto e miagolando fastidiosamente. Lo guardo truce: ma che gli prende?

Lo spingo via mugugnando qualcosa di indistinto e mi rigiro dall'altra parte. Ovviamente non si arrende: me lo ritrovo che mi gira attorno alla testa, soffocandomi con tutto quel pelo e quella ciccia.

Ma porc...! –

Un rumore dal soggiorno ci fa immobilizzare entrambi. Coso schizza in un angolo della stanza, le orecchie basse e il pelo ritto, soffiando come un matto. Non l'ho mai visto così.

Deglutisco a vuoto. Estraggo da sotto il cuscino la Magnum 38 di papà, caricata con i cari, vecchi proiettili di argento puro, e mi alzo cauta. Avanzo nel buio della stanza, l'arma impugnata nelle mani tremanti e il cuore che inizia a pompare furioso. Probabilmente è solo un ratto nelle tubature – ce ne sono un sacco in questo palazzo decrepito – ma i discorsi di Walt mi ronzano ancora in testa.

Il soggiorno è vuoto e silenzioso come l'ho lasciato. Si sente solo il mio respiro veloce nel buio. E poi eccola, la sento: quella scarica. Mi succede sempre quando nei pressi c'è uno di loro.

La presa sulla pistola si fa improvvisamente sicura, il cuore riprende un ritmo regolare. Quello che mi agita è l'ignoto, ma quel nemico io lo conosco, so come affrontarlo.

La finestra è socchiusa. Ed è lì che mi aspetta, sul cornicione. Deve essere sulla sinistra: è il punto più favorevole, meglio protetto e meno illuminato, adatto alla fuga.

Veloce e decisa, Teresa. Nessuna esitazione, dai. Adesso spalanchi la finestra, punti a sinistra e fai fuoco. La Highotwer mi rimprovera sempre che prima di premere il grilletto dovrei controllare se c'è qualcuno da colpire, che sennò spreco proiettili. Ma papà mi ha insegnato così e questo mi ha salvato il culo un sacco di volte. Papà 1 – Hightower 0.

Ok, come non detto. Hanno appena pareggiato.

Per la seconda volta in ventiquattr'ore, è al vuoto che sparo. Ritiro la pistola, confusa. Ed è lì che commetto l'errore più stupido: non controllo a destra.

Quando noto il movimento è troppo tardi. Una mano grande e forte ha già afferrato il mio polso. Mi torce così violentemente il braccio dietro la schiena, che con un rantolo di dolore devo mollare la pistola. La guardo cadere giù agghiacciata: assieme a lei se ne va via l'unica possibilità di cavarmela.

È finita. Mi viene da gridare ma non posso: verrebbero coinvolti dei civili. Mi mordo il labbro, ingoiando il terrore, e attendo.

Non sono abbastanza lucida da notare l'ovvio: chiunque mi stia attaccando non è trasformato. Me ne rendo conto solo quando mi preme un braccio sulle spalle per sbattermi contro il muro. Soffio tra i denti: nel movimento brusco mi si sono riaperti i punti sulla schiena, giusto per gradire.

È forte, così forte che anche se ci provo mi è praticamente impossibile liberarmi. Non è licantropo, non è umano, non è vampiro – mi avrebbe già morsa e non sarebbe così caldo. E allora cosa diavolo è?!

Cosa sei? –

La voce mi esce strozzata per il fiato corto e il dolore. Mi sento afferrare per i capelli e tirare la testa indietro: non vedo il suo volto, sento solo il suo respiro sulla spalla e sul collo. Mi sta annusando? Mi viene la pelle d'oca.

Tu cosa sei? – ringhia.

Non posso muovermi, non ho idea di cosa mi stia attaccando e sono sospesa su un cornicione a venticinque metri d'altezza. Oh, e oltretutto piove. Mi sa che Grace avrà molto da ridire.

Teresa Lisbon, agente speciale dell'Anti-licantropi. – ribatto a denti stretti – Con chi ho il piacere di parlare? –

Loro mi chiamano Alfa-7. –

Loro chi? – riesco a chiedergli col fiato rotto.

Ci metto un po' a rendermi conto che ha smesso di stringere come prima. Faccio per voltarmi, quando è lui stesso a prendermi e girarmi.

Peggio di prima: sono schiacciata tra il muro e il suo corpo, con un braccio largo quanto il mio torace che mi tiene bloccate le spalle, e le mani immobilizzate in una morsa d'acciaio. Con questo buio e l'acqua che ci scroscia attorno non vedo un cavolo, sento solo un guizzare di muscoli tesi e respiri forzati sotto i vestiti bagnati.

Quelli che mi hanno fatto questo. –

Alza un braccio e lo rivolge alla debole luce del lampione, come a mostrarmelo. Sulla pelle pallida dell'avambraccio è tatuata la sigla che mi ha appena detto. Non ci sto capendo niente.

D'improvviso lo sento irrigidirsi e fiutare l'aria.

Sono qui. –

Mi lascia andare bruscamente e io barcollo, per poco non cado giù. Mi aggrappo allo stipite della finestra e lo vedo balzare al lato opposto. Scruta la strada sotto di noi, appeso al cornicione come un gargouille.

Chi è qui? – gli urlo, tremante di freddo e paura – E cosa diavolo sei tu? –

Lui si volta e mi fissa. E finalmente, illuminato dalle luci della strada, riesco a distinguere i suoi lineamenti. Ho la netta sensazione che non me li toglierò più dalla testa.

Io sono come te. –

Nemmeno faccio in tempo a chiedergli di cosa diavolo sta parlando, che è già saltato giù.

Ehi! – grido esasperata – Ma che cazzo...?! Torna qui! –

E poi mi rendo conto che sto strillando al vuoto, da sola, sul cornicione, in pigiama. Altro? Ah, sì, sta piovendo. Che giornata di merda.

Incespicando riesco a rientrare in casa. Tutte a me, cazzo. Tutte. A. Me.

Mentre mi asciugo davanti al termosifone, avvolta nell'accappatoio, con Coso che mi ronfa sulle ginocchia, mi chiedo cosa mai dovrei fare adesso. Be', in questi casi s'è solo una persona a cui rivolgersi.

~~~

È così che spendi i soldi dei contribuenti? –

Patrick e il suo adorabile moralismo. Queste Blahnik tacco 12 me le sono meritate tutte. Sfodero il mio sorriso migliore e sfarfallo le ciglia.

Ho avuto un lunedì di merda. – faccio in tono zuccheroso – Quindi fanculo. –

Mi volevi vedere per le scarpe? – ribatte lanciando un'occhiata alla busta – Sono un prete, non il tuo amico gay. –

Schiocco le labbra: – Be', non è che ci sia tutta questa differenza. –

Disse la zitella inacidita che se la faceva con un pipistrello deviato. –

Ti ho già mandato a fanculo? –

Altrettanto, cara. –

Lo dice con la stessa voce che usa per le benedizioni e questo mi fa ridere ogni volta.

A proposito di Walt... – inizio prendendolo sottobraccio.

Cos'è successo? – sospira lui.

Sediamoci. – faccio indicando un locale lì vicino – Ho bisogno di un caffè. –

Tu bevi troppo caffè. – eccolo che comincia, come sempre – Il the è molto più sano. O anche le tisane. The verde e ginseng, direi... sì, sarebbero ideali nelle tue condizioni, perché hai bisogno di riequilibrare... –

Patrick? –

Sì? – s'interrompe – Ti sto riequilibrando i coglioni? –

Vedo che ci capiamo. –

Dieci minuti dopo, gli sto finendo di raccontare dello strano dialogo con Walt e del mio incontro notturno.

Fammi capire. – fa lui perplesso, intrecciando le mani sul tavolino – Walt ti mette in guardia e guardacaso la notte stessa fai la conoscenza di questo... questo... –

Questo. –

Sì, bene. – si schiarisce la voce e mi guarda di sfuggita – Non è una bizzarra coincidenza? –

Non crederai che Walt c'entri qualcosa? – salto su – Perché è uno stronzo, va bene... anzi, un grandissimo stronzo, ma... –

Concordo. Sullo stronzo, dico. – mi fa roteando la tazza di the per dare enfasi alla frase – E anche sul grandissimo. È davvero... –

Sì, ok, abbiamo stabilito che è... –

Annuisce convinto.

Un grandissimo stronzo. – declamiamo in coro.

Già, ma non mi metterebbe mai in pericolo. – aggiungo seria.

Ci guardiamo e Patrick non trova niente da ridire. E vorrei ben vedere. Sappiamo bene quello che Walt ha fatto per me, come si è sempre preoccupato che io non venissi disturbata dai suoi “colleghi”. E non è che tutte le sue amichette hanno avuto questo trattamento.

Non ti ha detto tutto. – mi fa Patrick d'un tratto – Sono rassegnato all'idea che di lui ci si possa fidare, ma questo non vuol dire che non sia capace di fare delle cazzate. Fatti dare delle spiegazioni. –

Da Walt? Pff... – lo guardo scettica – Lo sai che è l'individuo più reticente al mondo. –

E tu lo sai che non mi stancherò mai di dirtelo. – sghignazza sommessamente – Te l'avevo detto. –

Dondolo la testa e muovo le labbra sulle sue parole.

Rompipalle. –

Strega. –

Checca. –

Zitella. –

~~~

Al dipartimento non si muove foglia. Fila tutto come al solito e quasi ne sono stupita, ma d'altra parte che cosa mi aspettavo di vedere? Gruppetti di federali che complottano agli angoli lanciando occhiate sospettose qua e là? Ma per favore...

Il problema è che sono giorni piattissimi e questa notte in particolare non passa mai. Ho lucidato la lupara nuova fino a farla brillare. Ho contato sei volte i proiettili. Ho persino riordinato la mia scrivania!

La vita d'ufficio mi sta uccidendo. Vado nel cucinino ad affogare le mie frustrazioni nell'ennesimo caffè della nottata.

Ma si può sapere che ha? –

È Wayne che borbotta. E a giudicare dal profumo che sento, sta parlando con Grace.

E infatti eccola sussurrare: – Sono tre notti che non riceviamo nemmeno una chiamata... e, be', lo sai com'è, no? A stare ferma s'innervosisce, lei. –

Ma è strana, cioè... nel senso... –

Più strana del solito? –

Già. Ha fatto anche a te domande senza senso? –

Sì. Pensi che...? –

Guardate che vi sento. – sibilo tra i denti.

I due si dileguano in fretta. Scuoto la testa e sorseggio il mio caffè.

Lisbon. –

Ingoio in fretta bruciandomi il palato e salto su.

Signora? –

La Hightower mi scruta attenta: – Venga con me. –

Mi sgonfio: e io che speravo in una chiamata. Oltretutto non mi piace nemmeno un po' quel suo cipiglio. Non che lei normalmente sia giuliva come una suora in gita al Vaticano, ma in questo momento sembra una tigre in sindrome premestruale.

Quando mi guida verso la sala riunioni e dentro ci trovo uno spiegamento di colletti bianchi, capisco come mai ha quell'aria.

Un tizio coi capelli grigi si alza salutandoci con un grave “Signore”. Mi siedo nell'unica sedia libera, tra lui e la Hightower, e guardo curiosa tutti quei federali inamidati. Sembrano tanti manichini da crash test – per lo meno, l'espressione denota la stessa intelligenza.

Il tizio si schiarisce la voce e inizia a parlare: – Negli ultimi tre giorni si è verificato un repentino quanto inspiegabile calo delle aggressioni da parte dei licantropi. –

Ah, l'avete notato anche voi. – faccio, ignorando lo sguardo allarmato che mi lancia la Hightower – Perché ci stavo proprio pensando e... –

Agente, il suo lavoro non è pensare. – mi tronca lui.

Davvero? In effetti in questo momento non avrei bisogno di pensare per estrarre la Desert Eagle dalla cintura e farti saltare il cervello.

Abbiamo ragione di credere che la causa di questa apparente calma sia l'arrivo in città di un maschio alfa che ha sconvolto gli equilibri interni. – continua il coglione – Luci. –

La sala si fa scura e il proiettore si accende contro la parete bianca davanti a noi. Per poco non mi strozzo con la mia stessa saliva, perché il tizio ritratto in quella foto è esattamente quello con cui mi sono scontrata un paio di notti fa.

Ma ho la sensazione che non sia il caso di farlo sapere a loro. Sangue freddo, Teresa. Adesso ti daranno due o tre informazioni – probabilmente false – e poi ti sbatteranno fuori dicendoti di riportargli la sua pelle.

Kimball Cho, trentasei anni, origini coreane, nato e cresciuto a Reno. –

Ed ecco la balla numero uno: quel tizio aveva un accento assolutamente californiano.

I colleghi del Nevada ci hanno informati che era in custodia presso di loro prima che riuscisse a scappare. –

Mi mordo la lingua: adesso che fanno, mi tirano scema? Da quando in qua i licantropi “si prendono in custodia”?

Pare che il soggetto avesse delle informazioni su una nuova nidiata fuori degli accordi governativi. –

Seconda balla: nessun licantropo, per quanto torturato o allettato da ricompense, tradirebbe mai i suoi fratelli di branco.

Sappiamo che è in zona e ci è stato chiesto di catturarlo vivo. Gli è stato impiantato un chip di localizzazione, ma è riuscito a rimuoverlo. L'unico segno particolare risulta essere il tatuaggio di identificazione che gli è stato assegnato dodici anni fa, come a tutti i maschi alfa dei branchi. –

Ora il proiettore mostra un ingrandimento dello stesso tatuaggio che ho visto sul braccio del tizio.

Terza e quarta balla, una dietro l'altra. Prima di tutto i licantropi – tutti, nessuno escluso – hanno un segno particolare che li accomuna: la cicatrice del morso, che nel caso degli alfa di solito sta sulla spalla. E poi il tatuaggio: quello che ho visto quella sera era chiaramente leggibile nonostante la pioggia e la luce scarsa, quindi doveva essere stato fatto da poco, forse nemmeno un mese. Ma facciamo finta di niente, che è meglio.

Se è un alfa ci saranno presto lotte di territorio fra branchi. – intervengo, ostentando tranquillità – Ha già trovato un beta? –

Le luci si riaccendono e scopro che i federali mi stanno tutti guardando. Li odio quando fanno così: sembrano dei piccioni in attesa che ti giri per poterti cagare in testa.

Non siamo in possesso di queste informazioni. – dice il tipo coi capelli grigi, con l'aria di chi invece avrebbe un sacco di informazioni – È per questo motivo che lei andrà in avanscoperta e lo stanerà. –

Mi acciglio: – Stanarlo? Io li uccido quelli come lui. –

Forse non ha capito: ci serve vivo. – ribadisce – Quando l'avrà trovato ci penseremo noi. –

Alzo le mani: – Qui comandate voi. Posso andare? –

Quello lì si alza e gli altri lo imitano. Tutti insieme, come tanti robot. La Hightower mi fa strada fuori della sala riunioni, fino al suo ufficio. È silenziosa e potrei giurare di vedere sulla sua testa una nuvoletta scura che manda fulmini.

Passando davanti al bullpen vedo Grace e Wayne che chiacchierano: mi guardano interrogativi e io mimo “aiuto” con espressione disperata.

Il mio capo chiude la porta e si siede alla scrivania sospirando come un mantice. Mi ficco le mani in tasca, tutta nervosa.

Avevo una gran voglia di vedere se i proiettili d'argento funzionano anche sulle teste di cazzo! – sbotto d'un tratto.

La Hightower mi fulmina con lo sguardo. Evviva la solidarietà!

Basta così. Non intendo tollerare oltre il suo comportamento. – dice in tono duro – È seccante doverglielo ripetere, ma lei ha creato parecchi problemi alla sezione e questo è un caso che non ammette errori. –

Sì, signora. –

Prende carta e penna, e si mette a scrivere. Com'è che improvvisamente mi sembra di essere tornata al liceo?

Il dossier completo del soggetto. – spiega infilando il foglio in una cartella – Al lavoro. –

Me la porge fissandomi con sguardo penetrante. Borbotto un altro “sì, signora” e sgattaiolo via.

Banana Yoshimoto

Plafoniera

Notte stellata

Leggo e rileggo quelle parole, dondolandomi sulla sedia alla mia scrivania. Alla fine decido che non posso starmene tutta la notte a rimuginare sui messaggi criptici del mio capo. Piego il foglietto e lo nascondo in una tasca dei jeans, ripongo il dossier nel cassetto e afferro il cappotto.

Una chiamata? – mi fa Grace.

Scuoto la testa: – Vado a pattugliare un po'. Se succede qualcosa il numero ce l'avete. –

Indosso l'imbragatura e tiro le cinghie, assicurandomi la lupara.

E mentre aspetto l'ascensore, mi trovo a pensare che se la Hightower voleva comunicarmi qualcosa – magari importante pure – non poteva trovare elemento peggiore di Banana Yoshimoto: quel poco che ho letto di lei non mi è piaciuto. Tempo fa mi è stato regalato un suo libro e non ricordo nemmeno la trama, ho finito di leggerlo per una questione di principio e da allora l'ho lasciato lì, su una mensola della libreria, a prendere polvere... non lo tocco da almeno...

Cazzo!

Le porte dell'ascensore di aprono, ma io non ci faccio caso, imbambolata come sono. Devo fare un salto a casa – subito. O forse no? Mi guardo attorno con una punta di apprensione. Adesso sono tutti convinti che passerò il resto della nottata fuori.

Mi sporgo verso una finestra: non piove più.

Wayne, secondo te pioverà ancora? – gli chiedo speranzosa.

Lui guarda fuori con aria critica e poi scuote la testa: – Non credo, perché? –

Ouf! – sbuffo indicando gli stivali – Passo da casa e mi libero di questi! –

Lui scrolla le spalle. Io sogghigno tra me: sono un genio del male.

   
 
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