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Autore: FLPP    01/12/2010    0 recensioni
Fino a poco fa, erano capitoli di un'altra raccolta... adesso, diventano una raccolta a sé perché non mi piacciono nell'insieme di quella storia precisa, così penso sia meglio farne una a sé... buona lettura
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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5 aprile 1992

 

Persino all’interno del carcere militare, fu impossibile non rendersi conto di quello che stava succedendo nelle vicinanze della città. Le detonazioni in lontananza, il rumore continuo dei colpi di mortai, le esplosioni che dilaniavano le case ed il suono incessante delle sirene dei mezzi di soccorso che laceravano l’aria nei brevi attimi in le armi da guerra tacevano.

 

Possibile che soldati che fino a pochi giorni prima erano nelle stesse caserme ed erano alleati, adesso si sparassero contro in una guerra tra fratelli difficile da capire? Eppure, per la prima volta tutti gli slavi si scontravano in una città da tutti vista da sempre come il campione dell’integrazione culturale tra religioni e popoli diversi.

 

Jovan Divjack cercò di osservare per alcuni istanti dalla finestra della sua cella quel poco che da dietro le sbarre era visibile, prima di desistere e dirigersi alla porta per attendere il passaggio del soldato di guardia e chiedere chiarimenti su quello che stava succedendo. Ma non fece nemmeno in tempo a chiedere, perché uno dei suoi carcerieri passò quasi subito davanti alla cella per informarlo di quello che stava succedendo nel centro della città.

 

“I bosniaci hanno iniziato una marcia verso la sede dei nazionalisti serbi, per tutta risposta le truppe serbe hanno mitragliato la folla uccidendo sul ponte alcuni manifestanti… è iniziata la guerra signore, ho l’incarico di liberarla e condurla al quartier generale Jugoslavo”.

 

Queste parole ebbero l’effetto di una doccia fredda, lasciandolo a bocca aperta mentre osservava brevemente il mondo che si apriva davanti a lui, soppiantando del tutto quello che fino allora aveva conosciuto e servito. Eppure, non si mosse nemmeno quando gli fu rinnovato l’invito, ma preferì rimanere immobile alcuni istanti, prima di sedersi improvvisamente su di una sedia nei pressi della porta stessa.

 

“Soldato, lasciami qualche istante per pensare - disse semplicemente, prima di continuare improvvisamente con una domanda inaspettata - dimmi, tu sei serbo, bosniaco o croato?”

 

“Signore, ma io ho l’ordine di… cosa? Ah… beh, sono bosniaco signore, ma al momento devo ubbidire agli ordini per non rischiare più di quanto lei immagini…”.

 

E seguì il silenzio, che fece sentire ulteriormente la ripresa di quella guerra. Giunsero persino dei colpi di mitra adesso, sparati non molto lontano, insieme al rumore di aerei che sorvolavano la città.

 

“Soldato, io sono serbo sai? Sono nato a Belgrado, ho studiato nelle scuole di Belgrado e ho prestato giuramento a Belgrado, per difendere però questa nazione contro tutti i nemici, esterni o… interni… e a quel che so, la costituzione prevede che ogni repubblica possa uscire dalla federazione, quindi mi spiace per i tuoi ordini, ma adesso andrò al quartier generale bosniaco e che ti piaccia o no, sia io sia te lotteremo per difendere questa città durante l’assedio, chiaro? E sappi, che essendo io un generale, anche se agli arresti, il mio ordine vale più di tutti quelli che hai ricevuto, quindi muoviti!” E senza nemmeno attendere per controllare che fosse seguito, Jovan si diresse senza pensarci due volte verso il municipio di Sarajevo.

 

8 aprile 1992

 

“Generale Divjak, perché lei ha deciso di schierarsi con noi? Insomma, lei è serbo… il suo governo non è questo…”.

 

Il sindaco di Sarajevo non era ancora così convinto sulla buonafede del neo-nominato.

Vice Comandante della Difesa Territoriale della Bosnia-Erzegovina e non lo nascondeva certamente.

 

“Signor sindaco, dobbiamo pensare all’alimentazione dei bambini della città, di qualunque etnia siano… e dobbiamo anche provvedere ai doni per le festività che comunque incontreremo, indipendentemente dalla religione praticata. Inoltre, ho scoperto che in alcuni quartieri della città, non si vendono alimenti ai serbi e viceversa. Dobbiamo porvi rimedio, non credete? Anche perché, non possiamo continuare a mantenere aperti i mercati cittadini, sono a rischio bombardamento. Le consiglierei, inoltre, di disdire le partite di calcio non crede? Lo stadio è in una zona facilmente raggiungibile da parte delle truppe che ci circondano…”.

 

Tutti suggerimenti validi, eppure l’interlocutore del generale non parve prenderli eccessivamente sul serio perché scosse la testa e se ne uscì dalla stanza rispondendo solo sulla soglia della porta con una frase purtroppo tipica nei confronti del militare che trasmetteva tutto il suo odio etnico… “Quando vorrò ascoltare dei consigli di un serbo, lo chiederò, non creda!”

 

2 maggio 1992

 

Il telefono quella mattina stranamente non sonò, così come la luce non si accese e l’acqua non entrò in circolo quando aprì il lavandino. L’assedio raggiunse purtroppo la fase peggiore, eppure non era ancora arrivato il peggio. Alla riunione dello stato maggiore di quel mattino, Jovan si presentò come tutti gli altri senza essersi potuto rasare correttamente. Eppure, tutti loro erano al proprio posto.

 

“Generale, si alzi in piedi – esordì il primo ministro bosniaco – data la capacità dimostrata a tutt’oggi di respingere gli attacchi nel resto del territorio nazionale, le affidiamo l’incarico di supervisore della difesa per la città di Sarajevo, poiché ormai è chiaro che è solo questione di tempo e noi saremo attaccati pesantemente dall’armata popolare jugoslava”.

 

“Grazie signor primo ministro… vi suggerisco allora, come ho già detto al sindaco il mese scorso di modificare la normativa sui mercati all’aperto e sulle attività sportive, poiché una città sotto assedio e sotto bombardamento come la nostra, non può permettersi il lusso di mantenere queste attività pubbliche continue… inoltre, dovremo trovare una soluzione all’assenza di acqua, luce e gas… il caldo sta per arrivare e potrebbe aumentare i problemi che abbiamo. E mi creda, ne abbiamo già troppi per non desiderarne altri ancora”

 

Dette queste poche parole, se ne uscì dalla stanza e si diresse presso le batterie installate per rispondere agli attacchi controllando la disposizione delle truppe. Solo al termine dei controlli, si ritirò nel proprio ufficio per redigere un verbale diretto al governo ed al sindaco. Una delle sole buone notizie della giornata, fu la decisione dell’ONU di riaprire un aeroporto militare in disuso per rifornire di alimenti e di acqua imbottigliata la città.

 

1992/1993

 

La difesa sotto la guida del generale divenne più efficace, grazie anche alla collaborazione preziosa di volontari bosniaci che si arruolarono nell’esercito serbo, trafugando di notte granate anti carro e missili anti aereo e portandoli poi a rischio della propria vita nella città, incrementando l’armamentario difensivo così da poter contrastare maggiormente le azioni serbe.

 

“Generale… i serbi hanno conquistato un quartiere cittadino e… bombardato il palazzo del parlamento…”.

 

“Che quartiere hanno conquistato?”

 

“Novo Sarajevo… e sono riusciti a piazzare alcuni cecchini sui palazzi di quel quartiere, colpendo così le strade principali…”.

 

1 giugno 1993

 

“Una partita di calcio non dovrebbe essere ricordata per i suoi morti… dovrebbe essere ricordata per lo sport che si vede… quanti morti vi sono stati?”

 

“15 morti e ottanta feriti…”

 

Il generale rimase alcuni istanti immobile ad osservare la mappa che aveva davanti a sé, prima di dirigersi verso l’ufficio del sindaco con passo marziale e tutt’altro che sereno. Bussò educatamente alla porta, ma quando si sentì rispondere che là dentro non avrebbero voluto ricevere nessuno, sfondò la porta con alcuni colpi ben assestati sulla porta.

 

“Generale, è impazzito? Come si permette di agire così? Esigo che se ne vada subito dal mio ufficio!”.

 

“Mio caro sindaco, le ho consigliato oltre un altro fa di impedire eventi sportivi e mercati all’aperto, lei non ha fatto né l’una né l’altra… le ho consigliato di aiutare i bambini di entrambe le etnie, ma ho scoperto che i bambini serbi non ricevono gli aiuti ONU… le ho consigliato di non discriminare i serbi, eppure ho appena scoperto che in questi giorni persino i miei connazionali che hanno deciso di collaborare con il nostro governo, sono stati abbandonati nei quartieri conquistati dove sono stati massacrati… intende continuare ancora a lungo a combattere le mie decisioni?”

 

E qualcosa nel tono e nelle parole del militare erano così potenti, da impedire primo cittadino di replicare, ma solo di pronunciare alcune parole purtroppo innegabili.

 

“Con tutti i negozi chiusi, non posso impedire i mercati all’aperto purtroppo… le famiglie devono rifornirsi in qualche modo e nessuno può sostituirsi a questi istituzioni…”.

 

E quelle, furono le prime parole alle quali il generale non fu in grado di rispondere né di obiettare in qualunque modo. Erano, purtroppo le parole della realtà che non poteva essere negata.

 

5 febbraio 1994

 

L’esplosione in quell’occasione fu più vicina del solito. I rumori furono impressionanti, mentre si avvicinavano rapidamente a quella zona della città. Quando i boati passarono sopra al bunker in cui era riunito lo stato maggiore, la polvere iniziò a cadere copiosamente dal soffitto, mentre le luci oscillavano ampiamente sul soffitto mostrando così tutti i volti terrorizzati. Maggiore era la vicinanza all’ingresso, maggiormente le detonazioni erano potenti. Jovan si diresse in quella direzione correndo, noncurante di quello che stava accadendo là fuori e di quello che gli era strillato dalle persone che lo circondavano. Voleva vedere di persona quello che era successo.

 

Arrivato alle scale, iniziò a salirle notando subito che le luci erano saltate e che ai soldati di guardia erano esplosi i timpani per il rumore. Uno di loro era chinato su se stesso piangendo per il dolore, eppure alzò ugualmente il volto quando vide dall’ombra che una persona si era fermata davanti a lui e cercò disperatamente di salutare il generale, in segno di rispetto. La sola cosa che il militare notò, fu l’età giovanissima di quel ragazzo, intorno ai diciotto anni massimo. Un volto giovane, incorniciato da sangue e polvere, che difficilmente avrebbe dimenticato.

 

Lo riportò alla realtà, il rumore improvviso delle ambulanze che accorrevano e dei camion dei vigili del fuoco che si dirigevano rapidamente verso una zona purtroppo affollata… Markale, dove si teneva il mercato quotidiano di frutta e verdura.

 

Non era la prima volta che durante l’assedio erano colpiti posti particolarmente affollati, pochi mesi prima era stato colpito durante un bombardamento un centro di distribuzione dell’acqua dove erano in fila soprattutto giovani madri con figli piccoli. Tuttavia, quella fu forse la peggiore di tutte poiché in quei giorni, presso alcune bancarelle si vendevano anche costumi per il carnevale e così le vittime erano molte di più e proprio di quella categoria che il generale avrebbe voluto tutelare di più.

 

Come vi arrivò, vide su un lettino di ambulanza un corpicino inerme che tentavano disperatamente di rianimare. Aveva ancora addosso un costume da uomo ragno, macchiato però di sangue. Subito l’odore di morte e petrolio lo prese allo stomaco, costringendolo ad arrestarsi immediatamente all’ingresso del mercato stesso, osservando con occhi assenti tutto quello che lo circondava. Il lavoro disperato dei soccorritori, il lavoro disperato dei soldati e dei poliziotti che dovevano allontanare un numero considerevole di persone dal mercato. Eppure, un’altra volta furono alcune persone a colpirlo maggiormente ed a lasciargli un senso di impotenza superiore. Erano soprattutto madri, quelle che dovevano allontanare.

 

Per tutto il giorno, Jovan non riuscì a parlare. Improvvisamente apparve a tutti più anziano di quanto fosse appena poche ore prima, nessuno riuscì a togliersi di dosso l’immagine data dal generale mentre tornava in caserma ed andava a controllare la lista dei caduti. Ne, fu possibile scuoterlo facendogli leggere la circolare ONU nella quale si imponeva all’esercito serbo di interrompere le azioni di bombardamento sulla città.

 

Eppure, il giorno dopo lo sguardo tornò determinato, mentre decideva di accogliere tutti gli orfani della guerra in una struttura da lui scelta dove fondò l’associazione per favorire l’istruzione per tutti. Decideva così agire noncurante delle reticenti risposte che gli erano giunte fin’ora da parte di tutti coloro che lo circondavano, aiutando per quanto possibile in qualche modo proprio la popolazione non considerata né tutelata fino ad allora, nonostante le sue richieste continue e pressanti da quando aveva ricevuto gli incarichi per la difesa della città.

“L’istruzione costruisce la Bosnia” fu la sola frase che comunicò a chiunque gli avesse chiesto informazioni sul suo obiettivo, senza nemmeno alzare gli occhi dai fogli che aveva davanti.


Farò premessa ampia poiché la storia che avete appena letto è diversa dal normale. La figura è vera, i fatti storici narrati sono veri ma romanzati, poiché le riunioni dove lo hanno attaccato, non sono storicamente avvenute, il bambino che sicuramente avrete notato non so se ci sia stato oppure no. Vorrei che fosse ben chiaro che non voglio attaccare nessuno, ma solo parlarvi di un uomo (vi invito a cercarlo su wikipedia per maggiori informazioni) che nonostante fosse di un popolo diverso, volle lottare per quello in cui credeva e contro criminali che si sono marchiati di massacri ed uccisioni dettate dall'odio razziale e basta.

  
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