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Autore: FreienFall    02/12/2010    1 recensioni
Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi pur mi restava, e nell'incerto raggio del sol vederla io mi credeva ancora.
(Il Sogno, Giacomo Leopardi)
Così, per la tua immagine o per il mio amore,
anche se lontano sei sempre in me presente;
perchè non puoi andare oltre i miei pensieri
e secmpre io son con loro ed essi son con te;
o se essi dormono, in me la tua visione
desta il cuore mio a delizia sua e degli occhi".
(Sonetto 47, William Shakespeare)
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Di lì in poi fu il caos totale, gestivamo gli impegni in base alle visite ginecologiche, alla consultazione di vari medici e psicologi. Io passavo più tempo possibile tra le sue braccia, spaurita, persa, solo lui aveva il potere di tranquillizzarmi. Cercava di non lasciarmi mai sola, sapeva che senza di lui non sarei stata capace di affrontare tutto quello che stava accadendo. Avevo solo diciassette anni cavolo! Non ero pronta per avere un bambino, non ci avevo neanche mai pensato! Sapevo bene che neanche lui era tranquillo ma non mi mostrava mai se fosse ansioso, preoccupato o impaurito, rimaneva sempre accanto a me e si preoccupava solo per me. Mi sentivo tremendamente in colpa. Non sapevo cosa potessi fare per lui, per farlo sentire meglio, proprio perché io stessa non ero grado di mantenermi calma. Mi sentivo intrappolata, non c’era nessuna via d’uscita, ne ero consapevole, io non volevo abortire, volevo solo che nulla di tutto quello fosse davvero successo, era il senso di impotenza che mi distruggeva di più. Come ce l’avremmo fatta? Come saremmo riusciti a mandare avanti la carriera di Tom ora e dopo la nascita di nostro figlio? Come avremmo fatto a tenere nascosto tutto? Non lo sapevo. Iniziai a vivere come in una bolla, di lacrime non ne avevo più, per ridere era ancora presto, di quello che succedeva e che mi veniva detto sentivo solo il rimbombo. Solo Tom riusciva a far dissolvere quella bolla come fosse di sapone riportandomi per un po’ alla realtà, ma ancora non ero abbastanza lucida da guardare, capire e accettare la realtà. Lui era la mia salvezza. Acquistai una maggiore lucidezza solo quando vidi la pancia cominciare a crescere. Diventai isterica, sempre di più, non sopportavo quello che mi stava succedendo, io non volevo! La debolezza fisica e il malessere mi facevano incazzare! Non volevo diamine, non volevo! Non avevo chiesto tutto quello, era ingiusto quello che stava capitando, volevo solo che sparisse tutto come un brutto sogno.

Ricordo che un giorno sentii bussare alla porta dell’hotel dove alloggiavo. –Chi è?- urlai acida, non rispose nessuno , -Si può sapere chi cazzo è che mi rompe i coglioni?- Ah sei tu-. Tom chiuse delicatamente la porta e si diresse verso il divano in soggiorno. Mi fece cenno di sedermi. –Chiara?- mi girai a guardarlo dopo aver fissato fino a quel momento il televisore davanti a noi. Incontrai i suoi occhi e mi sentii nuda, inerme, aveva capito tutto. –Qual è il problema?- fece finta di niente, voleva farmi sfogare. Non volevo! Non potevo essere di nuovo debole davanti a lui, essere di nuovo un peso, come se non lo fossi già abbastanza. –Niente Tom, assolutamente niente, è solo la gravidanza, mi fa quest’effetto-, respirò pesantemente –Che fai, mi prendi ancora per il culo?- manteneva una calma esemplare, cosa che evidenziava ancor di più il mio essere sul punto di scoppiare. –Tom, niente, ti ho detto che non ho niente! Devi per forza creare problemi che non ci sono? Va tutto bene, fammi il piacere evita di starmi addosso, non ho bisogno di niente, tantomeno di qualcuno, torna al tuo lavoro!- gli urlai contro alzandomi. Feci per andarmene, Tom si alzò di colpo e mi prese per un braccio girandomi verso di lui. –Credi che non me ne sia accorto?- adesso urlava anche lui, -smettila di dire stronzate, sono qui perché del lavoro non me ne frega un cazzo, se tu stai male, sono qui perché tu hai bisogno di me e ti sto addosso quanto cazzo mi pare, hai capito?-
 
-Lasciami, ti dico che non ho bisogno di niente e nemmeno di te!-. –E invece ti dico che tu stai a pezzi e io non esco di qui finché non mi dici cosa diavolo è che ti fa essere sempre così arrabbiata con tutto quello che hai intorno!- . Scoppiai a piangere. –Cos’è Tom?- cadde silenziosa ogni mia difesa - È il bambino, quello che sta qui dentro e che fra pochi mesi nascerà. È che io non voglio essere madre! Sono troppo giovane!- caddi a terra, lo guardai ancora negli occhi -Tu non lo capisci? Ti sto rovinando la vita! Non è giusto! Io non voglio tutto questo! Tu non te lo meriti!- i singhiozzi interruppero quel ciclo sconnesso di pensieri che feci uscire dalla mia bocca. Tom si mise in ginocchio davanti a me –Cosa stai dicendo? Tu hai dato un senso alla mia vita, l’hai resa degna di essere chiamata vita, l’hai riempita di amore e di emozioni delle quali io non sapevo nemmeno l’esistenza. Quello che tu sei in grado di farmi provare è qualcosa di talmente inspiegabile e vitale che io non potrei mai farne a meno. Tu sei per me quello che non è mai stato nessun altro e quello che nessun altro mai sarà! Il bambino che porti in grembo è un altro dei regali che mi hai fatto e che continui a farmi ogni giorno, il più bel regalo che avessi mai sognato. Lo capisci? Questo bambino siamo io e te, insieme! È il nostro futuro, insieme!- lo guardavo con gli occhi gonfi di lacrime, non avevo più forza. Mi strinse al suo petto e io continuai a piangere come una bambina. Mi prese in braccio cingendomi con un braccio le spalle e con l’altro le gambe. Io mi rifugiai dentro al suo maglione mentre mi portava in camera da letto. Si levò le scarpe senza mettermi a terra, la stanza era semi buia, le tapparelle lasciavano traspirare solo piccoli fasci di luce che mi accecarono. Si sedette sul letto e mi posò sulle sue gambe tenendomi sempre stretta al suo petto. Piansi, ancora e ancora, non sapevo da dove uscissero tutte quelle lacrime, ero sicura di non averne più. Tom mi stringeva, mi accarezzava dolcemente la schiena, mi baciava sulla fronte e mi sussurrava parole dolci per tranquillizzarmi. Quando le lacrime finirono cercai il suo sguardo che si perdeva verso un punto della parete arancio opposta al letto. –Ho paura Tom-. Volse il suo sguardo su di me –Non avere paura, ricordati che non sei da sola, ci sono io-.  Continuò a coccolarmi e a tenermi fra le sue braccia. Mi addormentai rannicchiata su di lui.

Dopo quel momento di panico, le cose andarono meglio, la paura c’era sempre,- D'altronde affrontare una gravidanza a quest’età è difficile e molto rischioso per la salute del bambino e della madre, spero tu ne sia consapevole-, queste parole mi disse la ginecologa e così anche lo psicologo e tutti i medici che incontrai, ostetriche, infermieri e altre persone di cui non sapevo quale fosse il ruolo. Mi consigliarono tutti di abortire, ritenevano troppo pericolosi per la mia salute quella gravidanza e il futuro parto e mi misero davanti all’eventualità che il bambino nascesse malato o addirittura morto. Avevo paura. Io non volevo abortire per nessun motivo al mondo, ero contro l’aborto, come si potrebbe mai uccidere una creatura che è dentro di te, che fa parte di te, che ha il tuo stesso DNA, che è sangue del tuo sangue. E come si potrebbe mai uccidere qualcuno che non ha diritto di parola, qualcuno che non può dire “voglio vivere”, qualcuno che dipende solo dalla tua volontà! No, non avrei mai abortito per nessun motivo al mondo. Però bisognava anche ammettere che i rischi erano alti. Non volevo che mio figlio nascesse malato nonostante fossi certa che lo avrei amato lo stesso, non volevo che nascesse morto, perché sebbene questo bambino mi avesse sconvolto la vita era sempre mio figlio e non volevo morire neanche’io, non proprio ora che avevo trovato lui, non proprio nel momento in cui nasceva mio figlio; anche se sarei morta volentieri per salvare mio figlio. Si, probabilmente stavo diventando matta, oltre che madre, ero una contraddizione continua! Se cinque minuti prima volevo fare il parto naturale, cinque minuti dopo volevo il parto cesareo e avanti così per settimane! Stavo seriamente impazzendo e i miei istinti materni, crescendo a dismisura, non facevano che peggiorare la mia pazzia.

Ricordo che inizialmente non volli sapere se mio figlio fosse un maschietto o una femminuccia, non era una volontà particolarmente motivata, probabilmente volevo che fosse semplicemente una sorpresa. Tom invece voleva saperlo e ogni tanto mentre parlava con il nostro bambino, posando una mano sulla pancia gli domandava quale fosse il suo sesso. Le immagini di lui che parlava con la pancia mi rimarranno per sempre impresse nella mente. Ricordo quando gli parlava di me, con quel sorriso grande che tanto amavo, con quel sorriso da bambino. Mi rimarrà per sempre quando gli parlò di quando ci siamo incontrati per la prima volta, delle prime parole che mi rivolse, della prima volta che disse di amarmi. Sono ricordi che riempiono e svuotano al tempo stesso il mio cuore. Spesso gli faceva sentire la musica, quella che aveva composto con i Tokio Hotel e gli Aerosmith che a Tom piacevano moltissimo. E suonava la chitarra classica solo per lui, improvvisava e componeva nuove melodie solo per lui.
Io lo sentivo, mio figlio, sentivo che lui ascoltava quella musica, sentivo che a lui piaceva. Ricordo anche che sentiva il contatto con il padre, quando Tom posava le mani sulla pancia e quando la baciava.

Alla fine cedetti e scoprimmo che in grembo portavo una bambina. Tom era felicissimo; ricordo che disse che avrebbe voluto che fosse tutta sua madre, che avesse i miei occhi, i miei capelli mossi e castani, la mia pelle chiara e le gote rosee, le mie mani piccole, i miei sguardi. E soprattutto che avesse la mia risata, perché, mi disse, il suono del mio riso era la melodia più bella e lo rendeva felice. E ricordo che io la volevo esattamente come lui, con le sue labbra, con le sue orecchie leggermente a punta, con i suoi occhi soprattutto, con il suo sorriso, con il suo carattere e il suo amore per la musica.
-Come la chiamiamo?- mi chiese un giorno –Eh?- risposi, come al solito la mia mente stava viaggiando, esaminando ogni particolare del suo viso. –Dovrà anche avere un nome, che ne pensi?-rise, -Non so, ci ho pensato ma non mi viene in mente niente di giusto per lei- dissi, -Mmm.. non lo so, deve essere qualcosa che rappresenti me e te insieme- tacque pensieroso. Rimasi a guardarlo mentre si perdeva nei suoi pensieri. –Mmm.. una cosa simile a Tochiam, oppure Chiatoma..- trattenne una risata, mentre io scoppiai a ridere –Che nomi sono?!- ridemmo insieme. –No, sul serio Tom, non può non avere un nome!-, dissi cercando di non ridere, -Vediamo- rimanemmo entrambi in silenzio a pensare, -Ho trovato!- gridò in un momento, i suoi occhi erano colmi di felicità –Se la chiamassimo Will?- lo guardai intensamente, con interesse, -Si, Will che sta a simboleggiare il futuro, il nostro futuro, insieme..- tacque imbarazzato.
Sul mio viso si aprì un sorriso, era perfetto! Non avremmo potuto trovare un nome più adatto. Il futuro, sì, il futuro, quello che spaventava, quello che era imprevedibile, con nostra figlia il futuro non avrebbe più fatto paura, non sarebbe più stato imprevedibile, il nostro futuro era Will, il nostro futuro era insieme, tutti e tre e sarebbe stato magnifico, ne ero sicura.

–Allora che ne pensi?- rimasi un attimo in silenzio, -è perfetto Tom, è perfetto- sorrisi ancora e lo baciai.
   
 
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