Una creatura dai tempi antichi
Quando
raccontai a Jerkie l’accaduto, ebbi la sensazione che
improvvisamente fosse diventato davvero reale.
Forse
fu per via del fatto che lui conosceva così bene mio padre
Peter, o semplicemente per quella prima risposta che mi diede
“Ora
capisco”.
Era
vero.
Mio
padre aveva conosciuto Albert quando ancora portava il nome di Julian
Esyscoll, poi si era innamorato di sua moglie Eleonor. Aveva taciuto
quel sentimento con tutti e aveva continuato la sua vita e i suoi
viaggi tra i mondi. Dopo aver incontrato Jerkie, per un certo periodo
e per motivi sconosciuti, aveva ripreso l'avventura con Julian, ormai
diventato Albert, ma aveva cominciato a discutere con lui quando
aveva intuito la sua intenzione di abbandonare Eleonor e i suoi
figli. Poi se n'era andato.
Per
un certo periodo, probabilmente di nascosto da tutti, aveva
continuato a frequentare Eleonor e l'aveva aiutata come poteva,
finché lei non aveva deciso di abbandonarmi e lui non mi aveva
preso con sé, tornandosene definitivamente nel suo mondo.
Questa
fu la ricostruzione che mi propose Jerkie, poi mi fissò e mi
disse
“So
che sei sconvolta da quello che hai scoperto. Ma credimi, per quanto
la realtà possa essere scioccante o terribile, è
comunque preferibile all'ignoranza”.
Così,
improvvisamente, anch'io capii molte cose.
Mi
fu chiaro il motivo per cui avevo rivelato ad Albert la verità,
per esempio. Fino a quel momento avevo creduto di aver sbagliato, di
aver commesso uno sciocco errore dettato dallo sconvolgimento che
avevo provato. Poi Hilbert mi aveva proposto una soluzione
utilitaristica, illustrandomi il vantaggio di averlo messo a parte
dei fatti. Adesso mi rendevo conto che non avrebbe avuto alcun senso
tacergli la verità, poiché la sua reazione, per quanto
assurda, immotivata e illogica, era comunque parte dei fatti, di ciò
che lui era e forse, in parte, persino di ciò che era stato.
Niente avrebbe cambiato la realtà.
“Sai
Isy – aggiunse – forse qualcuno potrebbe dirti che la realtà
è solo quella che noi rendiamo tale, e che dunque se tu non
avessi saputo di Albert, se tutti aveste continuato a ignorare,
avresti potuto vivere come se ciò non fosse vero. Non posso
dire che sia irragionevole. Per quanto mi riguarda, tuttavia, la
realtà esiste a prescindere dalle nostre percezioni e dai
nostri desideri, e io preferisco esserne a conoscenza nella maniera
più obiettiva possibile, perché solo così posso
prendere decisioni veramente coscienti e razionali”.
Sorrisi.
“Non
devi aver timore di ciò che accadrà” disse poi e
tacque un istante.
“Sono
parole assurde, pronunciate dalla bocca di un assassino – proseguì
accarezzandomi il volto – ma io sono accanto a te, per proteggerti,
e lo farò fino alla fine. Fino a quando non ti avrò
riportata a casa, tra le braccia di Peter. Isotta, io ti vedo e mi
sento nascere di nuovo. Rivivo l'incontro con tuo padre e la salvezza
che lui mi ha offerto, capisco, e finalmente depongo l'odio che ho
coltivato dentro per tutti questi anni. La rabbia. Il rancore. Tutto
ciò che ha avvelenato la mia vita. È bastato un nome,
il tuo nome udito a un processo” si fermò di nuovo.
“Non
è vero. Sto mentendo. È la possibilità che tu mi
hai offerto, tu e i tuoi amici, nonostante ciò che sono e ciò
che ho fatto. È il tuo sguardo che si posa su di me senza
sospetto, senza paura, pur sapendo chi sono. È la fiducia che
mi stai offrendo, proprio come allora me la offrì Peter”
parlò con un filo di voce che mi penetrò nel cuore,
profonda come un coltello.
Hilbert
entrò nella mia stanza senza bussare, come gli era abitudine.
“Ben
arrivato Jerkie” salutò allegramente.
“Ti
trovo di ottimo umore” gli rispose.
“Non
dovrei forse? - ribatté sorridendo – ho appena scoperto di
essere figlio di un re! E di un re pazzo, per giunta”.
“Non
capisco se la notizia ti rallegri veramente” obiettai.
“Vuoi
scherzare, sorellina? È ovvio che mi rallegra - rispose –
oh, so che tu non capisci. Per te è tutto o bianco o nero,
mentre per me esistono milioni di sfumature. Ma nostro padre è
un re! O lo sarà quantomeno. E noi siamo in guerra contro di
lui”.
“Continuo
a non capire dove si trovi la buona notizia” sbottai cominciando a
spazientirmi.
“Tuo
fratello pensa a molte possibilità, Isotta. E in ogni strada
che percorre vi vede sempre una fine positiva” interloquì
pacatamente Jerkie.
“Siamo
di opinioni differenti allora – proseguì allibita – non
pensi a Eleonor?”
“Sì,
questo è un problema in effetti, e dovremo affrontarlo. Ma non
è da escludersi che anche lei vi vedrà del buono. E
dovresti vedercelo anche tu. Le sorti di una guerra già persa
si sono improvvisamente ribaltate, Silen, questo non ti rende almeno
un po' allegra? Dopotutto era la tua battaglia assai più di
quanto non fosse la mia”.
“Beh,
non dico che la vittoria sia nostra. C'è ancora molto lavoro
da fare, ma siamo sulla strada buona. Dobbiamo solo... - riprese,
interropendosi poi a riflettere – dobbiamo solo scoprire qualcosa
di più sull'amabile padre. Arrivare preparati all'incontro,
diciamo”.
“Preparati
a cosa?” chiesi sempre più sorpresa.
“A
fotterlo” rispose sorridente.
Mi
portai una mano alla testa. Mio fratello era una sorpresa senza fine.
“Hilbert
ha ragione – disse Jerkie – se sei ancora dell'idea di combattere
questa guerra...”.
“Lo
sono” lo interruppi.
“Allora
dovrete prepararvi. Accumulare informazioni. Conoscere il vostro
nemico” proseguì.
“Bene
Jerkie, vedo che ci capiamo – disse Hilbert – allora, facendo il
punto, direi che abbiamo due preziose fonti di informazioni: nostra
madre e te”.
“Ne
stai dimenticando una, Hilbert” rispose lui.
“Di
chi stiamo parlando?” chiesi.
“Di
una persona che sa molto di lui e che l'ha già affrontato in
passato. Della sola persona che io conosca che abbia saputo
affrontarlo, in effetti” proseguì.
“Stiamo
giocando agli indovinelli, Jerkie? Potrebbe essere divertente, ma...”
cominciò mio fratello, interropendosi improvvisamente e
allargando la bocca in un largo sorriso.
“Stai
pensando di portare qui Peter Greenwood!” esclamò poi
improvvisamente.
“Mio
padre?” balbettai.
“Affrontare
Albert non sarà uno scherzo, Isotta. Proverà a portarvi
dalla sua parte, e se non ci riuscirà... non ho la minima idea
di quello che succederebbe. È un uomo totalmente
imprevedibile. Adesso avete un vantaggio, ma potrebbe decidere di
assediare Essembra domani, o stanotte persino. E non è solo.
Al suo fianco cammina uno dei guerrieri più potenti che il
Sidhe abbia mai conosciuto, un uomo disposto ad eseguire qualunque
ordine pur di compiacere il suo signore” rispose Jerkie
strappandomi una smorfia di disgusto.
“E
poi ci sono i non morti - riprese dopo un attimo di silenzio – non
sappiamo chi li comanda, ma sappiamo che non può essere
Albert. Non possiede tali poteri. È un uomo di spada e non
pratica l'arte”.
“La
chierica?” suggerì Hilbert con poca convinzione.
“No
– rispose – l'Ombra non concede tali poteri. Si tratta di una
magia ancora più oscura, di una magia di morte. Solo alcune
creature la governano”.
“I
Necromanti? Non credevo esistessero davvero” disse mio fratello
quasi distrattamente.
“Sono
assai rari, giovane Hilbert, ma esistono, e la loro presenza è
foriera di disgrazia più di quella di chiunque altro. Sono
esseri che hanno votato la propria esistenza a carpire i segreti
della morte, essi conoscono ciò che accade quando l'ultimo
respiro viene esalato e sanno piegare la volontà di ogni
creatura”.
Mentre
parlava, la sua voce si fece cupa e profonda. Un brivido percorse
l'aria intorno a noi.
“Tu
credi che tuo padre sia ancora in grado di combattere?” mi chiese
mio fratello rompendo la tensione che si era creata nella stanza.
Esitai
un istante, richiamando alla memoria l'uomo che mi aveva insegnato a
schermare, a cavalcare, a nuotare, a scalare e fare qualunque altra
cosa fossi adesso in grado di fare. Richiamai alla memoria i suoi
occhi verdi, il suo volto stanco, la sua espressione troppo spesso
assente e, soprattutto, le storie che mi narrava quando ero bambina.
Mi chiesi cosa mai avrebbe potuto fare trovandosi di fronte Albert
Esiscoll e il mio volto si lasciò sfuggire un sorriso pensando
a tutto ciò che mi aveva nascosto.
“Puoi
esserne sicuro” risposi poi.
Partimmo
la mattina successiva, protetti dalla più genuina
inconsapevolezza.
Non
sapevamo, nessuno di noi, che quel viaggio avrebbe cambiato ogni
cosa, e ciò sarebbe stato per sempre.
Camminavamo
rassicurati dalla presenza di Jerkie che, sapevo bene perché
potevo leggerlo nei suoi occhi, tranquillizzava persino mio fratello.
Ormai avevo smesso persino di interrogarmi sull'ironia della sorte:
se chi ci faceva questo effetto era stato uno dei più letali
assassini del Sidhe non aveva importanza, la sola cosa importante era
che lui camminasse con noi, adesso,
e che il nostro viaggio ci stesse conducendo da mio padre.
Essembra
sbiadì lentamente alle nostre spalle, come sabbia che scorre
nella clessidra e per un attimo avvertii nel petto un dolore lieve,
ma profondo. Le verdeggianti pianure che circondavano la città
erano uno spettacolo meraviglioso, trafitte dai primi raggi del sole.
Sapevamo
che in un paio d’ore di marcia avremmo potuto scorgere in
lontananza i fuochi del campo di Albert, lo sapevamo e aspettavamo.
Quando le colonne di fumo si levarono all’orizzonte Hilbert sorrise
“Che
festeggi fin che può” scandì con la solita allegria.
Quando
scese la sera eravamo già lontani dal mondo che conoscevamo.
Jerkie
aveva previsto di raggiungere la Stella di Fanathir il quinto giorno.
Era la Stella un crocevia di fate e folletti, il più potente
che si fosse mai conosciuto nel Sidhe e il solo che consentisse un
passaggio perenne nel Mondo Altro; nessuno ne conosceva l’esatta
locazione, poiché viveva tra il mondo del Sidhe e il Mondo
Altro, tra la realtà dei due mondi e qualcosa che realtà
non era, né di qua, né di là, vi era perciò
un solo modo per raggiungerlo: una bussola magica, incantata dagli
gnomi molti secoli or sono, e la benevolenza del popolo basso.
Senza
di essa, ci disse Jerkie, neppure la bussola avrebbe potuto aiutarci.
Avevamo dunque rifiutato qualunque trasporto magico perché
fate e folletti ci avrebbero accolto con più simpatia se
avessimo portato addosso l’odore dei boschi e della terra bagnata.
Il
primo giorno di viaggio volò via senza lasciarci addosso alcun
segno.
Fu
poco dopo il tramonto del secondo giorno che Jerkie si fermò.
“Qualcosa
non va” sussurrò.
“Ci
stanno osservando, non è vero?” bisbigliò Hilbert di
rimando.
Jerkie
annuì, Arwon portò la mano alla spada.
“Non
ti servirà a nulla” lo schernì una voce fredda e
sottile, poco distante.
Un
brivido di gelo e paura ci penetrò la pelle e le ossa, ed
esterrefatti e increduli osservammo le tre creature comparse
improvvisamente davanti a noi.
La
loro pelle era bianca come la neve, d'un pallore innaturale e malato,
i loro occhi rossi come una fiamma ardente. I capelli corvini
scendevano sulle spalle a incorniciare tre volti aguzzi e taglienti,
belli d'una bellezza oscena.
Si
assomigliavano tra loro, ma colui che aveva parlato troneggiava nel
mezzo, potente e crudele. Due
immonde ali incorniciavano la sua figura demoniaca.
“Questo
è ciò che vedremo” rispose Arwon.
Al
mio fianco Speranza scintillò d'una luce calda e confortante.
“I
due ragazzi: vivi – ordinò lui ruggendo – con gli altri
pasteggeremo più tardi”.
“Almeno
siamo fuori dal menù” commentò mio fratello
scrollando le spalle.
Jerkie
li fissava in silenzio.
Non
aveva ancora allungato la mano a brandire il suo piccolo stocco.
“Io
sono Ezequiel – tuonò quindi la creatura più grossa -
ricordate il mio nome, ridicoli umani, perché è
l'ultimo che sentirete”.
Hilbert
sbuffò.
“Ma
quanta teatralità” boffonchiò tra sé.
“Ho
udito raccontare di te e delle tue gesta - scandì Jerkie,
inclinando lievemente il capo – lascia dunque che anch’io mi
presenti, poiché suppongo che anche voi abbiate udito il mio
nome prima. Sono Jerkie della Valle perduta e sarò il tuo
avversario, Ezequiel della Runa infuocata”.
Il
vampiro lo guardò impassibile, ma il tono della sua voce tradì
la sorpresa che lo aveva travolto nell’udire il suo nome.
“Sono una creatura del buio e del profondo, e vengo da tempi antichi. Pensi
di potermi affrontare da solo, per quanto sia grande la fama che ti
accompagna? – insinuò – Non so cosa tu faccia con questi
ragazzi, ma lasciare il campo è la sola cosa saggia che
potresti fare”.
“Eppure
ho udito narrare di qualcuno che ti ha sconfitto” gli rispose.
Il
volto dei nostri nemici, allora, si distorse in un ghigno rabbioso.
Ezequiel ruggì ed estraendo l’enorme falchion che pendeva al
suo fianco, gli si scagliò addosso furente, imitato dalle due
creature che lo accompagnavano.
“Mi
occuperò di lui – mi sussurrò
Jerkie – ma vattene se il combattimento dovesse volgere a suo
vantaggio”, quindi saettò nell'aria, leggero come una
farfalla, evitando i loro fendenti; Arwon si lanciò su di loro
intercettandone i colpi.
In
quel momento avvertii nella mia mente un sussurro lieve e seppi che
Speranza mi stava chiamando, la impugnai e avanzai verso i nemici. Il
combattimento avvampò furioso come una fiamma assetata di
distruzione. L'aria vibrava al clangore delle spade, che cozzavano le
une contro le altre senza sosta. Mi lasciai guidare dal solo istinto,
mentre ogni azione accelerava in un turbinoso vortice si parate,
schivate, affondi. Mentre combattevo volgevo l’occhio a cercare i
miei compagni: Jerkie era impegnato a schivare i potenti colpi di
Ezequiel, Arwon si stava misurando con l’altro vampiro, mentre non
v’era più alcuna traccia di mio fratello. Poi qualcosa mi
sconvolse e mi terrorizzò. Fu la visione di Edward,
completamente immobile, le mani giunte e gli occhi socchiusi, assente
a tutto quello che gli stava accadendo intorno. Provai a chiamarlo,
ma le sue labbra vibravano mosse da sconosciute parole. Anche il
vampiro che mi affrontava si rese conto della situazione e,
approfittando della mia distrazione, si mosse rapido verso di lui,
scansandomi con un pericoloso fendente. Gridai per avvertirlo con
quanto fiato avevo in gola, inseguendo disperatamente il nemico,
senza speranza di raggiungerlo in tempo. Improvvisamente il simbolo
sacro di Edward illuminò la notte, investendo il buio con un
fulgido raggio di splendente luce turchese, che colpì in pieno
il vampiro e lo polverizzò in un istante. Un urlo, il suo urlo
di dolore, esplose nell'aria con tale intensità da mozzarmi il
respiro e da bloccare ogni altra azione. Ed crollò svenuto al
suolo. I nostri avversari parvero come noi tutti travolti dallo
stupore. Solo Jerkie sembrò mantenere il controllo di sé
e, con sovrannaturale rapidità, lanciò tre coltelli che
colpirono in pieno petto il vampiro che combatteva contro Arwon, poi
gli gridò di colpirlo alla testa.
E
fu rapido il giovane ranger a reciderla incrociando le spade
all'altezza del collo.
“Sei
rimasto solo ora” disse poi l'assassino al vampiro demoniaco.
“Potrei
bastare lo stesso per voi pezzenti - rispose sprezzante, ma riponendo
il falchion – Quello scontro è stato segnato del caso, non
dalla sua superiorità. Ma per oggi basta così. Ci sarà
tempo. Tempo per tutto – sentenziò - anche per noi due”
concluse gettandomi un'occhiata lasciva e perversa, prima di svanire
dalla nostra vista.
“Ce
la siamo vista brutta!” commentò Arwon, strappandomi un
sorriso che subito si tramutò in una smorfia di preoccupazione
vedendo le molte ferite che aveva riportato.
“Non
preoccuparti, sto bene” mi rassicurò ancora prima che
potessi parlare. “Edward piuttosto”
“È
solo svenuto - ci tranquillizzò Jerkie, sul cui braccio destro
si apriva una larga ferita a cui lui sembrava non dare alcun peso -
si riprenderà in fretta. È stato attraversato da un
potere ancora troppo grande per lui da gestire”.
Poi
la voce di mio fratello ci interruppe
“Troppo
fervido nella fede il ragazzo”.
“Dove
diavolo eri finito?” gli gridai contro, accecata dalla rabbia e
ancora scossa dall’adrenalina del combattimento.
“Mi
sono distratto a vedere la vegetazione. Quella è una rara
rosa...” rispose sorridendo.
“Avremmo
potuto morire e tu non hai fatto nulla per aiutarci” ribadii.
“Non
avevo alcun dubbio che ve la sareste cavata. E infatti così è
andata. Cattivoni sconfitti e nessun danno per noi.” mi rispose
pacato e stupito che non ci arrivassi da sola.
Mentre
cercavo invano le parole adatte a rispondergli, Arwon mi chiamò
per avvertirmi del risveglio di Edward.
La
sera, accoccolati intorno al fuoco, il combattimento e la paura
provata parevano solo un ricordo distante e irreale. Le ferite
sembravano esserne le uniche, solitarie testimoni.
“Torneranno
- disse poi Jerkie con voce sommessa, come se temesse di rompere
quell’incanto – e dovremo essere pronti”.
“Oh,
già. A quanto pare qualcun’altro, oltre al caro papà,
tiene molto alla nostra compagnia” chiosò Hilbert, poi, ai
nostri sguardi interrogativi, proseguì spazientito come sempre
“Ovviamente
non l’avrete notato, ma questo Ezequies o come si chiama, non aveva
idea della presenza di Jerkie tra noi. Ne deduco che non sia venuto
qui per ordine del dolce genitore”.
“Forse
non lo abbiamo notato perché eravamo troppo impegnati a
combattere, cosa che a quanto pare non ha coinvolto te” risposi.
“Già.
Beh, qualcuno deve pur continuare a pensare, non credi? - ribatté
tranquillamente –e, a proposito Jerkie, perché non ci dici
chi ha sconfitto Ezequiet, prima di oggi” aggiunse poi.
“Vosg’na
– mi intromisi quasi senza volerlo – è stato lui, non è
vero?”.
“Uno
scontro che molti bardi hanno narrato, mia piccola Isotta” annuì
Jerkie.
Non
disse altro. Le parole e i ricordi rimasero ad aleggiare nell’aria
fino a quando non ci colse il sonno.
angolo autori:
Eccoci di nuovo tornati! Ci scusiamo con tutti quanti per l'enorme ritardo! Ci faremo perdonare entrando nel cuore della storia...i prossimi capitoli saranno estremamente ricchi da ogni punto di vista. Come sempre ringraziamo di cuore tutti quelli che ci seguono, recensiscono e preferiscono. I nostri personaggi abbiamo piacere che diventino anche i vostri e ci riempie di gioia vedere che vi piace quello che stiamo scrivendo e creando.
Un grazie di cuore a tutti quanti!
a presto!