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Autore: HeavenAngel    04/12/2010    3 recensioni
Due donne:un solo nome.
Ecco come andarono realmente le cose...
Genere: Sentimentale, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Hi everybody!!
...Grazie per aver dato un'occhiata!
Se avete voglia e vi aggarba lasciate un commento(Almeno per farmi sapere se siete riusciti ad arrivare fino alla fine)!
Vi risponderò con amore uno ad uno!
Spero di non annoiarvi!
God Bless You all!
HavenAngel*



 


 

1.Destiny
 




“Ti amo”

“Ti amo anche io Sarah..!”

Non aspettò né il bacio, né che i visi dei due amanti si sfiorassero.

Il suo pollice schiacciò immediatamente il piccolo tasto rosso presente in cima al telecomando.

Alcuni hanno il pollice verde,è vero, ma lei non ce l’aveva.

Il suo era semplicemente un pollice che impulsivamente aveva obbedito al comando dei suoi pensieri.

Un pollice obbediente,insomma.

“Sdolcinatezze…”

Sbuffò,restando per un attimo immobile,seduta sul divano, a fissare il suo riflesso annoiato nel vetro del televisore.

Sì,il film l’aveva delusa.

Tante belle parole,tanti baci,tante carezze,tanti bei sogni.

Ma la realtà era totalmente differente.

Ormai già da due anni Katherine non riusciva più a credere nell’amore e,ogni qualvolta il suo zapping televisivo si imbatteva in uno di quei cosiddetti “film romantici”,non poteva fare a meno di meravigliarsi.

“Ma come diavolo fa la gente a credere a queste cretinate?”

Si esprimeva come se ciò che in quel momento stava pensando o dicendo fosse un principio universale,come se tutti al mondo dovessero pesarla esattamente tale e quale a lei.

Ma,purtroppo o per fortuna,non era così per la maggior parte delle persone e questo Kate doveva proprio ammetterlo.

“E quelli che le mandano in onda ste schifezze e che se ne approfittano dell’ingenuità della povera gente?Manipolazione delle coscienze,ecco cos’è!”

Continuava a lamentarsi,imperterrita e sola.

Si rese conto di essere ridicola,guardandosi ancora una volta nel riflesso davanti a sé.

Scoppiò a ridere istintivamente nel vedere il suo volto terribilmente imbronciato,nero,incazzato.

Non era abituata a manifestare le sue emozioni in quel modo.

“E io sono una pazza cretina che parla e ride da sola!”

Ammise sorridendo tra sé e sé.

Dopo aver appoggiato il telecomando sul divano,si mise le mani in faccia per qualche istante e,strofinandosi gli occhi,decise di alzarsi e andare a fare colazione.

I suoi piedi nudi picchiettavano,passo dopo passo,sul freddo pavimento mentre il pigiama rosso di Topolino,ormai largo ma troppo bello e troppo comodo per potersene sbarazzare,sembrava che facesse fatica a rimanerle addosso.

“Ehi,non scappare!”

Disse afferrando i pantaloni per i fianchi e tirandoseli su,prima che potessero giocarle un brutto scherzo facendola rimanere definitivamente in mutande.

Fu solamente quando giunse in cucina,precisamente davanti ai fornelli,che si rese conto,però, di non avere per niente fame.

Optò per una spremuta e aprì il frigorifero,scoprendo e ricordandosi,con grande disappunto,che era quasi vuoto.Solo un’arancia faceva capolino.

La prese e la appoggiò sul ripiano in marmo bianco,borbottando qualche parolina,non molto carina mentre richiudeva lo sportello.

Tagliò il frutto esattamente a metà,mise,una alla volta,le parti sullo spremiagrumi e il risultato fu spettacolare: dopo essere stato versato,il succo riempiva esattamente un bicchiere fino all’orlo.

“Mitico! E la colazione è andata!”

Bevve il contenuto tutto d’un sorso,senza nemmeno sedersi al tavolo, e,dopo essersi asciugata sciattamente le labbra sulla manica del pigiama,buttò le bucce e sciacquò ciò che aveva utilizzato riponendo ogni cosa al suo posto.

Rimase ferma a fissare il vuoto per qualche istante,analizzando per bene quello che sarebbe stato utile fare,notando che era in completa contrapposizione a quello che voleva.

Non aveva assolutamente voglia di andare a fare la spesa.

Era sabato,il suo “giorno di riposo” e se si chiamava così doveva esserci per forza un motivo.

Ma lei era in piedi già da un pezzo e questo giocò a suo favore: erano ancora solo le otto del mattino,un orario relativamente decente per prendere la sua bicicletta e recarsi in centro,per comprare giusto il necessario,senza imbattersi in troppe persone.

Se avesse fatto esattamente così se la sarebbe di certo cavata in un quarto d’ora,venti minuti riuscendo,così,finalmente, a prendersi una giornata tutta per lei.E questo pensiero la allietava assai!

Ne aveva proprio bisogno.

Lavorava cinque giorni alla settimana,dal lunedì al venerdì, presso un centro disabili,a poche miglia da casa sua,come educatrice.

Difficile stabilire esattamente quante fossero le sue ore di lavoro,dato che,di tanto in tanto,la sua presenza veniva richiesta anche alla casa di riposo,dove,più che lavorare sulla singola persona,si occupava,insieme al resto dell’equipe, dell’attività di animazione.

La sua routine era apparentemente monotona,e le attività da svolgere e far svolgere sembravano sempre le stesse.

Ma Kate aveva la straordinaria capacità di amare il suo lavoro e,soprattutto,amava più di ogni altra cosa le persone con cui aveva a che fare.

Cercava di cambiare sempre qualcosa,in modo da rendere il giorno che stava vivendo unico e diverso dal precedente e da quello successivo,mettendoci sempre tutta se stessa e dando il meglio,costantemente.

Era proprio questo che la rendeva felice ed enormemente appagata,oltre al fatto che,con il passare del tempo, aveva instaurato rapporti sempre più significativi,nonostante i suoi ventisette anni suonati,sia con gli anziani e i ragazzi(che non riusciva a soprannominare “disabili”,trovando questo termine a dir poco dispregiativo e limitativo rispetto alle loro capacità),sia all’interno del gruppo educatori-animatori.

Sembrava che non sapesse più distinguere la differenza tra il “fare” e l’ “essere” un educatrice ,anche se questo,apparentemente, non la preoccupava.

Non aveva nient’altro da fare se non quello che più rispecchiava il suo carattere.

Quel mondo era tutta la sua vita, ma doveva ammettere,però,di non riuscire a trovare molto tempo per dedicarsi a se stessa.

Fu per questo motivo che,senza pensarci ulteriormente,corse in bagno,sempre tenendosi ben stretta i calzoni.

Dopo aver fatto pipì,si fece una doccia veloce e si lavò i denti frugando,per guadagnare tempo, nel cassetto del mobile in legno situato sotto il lavandino,alla ricerca di un paio di mutande e di un reggiseno.

Avrebbe indossato i soliti jeans “di casa” e la maglietta colorata che la sua più cara amica Alex le aveva regalato qualche anno fa,in occasione del suo compleanno.

Li trovò entrambi piegati nel cesto della biancheria pulita,che aspettavano impazienti di essere stirati,ma a Katherine non passava nemmeno per l’anticamera del cervello di farlo e si infilò tutto in un batti baleno,lottando contro l’impasto di acqua e dentifricio che aveva tra i denti.

Tornò in bagno per risciacquarsi la bocca e posare lo spazzolino e raccolse l’enorme massa di capelli ricci e bruni in una coda di cavallo alta,senza nemmeno dare un’occhiata allo specchio.

Di corsa fuori dal bagno!

Cappotto…fatto!

Sciarpa… messa!

Chiavi di casa….Si guardò per una frazione di secondo intorno prima di ricordare che le aveva riposte sul mobile del telefono!Prese!

“Perfetto!”

Aveva già il fiatone.

Afferrò la lunga borsa arancione e se la infilò a tracolla prima di aprire la porta ma,chissà perché,la sua attenzione fu magneticamente attirata dal pavimento.

Abbassò lo sguardo: i due buffi coniglietti bianchi disegnati sulle ciabatte nere che aveva ancora ai piedi,sembravano guardarla con aria divertita,anche se lei,dopo averlo scoperto,non lo era affatto.

Si limitò a lasciarsi sfuggire qualche piccola imprecazione infilandosi le sue care scarpine da tennis gialle,comprate in un negozietto all’angolo.

Ok.Sembrava essere tutto a posto.

Fu proprio mentre stava cercando di convincersi che,dando l’ultima girata di chiave nel lucchetto,si sentì chiamare alle sue spalle.

“Kate!”

Eccolo,lo aveva riconosciuto dalla voce.

Il suo vicino di casa.

La legge dice che tutti al mondo debbano avere almeno un vicino/vicina di casa pettegolo/a,petulante e con la puzza sotto il naso…

Ebbene,Nicolas rispecchiava di gran lunga il prototipo del “Rompipalle”.Questo ruolo gli calzava a pennello.

La povera Katherine aveva quasi iniziato a pensare che la spiasse e questa ipotesi non era da escludere dato che non faceva in tempo ad appoggiare un piede sullo zerbino che subito se lo trovava sul pianerottolo,desideroso di scambiare qualche chiacchiera con lei.

A volte le faceva addirittura un po’ di paura.

Esitò un attimo a voltarsi, ma poi fu costretta a farlo.

Gli rivolse uno sguardo di sbieco e gli angoli delle sue labbra iniziarono a sollevarsi abbozzando un sorriso di cortesia,anche se era evidente che non fosse quello il suo intento.

I suoi movimenti erano veloci e furtivi e persino un bambino avrebbe capito che stava cercando di evitare qualunque conversazione.

“Ciao Nick”

Furono queste le parole che si limitò a dire tra i denti e senza enfasi,evitando ogni contatto con il suo interlocutore.

Si infilò,così,il mazzo di chiavi in tasca,dirigendosi velocemente verso le scale.I suoi pensieri la incoraggiavano a darsela a gambe il più velocemente possibile,mentre ,alla sua coscienza,un pochino dispiaceva.

Voleva sbrigarsela in fretta e sperava,in cuor suo, che fosse così,ma senza sembrare scortese o offendere in nessun modo.O per lo meno ci avrebbe provato.

“Già sveglia?”

L’impertinente domanda interruppe il suo viaggio mentale,la sua via di fuga,scombussolando definitivamente i suoi piani.

Cosa cazzo gliene fregava?

Cercando di non lasciar trasparire nessuna brutta espressione facciale,si rivolse leggermente verso il volto di quell’uomo che avrebbe tanto voluto prendere a schiaffi.

“Sì,e veramente sarei anche un po’ di fretta,quindi se non ti dispiace…”

Ci fu un attimo di silenzio.

Sarebbe davvero stato duro di comprendonio se non fosse riuscito a capire quale fosse l’intento della ragazza.Era stata veramente molto esplicita.

Kate,inoltre,non aveva potuto fare a meno di notare il ridicolo e poco consono abbigliamento che l’uomo a pochi passi da lei indossava quella mattina.

La canotta bianca e super aderente faceva esaltare non solo gli addominali scolpiti ma anche e soprattutto i muscoli delle braccia.

I pantaloni,larghi e beige,avevano una grande macchia di olio nel bel mezzo della coscia destra e gli conferivano un aria sporca e sciatta.

Faceva quasi fatica a guardarlo così com’era,appoggiato allo stipite della porta con le gambe incrociate e una sigaretta spenta in quella bocca sottile che,di tanto in tanto,mostrava denti grigi e poco curati.

Per non parlare dei capelli,biondi e super ingellati,o almeno sperava che fossero così dato che sembravano unti ed erano bellamente appiccicati alla cute,con una linea di lato.

E’ compito di un buon educatore non cadere in pregiudizi e trovare sempre il lato positivo delle persone da far emergere.

In quel momento Katherine si focalizzò,quindi,sui suoi occhi verde-azzurri molto particolari e davvero belli, che la fissavano con una certa aria indagatrice.

“Figurati! Buona giornata!”

Le rispose così,con un sorriso che le faceva quasi tenerezza e che la lasciò di stucco.Sicuramente non se l’aspettava.

Certo che gli uomini sanno essere davvero strani!

Vinta,quindi,dal senso di colpa per aver risposto in malo modo ,contraccambiò il sorriso,questa volta vero.

“Grazie,anche a te!”

Così rispondendo si diresse nuovamente verso le scale,e,scendendo il primo gradino,aveva potuto sentire una porta chiudersi,certa che fosse quella della casa di Nicolas.

“Povero…”

Mormorò,poi,tra sé e sé,dispiaciuta e invasa da un leggero senso di colpa mentre si avvicinava,sempre di più,al garage.

Mettendo una mano in tasca schiacciò il pulsante del telecomando blu,rigorosamente attaccato al mazzo delle chiavi, e il portellone verde iniziò ad alzarsi,lasciando intravedere mano a mano il contenuto del “mini parcheggio“.

I grandi occhi-faro e il “muso” della Renault Clio grigia parcheggiata la fissavano divertiti e simpatici.

Raro trovare in tutta America,specialmente ad Encino,in California,una macchina francese.

Kate,veramente,preferiva definirla “multietnica” dato che,in realtà,era uno dei doni che il suo caro nonno paterno,che viveva in Italia,le aveva lasciato in eredità.

Ciò,più di ogni altra cosa,dimostrava che per lei,l’anticonformismo,era all’ordine del giorno e che i valori giocavano un ruolo fondamentale nella sua vita.

Non sarebbe mai riuscita a separarsene:la faceva sentire al sicuro,non solo per la sua particolare forma tondeggiante e ad ovetto,completamente diversa da un Alfa Romeo,per esempio,ma soprattutto perché ad essa erano legati tantissimi ricordi che,però,non aveva voglia di far riaffiorare alla sua memoria.

Indirizzò il suo sguardo e si diresse verso la sua cara vecchia e fidata “amica”di colore azzurro,ormai scrostato, e dal sellino bianco,la bicicletta che,posta in un angolo,affiancava l‘automobile.

La prese per il manubrio e,piano piano,la condusse fuori schiacciando nuovamente il pulsante che permise al garage di richiudersi alle sue spalle.

Attraversò il pezzo di atrio riuscendo,per qualche secondo,ad ammirare sullo specchio a muro la sua immagine.

Dio,“ammirare”era davvero una parola grossa!

Era da tempo,oramai che non si sentiva bella nonostante la particolare carnagione mulatta le risaltasse il volto, pur essendo priva di qualunque forma di trucco.

Le sue labbra carnose e i suoi occhi grandi a mandorla,scuri e circondati dalle lunghe ciglia,rendevano i lineamenti del viso,abbastanza tondeggiante, fini ma,al contempo,marcati in determinati tratti.

Caratteristiche che le conferivano,oltre che l’aria di “brava ragazza”,anche una sorta di mistero.Impossibile spiegare il perché.

Alcuni ricci ribelli fuoriuscivano dai lati della sua “acconciatura”,in prossimità delle orecchie e della fronte.

Era sempre stata molto critica per quanto riguarda le dimensioni del suo seno,che considerava troppo prosperoso e cercava di nascondere in ogni modo, e quelle del suo sedere,anche esso ritenuto fin troppo grande,segno evidente che discendeva da una genitrice di colore…

Non voleva assolutamente pensare a come sua madre avrebbe potuto commentare il suo look,se solo l’avesse vista.

Dio mio Kate! Non ti vergogni?Mi sembri un pagliaccio..Valorizzati un po’!Non indossare sempre i soliti jeans! Butta via quella maglietta!Sei così bella e mi fai fare brutta figura!…”, e cose varie.

Sorrideva solo al pensiero.

Infondo la mamma ha sempre ragione e Katherine sapeva che se le diceva certe cose lo faceva solo per il suo bene.

Era assurdo pensare a quanto fosse cambiata la sua vita negli ultimi tempi.

Qualche anno fa era totalmente diversa fisicamente (pesava quasi venti chili in più ma riusciva a valorizzare sempre e comunque il suo aspetto) e mentalmente (ricca di sogni,speranze e aspettative dal futuro).

Ma la vita,a volte,gioca brutti,bruttissimi scherzi e lei l’aveva sperimentato sulla sua pelle.

Tutto improvvisamente era diventato schifosamente troppo reale e la concretezza aveva avuto il sopravvento.

Non le restava che vivere appieno il presente.

Distolse il suo sguardo e chiuse gli occhi per un istante,cercando di cacciare via i pensieri,poi salì sulla bicicletta.

Seduta sul sellino con un piede per terra e uno sul pedale per mantenere l’equilibrio,si sistemò bene la borsa sul fianco,in modo che non le desse fastidio.

Il cielo grigio e nuvoloso di Encino e la leggera brezza autunnale,che le penetrava nella pelle e nei vestiti fino a farla rabbrividire,erano il segno evidente non solo del fatto che avrebbe dovuto cambiare abbigliamento sostituendolo con capi più pesanti ,ma anche che l’inverno,pur essendo solamente il dieci di ottobre,si stava avvicinando.

Poco male,avrebbe sofferto leggermente all’inizio ma si sarebbe riscaldata pedalando.

Mise,quindi, le mani sul manubrio dopo essersele strofinate l‘una contro l‘altra,si diede una spinta e partì.

Poche automobili e qualche motocicletta la affiancavano,di tanto in tanto,superandola ma senza crearle nessuna difficoltà di percorso.

Perfino i semafori sembravano essere benevoli nei suoi confronti,diventando di colpo verdi al suo passaggio.

Non si fermò nemmeno una volta e se avesse continuato di questo passo,sarebbe di certo riuscita a ritornare a casa prima del previsto.

Era raro vedere la città abbastanza calma e serena come lo era quella mattina.

“Che culo!”

Aveva esclamato spontaneamente ad un certo punto,sorpresa e meravigliata del fatto che per una volta le cose sembravano andare per il verso giusto…

Forse lo aveva esclamato troppo forte?

“Ahhhhhh!”

In quel momento un grido acuto proveniente dall’altro lato della strada,seguito da un gruppo di voci di ragazzi e qualche risata divertita, la spaventò talmente tanto che per poco non cadde dalla bicicletta.

Fu costretta a voltarsi.

Era uno spettacolo a dir poco deprimente quello che si presentava ai suoi occhi e alle sue orecchie.

Tre teppistelli sulla quindicina d’anni avevano circondato una povera vecchina di colore iniziando a sventolarle davanti un giornalino che di tanto in tanto si lanciavano.

Si stavano letteralmente prendendo gioco di lei.

“Guarda qui il tuo Dio che fine fa!”

Così dicendo uno di loro,quello con i jeans attillati e il cappellino con la visiera bianco e nero,aveva iniziato spavaldamente a strofinarsi la rivista sul sedere mentre gli altri due,un tipo basso e cicciotto con i capelli neri sparati e un cinese tatuato e con l’orecchino,avevano iniziato a ridere divertiti da quella crudele buffonata.

La donna,con un foulard beige che le ricopriva il volto e un lungo cappotto blu,invece,con le mani che le coprivano il viso,sembrava stesse per piangere.

Kate aveva visto abbastanza.

Come si poteva fare una cosa del genere?

Non ci pensò due volte:presa da una rabbia talmente intensa e impulsiva da farla ribollire dentro si precipitò velocemente con il suo mezzo in direzione del misfatto,pronta a investire o colpire con qualsiasi cosa chiunque dei tre ragazzi si fosse trovata davanti.

Il cinese si accorse appena in tempo di lei,avvisando i compagni e permettendo loro di scappare,gettando per terra il giornale.

Diede un’ultima occhiata minacciosa ai fuggitivi arrivando in prossimità della signora.

Fece una brusca frenata e,dopo aver lasciato la bicicletta sdraiata sull’asfalto,le corse incontro.

“Tutto bene?”

Chiese,preoccupata e poggiandole una mano sulla spalla in segno di sostegno e conforto.

Poi si accovacciò a terra,per raccogliere la rivista.

La copertina ritraeva un bambino dai capelli castani che camminava felice in mezzo a un campo di grano.

I colori erano sgargianti e non potette fare a meno di leggerne il titolo:Geova il Creatore.

Ora capiva tutto.

La porse alla legittima proprietaria che,commossa,la prese ed insieme ad essa anche la mano della ragazza che iniziò ad accarezzare e baciare.

“Grazie cara,grazie mille.Dio ti benedica!”

La voce esile e flebile e il gesto di ringraziamento della donna toccarono il cuore di Katherine.

“Oh no,signora,non ce n’è bisogno.Chiunque l’avrebbe fatto al mio posto..”

L’anziana,improvvisamente,la fissò con i due grandi occhi color nocciola.

Le rughe abbastanza profonde le solcavano il viso,sulla fronte,vicino agli occhi e in prossimità degli angoli della bocca,rosata e abbastanza carnosa.

Aveva il naso piccolo e a punta e gli zigomi rialzati.

Bei lineamenti.Una bella donna.

Le faceva alquanto tenerezza con quel foulard che utilizzava come “copricapo” e che faceva intravedere sulla fronte,alcuni ciuffi neri di capelli.

Tratteneva le lacrime a fatica e lo si poteva notare dal luccichio presente nei suoi occhi.

“Oh no, certo che no! Non è da tutti aiutare una persona in difficoltà. Ti ringrazio davvero tanto cara,davvero.”

Mormorando queste parole con un certo tremore nella voce,continuava a tenere la mano della giovane tra le sue.

Kate non sapeva se fosse la pedalata ininterrotta, l’adrenalina del momento o le carezze che l’anziana le stava riservando,fatto sta che si era resa conto di non avere più freddo e di trovarsi particolarmente a suo agio in compagnia di quella signora.

Le sorrise contraccambiando lo sguardo,che altro poteva fare?

“Come ti chiami piccola?”

La ragazza esitò un attimo prima di rispondere.

Doveva prima ingoiare il nodo che le si era formato in gola.

“Katherine, piacere!”

Cercò di sembrare spontanea il più possibile,ma probabilmente aveva recitato malissimo quel ruolo.

Lo capì dallo sguardo sbigottito,stranito,sorpreso della donna.

“Ti prego non dirlo a nessuno!”

La vecchietta,sussurrando queste parole,si allontanò dalla ragazza,facendo un passettino insicuro all’indietro.

Sembrava alquanto spaventata.

La sua espressione da "Urlo di Munch" non aveva potuto fare a meno di suscitare nella giovane una particolare curiosità per quella spropositata reazione.

Aveva detto,forse qualcosa di male o di sbagliato?

Cosa non avrebbe dovuto rivelare Kate?

“Qualcosa non va?”

“Come hai fatto?”

“A fare che?”

“A sapere che sono io,Katherine?”

La ragazza continuò a guardare la donna con aria confusa.

“Mi sta dicendo che anche lei si chiama Katherine?”

Adesso fu la signora a cambiare espressione.

“Cosa significa “anche lei”? Tu ti come ti chiami?”

Dio,che giornata!

Era cominciata proprio alla grande.

I casi erano due:o la vecchina era impazzita (il che era possibilissimo dato che Kate aveva a che fare con gli anziani tutto il giorno),oppure si chiamavano nello stesso modo.

In ogni caso,possibile che le capitassero tutte a lei?

“Mi chiamo Katherine,Katherine Russo!”

Nel vedere la donna che,tirando un sospiro,sorrideva allegramente e sollevata,la giovane cominciò a capire.

“Quindi non sai chi sono io,vero?”

“Certo che no,Signora! Mi spiace di averle fatto paura!”

L’aveva presa per una veggente per caso?

Anche il suo volto aveva dovuto assumere davvero un espressione bizzarra perchè non potette fare a meno di provare un grande senso di divertimento misto a tenerezza per quell’anziana che ora le si stava avvicinando di nuovo coprendosi la bocca,che mostrava un sorriso alquanto divertito,con una mano.

“Tranquilla cara,perdonami tu!non capitano tutti i giorni queste coincidenze.

Il piacere è mio,Katherine… “Senior””.

Entrambe complici di un simpatico equivoco,scoppiarono a ridere di gusto,accompagnate da un sottofondo “clacsonfonico”,segno che la bicicletta della ragazza,ancora in mezzo alla strada,stava bloccando il primo traffico mattutino. 

  
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