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Autore: Ilaja    04/12/2010    4 recensioni
Ci troviamo in Austria, in un periodo sempre più prossimo al nostro presente. Un'Austria combattuta, che sfocia nell'oscurità. Un'Austria abitata sia da umani che da creature sovrannaturali, che dovrebbero costituire un unico gruppo, un unico branco.
Così non è. Perchè a regolarne lo svolgimento è una forza malevola e potente, una animata da un interebbe ben più alto del semplice 'dominio sul mondo'.
Lei detta legge. E non una legge uguale per tutti. L'Egalitè, la Fraternitè e la Libertè francesi sono poste contro il loro naturale opposto. Stiamo parlando dell'Adìkia, in greco letteralmente "ingiustizia". Stiamo parlando della legge della selezione naturale.
Della legge del più forte.
Storia classificata seconda al contest "Supernatural mistery" indetto da Oyzis
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Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Adikìa - La legge del più forte

 Capitolo 2. Una fata e un cuore malato

“Da quella notte tempestosa, in cui l’Ombra uccise il viaggiatore, la leggenda è divampata, sulle pendici del Männlich. Ogni notte di luna piena un corvo gracchia, mentre gusta nuovamente il sapore della carne umana, e un’Ombra si apre sul monte, inghiottendo con il Buio le creature innocenti che lo abitano, ed esprimendo a suon di eccidi la sua voglia incontentabile di vendetta.”

“Dèi del cielo! Perché tutti ce la devono avere con i corvi e la luna piena? Che cosa vi hanno fatto di male, me lo volete spiegare?”

Il fratello e tutti i passeggeri della funivia, compreso il conducente, che stavano seguendo il racconto, guardarono male Abby, che si girò dall’altra parte. Proprio non riusciva a farsi piacere quelle assurde panzane che si raccontavano del monte e dell’Ombra, secondo le quali un tale, amante dei viaggi, in una notte di luna piena – un tocco di realismo non avrebbe fatto male agli inventori della storia – era stato sbranato da una creatura indemoniata e assetata di sangue, aiutata da un corvo, l’uccello del malaugurio, appunto.

“Sapete com’è andata secondo me?” disse, rivolta ai pochi passeggeri che non erano entusiasti della lettura ad alta voce di Dean, il fratello minore della ragazza. “Quel tizio ha rotto le scatole all’Ombra per farsi dare dei superpoteri, o roba strana insomma, e lei per tutta risposta lo ha sbranato come meritava, e adesso noi uomini, feriti nell’onore, ci stiamo vendicando tramite assurde leggende.”

Un lupo mannaro avvolto in un cappotto troppo stretto per lui annuì. Evidentemente gli era successa la stessa cosa. Povero diavolo.

Quando il racconto finì, Dean corse da Abby, furente. “Ho anche guadagnato degli spiccioli, che cosa ti dà il diritto di farmi scappare la clientela?”

“Clientela la chiami? Quei poveri turisti che abbindoli per avere una paghetta extra? Ma per favore!” Detto ciò la ragazza si sistemò per bene sul pavimento della funivia, estrasse il suo libro preferito dallo zaino Eastpack ormai sbrindellato, dopo cinque anni di duri viaggi per le montagne, e si immerse nella lettura. Dean guardò con una smorfia la ragazza. Possibile che, tra tutte le femmine che esistevano al mondo, a lui dovesse capitare la più antipatica?

“Quanto manca, George?” chiese con un sospiro al conducente. Lui ammiccò al ragazzino. “Non più di due minuti, se mi presenti tua sorella.”

“Idiota” fece una voce da dietro le pagine di Le avventure di Sherlock Holmes.

George ridacchiò, mentre i turisti osservavano la scena, curiosi. Scena che si ripeteva ogni giorno,  d’estate, quando i giovani Redland si recavano dai genitori per aiutarli con la malga di cui erano proprietari, su, nel monte.

Con il tempo avevano fatto in fretta ad abituarsi al clima tranquillo e piacevole che avvolgeva i paeselli del Friuli, confinanti con l’Austria, e avevano finito per considerare la casa in legno ricoperta di gerani in fiore, in cui abitavano per tre mesi all’anno, come una parte della loro vita.

La gente di Pesariis, che ormai conoscevano, era sempre gentile e accogliente con i ragazzi. Il conducente della funivia, George, era solo uno dei tanti che conosceva i due fratelli che andavano e venivano da casa Redland alla malga, una piccola fattoria che serviva da rifugio e commerciava i formaggi del posto, famosa per il latte di ottima qualità e la cucina rustica eccellente, per la quale aveva anche vinto un premio l’anno prima.

Una coppia di turisti, armata di tutto punto per una passeggiata, con bastoni, scarponi da trekking e zaini attrezzati, scrutò dall’alto in basso quella ragazzina rannicchiata a terra, in jeans, mezze maniche e scarpe da tennis, capendo solo dai discorsi di Dean e George che doveva affrontare il loro stesso percorso. I loro sguardi erano molto eloquenti, tanto che Abby, chiuso il libro perché incapace di concentrarsi in mezzo a quel baccano, li comprese subito.

“Non c’è bisogno che facciate quella faccia” sbottò, mentre i due italiani si guardavano, sorpresi. “So badare benissimo a me stessa.”

“A me non pare proprio” ribatté, dura, la ragazza. Aveva occhi grigi, freddi di ghiaccio, e i lineamenti molto marcati. La bocca sottile e severa si storse in un mezzo sorriso. “La leggenda la conosciamo molto meglio di tuo fratello e i suoi libri spazzatura.”

Abby si ravvivò i capelli ricciuti, legandoseli in una coda, e infilandosi un cappellino a visiera, incurante dell’affermazione della donna che, nel frattempo, si era beccata un’occhiataccia dal compagno. “Concordo con lei per i libri di Dean, ma dubito che quelle storie siano vere” disse la ragazza, uscendo dalla cabina, ormai giunta a destinazione.

“Vieni, tappo!” chiamò Abby e, salutato George, si diressero fuori dall’impianto, sulla strada principale, diretti dai loro genitori.

La donna li rincorse. “Non dovresti voltare le spalle al tuo destino!” gridò, mentre il marito la trascinava via.

Abby non l’ascoltò nemmeno. Prese per mano Dean e se ne andò per la sua strada.

“Era una visionaria?” fece suo fratello, quando la donna si fu allontanata.

Abby scosse la testa. “Era una matta” rispose, e s’inoltrarono nel bosco, reclusi dal resto del mondo, dove l’unico rumore umano erano i loro piedi che facevano scricchiolare il sottobosco ancora umido di rugiada.

 

“I miei tesori!” L’urlo della mamma fece trasalire i clienti, accalcati attorno ai tavoli in cui venivano serviti formaggi, prosciutti e carni, torte fatte in casa e insalate rustiche.

La signora si fece largo tra la folla e corse ad abbracciare i figli. Era magra ed atletica, anche se il viso iniziava già a presentare le rughe di mezz’età. “Mamma” esalò Dean dopo essere sopravvissuto ad un abbraccio fatale. Abby lo trasse in salvo, per poi farsi prendere pure lei. “La mia bambina!”

“Mamma, non ci vediamo da ieri sera, non credo che sia passato così tanto tempo” bofonchiò Abby, allontanandola. La signora la osservò con occhio critico. “Sarà, ma a me non piace per niente che voi dormiate lontano da noi. Proprio non capisco perché non vogliate stare qui durante la notte…”

“Questo posto puzza tremendamente” disse Dean, lanciando un’occhiata al pollame e al vitello di poche settimane, che in quel momento starnazzavano con entusiasmo per il ritorno dei padroncini.

“Ed è sporco!” puntualizzò Abby, indicando le stalle piene di escrementi e le pareti incrostate.

“Ma come! E’ così caratteristico…” si dispiacque la mamma. Era sempre stato il suo sogno, fin da bambina, possedere una malga tra i monti. Chi lo sapeva il motivo. In ogni caso, quando passavano per le strade di Pesariis Abby osservava i ragazzi andare e venire, e sua madre esaltava i gerani alle finestre delle case, con “ooh” e “aah” del tutto inappropriati.

Dietro la schiena, Abby sentì una presenza imponente. “Abigail, cos’è questa novità?” domandò il padre, un uomo robusto e corpulento, con indosso il camice da lavoro. Mentre la moglie cucinava, lui si occupava della produzione di formaggio, di mungere capre e mucche e di far uscire il bestiame sul prato per farlo mangiare.

Abby si girò, furente. “Papà! Sai che odio quel nome.” Era vero. Preferiva di gran lunga Abby. Bello, conciso e chiaro.

Ma lui non si stava occupando del nome. Quella era infatti una battaglia persa già da anni. Inutilmente Abby aveva cercato di correggerlo, di fargli capire che quell’obbrobrio che si portava dietro costantemente proprio non lo sopportava. Bah, l’ostinazione del genitore le era diventata insopportabile.

“Cosa?”

Quello.”

“Di cos… oh, quello.”

Abby si morse il labbro, come spesso faceva nei momenti d’imbarazzo. Cavolo. Questa non ci voleva.

La T-shirt si era leggermente scostata lasciando scoperto il fianco della ragazza, appena sopra i jeans a gamba stretta.

“Ecco, io ve lo volevo dire…”

“Abigail…”

Stava per arrivare la sfuriata. Oh, mer…

“Che figata, Abby! Quando te lo sei fatto?”

La giovane si voltò, il volto imporporato sia di vergogna, per le occhiate truci del padre, che di eccitazione. Infatti, a parlare era stato Jason, il garzone della malga, un ragazzo sui vent’anni dipendente dai suoi genitori, che d’estate saliva in montagna per guadagnarsi qualche soldo da mettere da parte. Si conoscevano da una vita.

“A giugno, per la promozione.”

Jason strizzò l’occhio al padre di Abby. “Finalmente l’ha accontentata! Anche i miei mi fecero un regalo del genere per i sedici anni, ma si è rovinato completamente con l’incidente.” Detto questo mostrò ai due lo sfregio del braccio destro, in cui era ben visibile una sequenza di cicatrici profonde e di un bianco opaco come il cielo velato di quella giornata. Tra i solchi si potevano ancora distinguere sprazzi d’inchiostro scuro.

Jason era stato trovato agonizzante in mezzo al bosco, un pomeriggio di tre anni prima. Aveva perso molto sangue, e il braccio recava ancora segni di un’aggressione feroce, come quella da parte di un lupo, o di un orso particolarmente affamato. Abby però conosceva abbastanza bene le creature della foresta per poter affermare che non erano state loro. Non in un pomeriggio così soleggiato come quello, e non in una zona sicura e sotto gli occhi di tutti, in una radura poco distante dalla malga.

Dopo averlo portato al sicuro all’interno della fattoria, la madre di Abby, Claire, aveva provveduto a pulire e fasciare le ferite, iniettando anche qualche antidoto al veleno, giusto per stare sul sicuro. Jason aveva ripreso conoscenza il giorno seguente, mentre Abby stava al suo capezzale, ad osservarlo sognante. All’epoca aveva tredici anni, e una voglia matta d’innamorarsi. Tutte le sue amiche avevano almeno già dato il primo bacio, tranne lei. Lei sognava il vero amore. E quel ragazzo capitatole addosso d’improvviso poteva fare al caso suo.

Successivamente, Jason continuò ad affermare di non ricordare nulla dell’assalto, o dell’assalitore. Alle domande insistenti dei genitori di Abby aveva dato solo risposte vaghe, e si era fermamente puntato sul non avvisare i suoi parenti. “Non ce n’è bisogno” aveva sbottato di fronte ad una Claire eccessivamente ansiosa. “Davvero, è già tanto quello che avete fatto per me, senza bisogno che vi faccia preoccupare ancora.”

Nonostante le opposizioni del padre della ragazza, Richard, però, voleva trovare un modo per sdebitarsi. E così, aveva preso a venire ogni estate, richiedendo una paga minima e rendendosi utile in mille modi diversi. Quando Dean voleva fare una passeggiata, e a nessuno andava di portarlo, si offriva di accompagnarlo; quando Abby aveva bisogno di una mano per i compiti, spuntava dietro una porta con un sorriso smagliante; aiutava sempre Claire a servire i tavoli e vendere le cibarie; trasportava i recipienti di latte da una parte all’altra e lavorava accanto a Richard per fare il formaggio; portava il gregge a pascolare e mungeva capre e mucche assieme ad Abby.

Tre anni erano passati dall’incidente, e mai, nemmeno per un istante, Jason aveva smesso di frequentare la malga, nonostante Claire e Richard avessero spesso ripetuto che poteva anche dedicarsi ad altro, invece di essere recluso in mezzo ai monti, lontano dai suoi coetanei e dai suoi cari. “Mi trovo bene qui” aveva detto per tutta risposta. “E poi ho conosciuto Abby, Dean, voi. Con chi altri potrei voler passare l’estate?”

Oh, sì, era veramente un ragazzo da sogno.

 

“Di sicuro non le ho dato il permesso io” grugnì Richard, fissando la piccola fata che gli sorrideva luminosa, accovacciata sulla pelle liscia di Abby.

“Oh.” Jason si accigliò. “Allora forse dovrei andare” affermò, cogliendo l’atmosfera che si respirava nella stanza.

Saggia scelta pensò la ragazza, guardando la schiena muscolosa del ragazzo farsi sempre più lontana. Evidentemente il padre notò quello sguardo sognante, perché le si parò esattamente di fronte, il volto mascherata dalla rabbia. “Stammi bene a sentire, signorina” minacciò con il dito rivolto ad una Abby impassibile. “Primo: mi piacerebbe sapere chi ti ha dato il permesso di fare quella roba, chi ha pagato e chi te lo ha fatto. Secondo: reclusa per una settimana…”

“E dove me ne dovrei andare, di grazia?”

“… e terzo: NON OSARE…”

“Papà…”

“ASSOLUTAMENTE…”

“Sherlock Holmes dice sempre…”

“GUARDARE…”

“…che la ragione l’ha sempre vinta sul cuore…”

“IN QUEL MODO…”

“e tu sai…”

“QUEL…”

“che seguo sempre i suoi consigli.”

“RAGAZ…”

Richard!

L’uomo furente si voltò, mentre la madre di Abby lo stava scrutando contrariata da dietro una capretta nera che belava tra le sue braccia. La ragazza si addolcì di fronte a quel musetto tenero; la piccola Delia, infatti, non era nata che da una settimana.

“Che dici? E’ nella sua età prendersi una cotta per un ragazzo carino come Jason! Non è che sei geloso?”

Mentre il faccione del padre di Abby s’imporporava di una piacevole tinta scarlatta, la ragazza sgusciò fuori portata e uscì dalla stalla, respirando finalmente aria pulita e leggera. Non si era mai abituata alla puzza degli animali.

Raggiunse il declivio erboso della collinetta che circondava la malga, il punto più alto, avvolto in un ovattato manto di frasche scure e umide e con il prato morbido percorso da fiori freschi e profumati.

Si sedette tra i fili bagnati di mattino nebbioso e trasse un sospiro. Adorava la montagna, checché ne dicesse ai suoi. Non sapeva nemmeno perché insisteva ogni anno per andare al mare, quando poteva avere un paradiso come quello. A che le servivano le amiche, in mezzo a quello splendido verde che sapeva di libertà, in mezzo a quei trilli gioiosi delle ghiandaie che assistevano commosse alla nascita dei loro piccoli, in mezzo alle nuvole che sfioravano ogni giorno il monte soleggiato, e che sapevano di cielo immenso, colorato, meravigliosamente libero dai vincoli della civiltà moderna?

Chiuse gli occhi, assaporando sulla lingua la debole pioggerellina che scendeva a piccole gocce dalle foglie intrise d’umidità. Fresca.

Già, forse il prossimo anno non sarebbe andata al mare. La riviera era così orrendamente monotona. Nemmeno l’acqua sapeva di fresco come quelle gocce. Era grigia, caotica, sporca. La spiaggia, una terribile accozzaglia di ombrelloni appiccicati gli uni agli altri. Le conchiglie, una minestra di alghe imbrattate di petrolio e meduse morte. Le strade, una sequenza confusionaria di gente che correva, che comprava, che vendeva, che non si godeva l’estate. Le amiche, tirate e disumane sotto quella coltre di trucco, abiti minuscoli, tacchi vertiginosi e superficialità squallida.

Sospettava di non essere l’unica a sentirsi così sola, diversa, esclusa da quel mondo di apparenza e inganno. Eppure, in quei minuti di tranquilla riflessione, il suo cuore sprofondava nella malinconia. Quando Abby si stendeva sotto l’ombra degli alberi gocciolanti, e le foglie del sottobosco scricchiolavano tra le sue scarpe da ginnastica, e i capelli si annodavano dall’acqua che impregnava l’aria e dal fango che sgorgava dal terreno, e sentiva il proprio corpo piacevolmente a contatto con tutto questo, avrebbe voluto sprofondare nella madre terra e rinascere in un altro mondo, in un’altra epoca, lontana da tutti. Lontana dal frastuono della gente, dall’umiltà repressa, dal disonore che incombeva. Esistevano solo lei, i suoi libri di misteri che le aprivano gli occhi sul mondo, e il placido Sherlock Holmes, il suo maestro della moralità e dei sensi di colpa.

“Bello, vero?”

Abby non aprì nemmeno gli occhi quando udì il suo cuore sussultare. Sapeva chi era.

“Tranquilla, tuo padre si è già dimenticato del tatuaggio.”

“Come?”

“Clarie lo ha messo a mungere Belina, e dubito che ne uscirà tanto presto.”

Abby ridacchiò. Belina, una capretta intelligente e irritante, era la più testarda del gruppo e, nonostante il latte che le premeva sulla pancia le facesse male, scappava sempre all’ora della mungitura. Una volta aveva persino tirato una zoccolata a Richard. Solo Jason sapeva come farla ragionare, ma quel giorno Clarie gli aveva espressamene chiesto di rimanere lontano dalla stalla.

“Come mai tua madre ti copre?”

“Oh, è una storia lunga. Anche lei ha un tatuaggio, ma lo ha sempre tenuto nascosto” spiegò Abby. “Una sirena, proprio sotto l’avambraccio.”

“Perché lì?”

“Mio nonno amava il mare, più di quanto gli permettesse la logica. L’ultima volta che mia madre l’ha visto vivo, un piccolo granchio ancora vivo sotto la rete l’ha punta lì.”

Jason tacque. Abby aveva parlato con leggerezza, mascherando il dolore che ancora la pungeva, e lui non voleva intaccare la sua convinta insensibilità.

Il silenzio calò sui due.

Le nuvole frusciavano assieme alle foglie in una danza di piacevole armonia.

Jason si stava giusto chiedendo se poteva liberare la mano della ragazza da una coccinella che l’aveva assalita, quando un grido squarciò l’aria.

“Dean!”

 


>>Ilaja Ciao di nuovo! Tutto bene? Se siete usciti incolumi da quel prologo traumatizzante - c'era pure un corvo cinico, non so se mi spieco ^^- allora avrete letto di sicuro questo capitolo. Non è poi tanto lungo, vero? Nè pesante da leggere, vero?

Okay, non rispondete, fate bene -.-

Alaura... (trad. "Allora": l'ho preso da mio nonno che è un fan del dialetto bologneshe :D Anche se sentita dal vivo fa tutto un'altro effetto^^)

Vediamo di ringraziare dorothy_ e Lulabi per aver inserito la storia tra le seguite :) Ringrazio inoltre quella cinquantina di visite anonime che ha ricevuto il prologo. Sono gratificanti :)

Puoiii... be', direi di passare alle recensioni:

LacrimaDegliDei: Grazie infinite per la tua recensione ^_^ Sì, Duncan è un nome che mi è subito piaciuto molto, e poi si adatta in modo esemplare al personaggio (che vedremo definito per bene solo nel penultimo-terzultimo capitolo, mi dispiace :) Spero continuerai a seguirmi! Bacio!

dorothy_: Intanto ti ringrazio moltissimo per la recensione, l'ho davvero apprezzata. E sai perchè? La gente in genere non viene incuriosita dalle storie. Non pensa. Dice: "Be', vedremo quel che succede..." ma non IPOTIZZA! (o elucubra, che mi piace di più come verbo ;) Alaura... mhmm come già detto sopra, l'identità di Duncan non verrà svelata se non presso la fine della vicenda, quindi tra circa sei o sette capitoli (ehi, sono 10 chappy, per me è già una bella impresa *annuisce vigorosamente*) Quindi... sono contenta che t'incuriosisca, ma non temere, penso che la suspance spunterà fuori anche nei prossimi capitoli...e spero di ricevere qualche altra tua elucubrazione! Un abbraccio forte forte

PS. Detto tra noi, mi piacerebbe se tu tornassi anche in questo capitolo ^_^

Nanakko: In parte ti ho già risposto come messaggio personale.... sono contenta di ricevere la tua recensione, mi ha fatto molto piacere. Vedo che il prologo ispira parecchio...be', un buon inizio! ^_^

Spero di poter leggere al più presto anche la tua di storia, così ci potremo confrontare! Kisses

Lulabi: Grazie anche a te per la recensione! Mi fa piacere che questa storia abbia ispirato così tanto...

Be', ti svelerò un segreto: io sono stata registrata su efp per tre mesi prima di capire come poter pubblicare una storia! -.-" Non sarò 'sta gran maestra d'informatica, però qualche cosa ti posso spiegare...

Alaura: Fare le immagini. Non è complicato, basta capire il sistema ;)

Intanto dovrei sapere se tu per pubblicare usi NVU o il tutorial di EFP. Io uso quest'ultimo e devo dire che mi trovo abbastanza bene. Pertanto ti posso spiegare solo come pubblicarle usando questo editor, che puoi trovare cliccando su Guide/Altro in una pagina di EFP qualsiasi, in alto a sinistra, dopodichè clicchi su Guida all'html e poi clicchi il secondo link.

Be', lì puoi impaginare la tua storia. Per immettere le immagini devi cliccare sull'icona dell'alberello. Ti verrà fuori una finestra, che ti chiede l'URL (l'indirizzo internet) dell'immagine.

A questo punto dipende dall'origine dell'immagine: se l'hai trovata su internet, basta che apri la pagina con solo l'immagine, e ti spunterà fuori ;) se ce l'hai in una cartella del computer, la dovrai immettere su internet, per ottenere l'URL da inserire e poi metterla nel documento.

Per immetterla su internet, io in genere uso programmi come Tinypic, gratuiti naturalmente. Lo cerchi su google e ti viene fuori ;) Dovrai selezionare l'immagine con 'Sfoglia' e poi ti verrà fuori una finestra con l'immagine da un lato e una serie di codici dall'altro. Scegli quello URL (www. tinypic / codice dell'immagine etc....) A questo punto lo puoi inserire con l'Editor ed ottenere il codice HTML da mettere nella pagina Aggiorna/Aggiungi una storia (questo lo sapevi già... l'ho detto, sono dannatamente prolissa -.-)

Note dell'autore?

Vai nel tuo accont di efp e nella sezione "Gestisci l'account" scegli "Cambia NdA e varie" ti verrà fuori una pagina con uno spazio in cui inserire il codice html della presentazione da te preparata (è lo stesso procedimento per pubblicare le storie, anche per le immagini)

Se hai dei dubbi, mandami pure un altro messaggio ;)

Bacioni

 

Bene, allora non mi resta che salutarvi e darvi appuntamento al prossimo capitolo! Bye Bye!!

To be continued...

(hihi l'ho sempre voluto mettere ^^)

 

 

  
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