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Autore: AbdullallaH    04/12/2010    1 recensioni
♪♫ Ogni rosa ha le sue spine, proprio come ogni notte ha la sua alba, proprio come ogni cowboy canta la sua triste, triste canzone... ♫♪
Katherine, detta Kate. Sedici anni, un'adolescente come tante. Chiacchiera, sorride, si innamora, studia, diventa triste. Così triste che a volte, l'unica cosa che la fa stare bene non è la cioccolata, bensì una lametta...
-E' la storia di un periodo della mia vita, iperbolicamente riportata su un foglio di Word-
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Every rose has its thorn
2.



Sei e mezza. Il cellulare iniziò a cantare:
♪♫ We both lie silently still
in the dead of the night…♫♪
Kate prese in mano l’aggeggio e staccò la sveglia. Poi lo accese.
« Scusa tesoro, c’è stato un incidente e un sacco di feriti e penso di dover passare qui la notte… Mi dispiace Kate, avrei voluto passare un po’ di tempo con te questa mattina. Ci vediamo quando torni da scuola e se non hai troppo da studiare magari facciamo qualcosa insieme, se ti va, ok? Ti voglio bene. Buona giornata piccola mia! », ecco ciò che lesse sullo schermo.
La ragazza sbuffò. “Sempre la stessa storia con mamma. Avevo bisogno di passare la mattinata con lei, ma come al solito non ci riesco. Mmh… Questo pomeriggio dovrà farsi perdonare con lo shopping!”.
Si alzò dal letto e tirò su le veneziane. La giornata era appena iniziata: il cielo era ancora rosato e un pallido e timido sole non era sicuro di voler farsi ammirare in tutto il suo splendore, quel giorno.
Prese i vestiti che aveva scelto il giorno prima e andò in bagno, per cambiarsi. Evitò accuratamente di guardare la fasciatura sul braccio: non lo avrebbe sopportato. Si specchiò e si sistemò i ricci capelli castani. Le piacevano un sacco i suoi capelli. Erano il suo esatto contrario: ribelli e anticonformisti. Un po’ come quelli dei membri delle band americane glam rock anni ottanta.
Il problema era che Kate non si sentiva affatto una rockstar. Nemmeno nell’animo. Era una ragazza tranquilla, fin troppo forse. Non timida comunque. Solo che in quel periodo della sua vita, non aveva molto da dire. Tendeva a chiudersi a riccio, sia per proteggersi dagli urti della vita, sia perché non aveva voglia di condividere i suoi pensieri, i suoi dubbi e le sue paure. Aveva il terrore di restare ferita dalle persone. E quindi, preferiva evitare i rapporti umani, in linea di massima.
Aveva solo un grande amico: Sebastian. Era un ragazzo splendido: biondo come un campo di grano maturo colpito dai raggi di sole, con un paio di occhi così verdi che spesso non sembravano nemmeno lontanamente veri. La cosa che Sebastian amava di più era la velocità: suo padre l’aveva messo su un kart da quando sapeva a malapena parlare e la sua passione era cresciuta insieme a lui. Spesso si allenava, amava correre, giocare a tennis o a calcio, ma niente pesi. Il suo sogno era quello di diventare un grande pilota e Kate era sicura che ce l’avrebbe fatta, senza ombra di dubbio.

La ragazza si era incantata davanti allo specchio e non aveva ancora preparato lo zainetto con il cambio per educazione fisica. Finì di mettersi le scarpe, la sciarpa e il giubbotto di corsa e mentre stava infilando una maglietta a maniche corte, che era finita in fondo all’armadio perché da troppo tempo non poteva indossarne una, il citofono suonò.

« Eccomi! », gridò, scendendo le scale come un fulmine. « Siamo in ritardo? », domandò a Sebastian.
« Non preoccuparti », rispose il ragazzo, tranquillamente seduto sulle scale di fronte alla porta della casa dell’amica. « Possiamo camminare con comodo ». Le sorrise.
Kate sospirò sollevata, sistemando a dovere lo zaino sulle spalle. « Come stai Seb? »
« Bene, grazie. Tu, piuttosto? L’hai fatto ancora? ».
Sebastian era a conoscenza del vizio di Kate. Inizialmente, quando lo aveva scoperto, si era dimostrato furibondo, con se stesso per non aver capito i problemi dell’amica, ma soprattutto con lei, perché non riusciva a capire come una persona così splendida potesse farsi del male. Le aveva ripetuto centinaia di migliaia di volte che doveva vivere, non tentare semplicemente di sopravvivere. Era arrivato addirittura al punto di non parlarle più per settimane intere, fino a che non capì che l’unica cosa che avrebbe dovuto fare era starle vicino, consolarla, e non cercare di farla sentire sola e per giunta in colpa. Aveva capito che lei si sentiva già in colpa per ciò che aveva fatto e che Kate era la prima persona che odiava il suo stesso comportamento, ma che a volte le era indispensabile.
« Lasciamo stare, Seb. Ti prego », commentò Kate a quel punto, tenendo gli occhi bassi, rivolti verso i suoi piedi. Sapeva che l’amico non l’avrebbe mai giudicata a parole, ma non aveva il coraggio di incrociare il suo sguardo, per paura di vedere quegli splendidi occhi verdi perdere vitalità e urlarle “Come puoi farti questo?!”.
« Kate… », le sussurrò, fermandosi improvvisamente, « se hai bisogno, io ci sono. Lo sai, giusto? Anche alle due di notte. Non esitare a chiamare. Magari ti può aiutare sentire la mia voce ». Le tese la mano, che la ragazza afferrò volentieri, e avvicinò Kate a sé, stringendola in un sincero abbraccio.
« Grazie mille, Sebi ». Lo guardò negli occhi per un istante: erano del solito verde smeraldo. Non arrabbiati, né tristi o disperati. « Sai », cambiò argomento, « mi sono fasciata il braccio da sola ieri. Mi è venuta voglia di mettere una maglia a maniche corte nell’ora di ginnastica oggi. Sono stufa di dover morire di caldo ogni santa volta! »
« Kate, perché l’hai fatto questa volta? Posso saperlo? ». Sebastian non ci cascava. Insisteva, perché sapeva che lei aveva bisogno di sfogarsi, di tirare fuori tutto ciò che non aveva il coraggio di dire e urlare al mondo. E sapeva che l’unico modo per farle aprire bocca, era di metterla con le spalle al muro.
Kate sospirò e tentennò un attimo. Alzò gli occhi verso il viale alberato che era sulla via di scuola: era inverno, gli alberi erano spogli e tristi. Ma quel giorno sembravano sorriderle. Il sole si era deciso a spuntare alla fine e le nuvole gli ruotavano intorno, in una danza senza fine.
« Papà. Ieri ha chiamato al telefono e… ho risposto io. Non sapevo cosa dirgli e ho messo giù. Ora, possiamo parlare di qualcos’altro? Mh? Per esempio… Come va con Angie? »
« Penso di averle spezzato il cuore ».
« Come?! Anche a lei? Pensavo foste perfetti l’uno per l’altra! »
« Secondo te, come? Con il solito metodo-Seb: dopo aver scopato per la terza volta in una notte, le ho detto a malincuore che meritava qualcuno migliore di me! Sai che se non sono innamorato, è inutile che ci provi. Sono stato con Angie per un mese e niente, la scintilla non è scoccata. Era ora di finirla. Però è stato… Splendido. Ci sa fare ».
« Sei un idiota, Sebi! Mi sa che questa volta è vero, che si merita qualcuno migliore di te, stronzo! », scherzò lei. Risero insieme, percorrendo gli ultimi metri di quel viale alberato.
Girarono l’angolo e la videro: quella terribile prigione che li avrebbe tenuti in ostaggio per cinque lunghissime ore. E poi, ringraziando il cielo, sarebbero di nuovo stati liberi.
« Pff, c’era qualcosa di inglese? », le domandò il ragazzo salendo le scale dell’Istituto.
« Sì, un paio di esercizi. Te li faccio copiare appena saliamo, tanto c’è bio la prima ora ».
« Cosa farei senza di te? »
« Mmh », rispose Kate, scompigliandogli i capelli « forse è meglio non saperlo! ».

Il più grande problema di Seb forse era il suo migliore amico, Bonk. In realtà si chiamava Andrew, ma tutti lo conoscevano per cognome. Era un impecille di prima categoria, sempre a fare dispetti a qualsiasi cosa si muovesse, per il semplice gusto di rompere le palle al prossimo. Era un ragazzo piuttosto pigro e svogliato, che non amava molto studiare. Kate si era fatta l’idea che fossero stati i suoi genitori a iscriverlo in un liceo, magari perché lui non aveva alcuna idea di che studi intraprendere.
In prima superiore, Kate e Andrew non si erano mai neanche degnati di uno sguardo, perché non avevano niente da dirsi né nulla in comune. In seconda però le cose erano cambiate: Seb e Kate avevano stretto amicizia nel giro di pochissimi mesi e stringere amicizia col biondo significava per forza doversi accollare anche Andrew. O il pacchetto completo o nulla.
In realtà, non parlavano comunque granché. Lui non era il tipo da tante smancerie, anzi. Capelli scuri, che non pettinava praticamente mai, e occhi chiari, Andrew al mattino non salutava quasi mai e se qualcuno gli chiedeva « Come stai? », scocciato rispondeva « E come dovrei stare? Bene », con un tono di voce così burbero che avrebbe potuto fare concorrenza a Brontolo dei sette nani.
Quell’anno, Kate si era dovuta sorbire la vicinanza del moro. Erano capitati vicini per caso, durante un’assemblea di classe e i professori erano così contenti della loro vicinanza che avevano deciso di lasciarli così ancora per qualche tempo. Alla ragazza non dispiaceva. Solo che a volte non sapeva come comportarsi con lui: sembrava che ci tenesse a lei, ma se Kate cercava di avvicinarsi un po’, lui la allontanava senza farsi tanti problemi.

Kate e Sebastian entrarono in classe seguiti da George, April e Jennifer, altri loro compagni. Bonk aveva già buttato lo zaino ai piedi del banco ed era quasi sulla porta, pronto a farsi un giro per i corridoi della scuola. « Seb, pronto a fare strage? », domandò all’amico.
« Arrivo! », urlò all’altro capo della classe. « Io e te finiamo di parlare dopo », disse a Kate, lasciandola con in mano il suo cappotto e mettendosi a correre così velocemente che la ragazza non ebbe il tempo di finire di dire « okay »…
Grazie mille @LaDamaDelLago per essere stata la prima a recensire questa storia, venuta su così, dal nulla (:
  
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