CAPITOLO
II
It’s all about Libraries
Francis
sgattaiolò fuori a metà lezione, la natura chiama.
Si
guardò intorno, dove diavolo era il bagno in quella stupida Università? In due
mesi non era ancora riuscito ad impararlo.
Ma
a che serviva?
Quel
posto era un labirinto.
Non
restò fermo come un palo, andò a destra, pregando che fosse la direzione
giusta. Più avanzava e più la folla di studenti prodighi allo studio si
diradava.
Alla
fine rimase solo, a questo punto dubitava fortemente di aver scelto la strada
giusta. Maledetto caffè, ne aveva bevuti due quella mattina. Ma che poteva
farci? L’aveva fatto troppo buono e gli ricordava la Francia.
Fantastico,
guardò l’insegna della porta davanti a lui.
Biblioteca delle Aree Scientifiche.
Sbuffò
sonoramente, per forza che non c’era nessuno lì, chi andava a studiare quella
roba?
Chimica,
Fisica, rabbrividì solo al pensiero.
Comunque,
appena fosse diventato il Re del Mondo, avrebbe dato fuoco ad Oxford
personalmente. Aveva già deciso. Sospirò pesantemente, tanto valeva tornare a
lezione, sarebbe andato con Antonio dopo. Girò i tacchi e restò pietrificato.
«
Ciao Francis», lo salutò dolcemente Sesel, « cosa ci fai qui?»
«
Io…», bene, ed ora che cazzo le diceva? “Guarda
mi sono perso in questa trappola, dov’è il bagno?”. Non glielo avrebbe
detto nemmeno in punto di morte. Pensa Francis, pensa, che vuoi dirle?
«
Ciao Sesel, sono venuto qui in biblioteca.»
«
Ma, non avevi detto di studiare Relazioni Internazionali?», aggrottò la fronte,
Santo Cielo che carina! Riprenditi,
straccio, la tizia ti ha appena fregato.
«
Ecco, pensavo che magari potrei passare di corso, mi sono sempre interessate le
scienze», Francis si dette dello scemo, ma che diavolo stava blaterando? Per
lui le scienze e la matematica erano il cancro del mondo!
Sesel
sorrise.
«
Sarebbe fantastico averti nello stesso corso, ma non ti ci vedo in mezzo ad un
laboratorio», Santo Cielo, ora le saltava addosso, la amava!« piuttosto ti
vedrei in un qualche parlamento», that’s over Baby, here I come!
«
Sesel, andiamo?», che cos’era quella voce profonda? Francis alzò lo sguardo
all’omone biondo vicino a quell’angelo di Sesel. Come aveva fatto a non
notarlo? O sì, lei lo abbagliava!
«
Francis, permettimi di presentarti il mio caro amico Ivan».
Fantastico,
pensò Francis, era pure russo. Esperienze personali gli suggerivano di essergli
amico, piuttosto che nemico. Fece la faccia più simpatica che gli riusciva in
quel momento.
«
Sono Francis, piacere, Ivan!», gli porse la mano.
Il
russo l’afferrò con un sorriso innocente sul viso. Aveva l’innocenza di un
bambino, ma la stretta di un vero Kolhoz.
«
Sono Ivan, vengo da San Pietroburgo», la stretta si fece più forte, e secondo
Ivan, quello significava più amichevole.
Adesso mi rompe la mano,
pensò Francis viola dal dolore. Sesel se ne accorse, e chiese con tatto al
russo di allentare la presa.
«
Ora devo proprio andare», si scusò Francis, accarezzandosi la mano offesa. «
Sesel, ci si vede in giro», la ragazza lo salutò sorridente.
«
Ivan, beh», cosa gli poteva dire? « è stato davvero un piacere, una volta o
l’altra vieni a casa mia che ci beviamo un caffè insieme!»
«
Verrò senz’altro», rispose l’altro.
Ti prego non farlo.
«
Ciao allora», si girò e si allontanò il più veloce possibile da là.
****
Finalmente
la tortura era finita, il professore raccolse le sue carte e Antonio tirò un
sospiro di sollievo, ormai ne aveva davvero abbastanza. Non solo li aveva
rimproverati per il ritardo, ridicolizzandoli davanti tutta la classe,(la
faccia che aveva fatto Francis meritava un Oscar, era diventato rosso di
indignazione, con un tic nervoso all’occhio destro) aveva anche continuato a
riprenderli per tutta la durata della lezione. Non importava per quale
sciocchezza, l’importante era pronunciare un: “ se non la smettete vi sbatto
fuori” ad intervalli regolari.
Francis
si era segnato il nome del professore nella sua agenda per ricordarsi chi
doveva uccidere per primo, una volta uscito da quel dannato ed inutile Ateneo.
Antonio
mise le sue cose nella cartella ed afferrò Francis per il braccio, prima che i
suoi istinti omicidi lo portassero a fare massacro di tutti i testimoni alla
sua strigliata pubblica. Sorrise, gli sarebbe piaciuto vedere Francis fuori di
sé, probabilmente avrebbe tirato fuori un fioretto o una sciabola e avrebbe
cominciato ad agitare la lama fino a quando nessuno fosse rimasto in vita. Ma
non era decisamente il caso di permettergli di fare i suoi comodi, dopotutto,
sarebbe finito in prigione, no?
«
Andiamo a bere, France», e se lo trascinò dietro.
Francis
lo seguì docilmente, dimenticando persino di guardarsi allo specchio, per
controllare che i suoi capelli fossero a posto.
«
Bastardo inglese», borbottò sottovoce, « ecco, Antonio, ora capisci il perché
dell’avversione dei francesi verso gli inglesi?», domandò il francese uscendo
all’aperto.
Antonio
lo guardò negli occhi e sorrise, aveva un espressione imbronciata adorabile.
«
Non badarci, France, andiamo a prendere Gilbert piuttosto, prima che attacchi
rissa con qualcuno, mi sono stancato di fare la crocerossina per lui!», era
matematico, oramai, ogni dannata settimana, Gilbert si faceva pestare, o
pestava qualcuno. Perché? Per le ragazze, ovviamente! Per marchiare il
territorio, o per dimostrare chi era il maschio Alfa. Chissà se tutti i
tedeschi erano teste così calde?
A
sentire Gilbert, suo fratello minore era il suo opposto, ma chissà, Antonio non
riusciva ad immaginarselo un Gilbert junior che si comportava responsabilmente
e non andava a fare casini con gli altri ragazzi.
«
Mi ha mandato un messaggio durante la lezione», disse Francis e tirò fuori il
suo Iphone 4, cercò il messaggio del tedesco e lo lesse ad alta voce: « “ Sono
al The head of the River, venite
subito”».
«
La smetterà mai di comandarci?», chiese Antonio sarcasticamente.
«
Lascia stare, è il suo modo di essere, grazie al cielo si smolla quando
beve!»
«
Ho bisogno di qualcosa di forte, che ore sono?»
Antonio
guardò l’orologio e rispose: « le sette meno dieci adesso».
«
Vorrà dire che oggi inizieremo a bere presto», passò amichevolmente un braccio
sulla spalla di Antonio, ed insieme s’avviarono verso il locale.
***
Elizaveta
e Feliciano si erano separati dopo la lezione, avevano entrambi un impegno, ma
si erano ripromessi di rivedersi quella sera, al River.
La
ragazza avanzò a passo sicuro, sotto la pioggia, verso la biblioteca, aveva
bisogno di trovare il libro per Storia moderna. Doveva anche muoversi, erano
già le sei e mezza di sera e la biblioteca avrebbe chiuso per le sette.
Entrò
in biblioteca, la trovò semi deserta, solo pochi studenti si aggiravano
silenziosi tra gli alti scaffali. L’anziana bibliotecaria la salutò con un
sorriso e un cenno della testa. Elizaveta continuò a camminare, fino alla
sezione di Storia moderna.
Doveva
fare una ricerca su Galileo Galilei e sulla sua teoria dell’Universo.
Incredibile pensare che solo fino a cinquecento anni fa si pensava che la Terra
fosse il centro dell’Universo. Confrontato l’egocentrismo degli studiosi
antichi e della Chiesa Cattolica, persino il tedesco albino che aveva la
sfortuna di conoscere dall’infanzia, sembrava una persona modesta.
Si
conoscevano da quando avevano più o meno quattro anni, erano andati alla stessa
scuola privata. I genitori di Elizaveta avevano insistito che la ragazza
ricevesse un’educazione austriaca. Così la ragazza si ritrovò a frequentare una
rinomata scuola privata, nei dintorni di Vienna, dove appunto incontrò la
piccola peste tedesca, che crescendo non mutò il suo carattere di Prima Donna.
Da
piccola Elizaveta aveva finto di essere un maschio, essendo cresciuta in una
famiglia con cinque fratelli maschi, le era più semplice comportarsi come loro,
alla maschiaccio. Sua madre era morta dandola alla luce, si diceva che avessero
gli stessi occhi, e che i suoi boccoli erano identici a quelli della madre. Il
padre di Elizaveta non aveva molte foto della donna, tranne una, con la moglie
ancora giovane, che conservava nel suo studio, gelosamente, non lasciandola
toccare a nessuno. Era la copia esatta di Elizaveta, sembrava quasi che le due
fossero state clonate.
Salì
sulla scala, non riuscendo ad arrivare ad un libro, sembrava pericolante, ma
lei era leggera e veloce, non le sarebbe accaduto nulla.
Si
sporse in avanti per prendere il libro, scoprendolo tuttavia ancora troppo in
alto per lei.
Si
sporse di più.
Non ci arrivava.
Testardaggine.
Ce la posso fare.
Si
sporse ancora.
Ci sono quasi.
Lo
prese e nello stesso istante perse l’equilibrio, cadde all’indietro.
Non
emise un suono.
Lei no urlava.
Cadde
per il tempo che le sembrò un secolo.
Non più di un paio di secondi
Cadde
nelle sue braccia diafane.
Lui la circondò in un abbraccio
caldo.
Cadde
e fu inondata dal suo profumo.
Si sentì soffocare.
Cadde
e senza girarsi lo riconobbe.
Sapeva che sguardo le stava
rivolgendo.
Cadde
e le lacrime le salirono agli occhi.
Perché era Gilbert.
****
Gilbert
era sempre stato restio dal passare troppo tempo in biblioteca, odiava studiare
ed odiava i libri.
Ok, forse l’unica parte che non disprezzava e
derideva era la storia prussiana, adorava Federico II, era il suo idolo, aveva
sempre letto un sacco di libri su quel re mitico.
Le
sue gesta, le sue innovazioni, erano semplicemente musica e poesia per lui.
Anche
alcuni racconti della mitologia greca, sinceramente, non gli dispiacevano.
Quando
era piccolo, sua madre, per farlo addormentare gli leggeva L’Iliade. Gilbert si
immaginava sempre come l’Achille coraggioso o Paride, che aveva rischiato tutto
per avere la donna che amava, la bellissima Elena.
Non
riusciva a decidere chi avrebbe preferito essere, Achille oppure Paride, amore
o gloria?
Entrò
nella biblioteca di Oxford e cercò qualche libro sulla mitologia greca, giusto
per una lettura leggera post-sbornia.
Quella
sera contava di ubriacarsi fino a perdere i sensi, si sarebbe fatto la belga
entro la sera, sennò non avrebbe più potuto chiamarsi uomo ed esperto Don
Giovanni.
Si, adorava, correre dietro le gonne delle
ragazze.
I
primi tre appuntamenti erano sempre i migliori, in quelli le ragazze mostravano
sempre il lato migliore. Il quarto cercava di evitarlo, solitamente, perché
dopo quello iniziavano le pretese di fedeltà e le promesse d’amore eterno.
Selezionò
circa cinque volumi e si sedette su una delle grandi tavolate in legno, per
darci un’occhiata veloce, prima di decidere quale portare con sé.
La
10 fatiche di Ercole, oppure l’Eneide?
Noioso.
Mise
i due libri da parte, si dedicò agli altri tre.
L’Iliade,
L’Odissea e la Leggenda del Minotauro.
Aprì
L’Iliade e sfogliò i canti fino ad arrivare al suo preferito, Achille contro
Ettore.
Iniziò
a leggere sottovoce, era un bene che a quell’ora erano quasi tutti andati a
mangiare, non sarebbe stato zittito da uno stizzito: “Shhhh!”
Il
rumore di passi famigliari lo distolse dalle pagine ingiallite e lui guardò in
direzione di esso.
Spalancò
gli occhi a vederla avanzare verso di lui, senza vederlo.
Lo
oltrepassò senza nemmeno volgergli uno sguardo, tanto era immersa nei propri
pensieri.
Un
brivido gli percorse la schiena, perché diavolo si comportava come se non lo
conoscesse?
In
due mesi che erano lì, avevano la stessa età, non si erano nemmeno rivolti la
parola.
Sapeva
di averla ferita, ma erano passati già due anni! Lui sperava che almeno la
ragazza gli concedesse l’amicizia, per
ora.
Stupida Ungherese.
Si
alzò e si avvicinò lentamente, la ragazza era salita sulla scala per
raggiungere un libro, si stava sporgendo pericolosamente e la scala non
sembrava delle più sicure.
Aumentò
il passo, finché non si mise a correre, quando la vide cadere all’indietro.
Riuscì
a prenderla, e l’avvolse nel proprio abbraccio, inspirò il profumo di rose dei
suoi capelli. Sospirò, erano almeno sei mesi non la sentiva contro di sé, anche
solo per un abbraccio amichevole.
Liza, mia Liza, perché devo sempre
salvarti, Amore mio?
***
I
due gemelli erano seduti a tavola, nella cucina della villa che aveva
acquistato Lovino, poco fuori dalla città di Oxford, giusto per capriccio. Era
una villa in stile neo-classico, era raro vederne di quel genere in quella
zona. Aveva un grande prato, dove i doberman di Lovino correvano liberi ed
erano altrettanto liberi di azzannare le chiappe di qualunque ospite inatteso.
Al
centro, davanti l’entrata, c’era un’elegante rotonda, con in mezzo una fontana,
che funzionava con acqua calda, ed andava anche d’inverno.
Feliciano
guardò suo fratello leggere il giornale e bere un cappuccino con l’aria più
pacifica di questo mondo.
Nessuna
espressione imbronciata, nessuna sopracciglia rialzata in senso di dissenso, la
sua espressione era semplicemente atona.
Feliciano
si rigirò la penna tra le mani, aspettando che l’altro si degnasse di aprir
bocca.
«
Allora?»
Lovino
lo guardò tra l’interrogativo e lo scocciato, posò a tavola la tazza con la
bevanda e gli chiese:
«
Cosa vuoi che dica scusa?».
«
Per esempio cosa stai complottando», era ovvio che l’altro pensasse qualcosa di
grosso, quando era così non c’era da aspettarsi nulla di buono, lo sapeva
bene.
«
Non ti riguarda, Feliciano», Lovino posò lo sguardo freddo sul fratello, « ti
prego, stanne fuori», era una richiesta o una minaccia?
«
Lovino, per favore!», fece Feliciano, si alzò e si avvicinò dal fratello, «
siamo dalla stessa parte, permettimi di aiutarti».
«
Non c’è bisogno di sporcarsi le mani, tesoro mio», parole dolci pronunciate con
la voce di un pazzo omicida, « voglio solo che
l’austriaco abbassi le arie e che capisca quando è il caso di fermarsi,
dobbiamo dargli dei freni, altrimenti», accarezzò il mento del fratello con
dolcezza, poi mise giù il giornale, per concentrarsi meglio sul gemello. Gli
riavviò i capelli dietro l’orecchio, gli sorrise. Feliciano rispose al sorriso
ed appoggiò una mano su quella del fratello, che si era fermata tra i suoi
capelli.
«
Altrimenti non ci rispetteranno più», terminò Feliciano, Lovino gli posò un
bacio sulle labbra, come fosse un premio per un cucciolo che ha eseguito bene
l’ordine del padrone. Si allontanò dal viso del fratello e disse: « Giusto,
Feliciano», fece una pausa, Feliciano aprì gli occhi, « ma con discrezione, non
vogliamo alzare polvere attorno a noi, vero?»
«
Decidi, Feliciano», fece una pausa e
sorrise.
«
Lo svizzero o il russo?», era come dire: Ade o Lucifero?
«
Lo svizzero, se mandi Ivan ci costa troppo dopo».
«
Come sempre fai la scelta più saggia, fratello mio» l’adulò Lovino. Prese il telefonino
e chiamò il numero dello svizzero, attese la risposta. Appena l’altro alzò la
cornetta iniziò a parlare:
«
Vash, sei fortunato oggi, ho del lavoro per te», sorrise malignamente.
Author’s Corner
Ciao
ragazze! XD ringrazio le quattro che mi hanno commentato, e vi presento questo
capitolo. Qui facciamo conoscenza con Ivan e Lovino. Siate sincere, Lovino
sembra un po’ mafioso o sbaglio? E Feliciano gli pende dalle labbra, asd!
Comunque,
spero che questo capitolo vi sia piaciuto, la settimana prossima vi farò
leggere una Liza/Gil! XD spero vi piaccia, non voglio
spoilerare, ma Elizaveta si comporterà da perfetta
stronza, haha, Gilbert se lo merita, e scoprirete
perché.
Vi saluto,
vostra, Joy.
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chapter: Crazy night in Oxford.