Capitolo sedicesimo.
Ad A., perché senza
“Marina” questo capitolo non c’era.
Non ricordava quando si era svegliata, non ricordava quando
Humbert era salito su quel cavallo e l’aveva issata dietro di lui, ricordava
solo la sete, la stanchezza, il viaggio infinito.
Cavalcavano per uno stretto sentiero di montagna, loro due soli.
Nessuna traccia degli scagnozzi di Humbert.
Tremando, Selene si portò per l’ennesima volta le dita al labbro,
ancora punteggiato di qualche goccia di sangue scarlatto.
< Dove stiamo andando? > chiese per l’ennesima volta, e per
l’ennesima volta ottenne la stessa risposta.
< Lo vedrai. >
Chiuse gli occhi, ascoltando il silenzio.
C’era roccia ovunque.
L’aria non aveva profumo.
Sembrava un limbo tra inferno e paradiso.
Era semplicemente il nulla.
Non c’erano sensazioni percepibili in quel luogo, o forse era lei
che ormai si era talmente abituata al dolore da riuscire a non provare più
niente?
< Eccoci. > disse finalmente Humbert.
Aprì gli occhi. Percorsero l’ultima curva del sentiero sotto un
sole cocente e brillante, e svoltato l’angolo, lo spettacolo più maestoso che
avesse mai visto apparse sotto di loro.
La città di Petra, in Giordania, si estendeva in tutto il suo
imponente splendore sotto la luce cocente di un sole appena sorto.
Era un mondo fatto di luce, di rocce che trasudavano la più antica
magia del mondo, era un mondo di un solo colore, eppure era ciò di più
variopinto la mente umana possa mai immaginare.
< Perché siamo qui? >
Humbert scese da cavallo e le porse la mano.
Selene la ignorò.
< Humbert, perché siamo qui? >
< Scendi. >
< Dimmi perché siamo qui. >
< Domani ci sposiamo. Mi sono già accordato con un sacerdote
del luogo. Ora scendi. Hai bisogno di riposo. >
E lei scese.
Perché non aveva la forza di combattere più.
Era come morta.
Mai come allora la realtà le era piombata addosso.
E l’unica cosa che continuava a ripetersi in mente era la stessa
cantilena, eco delle parola di Humbert.
Petra. Domani ci
sposiamo. Giordania. Sacerdote. Petra. In Giordania. Domani ci sposiamo…
*
L’odore era quello che
ricordava.
Quell’indefinibile
sentore di sudore, di sporcizia, di amarezza e d’incenso, che era percepibile a
metri e metri di distanza dalla tenda rosso scarlatto che fungeva da porta.
Scese dall’auto e alzò
gli occhi verso la squallida insegna del locale.
Astrid dietro di lui
si stringeva il petto con le braccia, a disagio, ma con una furia combattiva
negli occhi che suggeriva la sua voglia di agire.
Andrea gli si avvicinò
e, cautamente, gli mise una mano sulla spalla.
< Ted. Sei pronto?
>
Abbassò gli occhi e
osservò il suo compagno.
< Si. Sono pronto.
>
Era l’imbrunire.
Il sole calava dietro
i palazzi miseri di quel povero quartiere del Cairo, già deserto a quell’ora, disegnandone le ombre distorte e allungate
sull’asfalto grigio.
Si guardarono intorno
per assicurarsi di essere soli, si fecero un cenno, e uno dopo l’altro
entrarono.
Nell’anticamera non
c’era nessuno.
La scrivania dietro la
quale giorni – secoli, pareva a Teddy – prima
era seduto un ragazzetto scorbutico al quale avevano chiesto
informazioni su Makhlouf, era vuota.
Si avviarono verso la
tenda viola scuro tramite la quale si accedeva al locale, ed entrarono in una
stanza larga, dalle luci basse, che puzzava di alcol.
Era quasi vuota,
considerando che si trattava di un locale notturno, e solo un paio di
poveracci, con un bicchiere di whisky davanti e lo sguardo perso, erano tutta
la clientela che a quell’ora occupava il locale di Makhlouf.
Una cameriera dai
lunghi capelli rossi, più nuda che vestita, si aggirava tra i tavoli, negli
occhi tutta la tristezza che si possa immaginare ma neanche una lacrima.
Appena li vide si girò
verso di loro, sobbalzò, e si affrettò tra i tavoli per raggiungerli.
< Il padrone vi sta
aspettando nel suo ufficio. > disse senza preamboli. < Seguitemi. >
Teddy lanciò uno
sguardo agli altri due.
Annuirono.
Era stupido dichiarare
subito guerra, tanto più che correvano molti più rischi così che provando ad
essere, almeno inizialmente, diplomatici.
Ma se avessero opposto
resistenza – ringhiò Teddy tra sé – se avessero anche solo osato, con un gesto,
una parola, accennare ad una dichiarazione di guerra, allora non se lo sarebbe
fatto ripetere due volte.
E sapeva anche con
certezza chi sarebbero stati i vincitori.
Ma non sapeva ancora che,
dietro la pesante porta di legno dell’ufficio di Makhlouf, ad aspettarli c’era
una bella sorpresa.
*
La confusione dei
sentimenti è la cosa più umana, più stupida, e più frequente che può accadere
in ognuno di noi.
Succede, alle volte,
che le emozioni si sovrappongono l’una all’altra in maniera così disordinata e
veloce, guidate dall’ansia e dalla paura, che decifrare il proprio stato
d’animo diventa davvero complicato.
Ma d’altronde, tutto
quello che facciamo, piccole, grandi sequenze di emozioni, ecco cosa sono.
Null’altro che questo.
Un fugace momento, il
cuore che accelera, per paura, per felicità, una lacrima, il sangue alla testa,
le guance che s’imporporano, un brivido, rabbia, un tremito, dolore, un gemito.
Così si sentiva Rose
quella calda sera, nella tenda, nel mezzo del deserto.
Provava paura, provava
speranza, provava dolore quasi fisico, provava disillusione, provava rabbia,
uno dopo l’altro, e la sua mano tremava tanto che quando versò il tè nella
tazza ne rovesciò un bel po’ sul tavolo.
Al la prese e la
strinse tra le sue.
Zem era davanti a
loro, inginocchiata accanto al letto di Scorpius, le lunghe gonne colorate che
spiccavano sullo scialbo pavimento della tenda.
Era un quarto d’ora
che passava il dito sulla fronte del ragazzo, che ne delineava il profilo
aristocratico con le labbra strette e la fronte corrugata, persa in chissà
quale ragionamento.
Ogni tanto mormorava
qualcosa nella sua lingua.
Finalmente si alzò.
Rose e Albus la
imitarono all’istante.
< Non è in pericolo
di vita. Posso curarlo. >
<
Grazie a Dio! >
I loro volti pallidi
parvero catturare tutta la luce immaginabile
e sprigionarla di nuovo, tramite i sorrisi più grandi che Zem avesse mai
visto.
Al prese Rose tra le braccia
e la fece volteggiare per la tenda.
Zem scoppiò a ridere.
Quando però, ancora
con gli occhi che brillavano di quella particolare felicità che si percepisce
nel vedere gli altri gioiosi, tornò seria, Al e Rose la imitarono subito, i
volti ancora accesi di speranza.
< Ho bisogno di
tutto il vostro aiuto e la vostra attenzione. >
Non ci sarebbe neanche
stato bisogno di dirlo.
Pendevano dalle sue
labbra.
< C’è una pozione
che può aiutare Scorpius; si narra che nacque per sbaglio, ai tempi in cui
l’uomo sperimentava la magia un po’ per caso, facendo riferimento ai fenomeni
naturali. Nella nostra lingua la chiamiamo la “Превара„ – L’inganno, proprio perché è
indicata come la pozione che sfida – e a volte vince, la morte. >
< Di cosa hai bisogno? > chiese
Rose mordendosi le labbra.
< Mi servono dei fiori. Un iris nero colto da mani
femminili, un anemone rosso figlio del deserto. Poi, essenza di legno d’acero,
tre gocce di sangue di una persona amata. >
Cadde il silenzio.
Rose, lentamente, prese la scatoletta laccata d’azzurro
nella quale Selene aveva messo i fiori del deserto del Wadi Rum come indizio
per trovarla.
Estrasse l’iris nero, colto da mani femminili, l’anemone
rosso, figlio del deserto, e la bacchetta spezzata di Selene.
Al la sfiorò.
< Acero e crine di Thestral, undici pollici e mezzo,
elastica. > sussurrò.
Alzò gli occhi e si rivolse a Rose. < Ero lì quando la
comprò. > disse con voce spezzata < Ricordo quel giorno a memoria. Avevo
accompagnato Lily a comprare la sua bacchetta, e lei era già lì dentro, stava
scegliendo la sua... o meglio, si stava
facendo scegliere. La prima cosa che pensai fu che aveva i capelli più
belli che avessi mai visto. >
Rose, gli occhi imperlati di lacrime, gli strinse il
polso.
Poi si rivolse a Zem.
< Abbiamo tutto. Credo tu possa facilmente ricavare
dell’essenza di acero da questa. > disse indicando la bacchetta di Selene, ora innocente e misera
come un ramoscello spezzato. Poi continuò. < Hai i fiori. E...> estrasse
la sua bacchetta, fece apparire una boccetta e, ferendosi il polso, lasciò
cadere tre gocce del suo sangue in essa. < ...tre gocce esatte di sangue di
persona amata. > tremando, chiuse la boccetta e la porse a Zem. < Ti
prego. Ti prego. Salavalo. >
*
Petra. Domani ci
sposiamo. Giordania. Sacerdote. Petra. In Giordania. Domani ci sposiamo…
La voce
di tua sorella rimbomba nella tua testa.
Petra. Domani ci
sposiamo. Giordania. Sacerdote. Petra. In Giordania. Domani ci sposiamo…
Cos’è?
Dove sei, Selene?
La senti
e non la vedi.
Ne
percepisci il profumo.
Petra. Domani ci
sposiamo. Giordania. Sacerdote. Petra. In Giordania. Domani ci sposiamo…
<
SELENE! >
E poi un
dolore lancinante, la testa pare esploderti.
Sei
prigioniero del tuo corpo e l’unica cosa che puoi fare è urlare dentro.
Spazio autrice
Buona
domenica a tutti gente!
Allora,
scusatemi se in questi giorni sono scomparsa, ma la mia scuola sta occupando e
il tempo che ho è poco, e quel poco lo passo a tentare di dormire!
Fatto
sta che, dopo aver letto un libro, Marina, di Zafòn, mi sentivo così ispirata
che in meno di due giorni ho scritto questo capitolo.
Devo
dire che a me piace, il che è un evento, anche se è un po’ corto.
A
dire la verità non succede molto, però come potete intuire nel prossimo praticamente
si concetreranno molti eventi, quindi...
Spero
che vi sia piaciuto, fatemi sapere i vostri pareri con sincerità!
Un bacione belli!
A
presto,
Bea.