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Autore: nainai    08/12/2010    5 recensioni
“You Belong to Me I Believe”
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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To the end
 
She keeps a picture of the body she lends.
Got nasty blisters from the money she spends.
She's got a life of her own and it shows by the Benz
She drives at 90 by the Barbies and Kens.
If you ever say never too late.
I'll forget all the diamonds you ate.
Lost in coma and covered in cake.
Increase the medication.
Share the vows at the wake.
Kiss the bride.

If you marry me,
Would you bury me?
Would you carry me to the end?

So say goodbye to the vows you take
And say goodbye to the life you make
And say goodbye to the heart you break
And all the cyanide you drank.
 
“To the end”
My Chemical Romance
“Three Cheers for a Sweet Revenge”
 
Nello sbattere la porta in faccia ai My Chemical Romance, Frank lo sapeva bene di starci lasciando un pezzo di sè. Pure bello grosso. Niente era stato più uguale, dopo, soprattutto lui non era più lo stesso. Jamia aveva assistito impotente ed amorevole ad un processo lento di trasformazione del ragazzo che amava in un adulto disilluso ed amareggiato.
Per un po’ i Leathermouth erano bastati. Gli avevano tenuto il cervello occupato - la penna pure mentre riempiva i fogli di un odio che si diceva di provare ma, ora come ora, non ricordava nemmeno perché – ed avevano fatto il loro lavoro dandogli una scusa per chiudere. Con Gerard e con i MyChem fino a data da destinarsi. Trincerati dietro le “divergenze musicali” di rito, lui e Gee avevano mentito a tutti, anche ai loro amici, per tenere segreto quello che neanche tra loro si erano detti davvero. A più di un anno di distanza dalla chiusura del tour della “Black Parade” nel reincontrarsi tutti agli Studi della Universal, Bob, Ray e Mikey erano ancora ignari di cosa esattamente fosse successo e del perché Frank e Gerard a malapena tollerassero di trovarsi nella stessa stanza assieme.
Quelle litigate senza senso – il senso lo trovavi in qualsiasi cosa, dalla linea di chitarra alla performance vocale del frontman, per arrivare fino a mandarsi a ‘fanculo i parenti risalendo alla decima generazione – erano un modo come un altro per mantenere comunque la distanza. Frank sentiva di non riuscire più a guardare Gerard con la stessa ammirazione fiduciosa con cui “il ragazzino che era stato” lo guardava, ora vedeva i suoi limiti ed i suoi errori con una precisione che faceva male; lui avrebbe davvero voluto avere ancora negli occhi l’adorazione che gli altri sembravano mantenere intatta. Gerard, comunque, non lo aiutava affatto, ostinandosi in una caparbietà inferocita che nessuno di loro capiva, tanto che Brian dovette tirare fuori quella storia di malavoglia e raccontare loro di Lindsay e di Jimmy per giustificare il comportamento del cantante. Frank aveva pensato solo che se fosse stata sua moglie le avrebbe già dato un calcio nel culo da tempo.
E poi si era sentito in colpa nel pensarlo, visto che lui della propria moglie nemmeno si ricordava quando era in tour ed il suo cazzo manifestava le proprie esigenze.
Ma Lynz non gli era mai piaciuta, ed anche se Frank non si diceva le vere ragioni per cui non gli era mai piaciuta, era più che disposto ad applaudire qualsiasi evento che giustificasse un proprio sarcastico “te l’avevo detto” sibilato nel mezzo di una sessione di registrazione, quando Gerard sfiancava tutti con lamentele infinite. Quella volta lì ne era nata una scazzottata con i fiocchi e, per un momento, mentre si scambiavano pugni ed insulti sul pavimento della saletta negli Studi, Frank si era sentito stupidamente bene, perché almeno un modo – per quanto malato – per averlo ancora addosso e tra le mani lo aveva trovato.
Sapeva bene che finché non avesse preso le distanze in via definitiva da tutti loro, lasciando la band per non tornarci mai più, Gerard sarebbe rimasto dov’era, avvelenandogli l’anima e le vene più di quanto non avesse già fatto. E poco importava che per lui non fosse più una divinità in Terra, fintanto che non riusciva a togliersi dalla mente i suoi occhi, la sua voce, i suoi sorrisi e perché no, i suoi baci e le sue carezze, non sarebbe riuscito a ricominciare a respirare liberamente e smettere di sentire quel dolore sordo alla bocca dello stomaco ogni volta che l’altro era davanti a lui e non gli parlava.
Lì per lì, quando Brian lo aveva richiamato all’ordine, lui aveva anche risposto che non sarebbe tornato. Che andassero a farsi fottere i My Chemical Romance, lui aveva chiuso ed aveva una propria band! E poi era solo la seconda chitarra, no? ne avrebbero trovata in fretta un’altra.
Brian aveva riso senza alcuna allegria ma con un sarcasmo evidente, aveva incrociato le braccia sul petto commentando un “molto divertente, Frank” decisamente privo di sentimento e poi gli aveva ricordato del contratto milionario che aveva siglato con la Universal insieme a quegli altri quattro. Frank aveva storto il naso, borbottato qualcosa e aveva ceduto.
Ovviamente avrebbe ceduto comunque. Come cazzo poteva non farlo, non rivederlo davvero mai più?! Però alla rabbia non aveva proprio potuto rinunciare, altrimenti, cazzo, sarebbe stato impossibile ritrovarselo ancora davanti!
Tutto questo andava bene, era giusto. Gerard aveva reagito alle sue istigazioni, lo aveva insultato e pure picchiato, gli teneva testa in sala di registrazione e gli teneva testa quando c’era da prendere qualche decisione. Frank pensava con una smorfia che adesso sì, si stava sudando e guadagnando la propria leadership. Non gliene faceva passare una, provando anche un certo piacere nel tormentarlo, pure per il solo gusto di farlo.
Mikey e Ray se n’erano accorti – Bob no, ma lui non li conosceva così bene – il più piccolo aveva smesso di rivolgergli la parola per un pezzo – sei ancora il mio migliore amico, Mikey, vaffanculo! – Toro aveva tentato di mediare, rimettere insieme dei cocci per tutti loro inspiegabili.
Ma per quanto stronzo, arrabbiato, deluso e ferito potesse essere, Frank lo sapeva che l’aver accettato di rimanere nei MyChem – di rivederlo – aveva un solo significato. Quel dannato idiota era ancora così fottutamente attaccato al suo sangue da avvelenarlo completamente. E lui non voleva proprio disintossicarsi.
-…cosa cazzo ci fai qui?
Gerard era esausto mentre lo diceva. Non c’era nemmeno rabbia nella sua voce, solo un gemito strozzato di paura e disperazione. Era pallido come non mai, chiuse gli occhi davanti alla luce troppo forte del sole che arrivava dalle vetrate dietro Frank, ma non si spostò dalla porta d’ingresso.
-Mi assicuro che tu sia vivo.- ammise Frank piatto.
Non sapeva nemmeno lui se voleva davvero suonare freddo e distaccato come aveva fatto, sapeva che avrebbe voluto vederlo rientrare, magari sedersi e bere un bicchiere d’acqua. Aveva la sensazione che tra un momento gli sarebbe cascato tra le braccia come in un film per ragazzine.
Sospirò quando capì che l’altro non intendeva fare assolutamente nulla. Gli mise una mano addosso per spingerlo dentro e Gerard sembrò trovare tutto d’un colpo le forze perdute, si divincolò con un ringhio basso e pericoloso e fece un passo istintivo all’indietro per portarsi fuori della sua portata, ma senza lasciargli libero l’accesso a casa.
-Frank, cosa cazzo vuoi?!- ripeté rabbiosamente ed a voce alta.
Il chitarrista non sapeva se gioire di quella istantanea ripresa, ma a bruciapelo si rispose di no.
-Te l’ho detto.- ribadì lento e basso.- Volevo assicurarmi che stessi bene.
-Sto bene!- ritorse l’altro secco.- Ora puoi anche andare al diavolo da un’altra parte!- aggiunse facendo per sbattergli sul muso il battente.
Frank lo bloccò con una manata, entrando di forza dentro casa e spintonando Gerard all’indietro nello stesso gesto. Lì per lì lui indietreggiò, sorpreso, ed il più giovane chiuse la porta dietro di loro con un calcio.
-Non ti riesce proprio di capire quando è il momento di piantarla, eh Gerard?- si stava informando pacatamente Frank.
-Sei in casa mia! Senza permesso! Nessuno ti ha chiesto di venirci ed ancora meno di entrare…! E vieni a dire a me che ho passato la misura?!- scandì Gerard piantandoglisi davanti per impedirgli di continuare ad avanzare.
Frank non ribatté. Con un’occhiata circolare colse l’insieme dell’ambiente, scrutando attraverso le porte le stanze che si aprivano sull’ingresso.
-…questo posto sembra una tomba.- mormorò disgustato. E poi scattò in avanti con tanta rapidità che Gerard non ebbe il tempo di fermarlo.- Apri queste cazzo di finestre e piantala di giocare al quattordicenne emo, Gee!- lo rimproverò mentre avanzava lui stesso verso le vetrate del salone e si metteva a tirare le tende pesanti per fare entrare il sole.
-Frank!- lo richiamò Gerard inferocito.- Frank, smettila subito e vattene! Esci da qui, Frank! IERO!
Si voltò. Sia per quel cognome gridato con tanto astio da fare male, sia per la mano pesante che gli stringeva dolorosamente la spalla. Gerard ansimava, scarmigliato e trasfigurato dall’ira che pulsava attraverso le sue dita, le sentiva artigliargli direttamente la pelle sotto i vestiti tanta era la cattiveria con cui lo tenevano fermo. Gli stava facendo male.
-Non sei ancora stanco?- gli chiese in tono calmo. Lo sentì rilassarsi, se ne accorse perché la sua mano stringeva appena un po’ di meno.- Non ti è bastato quello che è successo? Vuoi urlare, Gerard?- lo interrogò.- Bene. Fallo.
Deglutì a forza. Lasciandolo di scatto come se bruciasse.
-Levati da qui. Ci penso io ad aprire.- sbottò Frank spostando gli occhi. Chissà se c’era un modo per ottenere che parlasse…uno qualsiasi…
***
Sentiva il rumore dell’acqua attraverso la porta chiusa ed, anche se era più di un’ora che Gerard era sparito in bagno, confidava – sperava – di non doversi preoccupare di ritrovarlo morto. Sbuffò, le mani in tasca, fermo sul pianerottolo che collegava il primo piano della casa al secondo. Davanti a sé aveva la porta dietro cui si era infilato il più grande dopo il loro “scontro” verbale al piano di sotto, sulla sinistra c’era la porta della camera da letto patronale. Puntò da quella parte, avrebbe recuperato qualcosa di pulito per l’altro visto che si era chiuso in bagno senza nemmeno preoccuparsi di portarsi dietro un ricambio. E così avrebbe avuto anche una scusa valida per entrare ed assicurarsi che fosse vivo.
Aprì la porta con qualche difficoltà, sembrava che la serratura fosse rotta o qualcosa del genere, nel far scivolare il battente sui cardini lasciò a terra una striscia più chiara sullo strato spesso di polvere che ricopriva il pavimento.
Il cuore mancò un battito.
All’interno la camera era stata trasformata in un deposito confuso di oggetti; erano mesi che nessuno entrava lì dentro – Frank se ne accorse con facilità – sul letto erano accatastate in disordine diverse tele non finite ed altre completamente bianche, in un angolo stava un tavolo da disegno e per terra valigette di colori ed album ormai rovinati. C’era una culla per neonati, azzurra, un orso di peluche gigantesco con il pelo arruffato dalla polvere, una cassapanca con disegni infantili…
Camminò all’interno muovendosi come in un reliquiario, con tutta l’accortezza che sentiva di dover riservare a quel posto. C’era metà della vita di Gerard lì dentro: il vestito che Lindsay aveva portato al matrimonio – e che lui non aveva nemmeno visto, se non nelle foto – era buttato sul letto, semisepolto sotto una delle tele ed una valigia dall’aria anonima; c’era una scatola piena di fumetti e di pupazzi di supereroi, alcuni si ricordava che li avevano comprati assieme; l’armadio era aperto ed era stato svuotato di tutti gli abiti, dentro erano stati sistemati alla rinfusa più contenitori di plastica trasparente, dentro uno di quelli Frank lesse i titoli di un paio di album dei Misfits.
…che diavolo stava succedendo?
-Frank?
Si voltò di scatto, sentendosi come un ladro sorpreso con la refurtiva in mano. Gerard lo guardava  dalla soglia della camera, un accappatoio addosso ed un asciugamano a frizionare i capelli bagnati. Non sembrava turbato all’idea che fosse entrato lì dentro e Frank si obbligò a rilassarsi anche lui.
-Cosa stai facendo?- gli chiese il più grande.
-Volevo prenderti dei vestiti puliti.- ammise soltanto, tirando un respiro profondo prima di parlare. Nonostante tutto la voce non aveva vacillato.
-Non dormo più lì dentro.- si limitò a comunicare Gerard, anche se la cosa era sufficientemente evidente ad entrambi.
Si spostò lungo il corridoio, mentre Frank gli andava dietro chiudendo di nuovo la porta, lo vide entrare un paio di stanze più avanti, in quella che una volta era stata la camera degli ospiti. Frank si affacciò alla soglia subito dopo di lui e lo trovò impegnato a cercare una maglietta all’interno di una cassettiera.
-Sono vivo.- riferì brevemente Gerard quando, voltandosi, si accorse che Frank era ancora lì, appoggiato allo stipite, e lo scrutava con attenzione. Si girò a frugare dentro l’armadio alla propria sinistra, ma Frank non si era mosso quando tornò a voltarsi con i jeans in mano. Lo guardò.- Sono vivo, ho detto!
-Me ne rendo conto.- ribatté il chitarrista serafico.- Respiri!
-Bene. Quindi, cosa ci fai ancora qui?- lo interrogò l’altro buttando malamente i vestiti sul letto.
Frank avrebbe avuto un milione di risposte valide da offrire. “Mi assicuro che ci resti, vivo”; “Vorrei capire che cazzo è successo nella tua testa”; “Sono qui perché sono sinceramente preoccupato per te”. Ce n’erano altre, ma le scartò tutte comunque perché tanto erano sullo stesso tono. Annuì brevemente, accennò un saluto con la mano ed uscì.
***
-E questa sarà la stanza del bambino!- aveva esclamato Lindsay piroettando su se stessa all’interno della cameretta. Gerard aveva sorriso nonostante tutto nel vederla così raggiante, lei si era fermata di colpo proprio al centro della stanza e lo aveva guardato.- Così è di fianco alla nostra e se piange lo sentiamo subito.- aveva spiegato lei.
Di quel progetto erano rimaste quattro pareti colorate in azzurro ed in giallo, a superfici opposte, ed una tenda con le mongolfiere appesa davanti la finestra a veranda. Gerard respirò piano, allungò la mano ed afferrò la maniglia della porta per tirarsela dietro uscendo.
La distanza tra la cameretta e la scala che portava al piano inferiore non gli era mai sembrata più lunga da percorrere, soprattutto perché doveva per forza passare davanti a quell’altra stanza. Quella che lui e Lindsay avevano diviso – nella buona e nella cattiva sorte! – “finché morte non li aveva separati”. Nei primi giorni dopo il ritrovamento del suo cadavere, quando si era ostinato a non andarsene, a non rifugiarsi da Mikey come pure suo fratello lo aveva scongiurato di fare, si era detto ironicamente che, vista la splendida piega del loro matrimonio, era stata una fortuna che la Morte ci avesse messo tanto poco a separarli. La prospettiva che la Buona e la Cattiva Sorte potessero trascinarli negli anni fino a che fossero diventati entrambi gli scheletri di quello che avevano amato da giovani, lo tormentava al punto da farlo ridere nel ripensare alla scena che aveva trovato in quel bagno. In fondo era stata sufficientemente irreale da pensare di essere in uno dei loro video, magari uno di quelli più macabri ed ossessivi, ma di sicuro uno dei meglio riusciti. Poi si era reso conto di stare impazzendo, molto lentamente ma con una costanza invidiabile, ed aveva deciso che era davvero il caso di prendersi una pausa. Mikey lo aveva tenuto con sé per il tempo necessario, quando era tornato Gerard aveva trovato la forza di reagire, forse non nel modo giusto – suo fratello gli aveva chiesto di vendere la casa e comprarne un’altra, ma lui stavolta era stato irremovibile – ma nell’unico che riusciva ad elaborare. E chiudere quella stanza  - così come lasciare intatta l’altra, la cameretta, a monito di un futuro che non gli sarebbe spiaciuto poi così tanto – prendere le sue cose, quelle ancora importanti, e trasferirsi nella camera degli ospiti era stato il suo modo di metabolizzare quella fase della propria vita.
Il passo successivo era buttare fuori il dolore; per quello i ragazzi avevano detto a Brian che adesso erano pronti.
-…sì, resto qui.- Gerard si fermò sull’ultimo gradino, tendendo l’orecchio a quella voce. Non era andato via?- E’ la cosa migliore, Jamia. Spiace anche a me, porta pazienza. Ti amo…
Puntò da quella parte con tutta la rabbia che sentiva ancora in corpo. Aveva tollerato anche troppo! Va bene presentarsi lì, va bene costringerlo a lasciarlo entrare, va bene recitare la parte dell’amico che si preoccupa – 'cazzo aveva da preoccuparsi? Non era lui quello che cantava in giro di volerlo vedere all’Inferno?! – ma a tutto c’era un limite.
-Frank, cosa diavolo fai ancora in casa mia?!- lo aggredì ancor prima di entrare in salotto.
Lui stava chiudendo la telefonata in quel momento. Si voltò con un’aria talmente rilassata e distesa da fargli saltare i nervi, sembrava che qualunque cosa facesse non riuscisse proprio a smuoverlo dalle sue decisioni. Qualsiasi esse fossero.
-Qual è il tuo problema, Gerard?- gli ritorse il chitarrista pacato.
-Il mio problema?!- scattò Gerard ironicamente.- Il mio problema sei tu, Iero!- ruggì, gesticolando platealmente mentre parlava ed incombendo minacciosamente su di lui- Il mio problema sei tu da mesi! E sembra che sia tu ad avere un problema con me! Quindi, ora mi chiedo cosa diavolo ci faccia in casa mia la persona che dice in giro di odiarmi tanto da non poter tollerare la mia vista!
-Ti sbagli. La tua vista la tollero, è che quando apri la bocca rovini l’effetto scenico.- ribatté incolore Frank.- Ora ti spiace farti indietro? Stai invadendo il mio spazio vitale.- spiegò facendogli cenno di spostarsi.
-Tu il mio spazio vitale lo stai appestando da ore, ormai.- ringhiò Gerard in risposta, facendo comunque un passo indietro, ma solo per evitare che Frank lo toccasse. Aveva scoperto che non sopportava che lui lo toccasse, per nessuna ragione.- Ho qualche speranza di riavere la mia libertà?!
-Più libero di così!- sogghignò cattivo Frank.
E se ne pentì. Nel momento stesso in cui vide la faccia di Gerard perdere di nuovo quel po’ di colore che aveva riacquistato dopo la doccia.
L’altro sembrò quasi sgonfiarglisi davanti, Frank ebbe l’immediata percezione di quel ritrarsi, come all’interno di un guscio che era solo la sua testa, qualche pensiero dentro cui il più giovane non riusciva – non poteva più – seguirlo.
Per un momento provò il senso feroce di quella mancanza: aveva perso la capacità, ma ancor prima la possibilità, di entrare in sintonia perfetta con la persona che aveva davanti a sé. Più di ogni altra cosa, avrebbe pagato qualunque prezzo per tornare indietro.
-Resto qui, oggi.- sussurrò deglutendo a fatica. Gerard continuava a non reagire e a non guardarlo pure se i suoi occhi erano piantati su di lui. Frank andò avanti imperterrito, decidendo coscientemente di prenderlo per un consenso tacito alle sue pretese.- Mi fermo a dormire da te.
-…fai come vuoi.- fu l’unica risposta che ottenne, data senza forza e senza sentimento un momento prima che Gerard gli girasse le spalle e se ne tornasse al piano di sopra.
***
Frank aveva iniziato una scrupolosa ispezione della casa. In realtà non ne aveva avuto intenzione, ma quando era salito alle camere da letto ed aveva scoperto che la seconda stanza degli ospiti era stata trasformata in un mausoleo vuoto fatto di pareti color carta di zucchero e tende a disegni per bambini, aveva avuto sinceramente paura. Quindi aveva preso a girare tutta la casa.
Gli fece un po’ male entrare nello studio di Gerard – ci era stato altre volte prima che lui si sposasse, lo ricordava bene, ed era sempre stato un gran casino di fogli da disegno, pennelli, dischi, dvd e “giocattoli” di ogni tipo – e trovare un ordine asettico, impersonale, proprio di un luogo che non veniva mai utilizzato, se non per lavoro. Il Mac sulla scrivania era acceso, sul desktop erano segnalate tre nuove mail in arrivo, una era di Mikey che probabilmente voleva notizie del fratello. Frank si lasciò cadere sulla poltrona di pelle e prese a dondolarsi pigramente a destra e a sinistra mentre fissava pensieroso la stanza.
Due loculi ed una camera mortuaria…
-Vivi in un cimitero, Gerard.- sussurrò a se stesso.
Quanto meno era stato felice nel notare che non c’era alcool di nessun tipo in casa, nemmeno birra.
Si alzò per tornare sui propri passi. Era stanco anche lui ed aveva bisogno di riposare; si assicurò che Gerard fosse nella sua stanza a dormire e poi se ne tornò in salotto, stendendosi sul divano ed incrociando le braccia al petto.
Si svegliò il mattino dopo con la sensazione fisica di non aver dormito così bene per un sacco di tempo.
 
 
 
  
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