Serie TV > Castle
Segui la storia  |       
Autore: Luli87    10/12/2010    9 recensioni
Un caso troppo pericoloso, un giro di prostituzione gestito da russi da scoprire e fermare. L'FBI vuole Kate nell'operazione, ma Castle non vuole restare fermo con le mani in mano.
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 4. L’incontro.
 
Ore 8.30 Vigilia di Natale.
 
La neve cadeva lentamente, scendeva pigra dal cielo, roteando in mille modi possibili prima di attaccare a terra. Kate camminava da dieci minuti. Si strinse la sciarpa intorno al collo, faceva veramente freddo. La città era ancora addormentata. C’erano i negozi ancora chiusi, le luci spente degli addobbi natalizi ad ogni angolo della strada.
Ma cosa mi è passato per la testa? Perché ho come il presentimento che questa operazione finirà male? Kate camminava lenta, trascinando la valigia dietro di sé. Nella sua mente le immagini di quella ragazzina. Qualunque tragedia ci fosse dietro, doveva restare concentrata sull’operazione.
E Castle... Spero davvero che non farai nulla di insensato, resta a casa e aspetta una mia chiamata, andrà tutto bene. Non fare pazzie come tuo solito, per favore.
I suoi pensieri però furono interrotti. Kate sentì un rumore di passi sospetto. Non erano passi svelti. No. Era un rumore di passi che andava alla pari con i suoi. La stavano seguendo?
Kate si fermò. Quei passi si fermarono.
Kate fece dieci passi, lentamente, e li contò.
Uno,  due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci. Ferma.
Quei passi la seguirono, alla sua stessa velocità.
Poi fermi, entrambi.
“Buongiorno signorina, posso sapere cosa ci fa una ragazza tutta sola in giro per la città, a quest’ora, con questo freddo e questa valigia pesante? Mi permetta di aiutarla.”
Kate si  girò. Un uomo in cappotto nero, giacca e cravatta, con la sigaretta accesa, la fissava sorridendo. Irriconoscibile, l’agente Green, se non fosse per la stessa piccola cicatrice sul volto che ricordava Kate. Era così diverso dalla prima volta che l’aveva visto che al momento non lo riconobbe subito. La prima volta al distretto, il giorno prima, le era sembrato un barbone: aveva una tuta sgualcita, capelli arruffati grigi, sembrava aver passato le pene dell’inferno. Adesso invece le si presentava un uomo completamente diverso, ben vestito, pettinato, molto elegante, quasi attraente. Dopo aver intuito che fosse lui,  non sapendo se era sorvegliato o meno, decise di restare al gioco e con accento russo rispose: “Grazie. Lei è molto gentile. Sono appena arrivata da Mosca, un’amica mi ha detto di vivere qui vicino, sto cercando l’indirizzo.”
“Non si preoccupi Nadia, la accompagno io.” Green strizzò l’occhiolino alla detective, prese la valigia e si incamminò. Kate lo seguì. Il fatto che l’avesse chiamata Nadia la rassicurò. Era proprio l’agente Green e non era sorvegliato. Potevano parlare liberamente. Ma la prudenza non era mai troppa.
Kate gli sussurrò: “Che cambiamento!”
Green rispose, sussurrando anch’egli: “Sì, cambio spesso personalità. Oggi sono un uomo d’affari, ieri un barbone, domani non lo so. Lavorando come infiltrato funziona così.” Poi un colpo di tosse. “Quei russi mi stanno aspettando, è pronta?”
 “Sì”. Kate disse quel poco convinta. Deglutì e si calmò.
Andiamo Kate, puoi farcela. Ne hai viste sicuramente di peggiori. Andrà tutto bene. Sai difenderti, sai colpire. E allora perché questo peso che sento allo stomaco? Se qualcosa dovesse andare storto…
Camminarono per una decina di minuti, presero la metropolitana per cinque fermate ed ecco un hotel. Un hotel ormai in disuso da mesi. Kate alzò lo sguardo: sei piani, mattoni a vista, vetri rotti alle finestre. Un edificio ormai chiuso al pubblico. Green le fece segno di entrare.
Kate salì i pochi gradini che la separavano dalla porta di ingresso. Faceva freddo. Si guardò intorno. Tanti edifici alti e cupi, ma nessun segno di vita. Non c’era nessuno per strada, non un cane, non una macchina.
Green tossì.  E dalla porta rumori di passi. Poi un click e la porta si aprì.
 
“Castle, al prossimo incrocio gira a sinistra!” indicò Ryan.
“Dove, qui?”
“No, no! Al prossimo!”
Esposito aveva dato precise indicazioni a Ryan e all’FBI su dove si trovasse Kate, e Ryan poteva riconoscere il luogo esatto anche dalle immagini che riceveva grazie alla micro videocamera di Kate.
“Perfetto, fermati. L’edificio è a un isolato da qui, alto, mattoni a vista. Ora dobbiamo solo aspettare.”
 
Kate e Green entrarono in quella che una volta doveva essere la hall dell’hotel. Pochi tavolini, qualche sedia, il bancone di un bar e sgabelli. C’era poca luce, le finestre erano tutte chiuse. Kate sentì la mano di Green sulla sua schiena e venne spinta in avanti, talmente forte che quasi perse l’equilibrio.
La recita era iniziata.
Kate fece qualche passo avanti, Green dietro di sé. La porta si chiuse di scatto.
Eccolo, Golovanov. Era comparso da dietro la porta. Un uomo altissimo, quasi un metro e novanta, molto robusto. Biondo, capelli spettinati. Rosso in volto, come se avesse appena finito di correre la maratona di New York. Si avvicinò all’agente Green: “Andrei, sei sempre puntuale.”
Andrei? Dev’essere il suo nome sotto copertura. Intuì Kate.
L’agente Green gli sorrise sarcastico: “Impara a fidarti di più di me. Mantengo la parola. Guarda cosa ti ho portato. Nadia.” e indicò Kate.
Il colosso la guardò e le si avvicino. Poi, in russo, gli disse: “Molto bene. Davvero, hai buon occhio. Sergei apprezzerà.” Prese Kate per un braccio, le strinse il mento in una mano e la osservò meglio. Kate rimase immobile.  
Green si accese una sigaretta, e per distrarre il russo chiese: “Allora, la mia paga?”
“La tua paga?” Golovanov rise. “La tua paga l’avrai come tutti, quando Sergei vorrà. Ora vattene, porta via la valigia e i documenti della ragazza, falli sparire. Sai dove andare, ti chiamerò quando avrò nuovi ordini.”
Green si diresse verso l’uscita, lanciando un’ultima occhiata d’intesa a Kate. Buona fortuna, pensò l’uomo.
Golovanov lo accompagnò alla porta e una volta che quello fu uscito, chiuse a chiave.
 
“Ci siamo, è dentro.” Esposito comunicò.
“Sì, ricevo le immagini. È in compagnia di Ivan Golovanov.” Rispose Ryan. “Aspettiamo”.
Castle era terribilmente nervoso. Gli sudavano le mani. Aveva lasciato il posto di guida e si era trasferito nel retro del furgone, accanto a Ryan, a guardare i monitor. Vedere l’uomo che Kate aveva di fronte non era per niente rassicurante. Era troppo gosso, anche per le sue capacità. Castle iniziò a tremare all’idea che quello la potesse anche solo sfiorare. Era geloso? No, era seriamente preoccupato.
“Ryan chiama Esposito, fallo entrare lì dentro!” urlò al collega.
“Castle! Stai calmo! Non possiamo intervenire! L’agente Shaw l’ha vietato!”
Castle scosse la testa e indicò lo schermo davanti ai loro occhi: “Ma lo vedi quel coso?! Se solo alza una mano, Kate è morta!”
All’improvviso, bussarono da fuori del furgone. Castle e Ryan si fissarono preoccupati.
“Ci hanno scoperto?”chiese lo scrittore.
“Adesso tu te ne torni al posto di guida e io vedo di sbrigarmela.”
Castle obbedì, contro la sua volontà. Si sedette, composto, con le mani sul volante. Non potevano averli scoperti. Non avrebbe resistito lontano dall’azione, era troppo in ansia per Kate. Voleva restare lì, pronto ad intervenire.
Ryan aprì lentamente il furgone. L’agente Green li aveva raggiunti. “Detective, l’agente Shaw mi ha ordinato di venire qui e tradurre nel caso Golovanov parli russo. Mi faccia salire, subito.”
Castle si abbassò il cappellino sugli occhi, bene attento a non farsi riconoscere. Doveva sembrare un agente qualunque. Ryan fece entrare l’agente Green e quello si posizionò davanti agli schermi. Prese un paio di cuffie e stette in ascolto.
“Agente Shaw, sono appostato.” Comunicò alla ricetrasmittente.
“Perfetto Green. Mi raccomando al piano.”
 
Green se ne era appena andato, portando via la sua valigia, i suoi documenti, tutto. Golovanov l’aveva congedato, dandogli il compito di far sparire ogni traccia della donna. Adesso a Nadia ci avrebbe pensato lui.
“Perché sono qui, che cosa vuole da me? Dov’è andato Andrei? Aveva detto che mi avrebbe accompagnata da un’amica. ” chiese Kate, fingendosi spaventata e guardandosi intorno.
Adesso era sola. La sua squadra e l’FBI non erano lì. Doveva cavarsela da sé.
Non vedeva molto, non c’erano luci accese. La poca luce a disposizione entrava dai vetri rotti delle finestre.  
Golovanov le girò intorno un paio di volte, sorridendole e sorseggiando vodka liscia.
“Quanti anni hai? Venticinque?” le chiese, sfiorandole il viso.
“Che… che posto è questo? Chi sei tu?” ma ad un tratto smise di fare domande: Golovanov le era sempre più vicino e la sfiorò. Volto, collo, seno, fianchi. Le porse il bicchiere di vodka.
“Non bevo.”
Quello le mise una mano dietro la testa e con forza le avvicinò il bicchiere alla bocca.
“Bevi” le disse.
Ma Kate resistette. Spinse via il braccio di Ivan e fece cadere a terra il bicchiere. La rabbia si impadronì di lui. Le tirò uno schiaffo in pieno volto, la prese per un braccio e la strattonò a terra. Kate si finse debole, cadde per terra, con il braccio destro lungo sotto la testa.
Un violento. Non è un buon inizio. Pensò Beckett.
Nonostante volesse reagire, Kate decise di recitare ancora. Aveva un compito da portare a termine.
Ivan le tirò un calcio. E poi un altro e un altro ancora. Il terzo calcio fu il più forte: Kate sentì un dolore fortissimo che la costrinse a stare a terra. Golovanov si tolse la cintura e le legò strette le mani dietro la schiena.
“Irina, qui, SUBITO!” urlò Golovanov.
Una ragazzina uscì da dietro il bancone del bar. Dimostrava quindici anni. Piccola, carnagione chiara, capelli rossi lisci, occhi azzurri lucidi, segno che stava piangendo, e due occhiaie profonde. Aveva le mani legate e le teneva alzate vicino al viso.
Si avvicinò tremando al bastardo. Lui la prese, ridendo le strappò le spalline dell’abitino che era costretta a portare e la baciò ferocemente sul collo.
“Lasciala andare bastardo!!” urlò Kate.
 La bambina si mise a urlare e dimenandosi come meglio poteva, lo graffiò sul volto. Quello allora la spinse contro un tavolo, dove batté la testa e cadde a terra, svenuta.
Si rivolse allora a Kate, ancora indolenzita a terra: “Vedi, qui comando io. E chi non fa ciò che ordino avrà una punizione.”
Kate voleva alzarsi e correre dalla bambina, ma le era impossibile muoversi, sentiva un dolore fortissimo che partiva dalla base del collo e proseguiva lungo la schiena.
Il bastardo andò verso il bar. Pochi istanti. Kate non lo riusciva a vedere, così cercò con lo sguardo segni di vita nella ragazzina. Irina respirava, poteva vedere la sua pancia muoversi lentamente, al ritmo di ogni respiro.
Poi Ivan tornò immediatamente verso Kate. “Bevi.” Le disse di nuovo, avvicinandole un altro bicchierino pieno di vodka.
 
  
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Castle / Vai alla pagina dell'autore: Luli87