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Autore: Lady Snape    10/12/2010    1 recensioni
Preston A. Lodge III, il banchiere, il direttore dell'albergo di Colorado Springs, ricco, bello, raffinato... eppure qualcosa non quadra a dovere. Dopo la bancarotta del 1873, bisogna riprendere in mano la situazione, far ripartire gli affari e, possibilmente, liberarsi dai debiti. Ma come? A voi la possibilità di scoprirlo leggendo questa Fanfiction!
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono piacevolmente stupita! Ritrovarsi dopo tanto tempo con altri commenti è stato un toccasana. Ammetto di essere ancora oberata di cose da fare, un esame a giorni e una convalescenza dovuta all’influenza, ma, dato che un paio di capitoli sono pronti, vediamo di pubblicare.

Grazie alla nuova arrivata ManuBach96 e alla recensione di minouche86: faccio del mio meglio per scrivere correttamente, anche perché anche io ho problemi a leggere testi con errori. Oddio, possono capitare, specie quelli di battitura, ma si riconoscono facilmente e sono diversi da quelli grammaticali, lessicali o sintattici.

Vi lascio con Eva, immersa in un mondo che non conosce e in una situazione difficile, come dover sposare uno sconosciuto.

 

Buona lettura!

 

4 capitolo – BUGIE D’ORDINANZA

 

 

Vivere con Preston non era difficile. Il giovane Lodge era spesso impegnato con il suo lavoro. Era un affarista, forse non proprio per vocazione, ma di certo si impegnava fortemente in questa attività; il resort era un posto frequentato da molti borghesi, di varia provenienza, ed Eva, nonostante gli impegni del futuro consorte, era sempre in compagnia. Non mancavano gli incontri intellettuali con discussioni sulla letteratura, sull’arte o l’opera, ma restavano rapporti effimeri con gente che soggiornava per breve tempo. Fin da subito Eva si accorse che era necessario rendere la relazione con Preston più confidenziale.

Altra questione era rapportarsi con gli abitanti di Colorado Springs. Nella maggior parte dei casi non riusciva a trovare un punto d’incontro, non riusciva ad entrare in confidenza con molti di loro, gente decisamente molto pratica e poco incline a perdersi in discussioni che non trattassero di vita vissuta.

Un’amica, o quantomeno un contatto più intimo, lo aveva con Dorothy Jennings che, scoprì, era socia di Preston per quanto riguardava il Gazette. Era una donna intrigante, che spiccava per il suo sguardo limpido e intelligente. Affamata di letteratura e di notizie, Dorothy era una persona che poteva decisamente esserle amica, avere un qualche tipo di rapporto con lei e, magari, raccontarle qualcosa di Preston, per provare a conoscerlo meglio, a scoprire qualcosa di lui.

                Il primo incontro con Dorothy fu particolarmente imbarazzante. Un lunedì mattina, stufa di vivere quasi segregata nella prigione dorata che era il resort, decise di andare in città con Preston. L’uomo nell’ultimo periodo si era chiuso in se stesso, non aveva molta voglia di parlare ed Eva avvertiva una certa negatività scaturire dalla sua persona. Appena giunti in città, fece un giro sotto i portici. Vedere una cassettina con dei giornali fu come per un assetato arrivare ad una sorgente: pagò il suo nichelino e prese una copia del Gazette. Fu mentre leggeva un articolo su un incidente in una miniera che vide una gonna color lavanda sbucare dalla porta. Alzò lo sguardo e lo incrociò con gli occhi azzurri della giornalista.

< Sono Dorothy Jennings. > si presentò con un sorriso, tendendo la mano.

Parlarono un po’, ma Eva sentiva che c’era una fremente curiosità in lei. Dopo che aveva scoperto che Preston era suo socio, ebbe la certezza che qualche voce su di lei le fosse giunta.

< Quindi siete la fidanzata di Preston. > disse infatti Dorothy, dopo che si erano accomodate al “Grace’ Cafè”. Eva non ne fu tanto stupita, era una questione che sarebbe stata affrontata da un momento all’altro.

< Sì, possiamo decisamente dire così. Per la precisione, dovremmo fissare a breve la data del matrimonio, ma lui ha deciso di aspettare. > si sentì decisamente una bugiarda. Non era esattamente così: avevano dei limiti di tempo per far valere la procura che avevano firmato, ma nessuno dei due aveva avuto il coraggio di tirare fuori l’argomento matrimonio. Non si vedevano molto spesso, Preston fuggiva da ogni contatto imbarazzante e anche conoscersi meglio in vista delle nozze era difficile, nonostante i buoni propositi. Metterli in pratica si era rivelato più difficile del previsto.

< Quando vi siete conosciuti? > chiese Dorothy con l’aria di una che stesse calcolando i tempi e i luoghi del possibile incontro della coppia. Riflettendoci, Dorothy ricordava che Preston era stato a Boston molti mesi prima e non aveva fatto cenno all’incontro con la scrittrice. Conoscendolo, si sarebbe certamente vantato con tutti quelli che fossero stati tanto gentili da ascoltarlo, avrebbe messo i suoi libri in bella vista sulla sua scrivania, avrebbe fatto in modo di venderli da qualche parte, insomma lo avrebbe fatto notare. C’era sotto qualcosa, ne era convinta. Il problema era scoprire cosa.

< Questo è difficile dirlo. > tentò di sviare Eva, che aveva annusato il pericolo < Ma è stato un amore clandestino. > “Certo, così clandestino che non lo sapevo nemmeno io!” si ritrovò a pensare.

Dorothy si meravigliò a questa notizia e bevve ogni parola che la scrittrice sciorinava con mille dettagli, o così parve ad Eva. Alla fine Eva ringraziò Madre Natura per averle dato una fervida immaginazione, una capacità di inventare storie credibili in poco tempo, senza neanche dover star lì a pensarci troppo. Si sentì un verme, questo è vero, ma non aveva scelta, non aveva altro modo per uscire d’impaccio.

                Dopo quella mattina strana, quello che Eva desiderava più di ogni altra cosa era di nascondersi in un buco, in un luogo dove eclissarsi per qualche tempo e far passare la vergogna per quello che aveva fatto. Non era da lei mentire in quel modo, in più non aveva nessun amico lì e la possibilità di fare amicizia con quella donna, che le sembrava una delle poche persone con cui fare un discorso sensato in quella terra dimenticata da Dio, dalle fogne, dall’acquedotto e dalle strade lastricate, sembrava essere sfumata.

 

                Preston ere nervoso. Contava i giorni dall’arrivo di Eva. Più tempo lei era a Colorado Springs, meno giorni c’erano a disposizione per organizzare il matrimonio. Esattamente, però, come doveva gestire la situazione? Una cerimonia pubblica con rinfresco? Non aveva idea di chi invitare, non aveva idea nemmeno di chi potesse essere il suo testimone. Doveva parlarne con Eva, ma ogni volta gli si formava un nodo in gola e non riusciva più a formulare nemmeno una frase. Ammetteva che quegli occhi neri puntati nei suoi gli creavano non qualche problema: sentiva che la donna cercava di indagare sul suo stato d’animo, non si sa se riuscendo ad interpretare i suoi pensieri o trovando davanti un muro. Fatto sta che non poteva perdere tempo ancora per molto. C’erano troppe questioni da decidere, da discutere e da risolvere.

                Fu in merito a questa questione che Preston decise che era il caso di prendere coraggio, un po’ per l’immagine che stava dando di sé, un po’ perché se non si dava una mossa suo padre si sarebbe fatto vivo in qualche modo e i suoi telegrammi e le sue lettere per il banchiere scottavano come se fossero stati un pezzo di lava. Come fare? Non aveva molte idee in merito, ma non aveva molto tempo per pensare.

                Era domenica mattina ed Eva era pronta per recarsi alla funzione del Reverendo. Era un tipo strano il pastore di quel gregge a lei sconosciuto: cieco, ma aveva l’aria di uno che in vita sua aveva combinato un bel po’ di cose, forse non tutte lecite. Inconsciamente appuntò qualcosa nella sua mente da usare nei suoi romanzi. Il protagonista principale, però, restava Preston. Aveva molti appunti su di lui. Quella mattina era un po’ troppo elegante per trattarsi di una semplice funzione religiosa. Quando Eva lo vide scendere per la colazione nella sala da pranzo dell’hotel, aveva una luce strana negli occhi. 

< Buongiorno! > disse, infatti, l’uomo con un’enfasi che non gli apparteneva. A ben vedere Eva notò i movimenti convulsi delle sue mani, quasi volesse scaricare qualche tensione.

I guai, le rivelazioni giunsero quando entrambi salirono sul calesse per recarsi in paese. Il trotto del cavallo era sostenuto ed Eva iniziava a sospettare qualcosa. Mentre attraversavano un piccolo ponte che scavalcava un ruscello, Preston si schiarì la voce.

< Più tardi dobbiamo parlare con il Reverendo. > disse con una voce che pareva quasi non essere la sua, un vero sussurro.

< Parlare di cosa? > la donna temeva la risposta e una parte di lei non voleva saperla. Sembrava che fosse in vacanza, non che fosse lì in Colorado per altre ragioni.

< Eva > iniziò lui con cautela < non voglio metterti fretta o forzarti, ma non abbiamo molto tempo per farlo. > disse ancora senza guardarla, facendo finta di essere tremendamente interessato al panorama che li circondava.

< Tempo per… > le parole le morirono in gola < Lo so. > disse infine, ritrovando sé stessa e un senso di rassegnazione che le perforava il cuore. In ogni caso, le sembrava che Preston ne discutesse come se stesse parlando di una rapina: con circospezione e quasi sussurrando. E forse di rapina, o meglio rapimento, poteva trattarsi.

Preston la guardò per la prima volta da quando erano in viaggio: vederla con il capo chino sulle sue mani guantate di nero, le gote arrossate che risaltavano sul candore della sua pelle gli fece male. Non era giusto, ma non era colpa sua, era stata una scelta autonoma ed Eva poteva ripetere mille volte di essere stata costretta ad accettare perché Lodge II l’aveva praticamente minacciata, ma non aveva nessun valore quest’affermazione alla luce dei fatti.

< Possiamo aspettare ancora qualche giorno se vuoi. > disse l’uomo tornando a guardare davanti a sé, ma il calore della sua voce colpì Eva tanto che fu lei questa volta a sollevare lo sguardo verso il profilo netto di Preston, così compito, ma con uno sguardo indecifrabile.

< No, non è il caso. Meglio farla finita. > le sue parole furono un soffio.

Non parlarono più per tutto il resto del viaggio e, giunti sul prato della chiesa, lasciarono il calesse vicino al ponte. Quando il banchiere l’aiutò a scendere si guardarono per un minuto negli occhi e lessero quanto quella situazione fosse odiosa, ma Eva in più lesse una compassione che la rassicurò un poco.

                < Cosa posso fare per voi? > chiese il Reverendo Johnson quando Preston gli chiese un minuto in privato.

Forse per la lunga conoscenza che ormai aveva del bostoniano, non esattamente una persona innocente e schietta, forse per precedenti inganni che aveva perpetuato contro i cittadini di Colorado Springs, all’inizio il pastore non credette alle parole del banchiere. C’era qualcosa di strano. Poteva essere uno scherzo, Preston che chiedeva di sposarsi sapeva di scherzo, ma una voce di donna giunse alle sue orecchie e capì che era tutto vero. Inoltre Loren gli aveva già descritto la ragazza una delle prime volte che si era fatta vedere all’emporio alla ricerca di libri, quindi sapeva che Eva Simmons esisteva per davvero.

< Vorrei parlare un minuto solo con te. > disse infine. Non era solo curiosità la sua: sentiva che c’era sotto qualcosa.

< Preston, ci conosciamo da qualche tempo e non capisco come mai mi stai chiedendo di celebrare un matrimonio. Non dirmi che conosci Miss Simmons da tempo, perché so che non è così. > era cieco, ma i bluff li sapeva ancora annusare.

< Ho una procura. > disse Preston, sapendo che ne sarebbe venuto presto a conoscenza per questioni legali.

< Nessuno dei due contrarrà il matrimonio contro la propria volontà? > la domanda era insidiosa. Il banchiere si passò una mano tra i capelli.

< Quello che pensiamo è irrilevante. Sappiamo entrambi che dobbiamo farlo. Non mi faccia prediche, non servono. Se vuole parlare anche con Eva, va benissimo, non credo si tirerà indietro, l’importante è fissare una data al più presto, entro 10 giorni. >

Tornati da Eva, venne deciso che il martedì successivo il matrimonio sarebbe stato celebrato.

 

   
 
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