E di nuovo vi ringrazio per le
vostre recensioni che ogni volta mi rendono talmente felicissima :)
CAPITOLO
DICIASSETTE
And
now my life has changed in, oh, so many ways.
My
independence seems to vanish in the haze.
But
ev'ry now and then I feel so insecure,
I
know that I just need you like I've never done before.
(The Beatles,
Help)
Affrettato e
ancora più caotico del solito, Larry raccolse i suoi documenti a lezione
conclusa ed uscì dall’aula, dirigendosi con passi rapidi verso l’ufficio di
Charlie.
«Eccomi di
nuo…vo».
Larry guardò
nella stanza. Nella stanza vuota. Charlie
non c’era.
«Charles?»
Immediatamente
Larry fu di nuovo in corridoio, cominciando una ricerca frenetica del suo
vecchio alunno.
«Charles?!»
Gli studenti
che incontrava guardavano quel tipo strano con meraviglia e qualche volta anche
divertimento, ma Larry non si accorse di quegli sguardi curiosi. Continuò a
muoversi nervoso, colto da un sentimento di paura indefinita, chiamando ancora
il nome di Charlie…
«Stai cercando
me?»
Da un corridoio
laterale rispetto a quello di Larry, Charlie si mosse verso di lui.
«Charles!»
disse Larry per un’ultima volta, e oltre al rilievo c’era anche un po’ di
rimprovero nella sua voce. «Che stai
facendo? Ti ho cercato dappertutto! Ti avevo detto di rimanere in ufficio. Dai,
adesso vieni, ti porto a casa».
In silenzio i
due paia di passi percorsero il corridoio, arrivando fuori, nel caldo sole
californio e infine alla macchina di Larry.
Quando furono
saliti Larry tornò alla carica. «Perché l’hai fatto? Perché non sei rimasto nel
tuo ufficio?»
«Mi sono
ritirato».
«Ritirato?
Perché ritirato? Avresti potuto farlo
anche per telefono, dal tuo ufficio. Oppure meglio: da casa tua. Ma perché sei
venuto a lavorare oggi?»
Non era affatto
facile dirglielo, ancora meno se Larry non gli lasciava nemmeno il tempo di
parlare. «Non mi sono ritirato solo
per oggi…»
«E’ una buona
idea! Dovresti veramente riposarti per qualche…»
«Larry, ti
prego».
E infine,
tacque.
«Non mi sono
ritirato non solo per oggi, ma per un periodo indeterminato».
«Che… che vuoi
dire? È possibile?»
Charlie respirò
profondamente.
«Sì, è
possibile. Per essere più esatti, mi sono appena licenziato. Però se voglio
ricominciare, la CalSci mi accoglierà di nuovo a braccia aperte, a detta della
preside».
Per alcuni
secondi Larry fissò il suo amico a bocca aperta. «Ho capito bene? Ti sei licenziato? Ma
perché, per l’amor del cielo? Per lavorare con Don? Ma Charles…»
«Larry, ti
prego, lasciami finire».
Respirò ancora
una volta.
«Devo dirti
qualcosa di molto importante».
«Sì?»
In fondo era
una frase facilissima. Verbo ed oggetto. Fin a quel punto capiva anche lui la
grammatica. E la frase aveva già resistito ad una prova.
«Ho la
leucemia».
L’aveva detto.
Sì, ne era abbastanza sicuro. Però
Larry rimase in silenzio.
«Larry, hai capito?
Ho la leucemia!»
Ancora nessuna
reazione.
«Larry, mi
ascolti?»
E finalmente ci
fu una risposta.
«Sì. Sì,
certo».
In qualche modo
non era la risposta che Charlie si aspettava. «Larry – hai capito che cosa ti
ho detto?»
Nessuna
reazione.
«Larry, per
favore ascoltami». Charlie accentuò ogni singola parola. «Io sono malato, lo
capisci? Ho l’LMA, è una malattia del sangue.
Io soffro di leucemia».
Charlie tentava
di allacciare un contatto visivo con Larry, ma il suo amico si comportava in
modo poco collaborativo. Almeno la sua successiva risposta fu un po’ più
consapevole della prima.
«Ah… sì?».
Un’esitazione breve prima di levare la sua testa con un movimento brusco. «Sai,
Charles? Non è un bene».
Se lo si avesse
ascoltato bene, si sarebbe potuta sentire una traccia sottile di preoccupazione
nella voce di Larry. Però, in quel momento le preoccupazioni di Charlie per
Larry sembravano predominare nell’atmosfera, poco dopo la confusione di
Charlie.
«Ah… sì… Sì,
questo lo so, Larry».
«Forse dovresti
andare dal dottore».
«Larry – sono
già stato dal dottore. O pensi
che la malattia me l’abbia diagnosticata la commessa del supermercato?»
Larry scosse il
capo, ma Charlie dubitava che fosse una risposta alla sua domanda.
«Charles…
allora credi davvero di avere questa malattia?»
Charlie non era
sicuro di aver ben capito il suo vecchio professore, anzi in quel momento non
capiva più niente.
«Sì. Sì, lo
credo davvero».
«Charles, dai,
vedi… Sai quanto sia improbabile ammalarsi di leucemia?»
«Tre nuovi ammalati
su 100.000 abitanti ogni anno».
«Esatto. Adesso
capisci cosa cerco di dirti?»
«Ad essere
sincero… no».
Larry sospirò
profondamente come se dovesse spiegare a Charlie che la terra girava attorno al
sole. Gli mise una mano sulla spalla.
«Vedi, Charles…
viviamo su un pianeta incredibilmente bello, in un numero inimmaginabilmente
grande di galassie. E su questo pianeta ci vivono, amano e ridono più di sei
miliardi di persone. E solo una percentuale piccolissima di questi sei miliardi
persone ha la leucemia. Perché, per tutto il mondo, dovresti averla tu
tra tutte queste persone?»
Charlie non era
ancora sicuro di aver ben capito.
«Larry,
correggimi se mi sbaglio, ma se ho capito bene tu non credi che io sia ammalato
di leucemia?»
«Ecco, esatto!»
gridò Larry e sembrava contento che il suo ex-studente l’avesse finalmente
capito.
Ad un tratto,
Charlie si sentì terribilmente perduto. Non aveva idea di cosa fare. Aveva
finalmente trovato il coraggio di dire a Larry della leucemia e adesso lui non
voleva credergli? L’idea che Larry, appena saputo della sua malattia, sarebbe
stato un vero appoggio per lui l’aveva così tanto confortato. Era il suo miglior amico! L’aveva capirlo!
Sempre!
Perché non
questa volta?
«Larry, ti
prego» supplicò Charlie con crescente disperazione «devi comprenderlo! Sono
stato dal dottore! Ho un certificato! Posso mostrati i risultati dell’analisi
del sangue!»
«Ci credi
davvero, allora?» Adesso Larry suonava preoccupato, anzi compassionevole.
Pensò. «Dimmi, conosci il film “A beautiful Mind”?»
Certo che
Charlie lo conosceva. E non ci mise tanto per realizzare cosa Larry intendeva
dirgli.
«Larry, non
sono né matto né schizofrenico». aggiunse in modo secco, tentando di nascondere
la sua disperazione. «Ma grazie per avermi paragonato ad un genio».
Larry non
sembrava più essere molto tranquillo in quella situazione.
«Ma Charles…
nessuno ha detto che sei matto».
«Certo, tu».
Quasi con divertimento Charlie vide quanto a disagio fosse Larry.
Però non
dimenticava l’esplosività del problema.
«Va beh, va
beh, va beh…».
Ah ecco: Larry
voleva lasciar stare. Si sentiva a disagio. Aveva paura. Aveva paura che
Charlie fosse matto. Oppure che forse malgrado tutto…
«Sai che cosa
faremo? Ti porto a casa tua. E poi
potrai mostrarmi tutti i tuoi certificati di questa cosa».
«Va bene».
Charlie si era
quasi rassegnato alla situazione. Se Larry non voleva credergli, allora avrebbe
dovuto provarglielo.
La corsa si
svolse in silenzio. Nessuno dei due sapeva come trattare l’altro. E ognuno
aveva un problema con cui poteva stimolare la propria testa.