Chapitre
23
And
in this labyrinth where night is blind…
«Certi
modi
forsennati di guardarmi
[…]
mi avevano
fatto misurare
la
selvaggia forza
della sua passione…»
Il
teatro dell’Opèra Populaire era una costruzione di
eccezionale opulenza, simbolo
del Secondo Impero: fatto costruire per ordine di Napoleone III,
vantava nella
sua struttura espressioni e tendenze provenienti da epoche differenti,
quali il
barocco, il neoclassicismo, il rococò. A tal proposito
nell’ambiente della
nobiltà parigina si raccontava un piccolo aneddoto, secondo
il quale monsieur
Garnier, alla legittima domanda dell’imperatrice
Eugénie che desiderava sapere
in che stile dovesse essere costruito il teatro, se in quello greco o
romano, ebbe
risposto: «È nello stile di Napoleone III,
madame!»
Chiunque
entrava nel teatro, dunque, veniva assalito immediatamente
dall’atmosfera
sfarzosa e regale voluta dall’imperatore: le preziose
scalinate in marmi di
diversi colori, anch’esse teatro dei ricevimenti mondani dove
le stoffe e le
crinoline degli abiti delle gentildonne frusciavano con eleganza tra un
gradino
e l’altro, si affacciavano nel foyer diventandone le
protagoniste. Da qui, gli
avventori dell’Opèra potevano raggiungere la
platea oppure scendere ai piani
inferiori nei quali si trovava un grazioso cafè che rimaneva
aperto fino al
termine dell’ultima rappresentazione.
L’Opèra, insomma, era costantemente
gremita di persone - borghesi
o
aristocratiche – giunte per assistere agli spettacoli o
semplicemente per
visitare quello che era il tempio della musica e della danza.
Tuttavia
il Fantasma dell’Opera conosceva perfettamente i luoghi
lontani dagli sguardi
curiosi e indiscreti dei visitatori, così lui e mademoiselle
Sanders non
incontrarono anima viva durante la loro rapida e improvvisa passeggiata
per il
teatro. Attraversarono saloni scarsamente illuminati e corridoi segreti
nei
quali scarseggiavano le lampade a gas, cosicché Giulia
dovette stringere il
braccio del suo Maestro stando bene attenta a non perderlo, in modo da
non
smarrire la strada. Egli sembrava conoscere quelle gallerie nascoste
come
nessun altro, il che dava credito a ciò che le aveva
raccontato Meg in
proposito – e cioè che, in quanto fantasma,
aveva avuto tutto il tempo del mondo per studiare ogni
percorso e ogni
oscuro anfratto.
Ella
gli aveva domandato dove avesse intenzione di portarla, ma Erik non
volle risponderle
se non con un misterioso: «È una sorpresa, ma
chère». Giulia comprese che sarebbe
stato inutile fargli altre domande, e
che avrebbe dovuto avere la pazienza di attendere che
quell’infinito girovagare
terminasse. Le sembrava quasi di essere tornata nei cupi sotterranei,
benché si
rendesse conto che non era nelle catacombe ch’egli la stava
conducendo.
Dopotutto
era stata una decisione dell’ultimo minuto, presa da Erik
dopo aver visto
madame de Chagny entrare nel suo
teatro con un’aria da primadonna: era talmente furioso per la
scoperta del suo
rientro in città che non sarebbe stato capace di tenere una
lezione di canto
alla sua giovane allieva, così aveva deciso di essere lui,
per una volta, a
rimandarla. Ad ogni modo l’esecuzione del Faust
di quella mattina da parte di Giulia gli avevano dimostrato che la
ragazza non
necessitava di ulteriori insegnamenti – anche se, di questo,
non gliene avrebbe
fatto parola: amava sin troppo la sua compagnia per privarsene in quel
modo.
Erik
stava iniziando a odiare i suoi costosi guanti di pelle, dato che gli
impedivano di sentire il calore della mano della ragazza che teneva
stretta
nella sua: non poteva che biasimarsi per la sua scelta di indossare
quell’abbigliamento, ma in veste di Fantasma si sentiva molto
più a suo agio,
come se davvero fosse parte integrante di quel teatro.
Rallentò un momento e si
voltò verso mademoiselle, studiando la sua espressione
attraverso la leggera
penombra che regnava in quella galleria: malgrado fosse sorpresa,
Giulia non aveva
l’aria di essere spaventata come lui stesso aveva temuto
mentre la trascinava
verso i tetti dell’Opèra. Ciò lo
rincuorò immensamente, spingendolo a
sorriderle con tenerezza.
«Siete
stanca, Giulia? Non preoccupatevi, non manca molto», disse,
portandosi la sua
mano alle labbra e deponendovi un bacio leggero.
La
ragazza gli sorrise di rimando, senza fare cenno di allontanarsi dalla
sua
stretta – quasi come se essa le
fosse
gradita. «Non credo di aver mai visitato questa
zona del teatro, perciò non
siate apprensivo e portatemi dove volete»,
replicò, con l’accenno di una risata
nella voce. «Sono molto curiosa, e per niente
stanca.»
Non
gli avrebbe mai detto che in realtà trovava faticoso correre
su e giù per quei
corridoi con il peso non indifferente delle sue gonne e con gli
stivaletti che
le costringevano il piede ad una posizione scomoda a causa del tacco;
né
tantomeno avrebbe confessato di sentirsi mancare l’aria a
causa dello stretto
corsetto che le impediva una normale respirazione, o che si sentiva a
pezzi
perché quasi non aveva chiuso occhio la notte precedente
– proprio a causa di
ciò che era accaduto tra di loro. Il cuore le batteva tanto
forte, al ricordo,
che temeva che potesse giungergliene il suono all’orecchio.
No, preferiva
sorridere e vederlo felice, piuttosto che dargli un dispiacere
costringendolo a
tornare indietro per farla riposare.
Anche se
stare da
sola con lui non la riempiva di serenità.
«Siamo
quasi arrivati», ripeté Erik con
l’ennesimo sorriso, riprendendo a camminare
con un passo più lento. Che si fosse accorto della
stanchezza della ragazza? No, impossibile
– in fondo ella non
aveva detto né fatto nulla che potesse insospettirlo al
riguardo. Decidendo di
fare finta di niente, perciò, lo seguì,
guardandosi intorno come per
memorizzare il luogo qualora avesse dovuto tornarci da sola. Qualsiasi
altra
attività volta a distogliere la sua attenzione dal fatto di
trovarsi insieme al
suo Maestro in un luogo così isolato sarebbe stata gradita.
«Non
credevo che il teatro avesse questa struttura da labirinto»,
esclamò
all’improvviso, osando voltarsi verso di Erik.
L’uomo
accennò un breve sorriso indulgente, accarezzando il dorso
della mano che la
giovane aveva posato sul braccio ch’egli le aveva gentilmente
offerto. «Credetemi,
Giulia, vi perdereste in questi corridoi. Nessuno sa dove portano;
addirittura,
durante la Comune, il teatro venne utilizzato come prigione, proprio
perché,
grazie alla sua struttura, ai detenuti era impossibile trovare una
qualche via
di fuga. Guardate quanto abbiamo camminato: rammentate che non abbiamo
trovato
una sola finestra, e che ormai siamo vicini ai tetti. Scappare
dall’Opèra è
impossibile», concluse, con un tono di voce talmente
definitivo da farla preoccupare.
Sembrava quasi una minaccia.
«Voi
però la conoscete molto bene», mormorò,
senza guardarlo. L’allusione era velata
ma Giulia sapeva ch’egli l’avrebbe colta,
così come confermò la sua risposta.
«Sì,
infatti. Ho avuto molto tempo per memorizzarne ogni singolo anfratto e
corridoio», replicò, lo sguardo fisso dinnanzi a
sé. Lo posò poi sulla ragazza,
che da parte sua non sembrava volerlo incrociare. «La vostra
amica vi avrà di
certo accennato qualcosa, immagino, visto il modo in cui siete irrotta
nel mio
studio ieri pomeriggio.»
L’allusione
a quanto accaduto il giorno precedente la colse alla sprovvista, per
quanto
avesse dovuto aspettarsela: non credeva forse ch’egli avrebbe
dimenticato ogni
cosa, non era così? Le sue dita strinsero impercettibilmente
la manica della
sua giacca, quasi che quel contatto le impedisse di perdere
l’equilibrio; si
umettò le labbra con la punta della lingua, pensando a una
risposta adeguata da
dargli che non gli desse l’impressione di avere a che fare
con una ragazzina
sciocca e ingrata.
Alla
fine, però, optò per la mera verità.
«Meg è stata parecchio esaustiva al
riguardo, infatti», mormorò senza osare sollevare
gli occhi su di lui: dubitava
di poter riuscire a reggerne lo sguardo penetrante. «Ma il
suo è solo un punto
di vista, e io… Io voglio sentire il vostro».
Erik
aggrottò leggermente le sopracciglia, assimilando
ciò che la giovane aveva
appena detto. «E avreste preso questa decisione anche se ieri
non vi avessi
baciata?» Le
domandò a
bruciapelo, riuscendo a suonare gentile malgrado avesse appena ripetuto
ad alta
voce qualcosa che né lui, né lei, avevano ancora
ben assorbito.
Giulia
si morse il labbro inferiore, odiandosi nel sentire le guance andare in
fiamme.
Riuscì tuttavia a sollevare il viso verso di lui e a
guardarlo determinata,
mentre rispondeva non senza l’eco di un tremito nella voce.
«Sì, Erik. Malgrado
tutto credo di essermi sempre fidata di voi, e se mi avete tenuto
nascoste
certe cose presumo fosse per un valido motivo… Meg mi ha
accennato qualcosa, ma
io voglio che siate voi a concludere il racconto. Voglio che
sappiate»,
aggiunse, prendendo un profondo respiro e fermandosi in mezzo al
corridoio. «Che
non ho paura di voi, che vi rispetto e comprendo. Ma voi dovete essere
sincero
e ricambiare la mia fiducia con la vostra».
L’uomo
la osservò attentamente, lottando interiormente contro il
violento desiderio di
stringerla tra le braccia e baciarla ancora e ancora, fino ad
arrossarle quelle
belle labbra morbide, fino a sentire i suoi gemiti e il battito
accelerato del
suo cuore; lei si fidava, si fidava di
lui! Sotto quale incantesimo doveva essere per riuscire a
rimanere così
calma e posata in sua presenza?
Ma
ciò che gli dava da pensare era il fatto che Giulia non
avesse parlato d’amore
neppure per un istante: che si
stesse illudendo, come sempre? O era semplicemente troppo presto per
quello, e
doveva concederle ancora del tempo?
Respirò
lentamente, cercando di liberare la mente da quei cupi pensieri di
lussuria.
Prese poi una sua mano con gentilezza e se
l’avvicinò alle labbra, sfiorandola
con un bacio che la fece sospirare sottovoce, e dedicandole infine uno
di
quegli sguardi fiammeggianti che lei aveva imparato a temere ma che,
adesso, si
scopriva sorprendentemente a desiderare.
Si impose di ignorare il piacevole tremito che le aveva percorso le
gambe fino
al centro del suo ventre e deglutì, socchiudendo gli occhi,
per accantonare in
un angolo i nitidi ricordi del giorno prima. Non si aspettava di poter
bramare
così ardentemente il suo tocco, né tantomeno
avrebbe ritenuto possibile, fino a
quella mattina, che sarebbe bastata una sua occhiata per riportarle in
superficie quelle voglie.
Ciò
nonostante si sforzò di mantenere il contatto con i suoi
occhi, per evitare che
lui fraintendesse il suo distogliere intimidito lo sguardo.
La
sua voce, poi, fu quasi il colpo di grazia.
«Mademoiselle, le vostre
parole mi
riempiono di speranza», sussurrò Erik con voce
leggermente roca, senza lasciare
la presa sulla sua mano. «Tuttavia non è per
parlare di questo che vi ho
chiesto d’incontrarmi: adesso lasciate che vi mostri una
cosa, dopodiché avremo
tutto il tempo per discuterne, se ancora vorrete».
Giulia
annuì lentamente, avendo compreso solo vagamente
ciò che le aveva appena detto;
buon Dio, come poteva lasciarsi distrarre in tal modo soltanto dalla
sua voce?
Sarebbe rimasta ad ascoltarlo per ore, anche se si fosse messo a
parlare di
politica o affari: ciò che contava era unicamente udire il
suono di quel dolce
strumento che era la sua voce.
Ripresero
a camminare e lei non se ne accorse neppure, ancora preda di quello
strano
fermento.
Giunsero
infine al termine di quelle numerose gallerie; si ritrovarono in un
sottotetto
caratterizzato da uno strato non indifferente di polvere sul pavimento
in legno
che costrinse Giulia a sollevare l’ampia gonna del suo
vestito per impedire che
l’orlo si sporcasse, strappando un piccolo sorriso al suo
accompagnatore per
quel gesto istintivo e indice di un’innata vanità
femminile. Le pareti erano
spoglie e negli angoli facevano bella mostra di sé
complicati disegni di
ragnatele, che giacevano là indisturbate chissà
da quanto tempo, ospitando
generazioni e generazioni di insetti. La ragazza storse leggermente il
naso,
guardandosi perplessa intorno.
«Qualcuno
dovrebbe venire a dare una ripulita…»
Mormorò incrociando le braccia. «Dove
siamo?»
«Ancora
un attimo di pazienza», sorrise Erik, dirigendosi verso una
porta in ferro che
la giovane non aveva notato. Lo osservò mentre armeggiava
con il chiavistello
arrugginito, segno che nessuno lo toccava più da parecchio
tempo: sembrava una
stanza abbandonata, e Giulia non credeva che a teatro potessero
essercene in
condizioni di degrado così palese.
Lo
scatto della serratura le fece capire che Erik doveva essere riuscito
ad aprire
la porta – non che avesse qualche dubbio al riguardo,
comunque; lo raggiunse,
credendo che l’uomo le avrebbe finalmente aperto la porta, ma
quando gli fu
accanto egli si volse e la guardò con uno strano sorriso, e
solo allora Giulia
notò la fascia nera che Erik teneva tra le mani.
«Cosa…?»
Iniziò, ma lui non le permise di aggiungere altro.
Si
chinò sul suo orecchio facendola rabbrividire semplicemente
a causa di quella
vicinanza – Dio, poteva sentire il
suo
profumo! – e con un sorriso ch’ella non
ebbe bisogno di vedere, Erik
sussurrò: «Fidatevi di me ancora una
volta».
Giulia
annuì soltanto, e lui si portò alle sue spalle
per poterle legare quel morbido
nastro nero dietro il capo, di modo che non vedesse nulla fin quando
egli non
avesse deciso il contrario. Una volta privata della vista i suoi sensi
furono
come amplificati – la sensazione del suo corpo possente a
contatto con la sua
schiena, il suo viso sepolto tra i suoi capelli, le sue mani
improvvisamente
prive dei guanti che le avevano avvolte fino a pochi istanti prima che
indugiavano in una lieve carezza sul collo lasciato scoperto dal
modesto
vestito – tutto, in quel momento, la faceva rabbrividire e
fremere dal piacere.
Poi non sentì più la presenza dell’uomo
accanto a sé e annaspò, come privata
dell’ossigeno; tese le braccia in avanti, accarezzando solo
l’aria, e si
immobilizzò nel sentire lo stridio dei cardini arrugginiti
che la informarono
che la porta era stata finalmente aperta. Un soffio d’aria
gelida la investì e
questa volta i brividi che percorsero la superficie della sua pelle
furono di
semplice freddo; e ancora l’uomo non tornava al suo fianco.
«Erik?»
Mormorò preoccupata, pronta a strapparsi la fascia qualora
non avesse ricevuto
risposta.
Ma
le mani dell’uomo tornarono a stringere le sue, nuovamente
avvolte nei guanti,
facendola avanzare gentilmente verso il loro proprietario.
«Sono qui, non
preoccupatevi», mormorò, avendo colto la sua
leggera ansia. Le passò un braccio
dietro la schiena, intorno alla vita, accompagnandola così
in modo che non
inciampasse a causa della sua momentanea cecità.
I
suoi occhi bramosi studiarono intensamente la sua figura approfittando
del
fatto che la ragazza non se ne sarebbe potuta accorgere:
l’oro del suo sguardo
sembrò volersi imprimere il suo aspetto a fuoco nella mente,
per non poterlo
più dimenticare. La benda disegnava il contorno del suo
profilo nascondendogli
la dolce bellezza dei suoi occhi, così proseguì
oltre e scivolò sulle guance
rosee, le labbra dischiuse e leggermente imbronciate in un
atteggiamento
attento e prudente – ella si fidava della sua guida, ma
voleva pur sempre avere
un minimo controllo della situazione – i capelli sciolti
sulle spalle, i cui
ciuffi più ribelli erano stati raccolti con delle forcine ai
lati del capo per
non ricaderle in continuazione sulla fronte, la linea morbida del collo
e la
piccola porzione di pelle scoperta della discreta scollatura che
impedivano
alla sua occhiata di farsi più invadente. Non
poté fare a meno di lanciare un
breve sguardo alla linea sensuale dei suoi seni stretti nel corsetto e
alla
propria mano posata sul suo fianco, per poi guardare con un sorriso la
mano che
lei gli stringeva freneticamente per timore ch’egli potesse
lasciarla da un
momento all’altro.
Che
sciocchezza, si ritrovò a pensare, con
un’espressione improvvisamente indurita. Io
non la lascerò mai andare…
Abbandonando
per un momento i suoi pensieri, Erik la condusse finalmente fuori dalla
porta,
all’aria aperta – l’aveva condotta sui
tetti del teatro. Richiuse la porta
dietro di sé per evitare che lo spiffero attirasse
l’attenzione di qualche
macchinista curioso, e dopo averla portata accanto ad una ringhiera in
modo che
potesse reggersi all’occorrenza, le sfilò
finalmente via la benda dagli occhi. Il
gemito sorpreso che le sfuggì dalle labbra gli fece capire
che Giulia dovette
aver apprezzato la sorpresa.
Erik
avrebbe desiderato mostrarle il tramonto da quella prospettiva, ma
erano
arrivati troppo tardi e dovette accontentarsi di un cielo notturno
stellato e
abbellito da una delicata falce di luna; l’orizzonte ancora
tinto di rosa
andava via via scurendosi e le strade sembravano sentieri di un
giardino grazie
alle luci dei lampioni che ne illuminavano il ciottolato.
«È…
così bello», sussurrò, facendo qualche
passo in avanti fino a sporgersi dal
parapetto. L’uomo ebbe uno scatto involontario, preoccupato
che potesse perdere
l’equilibrio, ma vedendo che mademoiselle aveva il controllo
sulla sua
stabilità si tranquillizzò, senza tuttavia
perderla di vista un solo istante.
Dio, era
lei ad
essere così bella.
«Voglio
che comprendiate che il mio non è un mondo di sola
oscurità», mormorò di
rimando, osservando il profilo che la giovane gli mostrava mentre si
perdeva
nella totale ammirazione di uno spettacolo così meraviglioso
– raramente un
tale colpo d’occhio aveva lasciato insoddisfatto qualcuno. Il
viso della
ragazza si volse verso di lui e un tenero sorriso la
illuminò, accelerando i
battiti del suo povero cuore ferito.
«Non
ne ho mai dubitato, Erik», mormorò dolcemente,
avvicinandosi a lui.
Istintivamente prese una mano dell’uomo tra le sue,
sfilandone con calma il
guanto per poi intrecciare insieme le loro dita infine nude –
pelle contro
pelle, fresco tepore contro gelido calore. Giulia fece scorrere le
proprie dita
sul palmo e sul dorso della mano di Erik, riuscendo, senza
accorgersene, ad accelerare
i battiti del suo cuore. «Per varie ragioni non sono mai
fuggita da voi, e una
di queste è proprio la fiducia che nutro nei vostri
confronti».
«E
le altre?» Osò domandare lui, sollevando la mano
libera e portandola ad
immergerla nei lunghi capelli della giovane.
Ella
si morse leggermente il labbro inferiore, senza ben sapere cosa
rispondere.
«Delle altre non sono ben sicura io
stessa…»
Certo,
egli lo sapeva: non doveva né voleva forzarla ad accettarlo
definitivamente
nella sua vita in un ruolo che forse non poteva ambire a ricoprire,
eppure…
Eppure non poteva fare a meno di immaginarsi con lei accanto, per
sempre. Tutte
le memorie che aveva fino a quel momento conservato di Christine
– ricordi che
avevano gettato legna sul fuoco della sua vendetta, che
l’avevano fatto
impazzire e turbato i suoi sonni agitati – sembravano
impallidire ed evaporare
di fronte al sentimento che mademoiselle Sanders sembrava avergli
acceso in
petto.
Il mio
cuore aveva
mai amato? Occhi rinnegatelo, perché non ha mai conosciuto
la bellezza fino ad
ora…
«Voi
sapete cosa provo nei vostri confronti, credo di avervelo fatto
comprendere
chiaramente», mormorò, temendo di esagerare troppo
con le sue dichiarazioni e
pertanto ammettendo solo lo stretto indispensabile. «Ma non
voglio obbligarvi:
desidero che siate libera di scegliere, e di riflettere. Soltanto
quando sarete
sicura di ciò che vuole il vostro cuore mi darete una
risposta».
Giulia
lo osservò a lungo, trovando fastidiosa – oltre
che inutile – la continua
presenza della maschera perlacea che nascondeva il suo viso al suo
sguardo
gentile. Non aveva intenzione di metterlo a disagio, però
aveva l’impressione
che quel gelido oggetto non facesse che allontanarlo ancora di
più da lei,
quasi che acuisse la distanza che al momento c’era tra loro;
certo, in realtà
dopo quel bacio non poteva dire che tutto fosse tornato come prima
– cosa impossibile
– ma continuando ad
indossarla le faceva pensare che non si fidasse di lei abbastanza.
Così, con
gesti lenti e misurati, sollevò una mano a sfiorargli la
guancia e posò l’altra
sulla superficie liscia e fredda della maschera; gli occhi
dell’uomo si
spalancarono leggermente, e preoccupato Erik posò una mano
sopra quella della
giovane.
«Non
fate cose di cui potreste solo pentirvi…»
mormorò, con il tono disperato di chi
prega.
Lei
sorrise teneramente, scuotendo il capo. «Non
c’è nulla di cui pentirmi»,
replicò, cercando di mettere quanta più dolcezza
poteva nella sua voce. «Fidatevi
di me come avete già fatto nei vostri
sotterranei», aggiunse, evitando
abilmente di accennare al fatto che all’epoca Erik le aveva
mostrato il suo
volto unicamente per spaventarla e punirla.
Gli
occhi dell’uomo si incupirono come un cielo in tempesta prima
che le palpebre
si abbassassero su di essi, come se avesse voluto evitare di vedere
l’espressione di disgusto che, a suo avviso, si sarebbe
dipinta sul viso di
mademoiselle. Da parte sua Giulia prese quel gesto come un muto invito
a fare
ciò che più desiderava, così,
lentamente, sfilò la maschera dal volto di Erik,
riuscendo finalmente a ricostruire il quadro completo di ciò
che era il suo
viso. La carne sfigurata era forse più terribile di come la
ricordava, ma la
sua vista non le provocò orrore, quanto piuttosto
un’immensa tenerezza –
dovuta, molto probabilmente, ai nuovi nascenti sentimenti che sentiva
di
provare nei suoi riguardi. Aveva l’impressione che Erik,
senza quelle piaghe,
non sarebbe più potuto essere l’uomo di cui si
sentiva stranamente attratta
– non sarebbe mai riuscita ad
immaginarselo privo di quello che era, a suo avviso, unicamente un
tratto
caratteristico di quell’uomo geniale, ma che egli vedeva
soltanto come la
deformità che avrebbe potuto farla scappare via da lui.
Eppure
gli aveva già detto che non aveva paura…
«Erik»,
sussurrò, dolcemente. «Guardatemi».
L’uomo
si accorse di quell’accorato tono di voce e fu quello a
fargli aprire di scatto
gli occhi, sorpreso, per scoprire le mani della ragazza ancora sul suo
volto e
i suoi occhi incatenati ai propri. Giulia gli era così
vicina che avrebbe potuto
far aderire i loro corpi con un respiro più profondo, ma per
quanto desiderasse
stringerla ancora tra le braccia non osò farlo – la vista di Christine e ciò che aveva
riportato a galla quello che la
viscontessa rappresentava lo avevano momentaneamente indebolito, come
non
accadeva da tempo. Tremò, mentre attendeva le
parole che avrebbero potuto
condannarlo al più cupo degli inferni o al più
celestiale paradiso.
«Probabilmente
non troverò più il coraggio di dire una cosa
simile, perciò ascoltatemi attentamente»,
proseguì con sempre maggior decisione, senza lasciare gli
occhi di Erik per
nemmeno un istante. «Ho riflettuto molto, la notte scorsa non
ho quasi dormito
dopo ciò che è successo nel vostro ufficio,
e… Ho cercato per un po’ di
convincermi che ho ricambiato il bacio per curiosità, ma non
può essere
semplice curiosità il desiderare continuamente il sapore
delle vostre labbra».
Distolse lo sguardo improvvisamente imbarazzata e cercò di
abbassare le mani,
ma quelle di Erik corsero ad impedirglielo, tenendole ben salde contro
il suo
viso.
«Vi
prego, continuate», la supplicò lui sottovoce,
trattenendo a stento
l’incredulità e la sorpresa che tali parole gli
avevano causato, ma senza
celare la gioia che l’aveva pervaso. Per non parlare del
calore dei suoi
morbidi palmi contro le gote, contro la sua terribile deformità,
che gli risultava tanto estranea quanto familiare: oh,
se lei avesse potuto davvero amarlo sarebbe stato sempre
così…
Giulia
si morse leggermente il labbro, imbarazzata, prendendo un profondo
sospiro per
trovare il coraggio di proseguire con il suo discorso. «Io
odio vedere il
vostro sguardo cupo e triste, Erik», mormorò,
sollevando gli occhi su di lui. «E
vorrei essere la ragione del vostro sorriso… Ma per qualche
motivo sento di non
potervi fare promesse che non so di poter mantenere. Il mio passato
è avvolto
nell’oblio, e vorrei tanto sapere chi è la donna
che vorrebbe starvi accanto
prima di giurarvi qualsiasi sentimento…
Però…» Non resistette oltre e
annullò
ogni distanza tra i loro corpi, allacciandogli le braccia dietro la
nuca e
sollevando il volto verso il suo con un tenero sorriso. «Se
voi potete
accettare una figlia di nessuno, allora non ho motivo di starvi
lontano»,
concluse in un sussurro.
Erik
era fuori di sé dalla commozione – le mani della
ragazza tra i suoi capelli e
il suo sguardo, limpido e sereno, per
nulla spaventato, era, probabilmente, più di
quanto potesse sopportare
tutto insieme. Sollevò due dita tremanti verso il suo volto,
ma a metà del
gesto si accorse del secondo guanto che ancora ricopriva le sue falangi
e con
malagrazia lo strappò via, desideroso di poter sentire la
morbidezza della sua
pelle contro la propria. Giulia trattenne un sorriso, socchiudendo gli
occhi e
sospirando di sollievo quando la carezza dell’uomo
iniziò il suo percorso dalla
gota fino a scivolare giù, all’angolo della bocca,
al mento – e poi ancora, al
collo, alla clavicola, fino a quando le dita non furono sostituite
dalla punta
del suo naso, affondata nell’incavo della sua spalla per
meglio assaporare il
suo profumo, la sua essenza.
«Come
puoi dire una cosa del genere», sussurrò con voce
roca, cessando di rivolgersi
a lei con la gelida forma di cortesia. «Come puoi pensare che
io non possa
volerti soltanto perché le tue origini non sono note?
Ciò che sento di provare
per te va ben oltre simili questioni…» Le
passò le braccia intorno alla vita,
attirandola verso di sé ma ritraendosi il tanto necessario
per poterla guardare
nuovamente negli occhi. «Davvero non hai paura di me? Il mio
aspetto non ti
ripugna?»
«Sono
forse scappata quando mi hai mostrato il tuo volto, nei
sotterranei?» Replicò Giulia
con un’altra domanda, inarcando un sopracciglio: senza
pensarci aveva
abbandonato anche lei tutte le formalità, e la cosa le
riuscì più semplice del
previsto. Ad ogni modo, l’insicurezza dell’uomo era
un qualcosa che le faceva
tenerezza e che, allo stesso tempo, la irritava.
Lo
sguardo di Erik si incupì, diventando per un istante lo
sguardo del Figlio del
Diavolo che Giulia aveva imparato a temere. «Non saresti
potuta fuggire in ogni
caso», ribatté lui, seccamente. «Te
l’avrei impedito anche se la mia vista ti
avesse fatto svenire dal terrore».
La
giovane scosse impaziente il capo, circondandogli nuovamente il volto
con le
mani. «No, non l’avresti fatto. E sai
perché? Perché tu non sei un mostro,
Erik, per quanto continui a nasconderti dietro questa
maschera…» Disse, senza
riferirsi all’oggetto perlaceo che giaceva,
pressoché dimenticato, sulla neve
che imbiancava il tetto. «Io so che il tuo animo potrebbe
abbracciare l’intera
umanità…»
Quell’ultima
dichiarazione fu un fievole sussurro sulle labbra dell’uomo
che, chinatosi su
di lei per non perdersi una sola delle sue parole, aveva rafforzato la
sua
stretta per farla aderire completamente al suo corpo – maledetti abiti che gli impedivano di sentire il
suo calore. I suoi
occhi, umidi di lacrime non versate, si socchiusero per impedire a
Giulia di
vederlo in quello stato indifeso e inerme, ed ella
approfittò di quello per
sollevarsi sulla punta dei piedi e posare un bacio gentile sulla parte
piagata
del suo volto, strappandogli un debole gemito che lo spinse ad
affondare ancora
il volto tra i suoi capelli e sul suo collo, per poi crollare in
ginocchio ai
suoi piedi sopraffatto da tutte quelle emozioni.
Giulia
si inginocchiò quindi al suo fianco, avvolgendogli le spalle
con le proprie
braccia e sentendolo finalmente sciogliersi in dignitosi singhiozzi che
si
rivelavano soltanto dal leggero tremito che lo percuoteva silenzioso.
Ripeté il
suo nome all’infinito, come un mantra che sarebbe dovuto
servire a calmarlo e
fargli riprendere il controllo di sé, e forse fu il suo
abbraccio, o le sue
carezze, o la sua voce che lo chiamava con quella tenera dolcezza
ch’egli non
poteva dire di aver conosciuto prima, fatto sta che, improvvisamente
cessato di
piangere, sollevò il viso su di lei, incurante delle lacrime
che continuavano a
scorrergli sulle guance. Ella non aveva mai visto un uomo piangere, e
vedere
lui – lui, il Fantasma
dell’Opera, il
Figlio del Diavolo, ma no, per lei
soltanto Erik – in quelle condizioni le strinse il
cuore in una stretta
dolente.
E
l’avrebbe baciato sicuramente, se egli non fosse stato tanto
più rapido di lei
nell’afferrarla per le braccia con fermezza e passione, per
poi attirarla in un
bacio umido e urgente che non aveva nulla di casto e tutto di impetuoso
– quasi
che finalmente stesse assaporando un desiderio a lungo respinto.
Così,
con le bocche ancora unite e in preda ad una danza più
antica del loro
sentimento, la giovane udì distrattamente la voce di Erik
che sembrava
supplicarla con una disperazione terribile.
«Non lasciarmi anche tu, Giulia, ti prego… Non lasciarmi».
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AA - Angolo Autrice:
Uhm, in realtà non
credo ci sia molto da dire, se non chè non sono per niente
convinta del risultato di questo capitolo - dato che, in due mesi, si
suppone che una faccia un lavoro degno di tale nome. E invece... -.-
Vabbè gente, accontentiamoci, cercherò di rifarmi
col prossimo! ^^
Vorrei ringraziare chi ha recensito lo scorso capitolo, ossia sydney bristow, alwxisglad e Keyra93 - grazie
mille, mi fa sempre piacere sapere che cosa ne pensate di quello che
partorisce la mia mente malata! :D Spero che vi piaccia anche questo,
anche se ho i miei dubbi. -.- Ah, un ultimo appunto! Non sono
una che riempie le storie di citazioni senza specificare da dove
provengono, perciò sto preparando una scheda che
aggiornerò man mano e che posterò alla fine della
storia, dopo l'Epilogo. Se
e quando ci arriverò, a questo punto xD
E con questo vi lascio, spero di potervi augurare un buon
Natale regalandovi il capitolo 24 ma non voglio fare promesse che non
so di poter mantenere :p Un abbraccio grande grande, e grazie per
avermi seguito fin qui <3 I
remain, gentleman...
Vostra,
GiulyRedRose.