Film > The Phantom of the Opera
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Autore: Niglia    11/12/2010    4 recensioni
Ottobre, 1878. Parigi.
Il Fantasma dell'Opera non è morto. Anzi, non è mai stato più deciso a vivere di adesso. Accompagnato da dei nuovi piani di vendetta, torna nella città dalla quale è stato costretto a fuggire due anni prima, un uomo vuoto, senz'anima, con solo un nome nella testa che lo spinge a tornare a Parigi, in quello stesso teatro che in fondo è sempre stato il suo regno, la sua casa, perchè non può essere altrimenti...
E così la storia sembra ripetersi, ma c'è sempre qualcosa con cui dimentichiamo di fare i calcoli; possibile che il Fantasma possa trovarsi di fronte ad una ragazza - incredibilmente somigliante alla sua antica musa - capace di risvegliare in lui quel qualcosa che credeva essere morto per sempre?
In uno strano miscuglio di passato e presente, la strana vicenda del Fantasma dell'Opera sembra continuare a stupire e terrorizzare anche attraverso il tempo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erik/The Phantom, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapitre 23

And in this labyrinth where night is blind…








 

 

 

«Certi modi forsennati di guardarmi

[…] mi avevano fatto misurare

la selvaggia forza della sua passione…»

 

 

 











 

 

 

    Il teatro dell’Opèra Populaire era una costruzione di eccezionale opulenza, simbolo del Secondo Impero: fatto costruire per ordine di Napoleone III, vantava nella sua struttura espressioni e tendenze provenienti da epoche differenti, quali il barocco, il neoclassicismo, il rococò. A tal proposito nell’ambiente della nobiltà parigina si raccontava un piccolo aneddoto, secondo il quale monsieur Garnier, alla legittima domanda dell’imperatrice Eugénie che desiderava sapere in che stile dovesse essere costruito il teatro, se in quello greco o romano, ebbe risposto: «È nello stile di Napoleone III, madame!»

    Chiunque entrava nel teatro, dunque, veniva assalito immediatamente dall’atmosfera sfarzosa e regale voluta dall’imperatore: le preziose scalinate in marmi di diversi colori, anch’esse teatro dei ricevimenti mondani dove le stoffe e le crinoline degli abiti delle gentildonne frusciavano con eleganza tra un gradino e l’altro, si affacciavano nel foyer diventandone le protagoniste. Da qui, gli avventori dell’Opèra potevano raggiungere la platea oppure scendere ai piani inferiori nei quali si trovava un grazioso cafè che rimaneva aperto fino al termine dell’ultima rappresentazione. L’Opèra, insomma, era costantemente gremita di persone -  borghesi o aristocratiche – giunte per assistere agli spettacoli o semplicemente per visitare quello che era il tempio della musica e della danza.

    Tuttavia il Fantasma dell’Opera conosceva perfettamente i luoghi lontani dagli sguardi curiosi e indiscreti dei visitatori, così lui e mademoiselle Sanders non incontrarono anima viva durante la loro rapida e improvvisa passeggiata per il teatro. Attraversarono saloni scarsamente illuminati e corridoi segreti nei quali scarseggiavano le lampade a gas, cosicché Giulia dovette stringere il braccio del suo Maestro stando bene attenta a non perderlo, in modo da non smarrire la strada. Egli sembrava conoscere quelle gallerie nascoste come nessun altro, il che dava credito a ciò che le aveva raccontato Meg in proposito – e cioè che, in quanto fantasma, aveva avuto tutto il tempo del mondo per studiare ogni percorso e ogni oscuro anfratto.

    Ella gli aveva domandato dove avesse intenzione di portarla, ma Erik non volle risponderle se non con un misterioso: «È una sorpresa, ma chère». Giulia comprese che sarebbe stato inutile fargli altre domande, e che avrebbe dovuto avere la pazienza di attendere che quell’infinito girovagare terminasse. Le sembrava quasi di essere tornata nei cupi sotterranei, benché si rendesse conto che non era nelle catacombe ch’egli la stava conducendo.

    Dopotutto era stata una decisione dell’ultimo minuto, presa da Erik dopo aver visto madame de Chagny entrare nel suo teatro con un’aria da primadonna: era talmente furioso per la scoperta del suo rientro in città che non sarebbe stato capace di tenere una lezione di canto alla sua giovane allieva, così aveva deciso di essere lui, per una volta, a rimandarla. Ad ogni modo l’esecuzione del Faust di quella mattina da parte di Giulia gli avevano dimostrato che la ragazza non necessitava di ulteriori insegnamenti – anche se, di questo, non gliene avrebbe fatto parola: amava sin troppo la sua compagnia per privarsene in quel modo.

    Erik stava iniziando a odiare i suoi costosi guanti di pelle, dato che gli impedivano di sentire il calore della mano della ragazza che teneva stretta nella sua: non poteva che biasimarsi per la sua scelta di indossare quell’abbigliamento, ma in veste di Fantasma si sentiva molto più a suo agio, come se davvero fosse parte integrante di quel teatro. Rallentò un momento e si voltò verso mademoiselle, studiando la sua espressione attraverso la leggera penombra che regnava in quella galleria: malgrado fosse sorpresa, Giulia non aveva l’aria di essere spaventata come lui stesso aveva temuto mentre la trascinava verso i tetti dell’Opèra. Ciò lo rincuorò immensamente, spingendolo a sorriderle con tenerezza.

    «Siete stanca, Giulia? Non preoccupatevi, non manca molto», disse, portandosi la sua mano alle labbra e deponendovi un bacio leggero.

    La ragazza gli sorrise di rimando, senza fare cenno di allontanarsi dalla sua stretta – quasi come se essa le fosse gradita. «Non credo di aver mai visitato questa zona del teatro, perciò non siate apprensivo e portatemi dove volete», replicò, con l’accenno di una risata nella voce. «Sono molto curiosa, e per niente stanca.»

    Non gli avrebbe mai detto che in realtà trovava faticoso correre su e giù per quei corridoi con il peso non indifferente delle sue gonne e con gli stivaletti che le costringevano il piede ad una posizione scomoda a causa del tacco; né tantomeno avrebbe confessato di sentirsi mancare l’aria a causa dello stretto corsetto che le impediva una normale respirazione, o che si sentiva a pezzi perché quasi non aveva chiuso occhio la notte precedente – proprio a causa di ciò che era accaduto tra di loro. Il cuore le batteva tanto forte, al ricordo, che temeva che potesse giungergliene il suono all’orecchio. No, preferiva sorridere e vederlo felice, piuttosto che dargli un dispiacere costringendolo a tornare indietro per farla riposare.

      Anche se stare da sola con lui non la riempiva di serenità.

    «Siamo quasi arrivati», ripeté Erik con l’ennesimo sorriso, riprendendo a camminare con un passo più lento. Che si fosse accorto della stanchezza della ragazza? No, impossibile – in fondo ella non aveva detto né fatto nulla che potesse insospettirlo al riguardo. Decidendo di fare finta di niente, perciò, lo seguì, guardandosi intorno come per memorizzare il luogo qualora avesse dovuto tornarci da sola. Qualsiasi altra attività volta a distogliere la sua attenzione dal fatto di trovarsi insieme al suo Maestro in un luogo così isolato sarebbe stata gradita.

    «Non credevo che il teatro avesse questa struttura da labirinto», esclamò all’improvviso, osando voltarsi verso di Erik.

    L’uomo accennò un breve sorriso indulgente, accarezzando il dorso della mano che la giovane aveva posato sul braccio ch’egli le aveva gentilmente offerto. «Credetemi, Giulia, vi perdereste in questi corridoi. Nessuno sa dove portano; addirittura, durante la Comune, il teatro venne utilizzato come prigione, proprio perché, grazie alla sua struttura, ai detenuti era impossibile trovare una qualche via di fuga. Guardate quanto abbiamo camminato: rammentate che non abbiamo trovato una sola finestra, e che ormai siamo vicini ai tetti. Scappare dall’Opèra è impossibile», concluse, con un tono di voce talmente definitivo da farla preoccupare. Sembrava quasi una minaccia.

    «Voi però la conoscete molto bene», mormorò, senza guardarlo. L’allusione era velata ma Giulia sapeva ch’egli l’avrebbe colta, così come confermò la sua risposta.

    «Sì, infatti. Ho avuto molto tempo per memorizzarne ogni singolo anfratto e corridoio», replicò, lo sguardo fisso dinnanzi a sé. Lo posò poi sulla ragazza, che da parte sua non sembrava volerlo incrociare. «La vostra amica vi avrà di certo accennato qualcosa, immagino, visto il modo in cui siete irrotta nel mio studio ieri pomeriggio.»

    L’allusione a quanto accaduto il giorno precedente la colse alla sprovvista, per quanto avesse dovuto aspettarsela: non credeva forse ch’egli avrebbe dimenticato ogni cosa, non era così? Le sue dita strinsero impercettibilmente la manica della sua giacca, quasi che quel contatto le impedisse di perdere l’equilibrio; si umettò le labbra con la punta della lingua, pensando a una risposta adeguata da dargli che non gli desse l’impressione di avere a che fare con una ragazzina sciocca e ingrata.

    Alla fine, però, optò per la mera verità. «Meg è stata parecchio esaustiva al riguardo, infatti», mormorò senza osare sollevare gli occhi su di lui: dubitava di poter riuscire a reggerne lo sguardo penetrante. «Ma il suo è solo un punto di vista, e io… Io voglio sentire il vostro».

    Erik aggrottò leggermente le sopracciglia, assimilando ciò che la giovane aveva appena detto. «E avreste preso questa decisione anche se ieri non vi avessi baciata?» Le domandò a bruciapelo, riuscendo a suonare gentile malgrado avesse appena ripetuto ad alta voce qualcosa che né lui, né lei, avevano ancora ben assorbito.

    Giulia si morse il labbro inferiore, odiandosi nel sentire le guance andare in fiamme. Riuscì tuttavia a sollevare il viso verso di lui e a guardarlo determinata, mentre rispondeva non senza l’eco di un tremito nella voce. «Sì, Erik. Malgrado tutto credo di essermi sempre fidata di voi, e se mi avete tenuto nascoste certe cose presumo fosse per un valido motivo… Meg mi ha accennato qualcosa, ma io voglio che siate voi a concludere il racconto. Voglio che sappiate», aggiunse, prendendo un profondo respiro e fermandosi in mezzo al corridoio. «Che non ho paura di voi, che vi rispetto e comprendo. Ma voi dovete essere sincero e ricambiare la mia fiducia con la vostra».

    L’uomo la osservò attentamente, lottando interiormente contro il violento desiderio di stringerla tra le braccia e baciarla ancora e ancora, fino ad arrossarle quelle belle labbra morbide, fino a sentire i suoi gemiti e il battito accelerato del suo cuore; lei si fidava, si fidava di lui! Sotto quale incantesimo doveva essere per riuscire a rimanere così calma e posata in sua presenza?

    Ma ciò che gli dava da pensare era il fatto che Giulia non avesse parlato d’amore neppure per un istante: che si stesse illudendo, come sempre? O era semplicemente troppo presto per quello, e doveva concederle ancora del tempo?

    Respirò lentamente, cercando di liberare la mente da quei cupi pensieri di lussuria. Prese poi una sua mano con gentilezza e se l’avvicinò alle labbra, sfiorandola con un bacio che la fece sospirare sottovoce, e dedicandole infine uno di quegli sguardi fiammeggianti che lei aveva imparato a temere ma che, adesso, si scopriva sorprendentemente a desiderare. Si impose di ignorare il piacevole tremito che le aveva percorso le gambe fino al centro del suo ventre e deglutì, socchiudendo gli occhi, per accantonare in un angolo i nitidi ricordi del giorno prima. Non si aspettava di poter bramare così ardentemente il suo tocco, né tantomeno avrebbe ritenuto possibile, fino a quella mattina, che sarebbe bastata una sua occhiata per riportarle in superficie quelle voglie.

    Ciò nonostante si sforzò di mantenere il contatto con i suoi occhi, per evitare che lui fraintendesse il suo distogliere intimidito lo sguardo.

    La sua voce, poi, fu quasi il colpo di grazia.

    «Mademoiselle, le vostre parole mi riempiono di speranza», sussurrò Erik con voce leggermente roca, senza lasciare la presa sulla sua mano. «Tuttavia non è per parlare di questo che vi ho chiesto d’incontrarmi: adesso lasciate che vi mostri una cosa, dopodiché avremo tutto il tempo per discuterne, se ancora vorrete».

    Giulia annuì lentamente, avendo compreso solo vagamente ciò che le aveva appena detto; buon Dio, come poteva lasciarsi distrarre in tal modo soltanto dalla sua voce? Sarebbe rimasta ad ascoltarlo per ore, anche se si fosse messo a parlare di politica o affari: ciò che contava era unicamente udire il suono di quel dolce strumento che era la sua voce.

    Ripresero a camminare e lei non se ne accorse neppure, ancora preda di quello strano fermento.

 

    Giunsero infine al termine di quelle numerose gallerie; si ritrovarono in un sottotetto caratterizzato da uno strato non indifferente di polvere sul pavimento in legno che costrinse Giulia a sollevare l’ampia gonna del suo vestito per impedire che l’orlo si sporcasse, strappando un piccolo sorriso al suo accompagnatore per quel gesto istintivo e indice di un’innata vanità femminile. Le pareti erano spoglie e negli angoli facevano bella mostra di sé complicati disegni di ragnatele, che giacevano là indisturbate chissà da quanto tempo, ospitando generazioni e generazioni di insetti. La ragazza storse leggermente il naso, guardandosi perplessa intorno.

      «Qualcuno dovrebbe venire a dare una ripulita…» Mormorò incrociando le braccia. «Dove siamo?»

    «Ancora un attimo di pazienza», sorrise Erik, dirigendosi verso una porta in ferro che la giovane non aveva notato. Lo osservò mentre armeggiava con il chiavistello arrugginito, segno che nessuno lo toccava più da parecchio tempo: sembrava una stanza abbandonata, e Giulia non credeva che a teatro potessero essercene in condizioni di degrado così palese.

    Lo scatto della serratura le fece capire che Erik doveva essere riuscito ad aprire la porta – non che avesse qualche dubbio al riguardo, comunque; lo raggiunse, credendo che l’uomo le avrebbe finalmente aperto la porta, ma quando gli fu accanto egli si volse e la guardò con uno strano sorriso, e solo allora Giulia notò la fascia nera che Erik teneva tra le mani.

        «Cosa…?» Iniziò, ma lui non le permise di aggiungere altro.

       Si chinò sul suo orecchio facendola rabbrividire semplicemente a causa di quella vicinanza – Dio, poteva sentire il suo profumo! – e con un sorriso ch’ella non ebbe bisogno di vedere, Erik sussurrò: «Fidatevi di me ancora una volta».

     Giulia annuì soltanto, e lui si portò alle sue spalle per poterle legare quel morbido nastro nero dietro il capo, di modo che non vedesse nulla fin quando egli non avesse deciso il contrario. Una volta privata della vista i suoi sensi furono come amplificati – la sensazione del suo corpo possente a contatto con la sua schiena, il suo viso sepolto tra i suoi capelli, le sue mani improvvisamente prive dei guanti che le avevano avvolte fino a pochi istanti prima che indugiavano in una lieve carezza sul collo lasciato scoperto dal modesto vestito – tutto, in quel momento, la faceva rabbrividire e fremere dal piacere. Poi non sentì più la presenza dell’uomo accanto a sé e annaspò, come privata dell’ossigeno; tese le braccia in avanti, accarezzando solo l’aria, e si immobilizzò nel sentire lo stridio dei cardini arrugginiti che la informarono che la porta era stata finalmente aperta. Un soffio d’aria gelida la investì e questa volta i brividi che percorsero la superficie della sua pelle furono di semplice freddo; e ancora l’uomo non tornava al suo fianco.

      «Erik?» Mormorò preoccupata, pronta a strapparsi la fascia qualora non avesse ricevuto risposta.

     Ma le mani dell’uomo tornarono a stringere le sue, nuovamente avvolte nei guanti, facendola avanzare gentilmente verso il loro proprietario. «Sono qui, non preoccupatevi», mormorò, avendo colto la sua leggera ansia. Le passò un braccio dietro la schiena, intorno alla vita, accompagnandola così in modo che non inciampasse a causa della sua momentanea cecità.

    I suoi occhi bramosi studiarono intensamente la sua figura approfittando del fatto che la ragazza non se ne sarebbe potuta accorgere: l’oro del suo sguardo sembrò volersi imprimere il suo aspetto a fuoco nella mente, per non poterlo più dimenticare. La benda disegnava il contorno del suo profilo nascondendogli la dolce bellezza dei suoi occhi, così proseguì oltre e scivolò sulle guance rosee, le labbra dischiuse e leggermente imbronciate in un atteggiamento attento e prudente – ella si fidava della sua guida, ma voleva pur sempre avere un minimo controllo della situazione – i capelli sciolti sulle spalle, i cui ciuffi più ribelli erano stati raccolti con delle forcine ai lati del capo per non ricaderle in continuazione sulla fronte, la linea morbida del collo e la piccola porzione di pelle scoperta della discreta scollatura che impedivano alla sua occhiata di farsi più invadente. Non poté fare a meno di lanciare un breve sguardo alla linea sensuale dei suoi seni stretti nel corsetto e alla propria mano posata sul suo fianco, per poi guardare con un sorriso la mano che lei gli stringeva freneticamente per timore ch’egli potesse lasciarla da un momento all’altro.

     Che sciocchezza, si ritrovò a pensare, con un’espressione improvvisamente indurita. Io non la lascerò mai andare…

    Abbandonando per un momento i suoi pensieri, Erik la condusse finalmente fuori dalla porta, all’aria aperta – l’aveva condotta sui tetti del teatro. Richiuse la porta dietro di sé per evitare che lo spiffero attirasse l’attenzione di qualche macchinista curioso, e dopo averla portata accanto ad una ringhiera in modo che potesse reggersi all’occorrenza, le sfilò finalmente via la benda dagli occhi. Il gemito sorpreso che le sfuggì dalle labbra gli fece capire che Giulia dovette aver apprezzato la sorpresa.

    Erik avrebbe desiderato mostrarle il tramonto da quella prospettiva, ma erano arrivati troppo tardi e dovette accontentarsi di un cielo notturno stellato e abbellito da una delicata falce di luna; l’orizzonte ancora tinto di rosa andava via via scurendosi e le strade sembravano sentieri di un giardino grazie alle luci dei lampioni che ne illuminavano il ciottolato.

    «È… così bello», sussurrò, facendo qualche passo in avanti fino a sporgersi dal parapetto. L’uomo ebbe uno scatto involontario, preoccupato che potesse perdere l’equilibrio, ma vedendo che mademoiselle aveva il controllo sulla sua stabilità si tranquillizzò, senza tuttavia perderla di vista un solo istante.

      Dio, era lei ad essere così bella.

     «Voglio che comprendiate che il mio non è un mondo di sola oscurità», mormorò di rimando, osservando il profilo che la giovane gli mostrava mentre si perdeva nella totale ammirazione di uno spettacolo così meraviglioso – raramente un tale colpo d’occhio aveva lasciato insoddisfatto qualcuno. Il viso della ragazza si volse verso di lui e un tenero sorriso la illuminò, accelerando i battiti del suo povero cuore ferito.

    «Non ne ho mai dubitato, Erik», mormorò dolcemente, avvicinandosi a lui. Istintivamente prese una mano dell’uomo tra le sue, sfilandone con calma il guanto per poi intrecciare insieme le loro dita infine nude – pelle contro pelle, fresco tepore contro gelido calore. Giulia fece scorrere le proprie dita sul palmo e sul dorso della mano di Erik, riuscendo, senza accorgersene, ad accelerare i battiti del suo cuore. «Per varie ragioni non sono mai fuggita da voi, e una di queste è proprio la fiducia che nutro nei vostri confronti».

     «E le altre?» Osò domandare lui, sollevando la mano libera e portandola ad immergerla nei lunghi capelli della giovane.

     Ella si morse leggermente il labbro inferiore, senza ben sapere cosa rispondere. «Delle altre non sono ben sicura io stessa…»

    Certo, egli lo sapeva: non doveva né voleva forzarla ad accettarlo definitivamente nella sua vita in un ruolo che forse non poteva ambire a ricoprire, eppure… Eppure non poteva fare a meno di immaginarsi con lei accanto, per sempre. Tutte le memorie che aveva fino a quel momento conservato di Christine – ricordi che avevano gettato legna sul fuoco della sua vendetta, che l’avevano fatto impazzire e turbato i suoi sonni agitati – sembravano impallidire ed evaporare di fronte al sentimento che mademoiselle Sanders sembrava avergli acceso in petto.

      Il mio cuore aveva mai amato? Occhi rinnegatelo, perché non ha mai conosciuto la bellezza  fino ad ora…

    «Voi sapete cosa provo nei vostri confronti, credo di avervelo fatto comprendere chiaramente», mormorò, temendo di esagerare troppo con le sue dichiarazioni e pertanto ammettendo solo lo stretto indispensabile. «Ma non voglio obbligarvi: desidero che siate libera di scegliere, e di riflettere. Soltanto quando sarete sicura di ciò che vuole il vostro cuore mi darete una risposta».

    Giulia lo osservò a lungo, trovando fastidiosa – oltre che inutile – la continua presenza della maschera perlacea che nascondeva il suo viso al suo sguardo gentile. Non aveva intenzione di metterlo a disagio, però aveva l’impressione che quel gelido oggetto non facesse che allontanarlo ancora di più da lei, quasi che acuisse la distanza che al momento c’era tra loro; certo, in realtà dopo quel bacio non poteva dire che tutto fosse tornato come prima – cosa impossibile – ma continuando ad indossarla le faceva pensare che non si fidasse di lei abbastanza. Così, con gesti lenti e misurati, sollevò una mano a sfiorargli la guancia e posò l’altra sulla superficie liscia e fredda della maschera; gli occhi dell’uomo si spalancarono leggermente, e preoccupato Erik posò una mano sopra quella della giovane.

    «Non fate cose di cui potreste solo pentirvi…» mormorò, con il tono disperato di chi prega.

    Lei sorrise teneramente, scuotendo il capo. «Non c’è nulla di cui pentirmi», replicò, cercando di mettere quanta più dolcezza poteva nella sua voce. «Fidatevi di me come avete già fatto nei vostri sotterranei», aggiunse, evitando abilmente di accennare al fatto che all’epoca Erik le aveva mostrato il suo volto unicamente per spaventarla e punirla.

    Gli occhi dell’uomo si incupirono come un cielo in tempesta prima che le palpebre si abbassassero su di essi, come se avesse voluto evitare di vedere l’espressione di disgusto che, a suo avviso, si sarebbe dipinta sul viso di mademoiselle. Da parte sua Giulia prese quel gesto come un muto invito a fare ciò che più desiderava, così, lentamente, sfilò la maschera dal volto di Erik, riuscendo finalmente a ricostruire il quadro completo di ciò che era il suo viso. La carne sfigurata era forse più terribile di come la ricordava, ma la sua vista non le provocò orrore, quanto piuttosto un’immensa tenerezza – dovuta, molto probabilmente, ai nuovi nascenti sentimenti che sentiva di provare nei suoi riguardi. Aveva l’impressione che Erik, senza quelle piaghe, non sarebbe più potuto essere l’uomo di cui si sentiva stranamente attratta – non sarebbe mai riuscita ad immaginarselo privo di quello che era, a suo avviso, unicamente un tratto caratteristico di quell’uomo geniale, ma che egli vedeva soltanto come la deformità che avrebbe potuto farla scappare via da lui.

    Eppure gli aveva già detto che non aveva paura…

    «Erik», sussurrò, dolcemente. «Guardatemi».

    L’uomo si accorse di quell’accorato tono di voce e fu quello a fargli aprire di scatto gli occhi, sorpreso, per scoprire le mani della ragazza ancora sul suo volto e i suoi occhi incatenati ai propri. Giulia gli era così vicina che avrebbe potuto far aderire i loro corpi con un respiro più profondo, ma per quanto desiderasse stringerla ancora tra le braccia non osò farlo – la vista di Christine e ciò che aveva riportato a galla quello che la viscontessa rappresentava lo avevano momentaneamente indebolito, come non accadeva da tempo. Tremò, mentre attendeva le parole che avrebbero potuto condannarlo al più cupo degli inferni o al più celestiale paradiso.

    «Probabilmente non troverò più il coraggio di dire una cosa simile, perciò ascoltatemi attentamente», proseguì con sempre maggior decisione, senza lasciare gli occhi di Erik per nemmeno un istante. «Ho riflettuto molto, la notte scorsa non ho quasi dormito dopo ciò che è successo nel vostro ufficio, e… Ho cercato per un po’ di convincermi che ho ricambiato il bacio per curiosità, ma non può essere semplice curiosità il desiderare continuamente il sapore delle vostre labbra». Distolse lo sguardo improvvisamente imbarazzata e cercò di abbassare le mani, ma quelle di Erik corsero ad impedirglielo, tenendole ben salde contro il suo viso.

    «Vi prego, continuate», la supplicò lui sottovoce, trattenendo a stento l’incredulità e la sorpresa che tali parole gli avevano causato, ma senza celare la gioia che l’aveva pervaso. Per non parlare del calore dei suoi morbidi palmi contro le gote, contro la sua terribile deformità, che gli risultava tanto estranea quanto familiare: oh, se lei avesse potuto davvero amarlo sarebbe stato sempre così…

    Giulia si morse leggermente il labbro, imbarazzata, prendendo un profondo sospiro per trovare il coraggio di proseguire con il suo discorso. «Io odio vedere il vostro sguardo cupo e triste, Erik», mormorò, sollevando gli occhi su di lui. «E vorrei essere la ragione del vostro sorriso… Ma per qualche motivo sento di non potervi fare promesse che non so di poter mantenere. Il mio passato è avvolto nell’oblio, e vorrei tanto sapere chi è la donna che vorrebbe starvi accanto prima di giurarvi qualsiasi sentimento… Però…» Non resistette oltre e annullò ogni distanza tra i loro corpi, allacciandogli le braccia dietro la nuca e sollevando il volto verso il suo con un tenero sorriso. «Se voi potete accettare una figlia di nessuno, allora non ho motivo di starvi lontano», concluse in un sussurro.

    Erik era fuori di sé dalla commozione – le mani della ragazza tra i suoi capelli e il suo sguardo, limpido e sereno, per nulla spaventato, era, probabilmente, più di quanto potesse sopportare tutto insieme. Sollevò due dita tremanti verso il suo volto, ma a metà del gesto si accorse del secondo guanto che ancora ricopriva le sue falangi e con malagrazia lo strappò via, desideroso di poter sentire la morbidezza della sua pelle contro la propria. Giulia trattenne un sorriso, socchiudendo gli occhi e sospirando di sollievo quando la carezza dell’uomo iniziò il suo percorso dalla gota fino a scivolare giù, all’angolo della bocca, al mento – e poi ancora, al collo, alla clavicola, fino a quando le dita non furono sostituite dalla punta del suo naso, affondata nell’incavo della sua spalla per meglio assaporare il suo profumo, la sua essenza.

    «Come puoi dire una cosa del genere», sussurrò con voce roca, cessando di rivolgersi a lei con la gelida forma di cortesia. «Come puoi pensare che io non possa volerti soltanto perché le tue origini non sono note? Ciò che sento di provare per te va ben oltre simili questioni…» Le passò le braccia intorno alla vita, attirandola verso di sé ma ritraendosi il tanto necessario per poterla guardare nuovamente negli occhi. «Davvero non hai paura di me? Il mio aspetto non ti ripugna?»

    «Sono forse scappata quando mi hai mostrato il tuo volto, nei sotterranei?» Replicò Giulia con un’altra domanda, inarcando un sopracciglio: senza pensarci aveva abbandonato anche lei tutte le formalità, e la cosa le riuscì più semplice del previsto. Ad ogni modo, l’insicurezza dell’uomo era un qualcosa che le faceva tenerezza e che, allo stesso tempo, la irritava.

    Lo sguardo di Erik si incupì, diventando per un istante lo sguardo del Figlio del Diavolo che Giulia aveva imparato a temere. «Non saresti potuta fuggire in ogni caso», ribatté lui, seccamente. «Te l’avrei impedito anche se la mia vista ti avesse fatto svenire dal terrore».

    La giovane scosse impaziente il capo, circondandogli nuovamente il volto con le mani. «No, non l’avresti fatto. E sai perché? Perché tu non sei un mostro, Erik, per quanto continui a nasconderti dietro questa maschera…» Disse, senza riferirsi all’oggetto perlaceo che giaceva, pressoché dimenticato, sulla neve che imbiancava il tetto. «Io so che il tuo animo potrebbe abbracciare l’intera umanità…»

    Quell’ultima dichiarazione fu un fievole sussurro sulle labbra dell’uomo che, chinatosi su di lei per non perdersi una sola delle sue parole, aveva rafforzato la sua stretta per farla aderire completamente al suo corpo – maledetti abiti che gli impedivano di sentire il suo calore. I suoi occhi, umidi di lacrime non versate, si socchiusero per impedire a Giulia di vederlo in quello stato indifeso e inerme, ed ella approfittò di quello per sollevarsi sulla punta dei piedi e posare un bacio gentile sulla parte piagata del suo volto, strappandogli un debole gemito che lo spinse ad affondare ancora il volto tra i suoi capelli e sul suo collo, per poi crollare in ginocchio ai suoi piedi sopraffatto da tutte quelle emozioni.

    Giulia si inginocchiò quindi al suo fianco, avvolgendogli le spalle con le proprie braccia e sentendolo finalmente sciogliersi in dignitosi singhiozzi che si rivelavano soltanto dal leggero tremito che lo percuoteva silenzioso. Ripeté il suo nome all’infinito, come un mantra che sarebbe dovuto servire a calmarlo e fargli riprendere il controllo di sé, e forse fu il suo abbraccio, o le sue carezze, o la sua voce che lo chiamava con quella tenera dolcezza ch’egli non poteva dire di aver conosciuto prima, fatto sta che, improvvisamente cessato di piangere, sollevò il viso su di lei, incurante delle lacrime che continuavano a scorrergli sulle guance. Ella non aveva mai visto un uomo piangere, e vedere lui – lui, il Fantasma dell’Opera, il Figlio del Diavolo, ma no, per lei soltanto Erik – in quelle condizioni le strinse il cuore in una stretta dolente.

    E l’avrebbe baciato sicuramente, se egli non fosse stato tanto più rapido di lei nell’afferrarla per le braccia con fermezza e passione, per poi attirarla in un bacio umido e urgente che non aveva nulla di casto e tutto di impetuoso – quasi che finalmente stesse assaporando un desiderio a lungo respinto.

    Così, con le bocche ancora unite e in preda ad una danza più antica del loro sentimento, la giovane udì distrattamente la voce di Erik che sembrava supplicarla con una disperazione terribile.

    «Non lasciarmi anche tu, Giulia, ti prego… Non lasciarmi».





















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AA - Angolo Autrice:

Uhm, in realtà non credo ci sia molto da dire, se non chè non sono per niente convinta del risultato di questo capitolo - dato che, in due mesi, si suppone che una faccia un lavoro degno di tale nome. E invece... -.- Vabbè gente, accontentiamoci, cercherò di rifarmi col prossimo! ^^
Vorrei ringraziare chi ha recensito lo scorso capitolo, ossia sydney bristow, alwxisglad e Keyra93 - grazie mille, mi fa sempre piacere sapere che cosa ne pensate di quello che partorisce la mia mente malata! :D Spero che vi piaccia anche questo, anche se ho i miei dubbi. -.-  Ah, un ultimo appunto! Non sono una che riempie le storie di citazioni senza specificare da dove provengono, perciò sto preparando una scheda che aggiornerò man mano e che posterò alla fine della storia, dopo l'Epilogo. Se e quando ci arriverò, a questo punto xD
E con questo vi lascio,  spero di potervi augurare un buon Natale regalandovi il capitolo 24 ma non voglio fare promesse che non so di poter mantenere :p Un abbraccio grande grande, e grazie per avermi seguito fin qui <3 I remain, gentleman...
Vostra,
GiulyRedRose.

   
 
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