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Autore: Heresiae    02/12/2005    2 recensioni
Saeko affibbia un incarico a Ryo e fin qui nulla di strano, normale amministrazione. Qualcuno ha commissionato a un killer l'uccisione di Ryo Saeba. E qui si va sullo scontato. Ma le cose non sono mai semplici come appaiono e i segreti possono essere pericolosi, soprattutto se sono di Ryo Saeba.
E bisogna sempre ricordare che zio Murphy imperversa!
Genere: Drammatico, Azione, Avventura, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaori/Greta, Ryo Saeba/Hunter, Umibozu/Falco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 7

Si avvicinava il tramonto e le luci della villa erano già tutte accese, i fari erano disposti a intervalli regolari per tutto il parco e occhieggiavano dall’erba, in attesa di rendere quello spazio aperto completamente visibile a occhio nudo. Tutti gli uomini si stavano preparando all’arrivo dell’ospite d’onore, prendendo tutte le precauzioni del caso: controllo equipaggiamenti, ronde raddoppiate, collegamento diretto con le spie che tenevano sotto controllo tutti gli amici dei due sweeper e in particolare la questura, nel caso Saeko decidesse di utilizzare anche le forze dell’ordine per liberare Kaori.
Dietro l’edificio padronale, c’era una costruzione rettangolare, che un tempo era servita da scuderia e ora era poco più di un magazzino. In uno dei box per i cavalli, stesa sopra del fieno fresco, Kaori stava lentamente riprendendo il controllo sui suoi sensi, non senza qualche controindicazione. Nel momento stesso in cui cercò di snebbiarsi la vista scuotendo la testa, un dolore lancinante si ripercuoté dalla sua tempia fino alla base del collo. Trattenendo le lacrime, cercò di aprire meglio gli occhi senza movimenti troppo bruschi. Era sdraiata su un fianco e non vedeva altro che assi di legno scuro, paglia e una corda. Il dolore alle costole era lieve e dovuto alla posizione in cui era messa, il braccio ingessato non pulsava: le sue ferite non erano peggiorate, era già qualcosa. Cercò di tirarsi su ma aveva le mani e le gambe bloccate dietro alla schiena. La fitta alla tempia di fece risentire e Kaori cercò di soffocare il gemito di dolore, tentando di portare i suoi pensieri su argomenti che non riguardavano la sua salute fisica. Come ci era finita lì? E soprattutto perché? Ricordava vagamente che stava parlando con Miki e Reika, ma poi?
Improvvisamente tutto cominciò a girare. Le vertigini e la nausea la costrinsero a chiudere gli occhi, mentre cercava di reprimere un conato di vomito. Quando le sembrò di essere riuscita a tornare a una condizione di normalità, tentò di riordinare le idee: dolore alla testa, nausea e vertigini, dovevano aver ricevuto un forte colpo in testa. Come in un classico flash-back, rivide un uomo con il passamontagna nero che sollevava il calcio di una pistola. Ah ecco cos’era successo. Stava rientrando in casa con Reika e Miki, quando quei quattro le avevano assalite e portato via lei. Non doveva nemmeno chiedersi chi era stato, era piuttosto chiaro: Bruckmeyer l’aveva rapita per ricattare Ryo. E dire che si era schernita delle preoccupazioni del suo socio.
Dopo qualche secondo in cui respirò a fondo, decise di tentare di mettersi almeno seduta. Si puntellò con uno dei gomiti e cercò di piegare le gambe. Al primo tentativo ricadde malamente. Al secondo riuscì quasi a farcela. Al terzo era appoggiata a una delle pareti di legno, ansimante. Kaori si guardò meglio intorno: era un recinto in legno, con in alto delle sbarre e una porta chiusa da un pesante catenaccio; l’ambiente era poco illuminato, la luce si diffondeva da oltre le sbarre, davanti a lei e al suo fianco. Guardò la parete alla quale era appoggiata e vide due grossi anelli in metallo arrugginito. L’avevano rinchiusa in una scuderia. Subito, osservò paglia su cui era seduta, ma non vide tracce scure e l’unico odore che percepiva era l’umido del legno, della paglia e del mare. Beh, per lo meno non l’avevano messa negli escrementi degli animali.
Un attimo, il mare? Tese l’orecchio, ma non sentì nulla. Eppure quello era l’inconfondibile odore salmastro del mare.
Un lieve rollio, e la luce aumentò. Alcuni passi rimbombarono sul pavimento in cemento e tra le pareti della scuderia: erano più di uno. Subito si mise allerta, dimenticando per un attimo di essere immobilizzata e ferita, ma imprecando sottovoce quando si ricordò della sua condizione. Dalla sua bassa postazione, vide delle teste avvicinarsi al suo box: una era di un biondo dorato molto chiaro. Qualcuno aprì il cancello e il biondo entrò, e Kaori vide per la prima volta Hans Bruckmeyer in faccia.
Se era quella la persona per cui doveva morire, beh forse ne valeva la pena. Si morse la lingua ricacciando indietro quel pensiero scomodo, non era da professionisti invaghirsi del proprio nemico, soprattutto se stava per ucciderla. La mente, traditrice, le inviò l’immagine del suo socio che si invaghiva di un travestito qualche anno prima. Ok, forse qualche pensiero se lo poteva concedere.
Bruckmeyer osservò la donna immobilizzata ai suoi piedi: aveva un grosso livido in fronte, da cui era sceso del sangue, ora rappreso. Era molto pallida, evidentemente sofferente per le diverse ferite inflittegli; meglio così, avrebbe opposto meno resistenza. Il suo sguardo però non aveva niente a che vedere con la sua salute, era vigile, deciso, attento, non si perdeva una sua mossa. Sorrise con gentilezza, in fondo era pur sempre una donna, una bella donna.
- Ben svegliata, dormito bene? –
Kaori si era immaginata una voce fredda, con un accento duro e secco, come quelli che si sentono nei film quando parodiano i tedeschi, fu molto sorpresa invece di sentire una voce molto calda e priva delle inflessioni rozze della sua lingua madre, parlava un perfetto giapponese. La domanda era tutta un’altra faccenda, da qualche parte i suoi neuroni la decifrarono come un presa in giro. Fece un smorfia, pentendosene quasi subito visto che risvegliò il dolore alla tempia.
- Per niente. I suoi uomini sono dei caproni. –
Inaspettatamente, Bruckmeyer rise.
- Si, ha ragione, ma il loro compito non è di essere gentili, bensì di portare a termine le missioni che io gli affido. –
- E la missione era quella di rapire una donna ferita e di malmenarla ancora di più? –
- No, la missione era quella di portarmi la socia di City Hunter, preferibilmente viva e senza troppe contusioni. –
Bruckmeyer sorrideva ancora, ma senza esprimere il calore del primo saluto. Osservava divertito l’ira della donna, che poteva sfogarsi solo con lo sguardo. Dalle informazioni che aveva raccolto, Kaori Makimura era una donna molto impulsiva, che non sapeva tenere troppo a freno la lingua e incapace di sparare. Tutte qualità negative per una sweeper, eppure, il suo istinto gli disse di fare attenzione. Non sapeva dire perché, ma quella donna gli appariva più pericolosa di quel che fosse in realtà. Probabilmente era solo perché l’associava a Ryo Saeba, lui si che era pericoloso. Cancellò quel pensiero, se anche fosse stata in grado di fare qualcosa, le sue ferite e il dispiegamento di uomini l’avrebbero fermata prima di mettere in atto chissà che.
Mentre osservava l’uomo che la stava deridendo, Kaori ebbe la strana sensazione di averlo già visto e più lo guardava, più la sensazione aumentava e diventava certezza. Lo conosceva, ne era sicura, ma non riusciva a ricordare perché.

Seduto sul cassone del camion, Ryo continuava a guardare fisso davanti a se, senza vedere realmente gli uomini che lo circondavano tenendolo sotto tiro costante. Era su un camion militare, di quelli con il cassone coperto da una spessa tela verde, che ora era saldamente chiusa su tutti i lati. I lunghi sedili destinati ai militari, erano occupati dai mercenari di Bruckmeyer: in tutto erano una dozzina.
Tutti solo per lui, che privilegio.
Ryo invece era stato posizionato al centro del cassone, su cui si era accomodato a gambe incrociate, ovviamente dopo essere stato ammanettato saldamente mani e piedi. Un uomo si preoccupava solo di controllare che lo sweeper non si liberasse le mani; Bolt non aveva lasciato niente al caso.
Un forte scossone lo proiettò malamente contro il fondo del camion; subito quattro mani lo riportarono al centro mentre tre canne da fuoco gli si conficcavano nelle carni.
- Ehi, andateci piano, oppure dite all’autista di imparare a guidare. –
Nessuno gli rispose e Ryo tornò a perdersi nei suoi pensieri osservando ciò che un lembo mal accostato del tendone lasciava vedere. Era quasi sera, tra poco avrebbe fatto buio e sarebbe stata ora di cena.

- Allora, che fai?! Vieni o no? Guarda che non so se troveremo ancora qualcosa se faremo troppo tardi. –
- Eh? –
- Ryo ti muovi?! Lo stufato non aspetta! –
- Oh, arrivo, solo un attimo. –
Un faccia brufolosa e sorridente gli si parò davanti, levandogli la visuale del cielo nero e stellato, facendolo gridare. La faccia ghignò.
- Smettila di guardare il cielo, quello c’era ieri, c’è oggi e ci sarà anche domani. Lo stufato speciale del cuoco invece no, quindi muoviti! –
La faccia scomparve e lui poté rialzarsi.
- Si. Il cielo c’è sempre, ma noi? –
Il ragazzo non gli rispose, si stava già dirigendo di corsa verso l’accampamento. Ryo sospirò e gli andò dietro, seguendo il chiarore dei fuochi e il ciarlare chiassoso di molti uomini. Sbucò in una radura che ospitava diverse tende mimetiche, un paio di baracche, molti mezzi pesanti e un mucchio di uomini in mimetica, cenciosi e con la barba lunga, seduti in circolo intorno a un grosso falò, che consumavano abbondanti porzioni di qualcosa che un uomo molto corpulento distribuiva davanti a una delle baracche. Il ragazzo brufoloso era già in fila e fece segno a Ryo con una mano, per fargli vedere che aveva già anche la sua ciotola. Ryo si affrettò a raggiungerlo. Dopo qualche secondo, entrambi cominciarono a fare i furbi e a tentare di passare sotto alle gambe del soldato davanti a loro o di distrarlo mentre uno dei due passava avanti; scoperti irrimediabilmente tutte le volte e ricacciati al loro posto con una pedata e una risata, i due ragazzi, ebbero alla fine la loro (abbondante) razione e andarono a sedersi nel cerchio con gli altri. Ryo precedette il ragazzo e si andò a sedere a fianco di un uomo dai tratti orientali che rideva di gusto alla battuta di uno dai tratti occidentali. Si interruppe per guardare il ragazzo accanto a lui.
- Allora, ce l’hai fatta finalmente, poltrone. - e gli scompiglio allegramente i capelli facendogli quasi affondare il naso della ciotola.
- Eddai papà! Sto mangiando! –
Gli uomini intorno scoppiarono a ridere.
- Si Kaibara, non disturbare il moccioso o gli rimarrà tutto sullo stomaco poverino. –
- Si, e poi ci toccherà sentirci le sue lamentele in tenda stanotte. –
- E anche qualcos’altro! –
Tutti scoppiarono a ridere mentre Ryo li mandava a quel paese con la bocca piena. Quando smisero di trovarlo interessante lui ricominciò a masticare tranquillamente. Il ragazzo accanto a lui lo guardava furbescamente. Ryo gli gettò un’occhiata di sbieco senza distrarsi troppo dal suo stufato.
- Beh, che hai? –
- A te non sembra incredibile? –
- Cosa? –
Ryo non guardò il ragazzo, era sicuro che si stava per lanciare in una delle sue conversazioni filosofiche, che capiva davvero poco. Era più alto di lui e sicuramente più grande, anche se non lo sapeva con certezza. Quand’era arrivato, dopo che l’avevano trovato nel bosco, non spiccicava parola e suo padre glie lo aveva affibbiato pensando che la compagnia di un moccioso più o meno della sua età lo avrebbe fatto sbottonare. Detto, fatto. Il giorno dopo il ragazzo non la finiva più di parlare: raccontava come alcuni uomini tutti col passamontagna l’avevano rapito dal collegio in cui studiava e portato di nascosto su un furgone e poi su un aereo. Di come l’avevano legato, di come non lo lasciavano andare al bagno da solo e che tenevano sempre addosso i passamontagna. Di come all’improvviso sull’aereo avevano cominciato tutti a gridare, mentre quello vibrava forte, come quando nei film fanno vedere la cabina passeggeri mentre l’aereo sta precipitando; ma loro non erano precipitati, il pilota era riuscito ad atterrare in una radura e allora lo avevano liberato, perché non volevano portarselo sulle spalle. Solo che due giorni dopo avevano incontrato altri uomini con un mucchio di fucili, che avevano attaccato i suoi rapitori e allora lui era scappato e aveva trovati altri uomini con altri fucili e lo avevano portato lì. Dopo tutta quella trafila (in cui raccontava tutto nei dettagli) raccontata tutta in inglese, Ryo era anche riuscito a carpirgli il nome e la nazionalità. L’avevano trasmessa al comando, che avrebbe deciso cosa fare. Il ragazzo sembrava entusiasta di quella vita, ma Ryo pensava che era solo perché non l’avevano ancora spedito nella giungla con un mitra in spalla. Se rimaneva lì ancora un po’, il comandante non ci avrebbe messo molto prima di dirgli che era ora di guadagnarselo in pane. Nel frattempo parlava, sempre, chiedendo delle strategie, di come pulissero le armi, se non gli si attaccavano malattie a furia di non lavarsi, addirittura le ricette del cuoco e, cosa ancora più incomprensibile, di come riuscisse il comandante a tenere a bada tutti quegli uomini di nazionalità e caratteri diversi, con tutti quegli istinti violenti, sotto pressione costante, senza far nascere conflitti interni o peggio dei pazzi. Ryo era sicuro che prima o poi lo avrebbero appeso a testa in giù da un albero, come facevano con lui quando lo beccavano a rubare la marmellata. Ora attendeva la solita sfilza di parole che non capiva e lo interessavano ancora meno.
- Che siano tutti così allegri e cordiali. Stona tantissimo con il loro aspetto esteriore. –
Ryo smise di masticare per lanciargli un’occhiataccia.
- Ma che cavolo vuol dire? –
- Insomma, non pensavo che i mercenari potessero essere così amichevoli. –
Ryo continuava a non capire.
- Insomma, ogni giorno uccidono molte persone e vedono i loro commilitoni rimanere a terra dopo che sono caduti. Partono e non sanno se tornano, vivono costantemente in mezzo alla violenza e al sangue, devono uccidere se vogliono sopravvivere… uno si aspetterebbe di trovare uomini duri, taciturni, scontrosi, non un gruppo di persone che non fanno che ridere e scherzare tutto il tempo. –
Vai a trovare il cuoco quando di è appena svegliato, vedi che lo trovi il tuo uomo scontroso e taciturno.
Ryo riprese a mangiare, nella speranza che il ragazzo fosse dissuaso a continuare e infatti non lo fece. Ryo proprio non lo capiva, perché i mercenari non avrebbero dovuto comportarsi così? Osservò di nuovo il ragazzo, perso nella contemplazione del fuoco, che lanciava riverberi rossastri sul suo volto, tingendogli gli occhi e i capelli chiari del suo stesso colore. Con un risucchio finì il suo stufato e diede una pacca al ragazzo.
- Senti Hans, per caso non hai appettito? Guarda che lo mangio io eh? –
Hans gli diede il suo stufato senza distogliere gli occhi dal fuoco, perso in pensieri che non confidò mai all’amico.

Il camion si fermò bruscamente, riportando Ryo alla realtà. Il colonnello Bolt si affacciò dal sedile anteriore.
- Bene Mr. Saeba, siamo quasi arrivati. Sta per incontrare il nostro comandante. –
“Comandante?” Ryo sorrise. Era l’ultimo appellativo che si sarebbe aspettato per Bruckmeyer.

Mick correva a perdifiato cercando di non urtare troppo forte i passanti sulla strada, non avrebbe mai detto che non tossico potesse correre così velocemente. Il ragazzo davanti a lui continuava lo slalom tra le bancarelle come se fosse la sua normale sessione di allenamento sportiva invece che una fuga a precipizio, ma forse si era appena fatto e aveva energie da vendere. Però non poteva competere con un professionista. Lo vide svoltare improvvisamente a destra, in un piccolo vicolo laterale che portava all’arteria principale del quartiere. Mick non perse tempo e aggrappandosi a un lampione per prendere lo slancio, portò avanti il braccio sinistro facendo compiere al polso scatto verso l’alto: nel momento stesso in cui si ritrovò con lo sguardo in linea con la direzione del ragazzo, dei piccoli pugnali sfrecciarono fuori dal polsino interno della sua camicia. Il ragazzo sentì solamente un dolore acuto alle gambe e cadde riverso a terra. Mick lo raggiunse in un istante e gli immobilizzò le mani dietro alla schiena.
- Buono ragazzo. Stai fermo, non reagire e non ti farò troppo male. –
Ma doveva essere la preoccupazione minore di Fonzie, perché scattò di lato liberandosi improvvisamente dalla stretta di Mick. Cercò di sferrargli un calcio per allontanarlo, ma i suoi muscoli erano lacerati dai pugnali e non rispondevano come dovevano. Mick stava già per sferrargli un colpo alla nuca quando il ragazzo prese il volo.
Mick lo guardò sbigottito scalciare debolmente in aria molto più sconvolto e sorpreso di lui. Umibozu lo stava tenendo per la collottola con un ghigno sadico che si allargava sul faccione abbronzato.
L’investigatore si trattenne dallo scoppiare a ridere, guardare quel moccioso rachitico tentare di opporsi a un Godzilla del genere era davvero comico.
- Bravo, sei riuscito a raggiungerci. –
- Tsè, questo teppistello puzza talmente tanto che non è stato affatto difficile, mi è bastato seguire la scia che si lasciava dietro. –
Mick sorrise e guardò il ragazzo che tentava un’eroica resistenza.
- Lasciami brutto scimmione, mettimi giù e ti faccio vedere io di che cosa sono capace. Ti riduco in briciole, ti ammazzo, ti pesto a sangue, perderai talmente tanto di quel sangue che ti sgonfierai come un pallone sgonfiato. –
- Ecco bravo, così la smette di demolire le macchine su cui tenta di salire. –
Umi mise giù il ragazzo che fendeva l’aria con calci e pugni e poi lo lasciò andare. Fonzie, sentendosi improvvisamene di nuovo a terra e senza legami, guardò l’imponente massa di muscoli che lo sovrastava per ottanta centimetri buoni e sbiancò.
- Uh… ma allora sei un tipo a cui piace lanciare minacce a vuoto. Che ne dici Umi, glie lo facciamo vedere noi cos’è una minaccia seria? –
L’omone, che non aspettava altro, estese ulteriormente il suo ghigno e si protese leggermente verso il ragazzo, sovrastandolo del tutto.
- Senti un po’ moccioso, se non ci dici esattamente tutto quello che sai, prenderò quella ridicola cosa che tu chiami apparato riproduttivo e te la strapperò, dopo di che comincerò a ripassare le strade di questo quartiere con la tua brutta faccia e quando avrò finito nemmeno il tuo spacciatore sarà in grado di riconoscerti. E ti assicuro che lo schifo che ti spari nelle vene non riuscirà a farti dimenticare l’immagine riflessa nel tuo specchio. –
Per tutta risposta, dall’inguine di Fonzie cominciò ad allargarsi una macchia scura giù per le gambe.
- Bleah! Che schifo. Diamine ragazzo, se ti spaventi per così poco non oso immaginare come ti comporti con la yakuza! –
Mick guardava schifato il ragazzo mentre Umi si distanziava quel tanto che gli permetteva di non stargli troppo vicino, ma da riuscire comunque ad agguantarlo se tentava di scappare.
- Vi… vi dirò tutto. –
- Bravo, - Mick si sedette su delle cassette delle frutta vuote – comincia da principio e non tralasciare una sillaba. –
- Sono stato io! Io ho derubato Ideky e ho nascosto la roba nel capanno di Mojo, abita in periferia a tre isolati di qui. Per favore non uccidetemi, non avevo intenzione di rivenderla! – a quel punto Fonzie si buttò ai piedi di Mick, che si lanciò indietro temendo che volesse toccarlo, nel frattempo osservò l’amico che aveva un’espressione sconcertata quanto la sua.
- Ma che diavolo stai blaterando?! – ora Fonzie piangeva.
- D-della rrroba che ho fregato a Ideky l-l’altro ieri. –
- E scusa, perché ce ne dovrebbe importare qualcosa? –
A quel punto Fonzie sollevò la testa guardando prima Mick e poi Umi, alternandoli.
- V-voi non siete gli uomini di Koji Unkaro? –
I due negarono all’unisono e fu il turno di Fonzie di rimanere sconcertato. Si alzò in piedi di scatto allontanandosi di qualche centimetro da Mick e puntando il dito in modo accusatorio contro i due.
- Voi non siete gli uomini di Koji Unkaro!! –
Umibozu cominciava ad avere un principio di mal di testa.
- Questo lo sappiamo anche noi. –
Sembrava che Fonzie avesse ritrovato tutta la sua baldanza e che avesse dimenticato la magra figura di poco prima; incrociò le braccia con fare sprezzante e alzò il mento guardandoli (tentando) dall’alto in basso.
- E che cosa volete allora? Qui le informazioni si pagano, lo sapete? –
I due cominciavano a spazientirsi. Mick non dovette spronare Umibozu: l’uomo, che sembrava piuttosto seccato di aver perso l’ascendete di terrore sul ragazzo, decise di fargli capire chi aveva davanti. Fece un passo lo afferrò per il bavero della giacca e lo bloccò contro il muro, portando il suo viso a pochi centimetri dallo sfortunato informatore.
- Noi vogliamo sapere che ne è stato di Ryo Saeba. Lo conosci vero? Sarà passato di qui giusto tutti i giorni nell’ultima settimana. –
Fonzie aggrottò la fronte e guardò il suo riflesso negli occhiali dell’uomo, per associazione di pensiero si ricordò della minaccia precedente e cominciò a tremare leggermente.
- E… Saeba eh? S-si è p-passato di qua parecchio ultimamente ma… ma oggi non l’ho visto. No, proprio no. Già. –
Fece una risata stridula che venne soffocata dalla stretta di Umibozu. Mick balzò giù dalle cassette e si avvicinò ai due.
- Che dici Umi? Dobbiamo credere a questa faccia di topo? – Umibozu non parlava, si limitava a tenere il ragazzo contro il muro, ma Mick avvertiva la tensione del suo corpo. Nessuno che aveva a che fare con lui era mai riuscito a fargli bere una balla, nessuno tranne Ryo, ma da quando era diventato cieco del tutto anche per lui mentirgli era diventato difficile. Se non ci riusciva uno degli sweeper più famosi del mondo, non poteva di certo riuscirci quel pivello.
Umibozu sogghignò e pronunciò il verdetto: - Sento puzza di menzogna. –
Come se avesse decretato la sua condanna a morte, Fonzie cominciò a piagnucolare.
- No, no, è vero. Credetemi, è vero. Vi giuro. Non vi sto mentendo, io … -
- Basta così. Umibozu, fagli vedere qual è la pena per i bugiardi. –
- Smettila di darmi ordini. –
L’ex killer però, senza staccare il ragazzo dal muro, cominciò lo stesso a dirigersi verso una piccola traversa senza uscita del vicolo, il giubbotto in pelle strideva a contatto con il cemento ruvido del palazzo. Il grido del ragazzo sembrava il lamento di un animale in agonia.
- No! Vi prego aspettate! Vi dirò tutto quello che volete! Non lasciatemi da solo con lui!! –
Umibozu si fermò permettendo a Mick di raggiungerli.
- Forza siamo tutt’orecchi. –
- Non… non mi tirate giù. –
Due identici ghigni sadici si affacciarono sui due uomini.
- Tu prima dicci quello che sai e forse potremmo lasciarti andar via sulle tue gambe.
- Esssseno? –
- Se no, - Mick si adombrò subito, - ti toccherà strisciare fuori di qui sui tuoi gomiti. –
- Se ti rimarranno i gomiti. – Umibozu teneva sempre molto alle precisazioni.
Fonzie deglutì faticosamente e decise che era meglio parlare.

Bruckemeyer pese dalla tasca un cellulare che vibrava forte e prese la comunicazione con un semplice “Si”. Ascoltò ciò che aveva da dire il suo interlocutore e poi chiuse la comunicazione, rivolgendo di nuovo la sua attenzione alla donna ai suoi piedi.
- Sembra che presto arriverà l’ospite d’onore. Chissà forse la sua vista riuscirà a smuoverla più della mia. –
Kaori lo guardò, ancora sconcertata per la certezza appena acquisita.
- Come? –
- Pare che lei sia così abituata a essere rapita che non la smuove nemmeno trovarsi al cospetto dell’uomo che decreterà la sua morte, immagino che non sia facile essere la donna di Saeba. -
- Io non sono la sua donna. –
- Non credo abbia molta importanza in questi casi, vero. –
Kaori sorrise mesta, aveva proprio ragione.
- Ad ogni modo presto nessuno farà più coppia con lui. – Kaori fissò negli occhi quell’uomo che appariva così freddo nella sua cordialità. - Proprio ora la stanno portando qui, dove potrò fargli fare la fine che merita. –
La donna non fece alcun cenno, non le aveva detto nulla che la potesse far desistere a sperare, era sicura che Ryo aveva qualcosa in serbo, come al solito. Eppure, da qualche parte nella sua mente, le speranze cominciarono lentamente ad affievolirsi.

Mick guardava Fonzie come se stessero facendo un normale conversazione tra colleghi, e non un interrogatorio in piena regola, con il torchiato appeso a un muro e tenuto sott’occhio da un uomo da più di cento chili di muscoli.
- Vediamo se ho capito bene. Due giorni fa due tizi ti si sono avvicinati, proponendoti di pagarti un bel gruzzolo se gli reggevi il gioco. Giusto? –
Fonzie annuì deciso.
- Si, si. –
- Il gioco consisteva nell’aspettare che Saeba si facesse vivo, di lanciare un segnale tramite una ricetrasmittente e di portarlo da loro, che si sarebbero opportunamente appostati con un furgone a nolo davanti alla ferramenta del vecchio Kaji, giusto? –
- Si, si. –
- A quel punto, loro avrebbero aspettato qualche minuto e se ne sarebbero andati lasciando che Ryo li seguisse. Giusto? –
- Si, si. –
- Tu non avresti dovuto parlarne con nessuno, bla bla, le solite storie… è tutto qua? –
- Si, si. –
Umibozu rafforzò la pressione contro la gola del ragazzo.
- E tu vuoi farci credere che non sai dove lo hanno portato? - il ragazzo cominciava a risentire lo stress e l’astinenza da stupefacenti, aveva lo sguardo spento e sudava a profusione, una situazione che dava parecchio fastidio ai due, dato l’incidente di prima.
- N-non me l’hanno detto. I-io ero solo un’esca. –
Mick fece una smorfia mentre Umi o lo lasciava andare. Si voltò verso l’imboccatura da cui erano entrati nel vicolo, riflettendo: come diavolo aveva fatto Ryo a non capire che era una trappola? Quel viscido topo di fogna trasudava menzogna da tutti i pori, non avrebbe mai dovuto usarlo come informatore. Il suo amico doveva essere ammattito del tutto. Umibozu interruppe il filo dei suoi pensieri dopo aver lasciato cadere malamente a terra Fonzie, che ora tossiva ai suoi piedi e si massaggiava la gola.
- Che facciamo ora? –
- Non abbiamo molta scelta, dobbiamo andare ad aiutarlo. –
Umi fece una smorfia.
- Dobbiamo? –
- Si certo, Kaori è ferita e lui sarà solo contro un intero esercito. Mica vorrai lasciarlo da solo? –
Mick guardò di sottecchi l’uomo, che sembrava deciso a sottolineare come lui non dovesse proprio fare niente nei confronti dello sweeper.
- Senza contare che hanno malmenato Miki; se Ryo non ce la dovesse fare quel damerino tedesco rimpatrierebbe subito, non vorrai mica lasciare che la passi liscia? –
- Tsè! Assolutamente no. Ma sia chiaro, è solo per questo che vado a dare una mano a quell’imbecille. –
- Si come no. –
I due ritornarono sui propri passi ignorando le flebili lamentele che il ragazzo emetteva, una volta saliti sulla jeep Umibozu si rivolse a Mick.
- Bene, qual è il tuo piano? –
- Eh? –
Mick si era sistemato comodamente sul sedile, allungando le gambe e portando le braccia incrociate dietro alla testa.
- Il tuo piano per fare irruzione, ne avrai uno no? –
- No. –
Umibozu si lasciò sfuggire la frizione proprio mentre girava la chiave per accendere il motore, con il risultato che il pesante mezzo sobbalzò un paio di volte.
- Come sarebbe a dire che non ce l’hai?! – Mick, per nulla scomposto, si limitò ad osservare una ragazza in minigonna che passava accanto a loro, scandendo bene le parole.
- Che-non-c’è-l’ho. –
Umibozu raggiunse la stessa tonalità di rosso che assumeva quando Miki gli faceva i complimenti, o Ryo toccava certi argomenti in sua presenza.
- E come avresti intenzione di entrare lì dentro? –
- Mah, prima o poi mi verrà in mente. –
Umibozu grugnì qualcosa di incomprensibile e riavviò il motore, stavolta con più fortuna, e si inserì nel traffico.
- Che dici? –
- Dico che faremo con il mio metodo. –
- Vale a dire bazooka puntati sul cancello principale e spianata totale su tutto ciò che incontreremo? –
- Esatto. –
Mick scivolò giù dal sedile mentre Umibozu evitava (non si sa come) una vecchietta con le sporte delle spesa che finiva di attraversare la strada; si infilò subito la cintura di sicurezza e riprese il discorso di prima.
- Stai scherzando vero?! –
- Assolutamente no. –
- Non puoi fare una cosa del genere? Ryo e Kaori potrebbero venire uccisi prima che noi riscissimo a raggiungerli oppure trasferiti su una delle sue navi, lo sai che ha un porto sotto alla villa! –
- E allora tu cosa proponi, sentiamo. –
Mick sbuffò e si sedette meglio sul sedile, cominciando a guardare le vie piene di traffico e di gente. Era una situazione spinosa, non potevano fare irruzione così alla villa, quello non era il solito esercito di mafiosi o mercenari alla buona, quello era un esercito in piena regola, ed entrambi erano ormai a digiuno di quelle azioni da un po’. Loro due sarebbero stati fermati prima ancora di raggiungere la villa e Ryo e Kaori sarebbero stati spacciati. Tra l’altro non sapeva quale sistema difensivo il tedesco avesse approntato alla villa, perciò sarebbe stato un colpo alla cieca. Non sapeva proprio che cosa fare.
Era un normale giorno settimanale nell’ora dell’uscita dagli uffici, perciò ben presto finirono imbottigliati a un incrocio. Tra clacson che suonavano, imprecazioni che volavano e fumi di scarico, Mick fece girare lo sguardo sulle macchine che li circondavano, andando poi a finire sul furgoncino di un piccolo corriere espresso che aveva la freccia per svoltare a destra, un paio di macchine più avanti. Rimase a fissarlo senza realmente vederlo per un tempo indefinito, poi si rese conto di che cosa stava guardando ed ebbe un’idea. Il semaforo diventò verde.
- Gira, segui quel furgone! –
- Eh? –
Mick non perse tempo in spiegazioni, afferrò il volante e premette sull’acceleratore, svoltando bruscamente per raggiungere il furgoncino del corriere. Un concerto di clacson e stridore di pneumatici accompagnarono la loro impresa, ma non si sentì nessun cozzare di carrozzerie.
- Ma sei matto?! –
Umibozu riprese di forza il controllo dell’auto, spingendo Mick al suo posto.
- Vai dietro a quel furgone! –
- Quale furgone?! –
Mick si morse le lingua: era vero, lui non lo vedeva.
- Ti dico dove svoltare, poi ti spiego. –
Seguirono il furgoncino per pochi minuti, fino a quando non si fermò davanti a un condominio con davanti un ampio cortile, pieno di bambini che giocavano. Il conducente scese dal mezzo, prese un pacco dal retro ed entrò nel cortile, dirigendosi verso un ingresso nascosto da un paio di alberi. Quando fu di ritorno pochi minuti dopo, non trovò più il furgoncino. I bambini dissero che il gigante buono aveva preso il furgone dicendo che era per una missione di salvataggio. Il conducente evitò accuratamente di indicare i bambini quali testimoni del fatto.

 

 

Mi spiace, altro capitolo di transizione (e pure in ritardo!!! Mi spiace tantissimo!). Purtroppo in questo periodo il tempo è tiranno e gli esami sono proprio dietro alla porta. Spero di riuscire ad aggiornare prox settimana (e di fare qualcosa di più...). Non manca molto alla fine, quindi forse riuscirò a fare tutta una tirata e spezzarlo in seguito. Ciau

Marzia: le sorti di Kaori sono ancora in sospeso, così come il suo contributo alla storia ^^
Non sono riuscita a mettere qualcosa di più di Ryo, ma spero di essere riuscita a stuzziare ulteriormente la tua curiosità con quest'elemento nuovo sul suo passato (è fin troppo facile inventarlo, Hojo non si è dilungato troppo su di lui). Spero che il chap ti sia piaciuto, anche se in realtà c'è poco. Ciau, grazie del commento ^^

  
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