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Autore: Seraphiel_    14/12/2010    3 recensioni
' Tu vivevi negli occhi di chi sapeva cercare la speranza nel cielo. '
[SerahxSnow] Avvertimento: ho cambiato qualche dettaglio della trama originale, ma spero che troverete comunque gradevole questa storia.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Incompiuta
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; Capitolo 1. - Girls with big eyes never cry. 
Lightning sarebbe rincasata al primo spuntare delle stelle; avevo tutto il tempo per concedermi una passeggiata.
Ci sono delle scelte che non necessitano un perché, per di essere compiute. Il mio riscatto verso me stessa era fra queste.
Quando mi ritrovai a camminare per le vie della mia città, venne a galla una verità che avevo finto di dimenticare: tutto era semisconosciuto per me. Una viandante arrivata da non troppo lontano, che a stento sa riconoscere il terreno su cui vaga; ero una turista per caso nel mondo in cui ero cresciuta. I viali, le scorciatoie sotterranee, i parchetti dove i bambini compivano le loro prime marachelle: erano tutti miraggi di cui sapevo il nome solo per sentito dire. Ma l'esistenza di una persona si costruisce sulla base di varchi inesplorati ; io dovevo solo trovare il coraggio di attraversare i miei.
La brezza estiva placava gli animi roventi di una città sempre in fremito. Perfino il Corpo di Guardia, che da tempo popolava gli spiazzati e i grandi centri di Coocon, sembrava un esercito di soldatini giocattolo, troppo buoni e calmi per fare del male a qualcuno. Il sole andava ad addormentarsi fra nuvole arancio e porpora, chiudeva gli occhi e si lasciava cullare dal vento. Lei si era sbagliata: il mondo non era una trappola o un animale pronto a imprigionarti fra le sue fauci. Mia sorella aveva torto: la natura umana non era la stessa delle bestie. Ma i l'Cie non sono umani. Era una differenza che presto avrei imparato, sentendola bruciare sulla pelle. In quel momento, la mia coscienza sembrava volesse comunicarmi qualcosa.
Con il tramonto tutto ha un'aria più irreale. Anche le tragedie che stanno per incombere.
Gli spari squarciarono la quiete del crepuscolo. La folla strillava e si dimenava, era scattata come un congegno a molle. La pace di pochi attimi prima fu inondata e soffocata dalla tempesta di paura che aveva assalito la popolazione. Non riusciamo a calcolare la proporzione di un incubo finché non ci siamo dentro fino al collo. Qualche donna spaurita s'aggrappava di continuo ai miei abiti e ad i miei capelli, quasi fossero corde. Forse era un tentativo azzardato di venir fuori da quella situazione nera con i modi più disperati. Gli PSICOM spintonavamo per raggiungere una meta a tutti noi ignota. Elicotteri e aereonavi torreggiavano sui nostri capi, sciami di calabroni che annunciavano il pericolo. Se l'inferno si potrebbe riassumere con un rumore, lo si farebbe con il frastuono delle urla di una città sull'orlo di una crisi nervosa. Cercai di farmi spazio tra la massa umana che si era formata, ma era come tentare di sgusciare fuori da un labirinto dalle pareti di gelatina. Troppa fatica, combattere chi dentro sé ha in corso una lotta contro la disperazione. L'altoparlante sputò fuori l'ennesimo avviso di pericolo, una arcobaleno per segnare la gravità della cosa: codice bianco, arancione, giallo, indaco, blu. Ma quello era un codice rosso, perché i l'Cie erano tra noi. Con poche e spicciole parole s'era acceso l'animo guerrigliero di molti cittadini. Schiacciata com'ero in mezzo a tutti quei corpi, sentivo sgocciolare, insieme al loro sudore, l'ira di ogni bestemmia che rivolgevano verso Pulse. Qualche spavaldo suggerì di attaccare. I bambini si fingevano grandi, per dare coraggio alle loro mamme tremanti.
Contatto con i l'Cie significava epurazione. Epurazione era sinonimo di fine.
Da lì a poco, il massacro avrebbe preso forma, ed io non ero disposta ad assistergli, nemmeno come spettatrice da dietro le quinte. Fui trascinata fuori da quel macello da delle mani forzute e tozze. Io ringraziai il cielo per quella benedizione, ma il buon senso mi suggerì che non si trattava di un segno positivo. Mi tapparono la bocca, il puzzo di alcool e pesce avariato mi provocò più di un capogiro. Mi sollevarono da terra e, come si fa con un sacco dell'immondizia, mi scaraventarono tra i cocci di vetro. Era una scena così banale, da telefilm in replica per l'ennesima volta, e non ebbi alcun timore. A farmi compagnia in quello spettacolo da pochi soldi c'erano due uomini, rozzi e sporchi, intenti a sghignazzare e a scambiarsi battutine condite da termini scurrili. Ogni tentativo di fuggire fu troncato sul nascere. Mi rigettavano prontamente al mio posto, volgari giganti alle prese con una bambola dalle membra leggere come piume. Non desideravo forse delle ali? Mi morsi la lingua per averlo pensato.
Quando dalla manica dei loro giubbotti, troppo pesanti per quella tiepida giornata d'Agosto, spuntò fuori lo stigma dei l'Cie di Pulse, il panico m'intorpidì le ginocchia. Risalì tutto alla gola, un peso che avevo cercato di ingurgitare per rendermi più forte.
I grandi progetti hanno un'ossatura di cristallo: al primo movimento avventato, tutto crolla come un castello di carte. Con quanta rabbia avrei dovuto vedere le mie aspettative sbriciolarsi sul più bello, tutte assieme, e forse per sempre? Chiusi gli occhi, perché i miracoli arrivano solo se non si sentono spiati. Poi, il vetro sulla testa, e.
 
 
Da piccina ero solita rinchiudermi in uno stanzino polveroso e triste, nascosto tra le aule e i laboratori della mia scuola. Là c'era un meraviglioso e antiquato tesoro: uno strumento a tasti neri e bianchi. La maestra mi narrò che era un prezioso manufatto proveniente da una civiltà antica e distante anni luce da noi. M'insegno a suonarlo, ma non quando provavo a imitarla, la dolce melodia stonava come il canto di una cornacchia in lutto.
Devi accarezzare i tasti, Serah.Disse paziente, senza perdere il sorriso. Devi imparare che se vorrai ottenere qualcosa di delicato, dovrai porti a lui con la stessa delicatezza. Se sei sgraziata e insensibile, non nascerà mai niente di nobile dai tuoi sforzi. Sei d'accordo con me, vero?
Annuii agitando la testa con convinzione. Mi sarei allenata a lungo, per riempirla d'orgoglio per me. Ma la guerra spazzò via tutto ciò che avevo lentamente edificato: il mio miglioramento, il mio orgoglio, le mie ambizioni. E con loro, volò via anche la mia amata maestra.
Non avrei mai più adagiato le dita su un pianoforte. Lo promisi come se sapessi davvero il significato di "mai" .
 
 
Al mio risveglio le tempie rimbombavano. Sbattendo la testa, dovevo essermi tagliata col vetro e aver sanguinato a dirotto. Forse era per questo che sentivo la mente così vacua. I pensieri erano entità informi e prive di contorni. Mi ci sarebbe voluto un po' di tempo per allineare di nuovo tutti i pezzi. L'aria profumava di benzina e olio per motori; l'atmosfera era la stessa delle notti di Natale passate nel garage, ad osservare Lightning e mio padre intenti a destreggiarsi fra bulloni e pezzi di ricambio. All'epoca, i loro sorrisi erano belli anche se a incorniciarli erano le macchie di unto.
Ti sei svegliata? Stai bene?Una voce senza nome voleva sapere come stavo. Perché le interessava?
In soqquadro com'ero, riuscii a scorgere solo una matassa di capelli biondo cenere che mi scrutava. La sua figura, però, mancava di concretezza. Non ricordo cosa le risposi, o se fossi stata capace di articolare una frase di senso compiuto. La sensazione molle nelle gambe che cercavano stabilità mi è ancora chiara: sembravo un cerbiatto appena venuto al mondo. A quella ombra dovevo sembrarle troppo dondolante, perché mi afferrò saldamente, per farmi appoggiare sul suo petto. Era il luogo più simile ad una casa che potessi conoscere. Col passare dei minuti, ogni sagoma prese la sua giusta forma. Anche le curve del corpo a cui ero saldamente abbracciata, come una nava che salda rimane ancorata al suo porto, mi erano più leggibili: quel petto era di un ragazzo.
Riposati ancora un po'. Non c'è fretta di andarsene.
M'addormentai fra le sue braccia, con la certezza che quello sconosciuto fosse la tana più giusta dentro alla quale rifugiarsi. Non s'era mosso di un centimetro per tutto il mio sonno; era sprofondato tra le braccia di Morfeo con la stessa innocenza di quando io caddi tra le sue. Era immobile, una statua di cera che a stento respirava. Mi accorsi solo più tardi della mancanza della sua maglietta. In quell'intimità che c'eravamo creati in quei pochi secondi, nulla era volgare o fuori posto. Probabilmente c'eravamo appartenuti da sempre, e non servivano altri chiarimenti. Lo spazio era angusto, e poco illuminato. Era il rifugio in cui sarebbe stato bello perdersi.
Buongiorno. Incurvò la bocca per un sorriso. Ti senti meglio?
Fui capace solo di rispondergli di sì. Le parole possono spazzar via tutte le distanze, e allo stesso tempo scavare nuovi fossati. Avevo bisogno di rimanere a mezz'aria tra realtà e l'incanto.
Fammi controllare la ferita alla testa.
Sollevò i miei capelli, una trama di filamenti rosa pallido. Presero forma tra le sue mani, le radici di una pianta che s'aggrappa al suo terreno.
Fortunatamente non è profonda.
Quando andò a toccare laddove la carne s'era a malapena rimarginata, la verità m'investi con tutto il suo cinismo.
Dove sono?Fu la prima di una seria di domande.
E' casa mia. Mi sembrava il luogo più sicuro dove nasconderti.
Nascondermi?
Sì. Giù in piazza è successo un bel casino, i soldati ti avrebbero subito catturata. E quelle luride fecce nel vicolo cieco...
Un grido rimase incastrato al mio interno. Fotogrammi delle ore passate mi si presentavano davanti, come la pellicola di proiettore impazzito. La pioggia iniziò a scendere, e dava l'aria di volersi fermare.
Ehy, ehy, ehy, cosa fai?Disse, dopo avermi completamente avvolto con la sua premura. Le ragazze con gli occhi grandi non dovrebbero mai piangere. Finiscono solo per annegare nei loro stessi dispiaceri, sai?
Il silenzio tornò a dirci le ovvietà che già conoscevamo. Rimase a fissarmi fondendo il suo sguardo con il mio, le sue ciglia divennero il prolungamento delle mie. Il fato non era del tutto un cane, se ci avevo permesso finalmente di ricongiungerci.
Come ti chiami?mi chiese lui, senza insicurezza.
Serah.
Serah. Pronunciò il mio nome come se fosse abituato a farlo.
Tu? Le tue iridi mi ricordano le sere dell'Avvento, quando il mondo si copre con un candido piumone prima di assopirsi. Questo però, lo tenni per me.
Snow. Io mi chiamo Snow.
Lui era un inverno prematuro, arrivato per spegnere il fuoco di questa grande guerra.
Che ora è, Snow?
Sarà quasi mezzanotte, se la Luna non m'inganna.
Lightning! Mi ammazzerà! Iniziai a blaterare tutta la mia preoccupazione.
Chi è Lightning?
Non c'è tempo! Dobbiamo correre.
Velocizzai il mio passo, e mi fiondai fuori dalla catapecchia di Snow. Dinnanzi a me trovai un mare brigante, che mi rubò tutte le parole. Anche l'ansia ammutolì.
Sei davvero convinta che ti lascerei fare la strada verso casa tua a piedi? Di notte?
Era già seduto sulla sua moto; il motore rintronava nell'oscurità.
Che eroe gentiluomo sarei, se non ti dessi nemmeno un passaggio?
" Non saresti il mio eroe ". Ma anche quello non lo pronunciai ad alta voce.
Fuggimmo dalle inquietudini e dai mostri incappucciati che la nostra società aveva sguinzagliato. 
   
 
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