Libri > Un ponte per Terabithia
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Autore: PattyOnTheRollercoaster    15/12/2010    1 recensioni
“Però devi promettere!”, aggiunse Leslie tendendogli di nuovo la mano, “Devi promettere che niente ci fermerà, e che faremo di tutto per realizzare il nostro sogno, e che se servirà ci sosterremo a vicenda.”
Jess sorrise e le strinse la mano. “Prometto”, disse, e pensava davvero a ciò che stava per dire, e desiderava ardentemente che le sue parole si avverassero. “Farò di tutto per realizzare il mio sogno, e ci sosterremo a vicenda.”

Leslie e Jess hanno sogni difficili da realizzare, molto da apprendere e solo loro stessi su cui appoggiarsi. Il mondo li attende solo per rendergli le cose ancora più complicate, ma il Re e la Regina di Terabithia, assieme, non si arrenderanno facilmente.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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12.Colazione in camera





Si avvicinava l’ultimo anno di scuola. L’anno dopo il quale avrebbero dovuto scegliere l’università alla quale iscriversi. Sembrava per tutti una scelta così complicata, dappertutto gli studenti si angosciavano fra ciò che volevano fare, quello che volevano i loro genitori e ciò che avrebbero realmente avuto la capacità di fare. Tutti si arrabattavano su facoltà e test d’ingresso, maledicendo l’inventore di un esame tanto inutile quanto ingrato. Tutti parevano indecisi, tutti... tranne Leslie e Jess. Loro erano già sicuri di dove sarebbero andati, e sapevano anche che lo avrebbero fatto ad ogni costo. Ma per andarci avrebbero dovuto prima passare l’ultimo anno, e soprattutto gli esami di fine corso.
Rientrare a scuola per quello che sapevano essere l’ultimo anno fu strano. Era come se avessero guadagnato qualcosa, la fine dei lunghi anni passati a studiare duramente, un traguardo che sembrava così lontano e così fosco al primo anno e che era arrivato all’improvviso come a sorpresa. Ma sapevano anche che stavano perdendo qualcosa, o meglio, che l’avrebbero perso. I compagni e i professori, prima di tutto, ma anche una certa protezione, un certo braccio che li difendeva dalla realtà e li metteva da parte, tenendoli al sicuro nella scuola in cui agli studenti veniva ancora detto che cosa dovevano fare, ma anche se a volte si lamentavano di sentirsi dare ordini, almeno non erano dispersi e lasciati a vagabondare soli. Si avvicinava la vita vera, nella quale nessuno li avrebbe più guidati. Era la fine di una fase della loro vita. Come avrebbero fatto poi? Cosa sarebbe successo? Nessuno dei due lo sapeva, ma sapevano che cosa volevano, sapevano come ottenerlo, e diavolo!, ci avrebbero messo l’anima pur di riuscirci. Se ci sarebbero riusciti, però, restava ancora un interrogativo.
“Ma perché non te lo radi quel pizzetto?”, chiese Leslie.
“A me piace”, protestò Jess esibendo fieramente quel poco di barba che gli cresceva sul mento. “Piuttosto, dov’è Marc?”
“Non lo so, magari ha fatto tardi in classe.”
“Vabbè io mangio, ho fame”, disse Jess, infilzando una delle strane patate della mensa. Fece in tempo a finire le patate e mangiare un po’ della mela che aveva preso, quando arrivò Marc.
“Eccomi, scusate per il ritardo”, disse sedendosi affianco a Leslie.
“Non mangi?”
“Non ho fame.”
“E io che ti avevo pure aspettato”, disse Leslie facendo una smorfia. Prese a mangiare con foga. “Oggi devo studiare per il compito di algebra, mi aiuti?”, chiese a Jess.
“Si, tanto devo studiare anch’io, non ho ancora guardato niente di niente”, disse lui.
“A che punto siete voi con il programma?”, chiese Leslie a Marc. Lui non rispose, sembrava pensare ad altro. “Marc? Ci sei?”
“Eh? Si, scusa.”
“Dove siete col programma di algebra?”, ripeté.
“Ah, le funzioni”, borbottò lui.
“Hm… perché noi siamo sempre più avanti degli altri? Perché non andiamo con calma?”, chiese Jess. “Potremmo fare tutto meglio con un po’ più di tempo.”
“Va’ a dirlo al prof”, disse Leslie. Jess finì di mangiare e si alzò subito per andare in classe a parlare con la professoressa di storia dell’arte a proposito di una cosa che gli aveva accennato Felicity, e che poi lui era andato a studiare con dovizia su un libro della biblioteca della scuola.
Leslie guardò Marc di sottecchi e disse: “Ti va se sabato usciamo?”
“Non lo so se posso mi dispiace”, disse Marc con un sorriso dispiaciuto.
“Perché?”
“Devo andare da James. Vogliamo scrivere un’altra canzone per la serata live.”
“Ah. Quand’è?”, chiese Leslie piluccando le polpette di pollo.
“Il diciassette di Novembre”, disse Marc. Prese il cellulare e lesse un messaggio. “B’è… io vado okay? Ciao.” Le diede un bacio sulla fronte e se ne andò dalla mensa piuttosto frettolosamente. Leslie sbuffò, gettò tutto il contenuto del piatto di plastica nel cestino e andò in corridoio. Lì trovò Jess, si trascinò verso di lui e si sedette a terra, accanto alla porta della classe, poggiando la schiena sulla parete.
“Hey che c’è?”, chiese Jess sedendosi al suo fianco.
“E’ Marc, è tutta colpa sua”, mugugnò Leslie ad occhi chiusi appoggiando il mento alle mani.
“Perché?”
“Perché è stupido.”
“Che cos’ha fatto?”
“E’ già una settimana che non ci vediamo quasi per niente, nemmeno a scuola. Sono la sua ragazza, dovrebbe stare con me almeno durante la pausa pranzo. Lo so che adesso è preso con il suo gruppo, e che fra un po’ dovranno suonare live in quel locale, però…”, lasciò la frase in sospeso. Temeva di sembrare possessiva, forse Jess le avrebbe detto che era una psicopatica rompipalle.
“Capito.”
“Tutto qui?”
“Che cosa vuoi che ti dica?”
“Mah, niente. Non lo so. Dimmi: Marc è stupido o solo scemo?”
“E’ solo scemo.”
“E credi che sia idiota?”
“Un pochino”, disse Jess per solidarietà. “Dai, non ti preoccupare, presto tornerà tutto come prima. Probabilmente è solo un po’ troppo preso per questa cosa del gruppo, è importante per lui no?”
“Si, è vero”, disse Leslie quasi controvoglia. “Va bene. Ma mi ha dato buca per sabato, ti va se vengo a casa tua?”
“Certo”, disse Jess. “E’ da un sacco che non vieni, mia madre comincia a sentire la tua mancanza.”

“I pop corn sono pronti!”, annunciò la madre di Jess mettendo tutto in un’insalatiera. Jess spuntò in cucina e la prese fra le braccia con espressione estatica.
“Grazie mille mamma.”
“Prego Jess, non sporcate e poi riporta di qua l’insalatiera”, lo ammonì lei.
Jess tornò in camera e diede l’insalatiera a Leslie, che stava guardando un suo album dei disegni seduta a gambe incrociate sul letto. “Tuo padre li ha mai visti questi?”
“No, no credo”, disse Jess prendendo una manciata di pop corn e portandoseli alla bocca. Si sedette di fronte a Leslie a gambe incrociate.
“Perché non glieli fai vedere?”
“Non gli interesserebbero”, Jess si strinse nelle spalle.
“Hm, tu dici? A proposito, ho inviato un’altra storia ad un concorso”, disse Leslie entusiasta.
“Davvero? E che si tratta?”
“Veramente mi sono ispirata un po’ a Terabithia.”
“Ah. E quindi?” Jess era davvero interessato, ma era anche impegnato a mangiare pop corn.
“Quindi è un racconto per bambini, molto corto, perché la consegna diceva così. Spero che questa volta vada bene. L’ho mandato appena in tempo sai? Mi daranno una risposta a Gennaio. In pratica, se riesco ad arrivare fra i primi tre, dovrei partecipare ad una specie di finale, e se vinco anche quella ho un posto assicurato per una scuola dove insegnano a scrivere.”
“Sul serio?”, chiese Jess strabuzzando gli occhi.
“Si!”, disse Leslie senza riuscire a contenere l’emozione. “Il direttore della scuola è l’autore di Alza gli occhi al cielo, e anche di Viaggio e di un sacco di altre cose bellissime! Sai chi è?”
“No, ma suppongo che ti piaccia”, disse Jess con un sorrisino.
“Infatti. Se vuoi ti presto qualche suo libro.”
Qualche è troppo. Prestamene uno soltanto. Io non sono come qualcuno che legge i libri di seicento pagine in una settimana. A proposito, sei disgustosa, mi chiedo come tu abbia fatto.”
Leslie rise, ricordando come Jess fosse rimasto esterrefatto quella volta. “Era un libro fantastico!”, cercò di giustificarsi. “Comunque siamo d’accordo, te ne presterò uno. A proposito, che facciamo adesso?”, chiese Leslie. Si alzò e andò alla finestra a guardare fuori, tenendo in mano l’insalatiera.
“Non lo so.” Jess la seguì per continuare a mangiare i pop corn. Scostò una tenda e rimasero a guardare fuori la strada sterrata che proseguiva dritta e si univa allo stradone asfaltato. In fondo alla strada c’era un ragazzino in piedi, sembrava che aspettasse qualcosa. Ad un tratto sentirono distintamente che di sotto la porta si apriva, poi videro May Belle correre fuori e andare in contro al ragazzino. Quando si incontrarono si abbracciarono forte.
Jess rimase con una mano piena di pop corn a metà strada fra l’insalatiera e la sua bocca, poi esclamò: “Chi è quello?!”
“Boh. Mai visto”, disse Leslie masticando. Non considerava la cosa così sconvolgente come lo era per Jess.
“Dove stanno andando?”, chiese poi il ragazzo quando videro i due incamminarsi verso la strada. “Dammi”, disse prendendo l’insalatiera ancora mezza piena e posandola sul letto.
“Dove vai?”, chiese Leslie vedendolo uscire dalla stanza.
“Vado a vedere che fanno. Perché May Belle non mi ha detto niente? E poi scusa è troppo piccola per uscire con un maschio.” Jess si pulì le mani dal sale con uno dei fazzoletti che gli aveva dato sua madre.
“Ha quindici anni”, osservò Leslie. “Io e te ci conosciamo da quando ne avevamo dieci.”
“Si, ma che centra? E’ una cosa diversa”, disse Jess prendendo la giacca. In quel momento comparve Joyce Anne accanto alla porta. “Joyce Anne! Tu sai con chi esce May?”, chiese chinandosi sulla bambina.
Lei scosse la testa, poi disse, indicando il letto: “Posso prendere le patatine?”
“Si”, sbuffò Jess scendendo. “Mamma noi usciamo!”, gridò aprendo la porta.
“E l’insalatiera?!”
“Ce l’ha Joyce Anne! Vieni Leslie”, aggiunse poi tirando Leslie per un braccio. I due uscirono per strada, e videro che May Belle e un ragazzino dai capelli rossi stavano salendo in quel momento sul bus che li avrebbe portati in città. Jess cominciò a correre, e Leslie non poté fare altro che seguirlo, seppur alzando gli occhi al cielo esasperata.
I due salirono sul bus senza farsi vedere da May Belle e il suo amico, che chiacchieravano senza sosta. Sedettero per tutto il viaggio con le schiene curve per non farsi notare, e scesero alla stazione con un sospiro di sollievo e qualche osso dolorante.
“Dove stanno andando secondo te?”, chiese Jess mentre seguiva sua sorella da una debita distanza.
“E che ne so io? Ma scusa, perché ti scaldi tanto ancora non l’ho capito”, disse Leslie con mani in tasca. “Non ho nemmeno portato i guanti.”
“Metti le mani in tasca”, borbottò Jess.
“Si, l’ho già fatto ma…”
“Shh! Stanno tornando indietro, se May Belle mi vede mi ammazza.” Jess, atterrito, spinse Leslie dentro un vicolo, poi si sporse per guardare fuori.
Non si rese nemmeno conto di quello che stava succedendo, sentì solo Leslie gridare: “Marc!” Poi la vide uscire dal vicolo e correre via. Jess si voltò a guardare alle sue spalle senza capire, e vide Marc e Wanda assieme.
“Che ci fai qui?”, gli chiese. “Non dovevi essere da James?”
“Si ma…” Marc sembrava in difficoltà. Jess lanciò una sguardo a Wanda. La vide leggermente sfatta, si passava una mano nervosamente fra i capelli e si aggiustava i vestiti.
Giunto alla più ovvia conclusione, Jess si sentì pervadere dalla rabbia. Si lanciò addosso a Marc, lo prese per la collottola e lo sbatté forte contro il muro. Marc cercò di toglierselo di dosso, ma Jess gli diede un pugno che fece battere la testa al ragazzo contro il muro dietro di lui. Marc se lo scrollò di dosso con rabbia e lo spinse via, facendolo cadere. Prima che Jess potesse rialzarsi Marc era corso via, seguito da Wanda.

“Hey”, disse Jess arrampicandosi sul tronco. “Sapevo che eri qui”, disse sedendosi affianco a Leslie, nella casetta sull’albero. Non disse niente, e le cinse le spalle con un braccio. Leslie aveva gli occhi arrossati e gonfi di pianto, si abbandonò sulla spalla di Jess e prese a respirare piano, come per calmarsi. Sentiva gli occhi bruciare dalla stanchezza, era rimasta spossata.
“Se…”, deglutì, “se me lo avesse d-detto… sarebbe stato meglio. Ma non dove…”, Leslie singhiozzò più forte, senza riuscire a fermare il respiro affannato tiico di un pianto, “non doveva”, concluse soltanto.
“Lo so che non ti potrà in alcun modo consolare, ma gli ho dato un pugno. E credo di avergli fatto uscire del sangue”, disse Jess annuendo.
“Grazie”, rantolò Leslie.
Jess sospirò. “Ti va di dormire a casa mia oggi? Puoi chiamare i tuoi da me.”
“Si”, gracchiò la ragazza asciugandosi gli occhi.
“Va bene allora. Andiamo quando hai voglia.”
Restarono lì fino a notte fonda. Ad un tratto sentirono la voce di May Belle che li chiamava, così tornarono a casa tutti assieme. Non appena Leslie si fu gettata sul letto di Jess si addormentò, e il ragazzo la coprì con la coperta di lana pesante. Dopo che l’ebbe osservata per un attimo sospirò, prese una coperta, scese la scale e si stese sul divano. Prese il telefono e chiamò a casa di Leslie avvisando che lei avrebbe dormito lì, chiedendo scusa se avevano avvisato così tardi e di non prendersela con Leslie il giorno dopo. Poco dopo May Belle lo raggiunse e si accoccolò al suo fianco, le gambe strette al petto.
“Che cos’ha Leslie?”, chiese.
“E’ colpa di Marc”, borbottò Jess girandosi dall’altra parte per stare più comodo, impresa dura in quel piccolo divano bitorzoluto. “A quanto pare era bigamo, e stava anche con Wanda”, disse Jess. “Quello stupido”, sibilò Jess con rabbia stringendo le labbra.
“Sul serio? Li hai visti?”, domandò May Belle sgranando gli occhi.
“Non proprio, ma erano in una strada deserta. Non appena li ha visti Leslie è corsa via. Io non li ho visti ma suppongo non fossero lì per caso. Perché altrimenti Leslie sarebbe corsa via?”
“Hm”, fu l’unico commento di May Belle.
“A proposito. Chi era quel tipo con cui sei uscita?”
“Chi?”, chiese May Belle confusa.
“Quel tipo, quello là di oggi pomeriggio. Ti ho vista sai?”, disse Jess torvo. May Belle lo guardava ancora senza capire, così Jess aggiunse: “E dai, non fare la finta tonta! Quel tipo con i capelli corti, rossi.”
“Ah!”, esclamò May Belle. “Ma allora sei proprio scemo.”
“Cosa, perché?”, boccheggiò il ragazzo.
“Quello non è un ragazzo, è una ragazza! E’ la mia mica Joan.”
“Cosa?”, ripeté Jess.
“Si, un sacco di gente la scambia per un maschio, ma solo perché è molto magra e perché ha i capelli corti”, insistette May Belle. “E non ha una faccia particolarmente femminile, è piena di lentiggini”, aggiunse poi pensierosa.
Jess sbuffò e appoggiò la testa al cuscino. Così era successo tutto solo per un suo malaugurato errore. “Buonanotte”, borbottò.
“Notte Jess, sogni d’oro”, disse May Belle con un sorrisino di scherno.
Al contrario di ogni augurio Jess non riuscì a dormire per niente quella notte. Il divano era scomodo, era piccolo, e lui doveva starci tutto schiacciato. Riuscì ad addormentarsi solo verso le tre e mezza di mattina, e quando sua madre si alzò alle sette la sentì distintamente muoversi fra il salotto e la cucina. Non sarebbe più riuscito a dormire, lo sapeva, così si alzò. Non sarebbe stata una tragedia, dopotutto era abituato ad alzarsi presto anche lui, solo che quella volta aveva tutte le ossa indolenzite. Si stiracchiò per bene, e poté giurare di aver sentito qualche osso scricchiolare in modo sinistro. Andò in cucina sbadigliando un ‘buongiorno mamma’.
“Giorno Jess”, disse lei senza alzare gli occhi dal suo lavoro. “Credi che a Leslie piacciano i pan cake?”, chiese poi guardandolo.
“Ma certo, a tutti piacciono i tuoi pan cake”, disse lui con un sorriso largo. “Aspetta, non è che potresti darmi una mano? Ho bisogno di cucinare una colazione da portare di sopra.”
“A Leslie? Perché?”
“Ha passato una brutta giornata ieri”, disse Jess.
“Oh, d’accordo. Ma perché?”
“Fattelo spiegare da May Belle. Allora: che ne dici di un latte caldo, i pan cake, la nutella, i mini panini e…”, Jess ci pensò su.
“Ancora qualcos’altro? Non credo che Leslie mangi così tanto.”
“No, infatti è anche per me. Che faccio, la lascio mangiare là sopra da sola?”, chiese Jess stringendosi nelle spalle. “Finirei per rubarle la colazione.”
Sua madre sorrise e disse: “Va a mungere Bessie e torna qui, io intanto preparo i pan cake.”
Quando fu tutto pronto Jess portò di sopra un grosso vassoio, traballando ogni tanto lungo la strada. Quando fu davanti alla porta posò il vassoio a terra e aprì la porta. Leslie ancora dormiva, così poggiò il vassoio sulla scrivania e si avvicinò al letto.
“Leslie”, la chiamò. Nessuna risposta. “Leslie alzati” disse un po’ più forte. Ancora nulla. Jess la smosse un po’ e disse: “Leslie, ti ho preparato la colazione.”
“Davvero?”, biascicò  lei nel dormiveglia.
“Si. Ti piacciono i pan cake vero?”
“Si.”
“Allora se ti alzi sono qui. Hai mai bevuto vero latte di mucca?”
“No.”
“E alzati”, disse Jess dandole un’altra spintarella.
Con un rantolo inumano Leslie si alzò e si stropicciò gli occhi. Sbadigliò mostrando una dentatura di cui andar fieri e chiese: “Il latte è di Bessie?”
“Esatto. E’ il latte più pregiato che c’è in questa casa, perché proviene dall’unica mucca che abbiamo”, disse Jess prendendo i due bicchieri di latte e porgendone uno a Leslie.
“E’ tiepido”, osservò.
“Se lo scaldi va via tutto il potere nutritivo”, disse Jess con tono solenne.
“D’accordo.”
Mangiarono tutto quello che Jess aveva portato, e quando furono pieni rimasero in silenzio. Leslie si sentiva come se un masso le stesse sulla bocca dello stomaco, e come se un peso gigantesco le schiacciasse l’anima. Non sapeva se avrebbe resistito. Aveva voglia solo di piangere e di dimenticare tutto il resto. Non avrebbe mai potuto continuare a vivere, sarebbe stato de tutto inutile. E poi... che senso avrebbe avuto, senza Marc?
Dopo qualche minuto di silenzio, Leslie domandò: “Credi che oggi dovremmo fare i compiti?”
Jess ci pensò su. “No, direi che oggi possiamo anche prenderci anche un giorno di pausa.”


tmbacp12










Lo so, ora mi odiate XD
Ma che vi devo dire? Certe cose accadono! Vedremo meglio come si sente Leslie nel prossimo capitolo, e soprattutto come finirà con Marc.
Allora, la lotta Jess/Marc forse non è molto eroica e di sicuro non vede come vincitore indiscusso Jess (a causa della fuga dell'avversario XD). Non volevo che fosse una super-rissa, in fondo sono solo ragazzi...
Al prossimo capitolo,
Patrizia
   
 
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