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Autore: Nakara86    15/12/2010    2 recensioni
Storia partecipante al Phantom of the Opera Contest, indetto da GiulyRedRose e Kenjina
Erik, il famigerato Fantasma dell'Opera, non è più ricercato e dopo quasi un anno dall'incendio del teatro è tornato a vivere nei suoi sotterranei. La sua quiete però, non durerà a lungo perchè la sua vita verrà scombussolata dall'arrivo di un angelo e dal fantasma del suo eterno amore: Christine, ormai Viscontessa, intrappolata in un infelice matrimonio con il suo principe azzurro Raoul. I destini dei personaggi si intrecceranno inaspettatamente, uniti da un omicidio del passato che ha toccato, in modi diversi, le vite di tutti loro.
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera a tutte. Io sono Nakara e frequento questo sito di fanfiction da poco tempo. Ecco qui il proseguimento della storia che ho iniziato a postare una settimana fa.

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Aveva finito di piovere e lei non si era fermata un attimo per paura che lui la trovasse. Aveva vagato senza meta tutto il pomeriggio finché la sera, esausta, in un posto che non conosceva, si adagiò all’angolo di una casa signorile. Scossa ancora dalla paura e dal freddo, cercò il mantello nero… ma l’aveva perso.

Maledizione - imprecò la giovane - tutto per colpa di un pazzo!” poi osservò il violino.

Pensò che avrebbe potuto venderlo se fosse stato abbastanza bello. Lo aprì e lo osservò. Era un violino stupendo che le sarebbe fruttato abbastanza soldi se avesse trovato un acquirente facoltoso.

Lo prese delicatamente tra le mani e lo osservò rapita. Si sentì quasi percorrere da uno strano calore quando lo adagiò tra il mento e la spalla. Le sembrava di essere tornata indietro di qualche anno, quando era anche lei una giovane nobile istruita ed amante della musica. Ripercorrendo quel periodo riuscì quasi a risentire il calore di casa sua ed i profumi dell’infanzia.

Viveva anche lei in una casa borghese, anche se meno signorile di quella a cui era appoggiata in quel momento. Suo padre era una figura importante, temuta e rispettata dai più, ma era uno spendaccione. Amava la bella vita e le belle donne e quei vizi avevano finito per seppellirlo di debiti. La sua incontinenza aveva finito per obbligare sua madre alla prostituzione sia sociale che personale finché un giorno dei sicari fecero loro visita e lo uccisero. A loro due non era rimasto niente. Presero quei pochi averi che avevano e si rifugiarono a casa di una Maîtresse che dava loro vitto e alloggio in cambio delle prestazioni di sua madre. A lei non era mai stato richiesto finché rimase sotto la sua protezione, ma quando questa si ammalò e morì, la difesa cadde. La seppellì e prima che la Maîtresse potesse anche solo far parola con lei del suo futuro, scappò prendendo con se' i pochi averi di sua madre ed i soldi destinati alla loro carceriera. Così era finita sulla strada, obbligata a mendicare per un tozzo di pane, a soffrire il freddo e le intemperie per fuggire ad un mondo che aveva sempre odiato.

Quei ricordi le fecero sanguinare il cuore come una freccia avvelenata intossica il sangue e uccide chi la riceve. Non seppe per quanto tempo venne strappata dal mondo reale per rivivere quei tremendi ricordi, ma quando vi tornò, notò che al fondo della custodia dello strumento c’erano alcuni spartiti.

Li tirò fuori ed iniziò a suonare. Aveva imparato a suonare quando era ancora una nobile e quando quelle note uscirono come cantate dalla delicata voce del violino, suonavano dolci e malinconiche. Si sentiva però che erano state scritte con passione e nel suonarle, lei stessa si commosse.

 

Christine osservava malinconica fuori dalla finestra. Nelle sue mani, una rosa rossa appassita stretta da un laccio di velluto nero.

Aveva appena finito di leggere una delle ultime lettere d’amore che Erik le aveva scritto prima della sua fuga. Erano parole dolorose ma spinte da una speranza sincera, quella luminosa che ha un bambino dopo un incubo, quando si ritrova tra le braccia della madre.

Appoggiò il viso al vetro freddo e sentì alcune lacrime calde rigarle il volto. Raoul non era ancora tornato e per lei non c’era la possibilità di essere calmata e coccolata dal caldo abbraccio di suo marito, un abbraccio che però le sembrava essersi raffreddato dopo pochi mesi. Probabilmente però non era il suo abbraccio ad essersi raffreddato, ma lei ad aver preso atto di una catastrofe: Erik le mancava. Le mancava il suo amore e la premura che le aveva sempre riservato, quella sensazione di sicurezza che solo lui le trasmetteva. Il suo leggero tremore quando lo sfiorava ed il calore di quel bacio. Un bacio che mai nessuno, come lui, le aveva dato.

Suo marito quella sera sarebbe tornato ancora tardi. Sposandolo aveva pensato che fosse proprio quella la vita che voleva, ma non aveva fatto i conti col fatto che lui era pur sempre un Visconte. Era un uomo importante, pieno di impegni e di progetti da seguire. Uno di questi era quello di un nuovo teatro per permettere a lei di tornare al mondo a cui era sfuggita ma di cui sentiva la mancanza. Christine però non voleva un palco su cui mettersi in mostra, rivoleva indietro Erik. Qualcuno da stupire coi suoi progressi e non qualcuno che la celebrasse in continuazione entrando nel suo camerino a dirle quanto fosse brava.

In quel momento il crepuscolo stava già allungando lunghe ombre sul selciato davanti a casa sua. Ombre che ingoiavano il pavimento come mostruose bocche di buio. Distolse lo sguardo dalla strada per spostarlo dentro la sua stanza, in modo da sfuggire a quella sensazione opprimente. Rimise tutto a posto e richiuse i ricordi dentro quella scatola di metallo annerita che era sopravvissuta all’incendio. Durante un lungo viaggio di Raoul, era andata a cercarla nella sua stanza all’Opera e la ritrovò lì, sotto il suo letto, miracolosamente sopravvissuta al disastro. Era un segno: l’amore non poteva morire… mai.

Quando la nascose nuovamente sentì un suono lontano, dolce e musicale che sembrava provenire direttamente dal suo cuore e dai suoi ricordi. Era una musica che conosceva solo lei, che solo una persona aveva scritto per lei, suonata da un violino che avrebbe riconosciuto tra mille. “Erik!” sussultò parlando sottovoce e correndo nuovamente alla finestra per guardare in strada. Non vide nessuno, allora, cercando di non correre, scese le scale e disse alla sua domestica che usciva per una passeggiata dopo cena. Non sentì il rimprovero della signora presa com’era da quella dolce speranza. Prese il suo cappotto ed uscì.

L’aria pungente della sera le pizzicò il viso mentre apriva il pesante portone di legno. Scese gli scalini ed attese che il vento le riportasse le dolci note della sua canzone. Poi improvvisamente, le note esplosero nella notte come fuochi d’artificio che le illuminarono il cuore di mille colori. Seguì quella voce fino a che non si trovò davanti, sul lato posteriore di casa sua, una figura incappucciata che suonava il violino.

Erik!” sussurrò correndo verso la figura, le si accovacciò di fronte e le tolse il cappuccio.

 

Erik!” disse la ragazza che le aveva scoperto il volto, e la giovane mendicante si ritrovò davanti il suo sguardo attonito. Si ritrasse, e spaventata si liberò le spalle dalla stretta della giovinetta.

 

Christine ritrasse le mani e si maledisse per essere stata tanto ingenua. “Tu non sei Erik…” disse delusa.

 

No, sono una donna se permettete!” disse stizzita la mendicante mentre riponeva il violino nella sua custodia anche se non pensava che quella ragazza dai capelli ricci seduta davanti a lei fosse veramente un pericolo. Era più piccola di lei ed era nobile e ingenua. Nessuna ragazza con un minimo di amor proprio si sarebbe comportata così con un mendicante od uno sconosciuto qualunque.

No aspettate” disse la nobile, trattenendole la mano.

La donna alzò il suo vivo sguardo color miele sul suo volto e Christine si sentì stranamente attraversata da quegli occhi freddi ma profondi. Poi la sconosciuta le osservò significativamente la mano che le impediva di chiudere la custodia. Christine ritirò la sua e chiese “Dove… dove avete trovato questo violino?”.

La mendicante fece chiudere rumorosamente il contenitore dello strumento cosicché Christine non poté più avvicinarvisi. “L’ho trovato.” Si limitò a dire la donna.

E’… molto bello…” disse Christine sorridendo triste. L’altra la osservò pensosa. Sembrava che quella giovane avesse qualcosa di familiare, ma non si soffermò molto su quel particolare, doveva andarsene da lì. Si alzò e prese le sue poche cose.

No, aspettate ve ne prego!” la ragazza alzò gli occhi al cielo e si voltò verso la nobile.

Quella musica, dove l’avete trovata?” le chiese questa volta fredda Christine. Doveva sapere!

L’ho trovata nella spazzatura.” Rispose con altrettanta durezza la sconosciuta.

Non poteva permettersi di essere messa in carcere per furto e non aveva intenzione di cedere quello strumento prezioso a quella giovane sprovveduta.

Christine rimase pietrificata a quelle parole. Santo cielo, cosa aveva fatto! Lui era adirato con lei ed aveva buttato via la loro musica. Si sentì morire a quel pensiero. Sentì le ombre della notte inghiottirla in un limbo senza pensieri né sentimenti, l’oblio. Lentamente si sentì scivolare nel buio poi… fu il nulla.

 

Quando rinvenne era sdraiata sul divano. Parte della servitù la stava osservando preoccupata e fra quei volti ce n’era uno non familiare. Quello della giovane bionda con gli occhi di miele che suonava il violino.

Cosa è successo?” biascicò la padrona di casa.

Siete svenuta Madame - disse tenue la governante - questa giovane vi ha riportato in casa. Vi avevo detto di non uscire!” la rimproverò.

Non farmi la paternale Elenoire!” la supplicò Christine.

Poi ci fu un gran trambusto ed un giovane biondo e ben vestito raggiunse veloce la ragazza sul divano.

Christine, amore! Cosa è successo?” le chiese una volta che ebbe tra le sue mani quelle della giovane chiamata Christine. La mendicante fece un impercettibile passo indietro, aveva già visto quel ragazzo.

Niente di grave, sto bene Raoul. E’ stato solo un mancamento.” Rispose Christine.

La mendicante tremò a sentire quel nome, era proprio quel ragazzo… quello che aveva visto la sera prima con la ragazza bionda!

Quella giovane è stata così gentile da riportarmi in casa…” continuò Christine indicando proprio lei. Aveva il viso scoperto ed i lunghi capelli biondi le ricadevano sul volto affilato, proprio come la sera in cui incontrò il ragazzo chiamato Raoul. Sentiva di essere stata riconosciuta e vide uno sguardo sinistro passare negli occhi azzurri del giovane mentre la osservava. Poi parlò a lei: “Siete stata gentilissima… Mademoiselle…? ” chiese lui una volta davanti a lei.

Non ho un nome Signore…” mentì la giovane inchinandosi ossequiosamente.

Raoul l’aveva già riconosciuta. Quei lineamenti e quegli occhi particolari l’avevano tradita. Non poteva permettere alla ragazza di restare oltre con loro, vicino a Christine.

Mademoiselle, vi ringrazio sentitamente per il vostro aiuto alla mia amatissima moglie…”

Non se ne fa niente dei tuoi ringraziamenti Raoul…” lo interruppe Christine distruggendo il suo tentativo di mandarla via.

Elenoire, dalle qualcosa da mangiare. È il modo migliore che conosco per ringraziarvi Mademoiselle.” Disse Christine al suo indirizzo impedendole di declinare l’invito. La giovane rimase stupita da tanta gentilezza e mangiò con gusto il piatto caldo che le era stato offerto.

Mademoiselle, vi ho fatto preparare una camera, così potrete rinfrancarvi dalla stanchezza ed un bagno vi sarà certo gradito.” Poi Christine sparì oltre la porta battendo le mani per richiamare all’ordine la servitù. La sua ospite non fece nemmeno in tempo a replicare che due signore la stavano già scortando al piano superiore.

Quando la giovane ospite rimase sola con Elenoire osò parlare: “La vostra Signora è veramente premurosa con me… non lo merito…”

Oh, sciocchezze. Quella giovane ha portato una boccata d’umanità in questa casa, fa del bene a tutti ed è molto sensibile verso le persone che sono umane con lei.” Sentenziò la corpulenta governante.

Poi, dopo essersi assicurata che fosse tutto di suo gradimento, uscì dalla stanza lasciandola sola.

 

Passò pochissimo tempo dal momento in cui si addormentò sul morbido materasso sotto le coperte calde, al momento in cui sentì qualcosa tormentarle il viso ed una mano batterle la spalla. Quando si svegliò per poco non urlò. Raoul stava seduto accanto al suo letto, ad osservarla nella penombra esibendo un sorriso da satiro.

"Salve Mademoiselle..." esclamò lui ormai vicinissimo trattenendo una mano sulla bocca di lei. I suoi occhi color miele erano dilatati dalla paura. Non c'era più traccia dello sguardo rancoroso che gli aveva riservato solo la sera prima.

La giovane respirò sopra la mano del visconte facendo sollevare con l'aria i ciuffi di capelli biondi che le ricadevano sul viso.

"Se mi promettete che non urlerete, io lascerò le vostre belle labbra libere di mostrarsi in tutto il loro splendore. Devono essere stupende mentre respirate..." concluse il ragazzo.

Lei lo osservava terrorizzata.

"Me lo promettete?"

La giovane annuì, ed avrebbe obbedito. Quel uomo era un mostro!

"Bene, voglio fidarmi di voi..." asserì il ragazzo.

Le lasciò la possibilità di respirare e lei si ritrasse contro il muro coprendosi con le coperte per tentare di nascondere il corpo coperto solo dalla sottoveste agli occhi dell’uomo.

"Io so chi siete, giovane senza nome..." continuò questa volta calmo Raoul. Lei sgranò gli occhi.

"Siete quella giovane mendicante che ho svegliato con la mia irruenza l'altra sera. Mi dispiace sul serio. - fece una pausa poi riprese - Vi ho lasciato il mio cappotto, l'avete trovato?" domandò.

La giovane annuì.

"Bene, non mi piace vedere soffrire le belle ragazze." continuò lui tranquillo. Avrebbe giurato che lui non avesse nessuna intenzione di corteggiarla e che quelle parole, per quanto suonassero brutalmente moleste, fossero state pronunciate come un semplice dato di fatto.

"Dal momento che avete salvato la mia amatissima moglie dal congelamento notturno vi sono, in un certo senso, debitore."

La giovane avrebbe voluto ricordargli che lei non aveva fatto proprio niente, ma dal momento che sembrava essersi calmato preferì reggergli il gioco e lasciarlo fare.

"Finché sarete nostra graditissima ospite, non dovrete fare parola con mia moglie né di quello che i vostri vispi occhietti hanno visto, né tanto meno ciò che le vostre acute orecchie hanno sentito o sarò obbligato a privarvi di tali organi..." disse Raoul sorridendo come una rana malevola.

La ragazza annuì ancora, spaventata.

"Anzi, sarebbe meglio che non le parlaste proprio.... - disse pensoso l'uomo. Poi riprese - Se lo farete, non se le parlerete sia chiaro, ma se vi farete sfuggire qualcosa, mi troverò costretto ad uccidervi."

La donna sgranò gli occhi.

"E non lo farei in modo indolore, credetemi. Quello lo sanno fare solo i sicari. Io non ho mai imparato ad uccidere Mademoiselle, ma c'è sempre tempo per farlo, non credete?" concluse lui osservandola dritto negli occhi. Non pensava che avere in pugno un altro essere umano trasmettesse tanta forza.

 

Com'era possibile che un giovane bello ed apparentemente tranquillo fosse capace di ciò? Poi pensò che su alcune persone la paura ha l'effetto contrario rispetto a quello normalmente conosciuto. L'aveva imparato in strada. La mente umana era soggetta a cambiamenti davanti alla paura. Chi aveva le spalle coperte era sempre il più crudele e spavaldo, ma forse si mostrava tale solo perché aveva più cose da perdere. Probabilmente il giovane davanti a lei era potente, ma restava un vile ragazzino, troppo legato ai suoi privilegi e al suo buon nome per rischiare che le parole di una giovane mendicante potessero macchiare la sua fama di nobiluomo irreprensibile. Tanta crudeltà su una poveraccia come lei era un comportamento da abietto. Era una preda troppo facile.

"Bene, mia giovane amica. Adesso potreste parlare e dirmi se accettate le condizioni..." disse l'uomo.

"Non ho scelta." sibilò la ragazza che ora aveva trovato di nuovo la grinta che lui le aveva strappato via in un secondo.

"No, non è vero! - esclamò colpito lui - Potete scegliere la vita o la morte. - disse lui come se ciò che le stava proponendo fosse una valida alternativa. - Vivrete se starete zitta, morirete se parlerete." concluse.

La giovane si sentì invadere da un'ondata di odio, velenoso ed amaro come la bile.

"Adesso ho sonno, vado a dormire. Buona notte Mademoiselle, perdonatemi per il disturbo." e con un inchino uscì dalla stanza.

 

Osservò a lungo la porta dopo il congedo di Raoul, impietrita. Non aveva intenzione di restare in casa con quel pazzo un minuto di più. Non era una scelta plausibile quella che le era stata offerta, anzi, non lo era affatto… era un ricatto!

Senza pensarci oltre scese dal letto e si rivestì coi suoi abiti, lasciando sulla sedia quelli che Christine le aveva offerto. Prese le sue cose e le lasciò un biglietto di ringraziamento.

Pensò se firmarsi o meno poi desistette, limitandosi a disegnare una nota ed un violino stilizzato. Guardò fuori dalla finestra ma era al primo piano di una villa… non era una buona idea saltare da lì. Pregando di farla franca, la ragazza uscì dalla sua stanza, scese le scale davanti a lei e con passo felpato uscì dal pesante portone di legno. Avvicinò al nottolino un sottile pezzo di metallo che portava sempre con se', fece scivolare la porta su di esso e la chiuse senza rumore.

Fu strana la sensazione che provò quando uscì da quella casa. L’aria della notte ed il buio sembrarono accoglierla come le braccia di una madre. Lì era una come tanti, figlia della sfortuna come i suoi fratelli, le persone che, come lei, non avevano un posto dove andare. La strada era diventata la loro madre, incapace di distinzioni tra i suoi figli, dolce ed accogliente.

Sapeva che era paradossale sentirsi più sicura in strada che in una casa in cui l’avevano accolta a braccia aperte. Già, l’avevano accolta… ma lei era scappata terrorizzata da quel uomo crudele che faticava a pensare come marito della giovane ed ingenua Christine. Si richiamò all’ordine. Non le serviva a niente stare lì a pensare a loro, ora era di nuovo in strada e doveva tornare a prendersi cura di se' stessa. Non si voltò mai indietro ma camminò senza fermarsi finché non riconobbe la strada in cui mendicava di solito. Il suo angolo era ancora lì, inviolato. Persino la strada aveva regole non scritte che venivano rispettate. Sorridendo malinconica prese di nuovo possesso del suo posto dove, sedendosi, attese l’alba.

  
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