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Autore: Luine    15/12/2010    2 recensioni
I pensieri di Finn sulla sua bambina, quando ancora credeva che Quinn aspettasse un figlio da lui, e sul nome che avrebbe voluto darle.
Ci pensava, ci pensava sempre. Durante le prove con il Glee Club, durante le lezioni, durante gli allenamenti. Sempre.
Scritta per il Xmas Tree Party di FanWorld.it
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Finn Hudson | Coppie: Finn/Quinn, Finn/Rachel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Xmas Tree Party'
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Questa fic mi è venuta in mente guardando una delle prime puntate che, purtroppo, non ricordo quale sia. Ho visto le prime tredici in tre giorni, quindi sono un po' confusa. Dovrebbe essere comunque una tra la quarta e la settima, ma non ci metto la mano sul fuoco. Buona lettura (spero) comunque.

Finn ci pensava in continuazione. Il bambino, no, anzi, la bambina che Quinn aspettava era al centro dei suoi pensieri, sempre, abbastanza per fargli perdere il sonno. La domanda che si faceva era se sarebbe stato un buon padre o meno, se ce l'avrebbe fatta a proteggerla, a crescerla.
Ma come poteva saperlo?
Non aveva mai avuto una figura paterna, inutile chiedersi se e come; un giorno sarebbe successo. Un giorno, non troppo lontano, sarebbe stato padre. E la cosa lo terrorizzava, anche se, in fondo al cuore, sentiva di provare una strana e piacevole sensazione che, in fin dei conti, lo terrorizzava anche di più. Chissà com'era tenere tra le braccia un frugoletto così piccolo, qualcosa che lui aveva contribuito a creare; era qualcosa di meraviglioso e incredibile e al contempo terribile.
Ci pensava, ci pensava sempre. Durante le prove con il Glee Club, durante le lezioni, durante gli allenamenti. Sempre.
Quinn non voleva tenere il bambino, l'aveva detto chiaro e tondo, l'avrebbe data alla moglie del professor Schuester e tanti saluti, ma lui non era d'accordo: voleva avere voce in capitolo in quella faccenda. Voleva almeno poter dire: “ehi! Ci sono anch'io, conterò qualcosa, ho anch'io la mia parte, in questo casino!”, invece si fermava. Lo fermava lei, lo fermava il suo sguardo altezzoso, i suoi gesti secchi e autoritari.
Lui ci provava, a comunicare, ma non ci riusciva, gli pareva una cosa impossibile, soprattutto con lei che sembrava avere le idee così chiare su tutto.
Così aveva provato a prendere la questione alla larga. Con dei nomi. A volte nei film succedeva: il padre cerca dei nomi e la mamma comincia ad affezionarsi. O era il contrario? Ah, aveva poca importanza.
La vera cosa importante era che Quinn capisse che voleva essere partecipe della questione, come lo era stato nel concepimento più strano e assurdo della storia; ancora non ci credeva che potesse essere successo davvero, certe volte ne dubitava persino, pentendosi l'attimo dopo.
Aveva cominciato ad elencarle dei nomi di bambina. Quelli che gli piacevano di più, trovando come risposta sempre e solo un netto rifiuto. Dovevano essere nomi belli, che ispirassero qualcosa di allegro, di dolce. E di piacevole. Per questo aveva sbagliato, le prime volte.
Doveva trovare qualcosa di particolare che attirasse l'attenzione di Quinn.
Così aveva cominciato a pensarci ed era arrivato alla conclusione, solo che aveva paura di una reazione negativa da parte di lei; aveva poca importanza. Durante quella lezione di spagnolo aveva avuto il coraggio di mettersi in gioco. Aveva scritto quel nome, senza esitare, quando invece avrebbe dovuto pensare al test del professor Schuester.
E poi, quando Quinn l'aveva letto, gli aveva detto di no in un modo tale che, se avesse strappato il biglietto e gli avesse riso in faccia, forse avrebbe ottenuto lo stesso effetto.
Se l'avesse spiegato a Rachel, probabilmente, lei sarebbe stata entusiasta come lui. La pioggerellina estiva, quelle gocce di pioggia sottili e fresche che scivolavano sulla pelle scoperta, l'odore della pioggia nell'aria che porta con sé un po' di fresco, fino a quando non torna indietro il caldo torrido a cui erano stati strappati i poveri comuni mortali, era qualcosa di ineguagliabile per lui, anche se durava così poco.
Rachel avrebbe capito. Ma era anche vero che, con lei, sarebbe stato più bravo nell'esprimersi. Con lei, avrebbe di certo trovato le parole giuste per farle capire quanto per lui la pioggerella estiva fosse importante, piacevole. Lei aveva lo strano potere di capire tutto quello che gli passava per la testa, con una semplicità che lo faceva sentire bene. Era quella pioggerella estiva che, presto o tardi, sarebbe sparita, per far tornare il caldo. Lei era quel momento rinfrescante, la pioggia che scrosciava senza che il sole se ne andasse. Rimaneva lì, a creare strani giochi di luce e un arcobaleno. Ma Quinn aveva bisogno di lui.
Non poteva fargliene una colpa, non sarebbe stato giusto, lui non sarebbe stato giusto, dopo il casino che aveva combinato. E tornava a sentirsi in colpa perché pensava a Rachel quando non avrebbe dovuto avere occhi che per la madre di sua figlia, perché sollevava lo sguardo e indugiava in sua direzione più di quanto avrebbe dovuto essere lecito.
Doveva solo ricordare che la pioggia passava e il caldo, invece, era destinato a tornare. Dopo un po', magari dopo un giorno, due. Ma tornava. Ma è così difficile crederlo, quando piove...

  
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