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Autore: DreamGirl91    15/12/2010    14 recensioni
Noah Puckerman aveva sempre detestato Rachel Berry. Detestava tutti gli sfigati come lei, ovviamente, era quasi un obbligo morale per qualcuno bello e popolare come lui. Ma lei in particolare. [Puck/Rachel]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Noah Puckerman/Puck, Rachel Berry
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Eccomi qui, con la mia primissima ficcy su gLee!!
Ficcy che non poteva che essere Puckleberry, visto che questi due mi hanno fatto innamorare perdutamente.
Attenzione: spoiler della seconda stagione, in particolare della puntata 2x09 "Special Education"
Chiedo perdono per varie ed eventuali espressioni colorite, ma si sa... Puck è Puck!
Ovviamente non possiedo gLee né tantomeno Rachel o Puck(<3)... purtroppo, aggiungerei.;D





Grape Slushie


A Puck e Rachel...
perché lui è disposto a sopportare l'umiliazione di una granita in faccia ogni giorno per lei...
perché lei lo chiama Noah...
perché lei è fiera di camminare per i corridoi al suo fianco...
perché lui "kinda likes her"...
semplicemente perché hanno qualcosa di magico. <3


Noah Puckerman aveva sempre detestato Rachel Berry. Davvero, con tutto il cuore.
Era irritante, supponente e presuntuosa. Si vestiva in modo stupido e caricava su myspace, il social network degli sfigati, stupidi video in cui cantava stupide canzoni. Divinamente, si sarebbe potuto aggiungere, ma non era quello il punto.
Il punto era che Puck la detestava.
Detestava tutti gli sfigati come lei, ovviamente, era quasi un obbligo morale per qualcuno bello e popolare come lui.
Ma lei in particolare.
Perché camminava per i corridoi con quell'espressione sicura, quasi come se fosse stata la regina del mondo, anziché una sfigatella qualunque.
Perché quando apriva quella sua stupida boccaccia e si metteva a blaterare a Puck veniva immancabilmente voglia di prendere una tanica di benzina e darsi fuoco per dar pace alle sue povere orecchie - o magari dare fuoco a lei.
Perché nonostante gli insulti e le granite che Puck si curava di tirarle in faccia con cadenza giornaliera - anche più di una volta al giorno se era dell'umore adatto - dietro la sua espressione umiliata, in quei suoi stupidi occhi castani, c'era un certo orgoglio, una fierezza che nulla poteva cancellare, una muta consapevolezza che nessuno poteva toglierle. Io sono meglio di te, sembrava dire quella stupida Berry mentre guardava Puck con una punta di disprezzo che le brillava negli occhi.
E questo lo faceva impazzire.
Persino entrare nel glee club non aveva cambiato nulla.
Insomma, a volte si era ritrovato a pensare che alcuni di quegli sfigati non fossero poi tanto male... ma quella stupida di Rachel Berry era diversa. Anzi, conoscendola meglio era persino più sgradevole, egocentrica e manipolatrice.
No, entrare nel glee club non aveva cambiato nulla.
Ma poi arrivò quel sogno.
Rachel in quella camicia da notte bianca.
Rachel, la perfetta ragazza ebrea che avrebbe reso sua madre così orgogliosa di lui.
Rachel, che-come aveva potuto non notarlo prima?-era bella quasi quanto era irritante.
Un segno del Signore. Il buon Dio voleva che lui rendesse orgogliosa sua madre, che si portasse a letto Rachel.
E il giorno dopo, la granita. Quella granita che, contrariamente al solito, in faccia a Rachel non arrivò mai.
Puck non era sicuro di come gli fosse venuta l'idea.
Quando si era messo a controllare se quell'irritante sfigata di Rachel si leccasse o meno le labbra dopo averle tirato una granita in faccia?
Da quando si preoccupava dei suoi gusti?
Ma poi, forse, non fu un evento preciso a cambiare le cose.
Forse fu piuttosto una combinazione di eventi.
Accompagnarla con la chitarra mentre cantava, baciarla, sentirsi rifiutato da una ragazza per la prima volta in vita sua, dedicarle Sweet Caroline e vedere il suo sguardo riempirsi di una dolcezza sconosciuta, camminare per i corridoi con lei. Ricevere la sua prima granita in faccia, sentirsi così terribilmente umiliato, capire davvero per la prima volta che cosa fosse stata costretta a sopportare Rachel per colpa sua.
Puck ricordava benissimo di averla ammirata infinitamente mentre lei lo aiutava a ripulirsi da quella schifezza, mentre lo perdonava e lo baciava sulla fronte, facendogli capire che avrebbe compreso, che non si sarebbe arrabbiata, che non l'avrebbe odiato se lui avesse scelto il football al posto del glee... di lei. Ma lui non l'aveva fatto. A distanza di mesi ancora non avrebbe saputo dire perché, ma non l'aveva fatto. Aveva scelto il glee, era disposto a sentire ancora la sgradevole sensazione del ghiaccio che gli scivolava nella maglietta, degli occhi che gli bruciavano, dell'umiliazione... la sensazione più brutta del mondo, e lui era disposto ad affrontarla ogni giorno. Per lei? No, per il glee... e per Quinn, di cui all'epoca era innamorato, innamorato pazzo.
Quando Rachel l'aveva lasciato per Finn - pareva che preferire Finn a lui fosse un'abitudine ormai - aveva sentito un po' più di dolore del necessario - del consentito. E si era rifiutato di rimanere suo amico. Perché mai poi? Non lo erano mai stati, amici.
Eppure lo erano diventati.
Non amici nel senso tradizionale della parola, in un modo tutto particolare, ma amici.
Rachel era stata l'unica a non guardarlo con disprezzo, a non biasimarlo dopo la storia di Quinn. L'unica a capirlo. L'unica a perdonarlo con quel fuggevole sguardo nel corridoio, che mai Puck avrebbe potuto dimenticare.
E Puck avevo fatto la sua parte, quando aveva tolto dal suo armadietto quella sciocca, diffamatoria "glista" che la rendeva così triste, quando primo fra tutti si era alzato con tutte le intenzioni di picchiare a sangue quel cretino di Jesse St.James che aveva osato tirarle delle uova addosso.
Puck non avrebbe saputo dire come esattamente in un anno fosse riuscito a passare da "Rachel Berry, quella stupida, proprio non la sopporto" a "Prova a toccare Rachel anche solo con un dito e ti ammazzo". Non lo sapeva, non lo sapeva proprio.
Non sapeva nemmeno che cosa ci facesse ora, mesi e mesi dopo, davanti alla porta di Rachel con una-stupida-granita all'uva in mano.
Sapeva solo che aveva freddo, ed era stufo di stare lì, dopo quasi mezz'ora si sarebbe finalmente dovuto decidere a suonare, o ad andarsene.
Ma sapeva anche che dopo che Quinn e Jesse erano stati ormai da tempo dimenticati, ora che persino Finn aveva
- molto, molto recentemente - smesso di rappresentare un ostacolo, doveva fare qualcosa. Portare una granita all'uva sotto casa sua, nella fattispecie.
Prese a calci un cumulo di neve imprecando a mezza voce.
Perché mai si era messo in testa di portare la fottuta granita a Rachel?
No, davvero, perché?
Forse, rifletté Puck, aveva molto a che fare con la ragione per cui quando era chiuso in quel gabinetto chimico non aveva fatto altro che pensare a lei. Perché mentire anche a se stesso? Non era vero che aveva pensato di promettere al buon Dio di essere gentile con gli ebrei per essere liberato... aveva pensato a lei. E aveva chiesto a Dio di poter avere un'altra possibilità di trattarla come si deve, perché lei non pensasse a lui per sempre solo come allo stronzo che le tirava le granite in faccia.
Forse era quello stesso motivo per il quale pochi giorni prima gli era costato tanto sforzo dirle di no per non tradire Finn, lo stesso motivo per il quale mentre si allontanava da lei dopo aver guardato i suoi occhi feriti sentiva come una pugnalata al petto ad ogni passo.
Probabilmente era sempre lo stesso motivo che l'aveva spinto a difenderla da Santana. Non era vero che Rachel non piaceva a nessuno. A lui piaceva, cazzo, eccome se gli piaceva!
Rachel poteva essere presuntuosa, arrivista e fastidiosa, ma era anche così forte e così dolcemente fragile al tempo stesso, sapeva essere così attenta e generosa...
Ed era bella, dannatamente bella.
E a Puck tutto questo piaceva.
E si sentiva ridicolo fermo davanti alla porta di casa sua con quella roba in mano, ma non se ne sarebbe andato per nulla al mondo, non prima di aver dato la fottuta granita a Rachel.
Perché Rachel era una bella ragazza ebrea che sua madre avrebbe adorato, e che a lui piaceva, piaceva dannatamente.
Coraggio, Puck, pensò bussando alla bella porta di ciliegio. Tira fuori le palle.
Dopo alcuni istanti, la porta si aprì e Puck si trovò faccia a faccia con Rachel.
Dall'interno della casa veniva una dolce musica natalizia, e Puck immaginò che ci fosse una grande festa.
"Noah!" esclamò Rachel piacevolmente stupita.
Noah.
Puck adorava che lei lo chiamasse così.
"Chi è tesoro?" chiese la voce di uno dei padri di Rachel dall'interno della casa.
"Uno dei ragazzi del glee, papà," rispose lei. Poi si rivolse ancora a Puck. "Come mai sei qui?"
Già. Uno immaginerebbe che il grande Noah Puckerman abbia qualcosa di meglio da fare che portare granite a Rachel Berry la sera di Capodanno.
"Mi sono appena ricordato di non averti fatto un regalo per Natale o per Hannukka, il che è vergognoso dopo aver promesso al buon Dio di trattare con gentilezza almeno gli ebrei. Perciò ecco," disse un po' brusco, porgendole la granita. "Buon Natale, Hannukka, Capodanno o quello che cavolo ti pare."
Rachel prese la granita e guardò a bocca aperta da quest'ultima a Puck almeno una decina di volte prima che lui si decidesse a dire:
"Bevi, non è mica avvelenata!"
E Rachel, ancora sconcertata, bevve, senza perdere d'occhio Puck nemmeno un istante; se non l'avesse conosciuto bene, avrebbe potuto giurare che sembrasse nervoso. Presa com'era a scrutarlo, solo dopo alcuni sorsi si rese conto del sapore.
"Uva?"
"Già. So che è la tua preferita perché..."
"...l'ultima volta che me l'hai tirata in faccia mi sono leccata le labbra prima di ripulirmi," concluse lei, continuando a sorseggiare il suo regalo. "Sì, mi ricordo. Ma sono passati mesi! Non credevo che tu te ne ricordassi ancora."
Puck si strinse nelle spalle.
"A che cosa devo questo regalo?" domandò ancora.
Mentre la guardava sorridere e bere pian piano quella granita ghiacciata con quel freddo polare, così incredibilmente felice, così terribilmente bella, Puck non poté fare a meno di pensare quanto gli piacesse quella ragazza.
Pensò che Rachel gli piacesse da impazzire, e non solo per quel suo miscuglio di forza e fragilità, non solo perché sapeva essere così incredibilmente attenta e generosa, ma anche perché era una testarda stupida despota assolutamente irritante. E così glielo disse, semplicemente.
"Sei una brava ragazza, Rachel," disse. "Un po' pazza, forse. E dispotica, orgogliosa, irritante, logorroica, strana e a volte un po' inquietante... però mi piace che tu sia così. Mi piacciono i tuoi difetti, mi piace il tuo modo di essere. Poi intendiamoci" si affrettò a chiarire. "Se per una volta decidessi di comportarti come una persona normale non mi sentiresti di certo lamentarmi. Comunque non mi dispiaci nemmeno da pazza."
Rachel lo guardò con gli occhi enormi per lo stupore, dimenticando del tutto la sua granita.
"Io..." iniziò incerta, arrossendo. "Vuoi... stai cercando di dirmi che ti piaccio? E' questo, Noah?"
Puck non rispose, abbozzò un sorriso e non poté fare a meno di dire:
"Ti ho già detto quanto mi piace quando mi chiami Noah?"
Ci mancò poco che Rachel gli gettasse le braccia al collo e lo baciasse, di nuovo. Non ci poteva fare nulla, Puck le faceva sempre quest'effetto. Quella sera in particolar modo, con la granita e quello strano, romantico discorso su quanto lei fosse bella e pazza... ma non poteva dimenticare ciò che era successo solo pochi giorni prima tra loro.
"Ma te ne sei andato l'altro giorno," sussurrò. "Io ero lì, ti volevo, ma tu hai detto che non potevi farlo, che non potevi tradire Finn un'altra volta."
"Esatto," replicò lui. "E quello è l'unico motivo per il quale non sono rimasto. E uscire dalla tua stanza, cazzo, è stata la cosa più difficile che io abbia mai dovuto fare."
Gli occhi di Rachel si incatenarono ai suoi, cercando una conferma alle sue parole.
"Rachel, tesoro, che cosa...? Oh."
Tempismo perfetto. pensò Puck con amarezza, mentre spostava malvolentieri gli occhi da Rachel per posarli su suo padre.
"Buonasera," salutò.
"Ciao, Noah," rispose l'uomo guardando da lui alla figlia visibilmente soddisfatto. "Rachel, tesoro, tra poco ci sarà il conto alla rovescia, ma tu non preoccuparti, rimani qui con il tuo amico finché vuoi. Ci vediamo, Noah."
"Arrivederci, signore."
Gli occhi di Puck cercarono immediatamente un nuovo contatto quelli di Rachel, che però nel frattempo aveva abbassato la testa.
"Non lo so Noah," disse esitante. "Tu hai avuto così tante ragazze, sei andato a letto con Santana... non voglio essere una delle tante."
Puck si fece molto serio. No, lei non meritava di essere una delle tante.
"Guardami," disse semplicemente. Lei alzò gli occhi. "Non sarà così."
Rachel lo osservò, lo osservò molto attentamente.
In un momento come quello, molti si sarebbero prostrati ai suoi piedi facendole promesse di amore imperituro e devozione eterna. Non Noah.
Noah se ne stava semplicemente lì davanti a lei, con quegli occhi piantati dentro ai suoi. Quegli occhi troppo belli, troppo sinceri...
In casa, il conto alla rovescia era iniziato.
Dieci, nove, otto...
Aveva dato una chance a Finn, qualche mese prima. Finn, che l'aveva delusa anche troppe volte. Perché non darne una a Noah, che da quando si erano avvicinati non le aveva mai, mai dato modo di dubitare di lui nemmeno per un istante? In fondo lui era quello che aveva scelto il glee al posto del football quando Finn non era stato in grado di farlo, e al contrario del suo ormai ex ragazzo, non sembrava ricordarsi di lei solo quando rischiava di perderla. Noah, in un modo o nell'altro, era l'unico che ci fosse sempre stato per lei.
...sette, sei, cinque...
Che senso aveva negarlo? Lei e Noah erano sempre stati inevitabilmente attratti l'uno dall'altra e lui era l'unico in grado di farle dimenticare tutto e tutti. Con lui non esisteva Jesse, con lui non esisteva Finn... anche ora, solo guardarlo, solo sentire il suo profumo faceva sembrare il dolore per essere stata lasciata da Finn un ricordo lontano, confuso, da tempo dimenticato.
...quattro, tre, due...
Stava per iniziare un nuovo anno, poteva anche essere l'inizio di un nuovo amore, di una nuova vita con Noah? E lui ancora la guardava con quegli occhi...
...uno...
, fu tutto quello che riuscì a pensare subito prima di buttare le braccia attorno al collo di Puck e baciarlo, proprio mentre da dentro la casa si levavano gli auguri e i brindisi per quel nuovo anno.
Ancora una volta, Rachel si fece trascinare in quell'idillio perfetto, in quell'oblio dove la mente era totalmente annebbiata e niente più contava, solo lei, Noah e quell'istante perfetto.
E Puck la baciò, la strinse, e sorrise contro le sue labbra, le labbra della stupida Berry, che erano tutto ciò che desiderasse.
E quando si separarono fu ancora meglio perché Rachel lo guardò con i suoi stupidi occhi castani, e niente al mondo era più bello di quello sguardo, in quegli occhi, non per Jesse, non per Finn, ma per lui. Per lui e per nessun altro.
Rachel non poté resistere, dovette abbracciarlo, e Puck la strinse a sé sentendola sorridere contro il suo petto. E, sì, questo fu ancora meglio.
"Buon anno nuovo, Noah," disse semplicemente lei, chiudendo gli occhi, respirando il suo profumo, che - Dio, come aveva potuto non accorgersene prima? - le era mancato troppo.
"Buon anno nuovo, Rachel," rispose lui altrettanto semplicemente.
Ma sembrava dire ti amo.

E Rachel seppe di non aver bisogno di alcuna promessa, di alcun giuramento.
Noah non le avrebbe mentito, non l'avrebbe fatta soffrire, non l'avrebbe ingannata.
Per saperlo le bastavano la granita d'uva che ancora stringeva tra le mani, gli occhi sinceri di Noah, il sorriso di lui mentre la baciava dolcemente.
Anzi, non aveva nemmeno bisogno di queste cose, a dirla tutta.
Tutto quello che le serviva era tra le sue braccia in quell'esatto momento.


AUTHOR'S NOTES

Sì, lo so che ogni buon fan Quick e Finchel mi sta detestando... ma non posso fare a meno di amare questi due, davvero... mi hanno stregata*-*
E amo Puck. Lo amo, davvero. Specialmente insieme a Rachel, sì, ma lo amo a prescindere.<3 Non saprei nemmeno come dirlo, lo trovo incredibilmente... dolce. Sì, dolce, perché anche se non fa nulla per cercare di esserlo, dice sempre e comunque ciò che pensa. Tutto ciò che pensa. E capita che le cose che dice spontaneamente, senza programmarle, perché le pensa, siano un milione di volte più dolci di tutte le frasi e le mosse studiate (e idiote) di certi altri (ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale... *coffcoff*FINN*coffcoff*--> noooo, non odio Finn...è un'impressione!xD)
Beh, fatemi sapere che ne pensate!;)
DreamGirl

  
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