A Rea (Somma Autrice) perchè anche solo vedere il tuo nome lì, tra quelli che seguono, mi ha fatto prendere un colpo.
A tutte le mie donne, tutte le innamorate di Malfoy che hanno sentito la sua mancanza nel primo capitolo. Ora è qui, tutto per noi.
Malfoy Manor, 6 Maggio 1998.
Narcissa
Black Malfoy si era svegliata quella mattina sapendo che la giornata
che la attendeva sarebbe stata tutt'altro che piacevole e poteva dire
senza alcun dubbio che la parte che era trascorsa era stata
assolutamente all'altezza delle aspettative.
Aveva
deciso, di comune accordo con suo marito, di non presenziare alla
cerimonia indetta ad Hogwarts per la commemorazione dei caduti
durante la battaglia. Nessuno dei due credeva fosse appropriata la
loro presenza in quella circostanza, nonostante con il suo gesto
avesse contribuito non poco alla vittoria del Ragazzo Sopravvissuto,
e avesse permesso loro di schierarsi, anche se all'ultimo momento,
dalla parte dei vincitori. Sapeva per certo che la sola vista della
loro famiglia avrebbe destato non poco disappunto in quel luogo e per
quella cerimonia, visti i loro trascorsi e la loro posizione, ma
soprattutto dato che si sarebbero presentati tutti e tre sani e
salvi.
Narcissa
non si vergognava affatto né del suo passato né
di nessuna delle
scelte fatte. Aveva agito per come riteneva giusto nella maggior
parte dei casi e negli altri aveva fatto le scelte che più
sarebbero
convenute, se non a lei, a Draco.
Aveva
desiderato, come ogni madre, il meglio per suo figlio e quel meglio
si era per anni concretizzato nel consolidare la loro posizione di
Purosangue, nel mantenere quello status quo che a loro tanto faceva
comodo, nel seguire i principi con cui Lucius in primis e lei
nondimeno, erano stati cresciuti. Le cose erano cambiate quando
Lucius era finito ad Azkaban, quando Voldemort aveva voluto Draco con
sé, quando a suo figlio era stato imposto il Marchio Nero.
Dal
canto suo Draco non aveva opposto resistenza, anzi, da degno figlio
di suo padre aveva accettato la sua missione e aveva fatto del suo
meglio per portarla a termine. Ma in quel momento Narcissa aveva
visto vacillare le sue certezze. Aveva visto per la prima volta
Voldemort per quello che era, un Signore vendicativo e crudele,
capace di rubare i sedici anni di suo figlio pur di avere
soddisfazione per il fallimento di Lucius.
Aveva
chiesto aiuto, aveva ottenuto protezione per Draco e aveva messo la
vita di suo figlio nelle mani di colui che alla fine, si era rivelato
il deus ex machina di tutta la faccenda.
Aveva
infine fatto la sua scelta, quella notte di quattro giorni prima,
regalando quel vantaggio a Potter. L'aveva fatta per suo figlio e
perchè tutti, lei compresa, potessero ancora avere un
futuro,
quindi non si sarebbe presentata davanti a una folla di Mezzosangue a
farsi giudicare dai loro bisbigli come una criminale. Né a
maggior
ragione avrebbe portato Draco a subire le loro insinuazioni e i loro
sospetti, per fondati o meno che fossero.
Quello
che tutte quelle persone non ricordavano o che tralasciavano senza
alcun riguardo, era che anche loro, specialmente lei, avevano perso
qualcuno. Bellatrix Lestrange era sua sorella e niente avrebbe
cambiato questa realtà. La sua folle lealtà e il
suo amore per la
causa dell'Oscuro Signore l'avevano resa una furia cieca e
irrazionale, ma restava comunque e sempre la sua Bella. Probabilmente
meritava la morte e con ancora maggiore probabilità lei
stessa
l'avrebbe desiderata, in quella circostanza, piuttosto che vivere in
un mondo in cui l'Oscuro Signore era stato sconfitto, ma questo non
alleviava di certo il dolore di Narcissa per la perdita della
sorella.
Come
stabilito, quella mattina Narcissa aveva seppellito sua sorella,
senza molte cerimonie e senza discorsi inutili e falsi. Nessuno era
presente in quel momento, se non le sole persone che avrebbero potuto
capire la sua necessità di dare a Bella un riposo dignitoso,
nonostante il modo in cui aveva scelto di impiegare la sua vita: suo
marito e suo figlio.
Forse
Andromeda avrebbe capito? Di certo non ora, non con sua figlia
vittima degli scontri e con un nipotino di qualche mese che avrebbe
passato la vita da orfano. Nessuno poteva comprenderla fino in fondo,
temeva. Aveva paura per suo figlio, per quello che lo attendeva dopo
quell'estate di pace, per le sfide che avrebbe dovuto vincere, in
primis con se stesso, solo per riuscire a camminare a testa alta dopo
ciò che era accaduto.
Sopra
ogni cosa, però, Narcissa temeva per suo marito, per il suo
Lucius.
Fin dal minuto seguente alla caduta di Voldemort, anzi anche da
prima, Narcissa aveva fatto i suoi calcoli e in ogni
supposizione, in ogni ipotesi, per quanto positiva cercasse di
essere, aveva dovuto tenere conto della posizione ben poco felice di
suo marito. In quei pochi giorni che erano seguiti alla battaglia
nessuno aveva parlato di processi, di condanne, di pene da scontare;
tutti erano concentrati su quanto avevano perso, su quello che
mancava. Ma lei sapeva bene che sarebbe arrivato un momento in cui
tutti i “buoni”, come immaginava amassero
definirsi, si sarebbero
svegliati dal loro torpore e avrebbero iniziato a reclamare la loro
giustizia. Quello era il momento che temeva di più in
assoluto,
perchè era certa che suo marito non sarebbe stato giudicato
con
clemenza né indulgenza e perchè una parte di lei
nutriva la paura
che anche Draco non ne sarebbe uscito completamente pulito. Concetto
particolare, quello della giustizia. Era certamente ingiusto, su
questo conveniva certamente anche lei, che dei giovani fossero morti
per difendere i loro ideali, che tutte quelle vite fossero state
spezzate. Era ingiusto anche che le idee con cui era cresciuta e che
aveva sempre condiviso fossero state lentamente distorte ed
estremizzate, fino a diventare la grottesca bandiera sotto la quale
Voldemort aveva raccolto i suoi seguaci. Era ingiusto, infine, che la
vita di suo figlio fosse stata manovrata per due anni con le minacce,
con la paura e con la vergogna. Di questo nessuno avrebbe tenuto
conto, durante il processo, perchè questo non faceva di
certo parte
del loro concetto di giustizia.
Narcissa era in compagnia di queste riflessioni quando era stata sorpresa dall'arrivo di un gufo sul davanzale della finestra della sua stanza. Le ante erano aperte, a lasciare entrare un po' dell'aria tiepida del pomeriggio, quindi l'animale era potuto entrare indisturbato, per posarsi sul piccolo scrittoio all'angolo della camera. La donna si era alzata dalla poltrona in cui era accomodata e dopo essersi avvicinata, aveva slacciato la missiva dalla zampetta del volatile, che si era allontanato immediatamente.
Carissima Mrs. Malfoy,
in qualità di Preside di Hogwarts le scrivo per manifestare il mio dispiacere nell'aver notato la vostra assenza alla Cerimonia di questo pomeriggio. Era nel vostro pieno diritto essere presenti e spero questa vostra decisione sia stata presa per impegni o motivazioni che esulino da quelle che ormai voglio considerare vecchie convenzioni, che sarà nel mio interesse estirpare al più presto. Desidero che Hogwarts torni ad essere la scuola sicura e serena che è stata per moltissimo tempo, in cui ogni studente, quale che sia la casa a cui è assegnato, possa trovare uguale trattamento e riguardo.
Cordiali Saluti
Minerva Mc Granitt.
Le
erano schizzati gli occhi fuori dalle orbite per la sorpresa, alla
lettura di quelle parole, che erano inaspettate quanto una bella
nevicata in pieno luglio. Era a conoscenza del fatto che la Mc
Granitt fosse una donna molto intelligente e decisamente diplomatica,
ma da lì a scriverle per rassicurarla, anche se in modo
velato,
sulle sue intenzioni riguardo la condotta che avrebbe adottato
Hogwarts nei confronti della maggior parte dei figli di ex
Mangiamorte, ne passava.
O
doveva forse considerare questa lettera una sorta di rimprovero per
non essere stata presente in un momento di raccoglimento che non le
apparteneva, ma che avrebbe dovuto sentire suo per meglio integrarsi
nel Mondo Magico che sarebbe venuto dopo la vittoria di Harry Potter?
Qualunque
cosa la Mc Granitt avesse voluto dire, con quel biglietto, l'effetto
che aveva avuto sullo stato d'animo di Narcissa era assolutamente
positivo. Draco sarebbe potuto tornare a scuola, in una scuola in
cui, nonostante tutto, avrebbe dovuto affrontare parecchie
difficoltà, specialmente visto il segno indelebile delle sue
scelte
sul braccio sinistro, ma con la Mc Granitt dalla sua parte, non
avrebbe dovuto temere per nulla.
I
sussurri alle spalle e le parole vuote della gente erano comunque
un'abitudine per i Malfoy ed era sicura che Draco li avrebbe
sopportati, anzi ignorati, con grande maestria.
Con
un sospiro di sollievo si era quindi sistemata più
comodamente sulla
poltrona, aveva allungato la mano verso il suo romanzo e aveva
iniziato a leggere, in attesa dell'arrivo di Lucius e Draco per la
cena. In fondo, quella giornata, poteva anche non finire
così male.
****
Il
protagonista di tante materne preoccupazioni camminava nel parco di
Malfoy Manor, in cerca di un minimo di tregua dalle soffocanti
attenzioni degli elfi domestici che sua madre Narcissa gli aveva
sguinzagliato appresso.
Fino
a pochi minuti prima era seduto sulla balaustra di uno dei terrazzi
della casa, ma, per l'appunto, il suo tentativo di relax era stato
brutalmente interrotto dal sonoro “pop” dell'elfo
domestico che
gli era personalmente assegnato, che si era materializzato
lì
tentando di svolgere chissà quale fantasiosa mansione
Narcissa
avesse studiato per lui. Draco non gli aveva dato nemmeno il tempo di
aprire bocca e lo aveva liquidato con poche parole, semplici quanto
efficaci.
- Sparisci dalla mia vista inutile essere. -
La
bestiola si era accartocciata su se stessa con un gemito ed era
scomparsa con la stessa rapidità con cui era arrivata,
probabilmente
per andare a punirsi infilando una mano nell'acqua bollente.
A
quel punto Draco aveva deciso di allontanarsi da casa, nella speranza
di non essere seguito anche lì e di riuscire ad avere se non
la
pace, almeno il silenzio.
Da
quando erano tornati a casa dopo la battaglia, dopo che Potter era
uscito trionfante da quell'epico combattimento contro il più
grande
mago di tutti i tempi, Narcissa aveva passato una buona metà
del suo
tempo, quello che non impiegava nella gestione della villa e nella
sistemazione degli affari di famiglia dopo la morte di Bella, a
preoccuparsi del benessere di suo figlio in ogni minima sfumatura. Il
fatto che questo figlio avesse ormai quasi diciotto anni e che fosse
sopravvissuto a catastrofi ben peggiori di una camicia non
perfettamente stirata, sembrava non scalfire la sua ferrea
convinzione che, dopo quello che era successo, Draco avesse bisogno
di essere il più possibile “protetto” da
ogni stress.
Inutile
aggiungere che era proprio questa una delle cose che maggiormente
stressava l'oggetto di tutte queste attenzioni. La sua non era mai
stata una famiglia da coccole e smancerie e nemmeno lo era adesso, ma
tutta quest'aria da principino che sembrava gravitargli attorno lo
imbestialiva terribilmente. Non voleva essere protetto da nessuno e
non riteneva di dover essere trattato con i guanti bianchi solo
perchè tutto il mondo in cui era cresciuto e tutti i valori
che gli
erano stati insegnati erano crollati grazie a un ragazzino con uno
sfregio in fronte.
Non
poteva negare di certo che quella vittoria non fosse conveniente
anche per lui, per loro, ma d'altra parte non poteva smettere di
pensare che quel mondo in cui aveva vissuto fino al quinto anno, fino
a quando era stato marchiato, gli sarebbe mancato.
Tutto
quello che gli serviva era essere lasciato in pace.
Pace.
In fondo, era esattamente quello che il Mondo magico stava vivendo in
quel momento.
La
pace. Era incredibilmente ironico quanto quel sostantivo che
rappresentava uno stato dei fatti tanto agognato da tutti
significasse per lui un tormento altrettanto ferventemente respinto.
Avrebbe voluto dimenticare, avrebbe voluto poter tornare al quarto
anno, quando il mondo girava ancora per il verso giusto, quando
poteva guardare dall'alto in basso i Mezzosangue dal suo palco
riservato ai Mondiali di Quidditch, quando ancora girava per Hogwarts
fiero della sua posizione, con i suoi compagni al fianco.
Cosa
gli era rimasto ora? Un Marchio sull'avambraccio sinistro che per
tutta la vita l'avrebbe seguito, ricordandogli i suoi fallimenti,
ricordando agli altri da che parte era stato; gli era rimasto il
vuoto lasciato dalla scomparsa di un amico.
Draco
non aveva parlato con nessuno di quello che provava riguardo la morte
di Tiger; non era necessario, non era da lui. Non avrebbe ammesso a
nessuno il suo senso di colpa, né avrebbe confessato a
chicchessia
quanto sentisse la sua mancanza. Non voleva condividere il suo dolore
con nessuno perchè sarebbe stato come ammettere un'altra
debolezza.
Lui che di debolezze aveva dovuto ammetterne anche troppe, dopo
quella sconfitta, dopo la questione Silente, e che
avrebbe
dovuto chinare la testa molte volte e zittire l'orgoglio ancora
chissà quante altre, per tornare in quella scuola popolata
da
seguaci dello Sfregiato, Mezzosangue e Sanguesporco.
Ma
sua madre voleva così, suo padre sembrava concordare, anche
se con
molta meno convinzione, e lui non li avrebbe di certo delusi.
D'altro
canto, cosa avrebbe potuto fare altrimenti?
Nessuno
avrebbe sostenuto i MAGO quell'anno, visto che erano stati sospesi,
quindi era prevedibile che sarebbero tornati tutti a Hogwarts per
completare l'ultimo anno.
Avrebbe
dovuto lasciar stare?
Sarebbe
forse stato meglio evitare di tornare tra quelle mura, sotto quegli
occhi indagatori, ad ascoltare tutti i sussurri e tutte le parole
dette alle spalle?
No.
Non aveva paura di nessuno di loro, non avrebbe più temuto
nulla,
non adesso. Sarebbe tornato, avrebbe alzato il suo sguardo algido su
di loro e li avrebbe ignorati, nel migliore dei casi, derisi per le
sciocchezze che andavano pensando, negli altri.
Merlino,
era ancora un Malfoy, questo non poteva toglierglielo nessuno.
Aveva
appellato la sua Firebolt, che era sfrecciata attraverso gli alberi
per fermarsi docilmente al tocco della sua mano. Aveva accarezzato
quel legno e con eleganza vi era salito a cavalcioni, percependo per
la prima volta in quella giornata un barlume di
tranquillità. Con
dolcezza si era sollevato da terra e soltanto in quel momento aveva
capito quanto avesse bisogno di volare.
Aveva
sorvolato, tra picchiate e spirali lente, tutta la proprietà
di suo
padre ed era rimasto in volo per un tempo che non avrebbe saputo
definire. Come era sempre stato, salire su una scopa e staccarsi dal
suolo era la soluzione, anche se temporanea, per ogni suo cruccio.
Aveva
amato volare sin dalla sua prima volta su una scopa, quando, a cinque
anni, gliene avevano regalata una in miniatura, che volava non
più
in alto di un metro e mezzo, ma che gli aveva fatto provare per la
prima volta l'emozione di staccare i piedi da terra. Era rimasto
attaccato a quella piccola scopa per settimane, se la portava dietro
ovunque, suscitando le tenere risate di sua madre e i rimproveri
orgogliosi di suo padre.
Era
sempre stato così con lui, rimproveri e parole dure che
nascondevano, a volte nemmeno troppo bene, l'amore che provava per
quel figlio desiderato e amato. Ed era stato così anche con
quella scopa. Gli aveva detto che doveva smetterla di portarsela dietro
come
se fosse l'orsacchiotto di una femminuccia, ma quando il piccolo,
punto nell'orgoglio maschile, l'aveva lasciata in camera per la prima
volta, gliel'aveva fatta portare in giardino da un elfo, dicendogli
di mostrargli che cosa sapeva fare, su quel piccolo aggeggio. Non gli
aveva fatto alcun complimento né lo aveva incitato o
festeggiato, ma
il ghigno soddisfatto che gli aleggiava sul viso era più che
sufficiente.
Mentre
scendeva nell'ennesima picchiata verso il cortile anteriore della
villa, Draco si era accorto che c'era qualcuno in piedi, vicino al
porticato. Una figura che aveva un'aria familiare.
Chi
poteva arrivare a casa loro in un momento del genere?
Sperava
che, chiunque fosse, non portasse notizie o perlomeno, che non ne
portasse di cattive. Sempre restando in sella alla
Firebolt, Draco si
era avvicinato lentamente, tenendo gli occhi sulla figura che
sembrava attenderlo. Quando la distanza si era ridotta a sufficienza,
si era ritrovato a ridere di se stesso per non aver riconosciuto
subito l'unica persona che si sarebbe potuta permettere il lusso di
presentarsi a casa sua senza invito in un momento
“felice” come
quello.
- Eccolo qui il Principino della casa, mi fai entrare? - aveva esordito Blaise, ben cosciente di quanto Narcissa potesse essere materna in alcune circostanze.
- Ottimo spirito Blaise, mi viene quasi voglia di lasciarti fuori. -
- Tanto so perfettamente che non lo farai... - gli aveva risposto con un ghigno.
- Di qua, dannato presuntuoso - gli aveva risposto Draco – preferisco evitare di stare in casa in questi giorni, gli elfi domestici mi inseguono ovunque. -
- Mamma Cissy sta dando il meglio di sé? -
- Precisamente. -
Aveva guidato l'amico lungo il portico, verso il giardino sul retro, mentre il pomeriggio iniziava a sfumare nel tramonto. Zabini aveva infilato le mani in tasca e camminava un paio di passi dietro l'amico, guardandolo di sottecchi. Erano andati avanti così per qualche centinaio di metri, Draco a camminare spedito verso il bosco con gli occhi incollati agli alberi e Blaise subito dietro, riflettendo attentamente su quali sarebbero state le parole migliori per iniziare quella conversazione.
- Mi stai fissando. - aveva sbottato improvvisamente Malfoy.
- Lo so. -
- Che vuoi? -
Blaise aveva sbuffato in risposta, per affondare di più le mani nelle tasche ed affiancarsi all'amico.
- Oggi sono andato ad Hogwarts. -
- Tutto qui quello che dovevi dirmi? Davi l'idea di uno che sta per comunicarmi che il Mondo sta per esplodere. -
- Quello è già successo. - aveva replicato secco Zabini, con un ghigno.
- Già, è vero. Come dimenticarsene? - Draco aveva scosso latesta contrariato. - Bene, Blaise, sei stato a Hogwarts. Come mai hai un impellente bisogno di comunicarmi questa futile informazione? -
- Lo sai benissimo perchè. So perchè non siete venuti e lo capisco ma credo comunque che tu saresti dovuto essere lì. -
Draco
fissava di nuovo il cielo e il bosco davanti a sé,
chiedendosi cosa
avesse fatto di male per meritarsi di vivere questo momento. Non
aveva voglia di affrontare questo discorso, nemmeno con Blaise; non
voleva parlare della sensazione di smarrimento che provava da
settimane, da ben prima che la battaglia si concludesse, ma che era
cresciuta esponenzialmente in quegli ultimi giorni.
Zabini
si sbagliava. Non era quello il suo posto, non era con quelle
persone, con quella gente, che lui doveva stare. Ma
in realtà
non sapeva nemmeno lui quale fosse realmente la collocazione che
sentiva sua. Forse non ce n'era nessuna.
- Hanno letto i nomi delle vittime della battaglia, li hanno elencati ad uno ad uno. -
- Stucchevole modo di manifestare il cordoglio. Molto Grifonesco, in effetti. - aveva commentato sprezzante, con una smorfia disgustata.
- Hanno letto anche il nome di Vincent. -
Malfoy si era girato improvvisamente, come colpito da una scossa e aveva guardato Zabini negli occhi. Solo per un secondo Blaise aveva intravisto il tumulto dietro quello sguardo, che si era fatto immediatamente immobile, imperturbabile.
- Si sono degnati di nominare uno di noi tra le loro vittime? -
- Tiger era uno studente come tutti gli altri, esattamente come loro. -
- Non dire idiozie Blaise. Era tutto tranne che come loro, come non lo sono io né lo sei tu. -
- In questo contesto è diverso, Draco. Non c'è più un loro e un noi. -
- Lo vedremo quanto sarà diverso. Lo vedremo. -
L'ultima frase era stata detta sottovoce, quasi mormorata, mentre Draco si sedeva sull'erba a guardare il sole tramontare su quella giornata che era già stata troppo lunga.
- Ti fermi qui per un po'?- aveva chiesto poi a Blaise, sdraiato comodamente con le mani dietro la nuca.
- Che domande. Posso perdermi lo spettacolo di vederti imprecare a più riprese mentre Narcissa trova ogni modo possibile per viziarci?
- Immagino di no. -
aveva replicato con un sorrisetto. -
- Per nulla al
mondo, amico. -
Capitolo breve e sudato.
Ora vi tedio giusto con qualche precisazione...
La
famiglia Malfoy è la una mia passione sfrenata e totale,
credo che
chi mi conosce anche solo un po' lo sappia. Non riesco a concepire
nemmeno vagamente Narcissa e Lucius come genitori freddi e snaturati
che abbiano fatto pressioni sul figlio per questa o quell'altra
motivazione.
Ritengo
che siano persone con dei valori e con delle idee, che abbiano
provato a trasmetterle al figlio e che le abbiano seguite
finchè le
hanno ritenute valide. E credo sia normale e ovvio che amino la loro
prole. Saranno anche Slytherin e Death Eater, ma sono umani, che
diamine. u.u
Il
voltagabbana finale di Narcissa e il suo salvare Potter da Voldemort
era una scelta che dipendeva in modo evidente dal desiderio di
proteggere Draco anche nei Doni nella Morte e io ho solo seguito la
corrente; poi insomma, l'essere opportunisti e tendenzialmente
egoisti è molto Slyth, quindi concedetemi la costruzione...
xD
Il
“mio” Blaise ha tutti i caratteri somatici
“giusti”. E' di
colore, con gli occhi neri e i capelli neri.
Niente
occhi color del mare tropicale et similia, Zabini è Zabini.
u.u
Per
quanto riguarda il carattere la Row non ci ha detto molto di lui,
quindi mi sono presa la briga di inventare, affibbiandogli il tanto
inflazionato (nelle fanfict) ruolo di amico di Draco.
Ho
finito di stressarvi.
Grazie
a tutti, ma davvero a tutti per ogni recensione, a chi segue, a chi
preferisce e a chi ricorda.
Vi
vedo che leggete e ogni numerino in più mi fa sdilinquire in
modo
imbarazzante, anche se non lasciate altro segno di voi... *___*
Ogni
riferimento a una tal Valaus è puramente casuale. xD
Scherzo
caVa, sai che già sono onorata della tua sola presenza. *___*
Per chi desideri una visita guidata nella mia demenza, con acclusi deliri, lamentele e sbavi di ogni genere...si, anche spoiler xD, mi trovate su Facebook: QUI.