Storie originali > Soprannaturale > Vampiri
Segui la storia  |       
Autore: Elos    18/12/2010    5 recensioni
Gabriel non ricorda di essere stato umano, Gabriel non ha più nessuno. C'è stato un tempo in cui era bello, molto bello, bellissimo, ma adesso quel tempo è passato. Gabriel viaggia con un armadio al seguito e quattrocento anni di ricordi perduti sulle spalle.
In una casa antichissima piena di cose rotte e di cose preziose avrà inizio la più bizzarra delle convivenze.
Prima classificata e vincitrice del Premio Attinenza al concorso Once upon a Bloody December indetto da storyteller lover.
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



3. armadio



- Si tratta solo di un anno. - dice Monsieur Edouard Le Chevalier. - Un anno passa in fretta, dopotutto, e per te non passerà affatto. Al termine dell'accordo avrai esattamente lo stesso aspetto che hai adesso. -
Ma per Etienne non sarà così, Gabriel lo sa. Per Etienne quell'anno passerà, Etienne crescerà. A diciassette anni bastano pochi giorni a scavare gole di pietra su di un viso, far crescere una barba che quel viso lo cambia, incidere striature, cicatrici, cambiare uno sguardo pulito in quello aspro di un vecchio.
Etienne avrà il tempo di cambiare, mentre Gabriel non cambierà.
- Ho promesso. - dice allora. Edouard non lo ascolterà, oggi, ma forse domani lo farà. Se non domani, dopodomani. Il giorno dopo ancora. Quello dopo ancora. - Non serve usarlo. Farò quel che ho detto, io ho giurato, ho promesso. Vi prego. -
Edouard ride. Ha l'aspetto di un uomo meravigliosamente affascinante sui trent'anni, giovanile e sorridente, con occhi azzurri e un viso perlato. Veste come un nobile, parla come un nobile. Gabriel l'ha visto nutrirsi dal collo di una tredicenne mentre lei gridava, gridava, con il sangue a colarle sulle vesti chiare, e poi sorridere chinato sul suo cadavere. Edouard sceglie solo il meglio per sé, nulla che non abbia sangue di purissima aristocrazia nelle vene, nulla che non sia bello, che non sia aggraziato. Ha preso Gabriel per i suoi occhi nerissimi e i suoi capelli rossi e lucenti, e gli è piaciuto abbastanza da volerlo tenere anche
dopo.
Gabriel non lo odia per questo. Gabriel vivrà in eterno. Avrà in eterno capelli rossi, mai grigi, in eterno il suo viso liscio, integro e intatto, eternamente invischiato nella primavera della sua giovinezza come una libellula nell'ambra vetrificata.
Gabriel non odia Edouard. Gabriel odia che non ci sia Etienne, con lui, a spartire tutta quell'eternità giovanissima e meravigliosa che possono avere.
- So che mi sarai fedele. - Gli dice Edouard, e sorride indulgente. Aveva quel sorriso mentre spingeva la bambina a girarsi e le affondava le zanne nel collo. Ha quel sorriso ogni volta che si nutre. - Vogliamo fare un accordo, Gabriel...? -
Gabriel e Edouard hanno già un accordo. L'hanno stretto nel momento stesso in cui Gabriel si è reso conto che il suo nuovo corpo è stupendo e che ogni oncia di dolore provato durante la metamorfosi non è niente, nel confronto, assolutamente niente... ma Etienne non è stato trasformato. Etienne è rimasto umano. Mortale. Vulnerabile. Gabriel ha promesso a Edouard un anno di servizio, uno e uno solo, in cambio dell'eternità di Etienne.
La vuole. Vuole che vivano insieme, ancora, che siano eternamente insieme.
Edouard allunga una mano per accarezzargli il viso, brevemente, prima di girarsi per guardare il paesaggio che scorre al di fuori della carrozza. La Provenza è bellissima in questa stagione, viola di lavanda, verde di muschio e di pietre, bella anche nel buio. La luna bagna le cose di luce più che rischiararle.
- Servimi bene, Gabriel. - dice Edouard. - Servimi bene e in tutto. Se lo farai, penserò ad Etienne prima della fine dell'anno. Non è questo che vuoi? -
Edouard sorride, ma Gabriel non ci bada più. Meno che un anno. Meno che un anno e poi Etienne e Gabriel per tutta un'eternità. Non è questo che vuole?
- Sì. -


Sulla casa di Candledoore Square la neve era scesa per sigillare le porte e per mettere in ombra le stanze, accumulandosi agli angoli delle finestre e davanti ad ogni stipite. Tutto quel bianco purissimo, azzurrato, faceva sembrare ancora più scure le pareti scrostate; il cortile si era trasformato in una distesa uniforme, le ninfee erano appassite nella pozza ghiacciata, ogni lastra come uno specchio spezzato a riflettere il cielo grigio.
Durante la prima nevicata, Morrigan aveva alzato la testa, in giardino, e aveva spinto la lingua fuori dalla bocca per cercare di catturare un fiocco. Aveva rabbrividito a quel tocco freddo,e poi aveva sorriso. Era il quattro di dicembre.
Il giorno dopo Gabriel portò a casa una giacca di pelle da uomo che recava cucito sulla fodera un biglietto con un nome e un cognome che decisamente non erano i suoi; la diede a Morrigan perché faceva freddo, sempre più freddo a ogni giorno che passava, e il cuoio l'avrebbe tenuta asciutta, calda.
Non gli piaceva la neve, non gli piaceva vederla cadere. Non gli piaceva il silenzio improvviso delle notti di inverno, non gli piaceva il ghiaccio incrostato agli angoli delle finestre. Non gli piaceva veder piovere fiocchi bianchi sui capelli di Morrigan, guardare i suoi piedi affondare nello strato bianco, molle, infido, non gli piaceva. Non gli piaceva che fosse dicembre. Dicembre non era un buon mese.
Tutte le sere Gabriel passava del tempo con il suo armadio. Lo apriva e metteva le mani nei cassetti, tra gli oggetti, spalancava le ante e accarezzava quel che c'era all'interno, dicendo che dicembre sarebbe passato presto, sarebbe finito.
Dicembre portava la neve. Dicembre portava Etienne e portava Edouard. Dicembre lo rendeva nervoso e irritabile.

Se ne rese conto la sera in cui andò a cercare Morrigan, subito dopo il tramonto, e non la trovò nella sua stanza.
Non era la prima volta che accadeva: le aveva dato il permesso di girare per la casa a suo piacimento, dopotutto, e certe volte Morrigan scendeva giù per le scale e si sedeva sul divano del soggiorno, oppure percorreva tutto il corridoio del piano superiore e andava ad aspettare Gabriel davanti alla porta della sua stanza. Non usciva mai da sola, però. Neanche per andare in cortile.
Era tutto nella norma, insomma, ma quella sera gli parve intollerabile cercarla e non trovarla. Morrigan doveva essere dove lui voleva. Morrigan era lì perché lui l'aveva presa, l'aveva tolta alla gens del cimitero, e le aveva dato una stanza, un letto, le portava da mangiare e la lasciava vivere, e razionalmente Gabriel si rendeva conto del fatto che Morrigan sorrideva sempre e non cercava di scappare solo perché non era normale, non era lucida, era pazza com'era pazzo lui, anche se in maniera diversa, Gabriel si rendeva conto che Morrigan non gli era grata, non poteva ragionevolmente essergli grata, ma questo non gli impedì, quando non la vide dove si era aspettato di trovarla, di sentirsi furioso.
- Morrigan! - ringhiò, scendendo le scale. - Morrigan! -
Un tintinnio nell'atrio, e Morrigan apparve sull'ultimo gradino. Gabriel fece per andarle incontro, e sentiva tanto di quel freddo bruciante nello stomaco che pensò per un attimo che l'avrebbe presa, l'avrebbe bloccata contro il muro e, finalmente, avrebbe bevuto da lei; se ne sarebbe nutrito, com'era giusto, come doveva essere: ma Morrigan gli sorrise, trasognata, e gli andò incontro su per le scale.
Ad ogni passo un tintinnare, argentino, faceva musica.
Gabriel guardò il sorriso. Guardò il campanello. La fissò mentre gli si fermava accanto e guardava su, verso di lui, e pensò che un'altra ragazza, un'altra donna, umana o appartenente alla gens che fosse, avrebbe avuto orrore del suo viso sfregiato e rabbioso, delle sue ossessioni, un'altra avrebbe avuto paura, adesso, nel sentirlo urlare così furiosamente. Morrigan non aveva paura. Forse non era capace di provarne. Forse non capiva quanto lui fosse pericoloso, e questo era stupendo.
Allungò una mano per accarezzarle i capelli, invece che per schiaffeggiarla, e sentì il blocco ghiacciato nel suo stomaco sciogliersi in un qualcosa di liquido e caldo quando Morrigan non solo non si ritrasse, ma gli andò anche incontro con il viso.
- Domani uscirò. - le disse. - Starò via per tutta la notte. Vuoi andare in cortile, ora? -
Dicembre era un pessimo mese, pensò Gabriel, e nei pessimi mesi lui aveva bisogno di nutrirsi molto, di nutrirsi a lungo. La notte successiva avrebbe preso tutto il sangue che poteva, e questo - forse - l'avrebbe aiutato a lasciar stare Morrigan ancora per un po'.
Lei gli teneva la mano, mentre scendevano le scale, ed era calda.
Solo un po', si disse. Ancora un altro po'.

- Non è poi tanto importante. - Gli dice Etienne. - Stare così mi va bene, dopotutto. -
Gabriel siede dall'altra parte del tavolo e lo osserva mangiare. Il cibo si trasforma in sangue per Etienne, in carne e forza e vita, e questo è meraviglioso: ma ogni boccone che va giù è un boccone di qualcosa di
mortale, qualcosa che sta lì a ribadire che lui e Etienne non sono uguali. Non più. Non ancora.
- Non sarò tranquillo finché quest'anno non sarà passato. - Replica Gabriel. - E prima passerà, meglio sarà. Vuoi un'altra mela? -
- Sì, grazie. -
Gabriel non chiama un servo, ma si alza, si avvicina alla fruttiera, sceglie un pomo e lo sbuccia con cura per suo fratello.
Edouard ha al suo servizio decine di servi: servi che respirano, servi umani, eleganti valletti nelle loro divise color porpora e mela, i camerieri personali che si occupano di preparare le sue stanze, quelli che puliscono, quelli che cucinano, quelli che curano il giardino. Nessuno di essi dura mai più di qualche mese, così come mai più di qualche mese durano le case che abita.
- Non restare mai nello stesso posto... - Ha spiegato a Gabriel un giorno. - … tanto a lungo da permettere agli umani di vedere che c'è qualcosa di strano. Liberati di tutti quelli che hai avuto intorno, poi, e non preoccuparti della discrezione. - Quella sera aveva scelto per sé una ragazza graziosa dai grandi, immensi occhi azzurrissimi, fatti rotondi dal terrore. La teneva sulle ginocchia e lei, la gola forata, il sangue a scorrere giù tra i seni acerbi e pallidi, non aveva più neanche la forza di gridare, di reagire. Ma era cosciente, era lucida abbastanza da provare panico e nausea. Sapeva cosa le stava succedendo.
Edouard le aveva accarezzato una guancia distrattamente.
- Finché sei ricco, finché spargerai denaro e potere intorno a te, nessuno baderà alle piccole scomparse. Compra quelli che puoi, terrorizzane altri, uccidi il resto. Avrai una lunga vita, così. -
Gabriel aveva obiettato:
- Ma io non sono ricco. -
- Lo sarai. Tutto quel che è mio sarà tuo. -
- E di Etienne. -
Lo sguardo di Monsieur Le Chevalier si era fatto acuto, bizzarro. Aveva rivolto a Gabriel un'occhiata obliqua, prima di affermare:
- Penso che potrei essere sinceramente geloso di tuo fratello, Gabriel. -
Nel dirlo era stato quieto, molto quieto, ma Gabriel non riusciva, a ripensarci adesso, a non sentire un lieve brivido scorrergli giù per la schiena.
- Credo che Edouard non desideri trasformarti. - dice ad Etienne. - Sta lasciando passare troppo tempo. -
Etienne allunga una mano per prendere una fetta di mela dal piatto che il fratello gli porge:
- Non c'è fretta. - E poi, masticando il frutto con gusto: - L'anno non è ancora finito. No? -
Non c'era fretta, era vero, pensò Gabriel. Guardò Etienne mangiare e pensò che gli sarebbe mancato vederlo così. Il viso arrossato, il petto che si alzava e si abbassava. La pelle calda. Così vivo.


Etienne era stato un bambino gentile e un ragazzo adorabile.
Etienne era stato delizioso nel suo candore, delizioso nel modo in cui guardava con curiosità il sangue sulla tavola, quando Gabriel o Edouard lo lasciavano in giro, e non ne aveva paura.
Etienne aveva avuto fiducia in Gabriel.
Etienne non era diventato adulto. Etienne non era diventato immortale.
Erano passati quattrocento anni e, pensava Gabriel certe volte, non ne sarebbero bastati quattromila per riuscire a dimenticarsi di questo.


Il cinque dicembre, il sette. Il tredici, il sedici. La notte del diciassette - mancava una settimana a Natale - le vetrine di Candledoore Square erano piene di luci, e Gabriel avrebbe voluto romperle, infrangerle, allungare le mani e afferrare le decorazioni sfavillanti, i cristalli e i festoni, e strappare via tutto. Macchiare le vetrine di sangue, sporcare la neve con i cadaveri: sarebbe apparsa meno bianca, poi, meno assoluta. Non l'avrebbe più schiacciato.
Tornò a casa sentendo una specie di rabbia sorda, opaca, riempirgli lo stomaco e mescolarsi con il sangue del quale si era nutrito. Andava a cercarsi la cena lontano da Candledoore Square, perché le tracce andavano lasciate lontane dal proprio rifugio, aveva detto Edouard una notte di molti, molti, molti anni prima. Di giorno sarebbe stato indifeso, aveva aggiunto poi. Debole e dormiente. Aveva bisogno di un posto sicuro in cui stare, un posto segreto.
Spalancò la porta e chiamò:
- Morrigan! -
La ragazza doveva essere ancora nelle sue stanze, perché non ci fu nessun tintinnio di sonagli a rispondergli. Salì le scale, scacciando oziosamente con la mano un grosso ragno che si stava inerpicando su per la ringhiera.
Voleva portarla in giardino, lasciarla stare per un po' all'aperto. Voleva imboccarla con lo yogurt - aveva scoperto che era divertente darle da mangiare così, era personale. A Morrigan piaceva. Voleva spingerla a ballare nel corridoio, e il campanello alla sua caviglia avrebbe suonato così forte da coprire il rumore della neve che cadeva.
- Morrigan? - chiamò ancora, spingendo la porta della sua stanza. S'aspettava di trovarla lì, seduta sul letto, ma nella camera buia non c'era nessuno. Aggrottò la fronte. In cortile, forse...? In bagno? In cucina?
Ripercorse il corridoio e stava per scendere nuovamente le scale quando qualcosa tintinnò precisamente alla sua sinistra.
C'era la camera di Gabriel, lì.
La camera di Gabriel. La camera. L'armadio.
Sentì qualcosa salirgli dentro, crescere. Era qualcosa come rabbia, ma gelida, ghiacciata, incredula. Morrigan nella sua camera. Aprì la porta e la vide, per terra, di fronte all'armadio aperto. Morrigan nella sua camera. Di fronte all'armadio. Lei si girò, lo vide, si fece tutto ad un tratto molto rigida, molto ferma. Aveva le mani piene di oggetti, di stoffa, camicie. Morrigan nella sua camera. Di fronte all'armadio.
Stava toccando le cose di Etienne.


Un grazie a Tatan che ha accolto il richiamo della foresta e si è fermata a commentare lo scorso capitolo. xD

Immagine di Prisca Turazzi
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri / Vai alla pagina dell'autore: Elos