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Autore: AvevoSolo14Anni    19/12/2010    2 recensioni
[SOSPESA PER MANCANZA DI ISPIRAZIONE!]
E se Isabella Marie Swan fosse stata una giovane d'inizio '900? E se un certo Edward Masen l'avesse trovata? E se i due si fossero scoperti innamorati, ma qualcosa avesse impedito la loro felicità? E se poi fosse successo qualcosa di totalmente inimmaginabile...?
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
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Capitolo 2
 


Mi svegliai alle prime luci del giorno seguente: domenica, finalmente.
Per tutta la settimana, quel giorno sembrava non voler arrivare mai. Poi, quando alla fine giungeva, volava via in quattro e quattr’otto.
Mentre mi alzavo dal letto e mi stiracchiavo, decisi che mi sarei gustato ogni istante di quella giornata.
Mi affacciai alla finestra per guardare com’era il tempo e cercare di capire che ora fosse. Il sole splendeva, ancora ben lontano da essere perfettamente sopra la mia testa: non poteva essere più tardi delle dieci.
Mi infilai una camicia azzurrina, un  paio di pantaloni beige e le scarpe nere. Poi andai in cucina.
<< Buongiorno, Edward. >> dissero in coro i miei genitori.
<< Buongiorno. >> risposi.
<< Dormito bene? >> domandò mia madre, mentre metteva un piatto in tavola e cuoceva un uovo.
<< Sì, grazie. >>
<< Hai programmi per la giornata? >> chiese ancora.
<< Penso che farò una passeggiata. >>
Lei annuì e mi verso l’uovo nel piatto, mentre io mi prendevo un bicchiere e del latte.
Finita la colazione, mi alzai.
<< Venite anche voi? >> domandai, mentre già andavo verso la porta.
<< No, io e tuo padre dobbiamo andare a comprare. >> rispose mia madre per entrambi.
<< Okay. >>
Mia madre mi diede una carezza sulla testa e mio padre mi salutò con un cenno. Uscii di casa e incontrai una brezza tiepida, piacevole.
Le strade erano abbastanza affollate, ma niente di particolare. Solo quando passai davanti all’Home Insurance Building – primo grattacielo d’America: dodici piani di lamiere di cui la mia città si vantava tanto – incontrai un nugolo di gente, turisti senz’altro, intenti ad ammirare la sua altezza vertiginosa.
Mi incamminai verso Oak Street Beach, avevo voglia di vedere l'acqua.
Giunto sul posto vi trovai troppa gente intenta a prendere il sole, troppi bambini che urlavano e schizzavano l’acqua dolce del lago Michigan tutt’intorno, anche addosso alle persone. Le madri non mancavano di rimproverarli, i padri sembravano volersi godere quella giornata di riposo senza badare al resto.
Non faceva per me, non in quel momento: desideravo pace e un po’ di solitudine. Vagai senza una meta, fin quando non mi ritrovai in un parco. Era semideserto, solo pochi anziani camminavano per i sentieri terrosi.
Mi sedetti su una panchina all’ombra di una giovane quercia e mi persi nei mie pensieri.
Se avessi perso il mio posto di lavoro, cosa avrei fatto? E mio padre? Non conoscevo altri mestieri, non mi ero mai posto quel problema prima. Era un questione spinosa, mi affannai a cercare una soluzione.
Sobbalzai per lo spavento quando una ragazza crollò sulla panchina, accanto a me. Non l’avevo sentita arrivare, ma era evidente dal suo fiatone incontrollato che aveva corso parecchio.
Si mise una mano sul petto, come se tentasse di calmare le pulsazioni frenetiche del suo giovane cuore. Giovane, perché lo era anche lei: avrà avuto pressoché la mia età, o forse poco meno.
La osservai: era vestita bene, con abiti eleganti e raffinati. Doveva essere di buona famiglia, per forza. Aveva una camicetta bianca, abbottonata stretta anche nel colletto, una gonna grigio pallido che le arrivava sotto il ginocchio e lunghe calze bianche a coprirle le gambe magre.
Quando realizzò di non essere sola – o forse mi aveva visto già da prima, non lo so – si voltò verso di me e la potei vedere chiaramente in viso. Aveva grandi occhi marrone cioccolato, con ciglia lunghe e folte, un nasino dritto e delle giuste dimensioni, labbra carnose e rosse leggermente aperte per la sorpresa. Le ampie guance erano di un rosso molto intenso, un bel contrasto con la pelle così pallida. Il tutto, era incorniciato da lunghi e folti capelli marrone scuro.
Restò a fissarmi per qualche istante immobile, poi raddrizzò la schiena e si schiarì la voce, diventando in qualche modo ancora più rossa in viso. << Buongiorno. >> disse, come se niente fosse.
<< Buongiorno, signorina. >> risposi, distogliendo lo sguardo.
Osservai per un po’ gli alberi, sentendomi senza motivo uno stupido, poi le lanciai un’altra occhiata.
Non mi guardava, sembrava preoccupata. Con gli occhi scuri cercava freneticamente qualcosa in mezzo alla flora che ci circondava, ed intuii che era lieta di non trovare nulla.
Mi preoccupai per quella fanciulla, sembrava molto delicata. Forse qualcuno la inseguiva? Forse aveva bisogno d’aiuto? Il mio istinto non mi permise di starmene con le mani in mano.
<< Ha qualche problema? >> domandai lentamente, per non spaventarla.
Lei sobbalzò comunque sentendomi, poi mi fissò per la seconda volta. Si schiarì ancora la voce. << No, nessun problema. >>
I suoi occhi scivolarono di nuovo via, ritornando a perlustrare il parco.
<< Qualcuno la sta inseguendo? >> chiesi, allarmato. Non volevo farmi gli affari suoi, ma forse la potevo aiutare.
Con gli occhi tornò nei miei e si morse un labbro, evidentemente nervosa. Rimase qualche istante in silenzio, poi finalmente si decise a parlare. << Non lo so. >>
Non era la risposta che mi aspettavo. Come poteva non saperlo?
Alzai le sopracciglia, stupito. << Non capisco. >> le dissi, per invitarla a continuare.
La ragazza sospirò, poi fisso i suoi piedi e le sue mani pallide ed esili. << Sono scappata. >> ammise con voce flebile.
Rimasi ancora più sorpreso, ma la determinazione in me aumentò. << Da chi? >>
<< Dalla mia famiglia. >>
Altro stupore. Perché non rispondeva mai come mi aspettavo che facesse? << Perché? >>
Mentre rispondeva, nei suoi occhi era evidente la tristezza. << Sono stanca della mia vita. >>
Non sapevo cosa dire. << La maltrattano? >> azzardai.
<< No, niente del genere! >> si affrettò a dire. Sembrava sincera, ma era ancora preoccupata ed imbronciata. << Semplicemente, non sopportò più di stare nella mia casa. Non sopportò più la mia routine, la mia vita stessa. A te non capita mai? >> la sua voce s’incrinò nell’ultima parola.
Quella domanda mi diede da pensare, la presi molto seriamente. Quante cose avrei cambiato della mia vita, potendo? Tante, troppe cose.
<< Sì, mi è capitato. >> realizzai.
Sembrò soddisfatta di avermi fatto capire quello che sentiva, ma questo ancora non spiegava alcune cose.
<< Quindi teme che i suoi genitori la stiano cercando. >> conclusi.
<< No, figuriamoci! >> disse lei, con una risatina isterica. << Loro hanno ben’altro di cui occuparsi. Piuttosto, temo che abbiano mandato dei servi a cercarmi. Forse, se non mi trovano, chiameranno la polizia. >>
Avevo ragione, la ragazza era nobile. Ma allora, perché si lamentava della sua vita?
Mi venne un’idea e mi alzai in piedi di scatto. Poi mi chiesi perché lo stessi facendo: perché mi ostinavo ad aiutarla? Probabilmente era solo una ragazzina viziata.
 
Ma era pur sempre una donna, così mi avevano educato.
<< Se vuole, signorina, conosco un posto dove non la troveranno. >> dissi.
Lei mi guardò, indecisa se fidarsi di me o no. Dopo pochi istanti si decise.
Si alzò in piedi. << Chiamami Isabella. >> disse, sorridendomi timidamente. << Qual è il tuo nome? >>
<< Edward. >> dissi, porgendole la mano.
Lei la strinse con una leggera agitazione, poi di nuovo mi sorrise, in modo più sincero, mentre cercavo di portarla in un luogo più sicuro.
 
Dopo circa quaranta minuti di cammino silenzioso, eravamo giunti a destinazione.
Eravamo in un’altra spiaggia, più piccola e molto meno famosa. In quel momento, intorno non c’era anima viva.
<< Qui. >> dissi ad Isabella, rompendo il lungo silenzio. Aprii la porta cigolante del capanno di legno a me familiare, quello dove mio padre teneva una barchetta a remi, ormai troppo vecchia e cadente, perciò inutilizzabile.
Sapevo che il capanno non era il massimo del confort, soprattutto per quella ragazza che evidentemente era abituata a vivere in un lusso che io stesso stentavo ad immaginare, ma decisi che si sarebbe abituata. Forse avrebbe solo finto di farlo.
Le tenni la porta aperta e lei entrò con passo esitante, guardandosi intorno. Il capanno era piccolo, forse dieci metri quadrati. E lo spazio era quasi tutto occupato dalla barca.
Quando fu dentro la seguii, richiudendo la porta. Era impalata a pochi centimetri da me, nello spazio angusto tra il muro e quel che restava dell’imbarcazione. Con un passo entrai dentro quest’ultima, poi mi sedetti sulle assi di legno scabre.
Lei mi osservò e dopo pochi secondi fece lo stesso, sedendosi sull’asse di fronte alla mia.
<< È tua? >> chiese poco dopo, per spezzare il silenzio, indicando l’ammasso di legname sulla quale era seduta.
<< Di mio padre. >> le risposi.
<< E oggi lui verrà qui? >> domandò, leggermente spaventata.
<< No, non la usa da anni. >> dissi per tranquillizzarla.
Isabella sospirò di sollievo.
Ripiombammo nel silenzio, questa volta toccava a me parlare.
<< Allora, Isabella, posso sapere qual è il tuo cognome? >> fu la prima domanda che mi venne in mente. Tra l’altro ero curioso di sapere a quale famiglia appartenesse, dato che conoscevo quasi tutte le famiglie più nobili della città.
Fece cenno di no con la testa, ed io rimasi sorpreso e un po’ irritato. << Ti sto aiutando a nasconderti e non posso nemmeno sapere il tuo nome completo? >>
Arrossì, in imbarazzo. << Te lo dirò più avanti. >>
Sospirai.
<< Perché vorresti saperlo? >> domandò.
Scrollai le spalle. << Curiosità. >> risposi. << Perché sei fuggita? >> chiesi a bruciapelo.
Si morse ancora il labbro inferiore. << Te l’ho già detto. >>
<< Scusa, ma non riesco a capirti. >>
<< In che senso? >>
<< Non riesco a capire cosa possa non andare nella tua vita. Non posso immaginarlo, perché la mia è troppo diversa. Lavoro sei giorni su sette, dieci ore al giorno, e non posso permettermi di studiare. Non so cosa darei per avere quello che hai tu. >> spiegai, forse con un po’ troppo ardore.
Le mi fulminò con lo sguardo. << E così, tu credi che solo perché ho dei bei vestiti e una bella casa sia in una situazione migliore della tua? Credi sul serio che essere nati in una famiglia ricca sia una bella cosa? I miei genitori li conosco a malapena, mi hanno fatta crescere ed educare dai domestici. Non ho nemmeno il diritto di scegliere cosa indossare, la mia vita è interamente decisa da altre persone. Studio a casa cose che non mi interessano, so già che da grande mi impediranno comunque di fare qualsiasi lavoro, e mi costringeranno a sposare il figlio di un qualche riccone loro amico. Tu forse non hai i miei beni materiali, ma almeno hai il controllo della tua vita e probabilmente anche una famiglia a cui importa qualcosa di te! >> sbottò, quasi urlando.
Cercai qualcosa da dire invano, il suo discorso mi zittì.
<< Va bene, siamo entrambi sfortunati in modi diversi. >> ammisi.
Fece un cenno d’assenso, rimanendo seria.
<< Adesso, quali sono le tue intenzioni? >> chiesi poco dopo.
<< Intenzioni riguardo a cosa? >>
Alzai gli occhi al cielo. << Cosa farai? Continuerai a fuggire o tornerai a casa? >>
Dalla sua espressione, sembrò che avesse realizzato di dover prendere una decisione sul suo futuro solo quando glielo feci notare.
<< Non lo so. >> ammise.
<< Pensaci. >>
Guardai il sole attraverso la piccola finestra che era sul muro alla mia destra, ma alcune nuvole mi impedirono di capire che ora fosse. Vidi in quel momento l’orologio raffinato al polso di Isabella. Erano già le due.
<< Tornerò a casa. >> mormorò, poco convinta.
<< Ne sei sicura? >>
<< No. >> rispose. << Ma non vedo altre alternative. >>
<< Potresti rifugiarti da qualche parte. >> dissi.
<< E dove? >>
<< Sono convinto che se glielo dicessi, mia madre insisterebbe per aiutarti e riuscirebbe a convincere perfino mio padre. >> dissi. Davvero ero pronto ad aiutare così tanto una sconosciuta?
<< Lo faresti sul serio? >>
Evidentemente, sì. Annuii.
<< Perché? >> chiese ancora, stupita.
<< Non lo so. Qualcosa mi dice di farlo. >> neanche io riuscivo a spiegarmelo meglio.
Lei mi sorrise grata. << Grazie, ma sarà meglio tornare. I miei genitori potrebbero chiamare sul serio la polizia, e se mi trovassero a casa tua tutta la tua famiglia finirebbe in guai seri. >>
In effetti, non ci avevo pensato. Forse era meglio così, non volevo causare problemi ai miei genitori.
<< Cosa ti faranno, quando tornerai? >> chiesi, cercando di nascondere la mia preoccupazione insensata.
<< Mi sgrideranno senza dubbi, ma non penso faranno altro. >>
Lo spero, pensai. << Quindi, scappando oggi, cos’hai risolto? >>
Ancora sembrò pensarci solo quando glielo chiesi. << Evidentemente, nulla. >> sospirò, facendosi triste.
Avrei voluto consolarla, ma non sapevo come fare.
<< Ma ho un’idea. >> disse all’improvviso. << Sì, ho deciso. >>
<< Cosa? >>
<< D’ora in poi, se non mi lasceranno fare di testa mia, ogni domenica scapperò. >> disse con determinazione.
<< E dove andrai? >> domandai.
I suoi occhi scuri si incatenarono ai miei, e mi guardò in un misto di speranza e supplica. << Saresti disposto ad aiutarmi ancora? Potrò venire qui? >> domandò, con la voce quasi tremante.
Senza nessun motivo, capii che non avrei voluto deluderla per nulla al mondo. << Certo. >> dissi, sorridendole.
Lei fece lo stesso, e i suoi occhi brillarono di gratitudine. << Grazie. >> disse.
<< Figurati. >> risposi.
 
Quella sera, ero seduto sul mio letto a riflettere.
Ero tornato a casa piuttosto tardi, ai miei genitori avevo raccontato che mi ero addormentato al parco. Verisimile, data la mia stanchezza.
Avevo lasciato Isabella nel parco in cui ci eravamo incontrati. Avevo insistito per accompagnarla a casa, ma lei aveva detto che conosceva bene la strada. In realtà, sapevo che non voleva farmi vedere dove abitava. Sembrava fidarsi di me, ma per qualche strano motivo non voleva rivelarmi a quale famiglia appartenesse.
Chissà se l’avrei rivista la domenica successiva. Chissà cosa le avevano fatto o detto al suo rientro. Chissà cosa stava facendo, adesso.
Mi scrollai da quella catena di pensieri, stupito da me stesso. Ero davvero così preoccupato per lei perché era una giovane donna? Ormai era inutile, non potevo farci più niente.
Eppure, continuai a chiedermi se l’avrei rivista o meno.



Spazio dell'autrice:
Salve! :D Grazie mille per aver letto :)
Cosa ne dite di questo secondo capitolo? Sorprese o ve l'aspettavate di ritrovare Isabella anche qui? xD Non è proprio la solita Bella, ma comunque non modificherò molto il carattere (penso).
Un grazie particolare a:
Mela_: grazie per la recensione! Sono contenta che questo Edward ti piaccia :) E' così che me lo immagino anche da umano, sempre pronto a sacrificarsi :) Spero che questo capitolo ti abbia "emozionata" un po' più del primo, anche perchè penso che forse sia un po' più interessante (lo spero, soprattutto xD). Grazie mille ancora :)
Un enorme grazie anche a tutti quelli che hanno messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate!!! :D
Come sempre vi invito a recensire, anche negativamente :)
A presto e grazia ancora, Juls.


 
 
 

  
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