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Autore: sammyjoe Storm    21/12/2010    4 recensioni
Mi avevano portato via tutto.
Quell'attimo non lo scorderò mai. Era una notte buia e gelida, rischiarata dalla diafana neve che posandosi impetuosa aveva sommerso le strade. Quello che successe in quegli attimi si insidiò prepotente e furioso dentro le mie viscere. Con il cuore deflagrato dal dolore, grondanti ferite aperte, lividi incrostati di odio, occhi spenti e quasi privi di vita, quella notte, giurai vendetta. E non mi sarei fermata finchè non avessi ucciso, uno per uno, tutti quei bastardi...
“Le persone non sono mai come sembrano Chris e credo che tu lo sappia meglio di me. Pericolosa, io? Un pochino, non lo nego.."
“Ann, perché non mi giudichi?” chiese basso ad un soffio dal mio orecchio “Perchè non sono nessuno per farlo. Ognuno fa le proprie scelte..”
Quel ragazzo era stato forgiato da mani divine e plasmato, al contempo, da mani infernali, non poteva essere altrimenti.
Era un connubio di luce e oscurità, oro e pece, incanto e passione.
..Era un naufragare lento, con la certezza di essere aggrappati a qualcosa ma senza sapere, esattamente, a cosa.
..Ogni essere umano doveva incombere alle proprie. Ad ogni azione compiuta corrispondeva una conseguenza, giusta o sbagliata che fosse. E quando si toccavano i più deboli e gli indifesi, subentravamo noi, visto che la giustizia divina o cittadina per motivi diversi non interveniva o non compiva il proprio dovere... Giustizia. Giudici e Giustizieri
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il viscido e l'Angelo biondo
- Capitolo 2


AC/DC Hells Bells


Un tardo pomeriggio di fine settembre, finite le lezioni, m'incamminai verso casa, dove George mi attendeva, come tutti i santi giorni da due anni a questa parte.

L'unica differenza era che ci eravamo trasferiti, da pochissimi mesi, in un quartiere di Brooklyn.
Avevamo lasciato il freddo Canada, dopo continue insistenze da parte mia e, soprattutto, dopo che mio padre e mio fratello ci avevano dato il loro benestare.
George era uno degli uomini fidati di mio padre, l'unica persona che mi era stata vicino durante la mia guarigione fisica e durante la mia riabilitazione sociale. Per quanto riguardava le ferite dell'anima e del cuore mai nessuno sarebbe riuscito a cancellarle, figuriamoci a rattopparle.
George era la persona che più si avvicinava ad una figura paterna. George era l'unica persona su cui potevo contare. George era l'unico amico e maestro che avevo avuto negli ultimi due anni.

Era un bell'uomo di alta statura, capelli corti castani con qualche filo argenteo ed occhi grigi come il piombo, ma pieni di gentilezza e dolcezza.
Non mi guardava con compassione, non traspariva pena dai suoi sguardi, era sincero, leale e senza peli sulla lingua; se doveva dirmi qualcosa era diretto e preciso. Non parlavamo quasi mai di mio padre né di mio fratello; parlavamo della scuola, di auto, di moto, di temperature e di clima.
Guardavamo spesso la tv insieme, collezionavamo dvd e ascoltavamo tanta musica, quando non era impegnato a insegnarmi tutto quello che mi serviva per diventare un killer professionista: arti marziali, armi, coltelli e spade, ma soprattutto sangue freddo e calma, pazienza e riflessione.
Non avevo fatto amicizie in Canada, le ritenevo superflue, inutili; sapevo che prima o poi sarei tornata in quella dannata città, New York, a cercare,
aspettare e compiere la mia vendetta. Tutti tornavano a New York, prima o poi, e loro, di certo, non sarebbero stati un'eccezione.
Le uniche compagnie che mi permisi, durante la mia permanenza in quella terra fredda, furono i ragazzi.
Li sceglievo io, niente doveva sfuggire al mio controllo, niente doveva importare, semplicemente sesso per un involucro vuoto.
Non avevo paura, non mi importava un granché del mio corpo, era solo un guscio, una scatola che conteneva ben poco.
Non mi sottovalutavo, il fisico era perfetto grazie alla palestra, le arti marziali e i continui allenamenti; ci voleva veramente ben poco per trovare un'esca, un giocattolino per la notte, un altro corpo che soddisfacesse il mio. Un semplice appagamento fisico, nient'altro. Ragazzi di cui non ricordo e di cui non m'importa nemmeno ricordarne il nome o il viso.
Semplici avventure, notti di solo sesso, niente emozioni, niente sentimenti e nessun coinvolgimento.
Non avevo nulla da dare e non mi interessava prendere nulla, se non il piacere fisico. Non restavo mai a dormire, nessun numero di telefono, nessun indirizzo, nessun contatto oltre quella notte e mai a casa mia.
Il corpo doveva essere un' arma e un' esca perfetta, semplicemente.

Appena lasciato il cancello del parco alle mie spalle, sentii uno stridio di freni ed il rumore di portiere che si aprivano; nell'istante in cui feci per girarmi, mi sentii afferrare per le spalle e si fece buio. Qualcuno mi infilò un cappuccio, o qualcosa del genere, in testa, poi fui sbattuta in malo modo dentro una macchina.
Mi dimenai ma non urlai, sarebbe stato inutile, in giro non c'era anima viva e l'azione si svolse così velocemente che, anche se mi avessero vista o sentita, nessuno avrebbe potuto aiutarmi. L'auto sgommò e partì.

– Chi cazzo siete? Cosa volete da me?
Semplice e diretta. Mantenere il sangue freddo era uno degli insegnamenti su cui avevo speso più tempo ed energie. Era basilare.
– Zitta o mi costringi ad imbavagliarti – disse una voce maschile – Lo saprai presto, bambolina – aggiunse un'altra voce, leggermente più giovane, meno profonda alla mia destra.
– Ti consiglio di tenere la bocca chiusa e di stare immobile, biondina ­– disse ancora il primo uomo, mentre qualcuno, alla mia sinistra, mi legò le mani.
– Come potrei muovermi, se mi avete legato? – risposi saccente e arrogante
– Non hai paura, ragazzina? I tuoi genitori non ti hanno insegnato ad avere paura degli estranei? E, nemmeno, che non si accettano passaggi dagli sconosciuti? – disse ironico qualcuno dalla parte anteriore dell'auto e si mise a ridere.

– Ah Ah Ah, dovrei ridere? – ribattei sarcastica. Rispose il tizio con la voce grossa alla mia sinistra – No, dovresti tremare. Ma lo farai presto, stupida insolente, non sai quello che ti aspetta – rise lo stronzo, in modo sfacciato e sboccato, stringendomi le guance con una mano.

Non avevo paura, non sapevo più nemmeno che cosa fosse la paura.
Mi zittii e misi in moto il cervello. Chi potevano essere? Qualche banda di drogati? Può essere, New York ne era piena.
Qualche stupratore? Impossibile, troppo organizzati e solitamente non avevano un capo. Mentre mi scervellavo l'auto si fermò, le portiere si aprirono e i tizi scesero, non percepivo più la loro presenza.

Ma fu un attimo, mi strattonarono e mi trascinarono con loro.
C'era odore di gasolio, di muffa e di chiuso.

Ragionai: non poteva essere una casa, puzzava troppo. Sentii una porta aprirsi. Camminammo ancora, un' altra porta e fui sbattuta, con violenza, su quella che reputai una sedia.
Udii un'altra voce, diversa da quelle tre che avevo sentito in auto – E' lei la ragazza? Allora chiamo il capo. Legala alla sedia – e così dicendo, sentii dei passi allontanarsi.
Mi legarono ulteriormente con del nastro adesivo alla sedia; la corda sui polsi, troppo stretta, iniziava a farmi male. Udii ancora la porta aprirsi e dei passi venire verso di me.
– Voi, fuori dai piedi! Controllate il perimetro e se vedete qualsiasi cosa muoversi, chiamatemi immediatamente – ordinò, risoluto, l'uomo rimasto nella stanza.
Mi sfilò con violenza il cappuccio e lo vidi.
Un uomo di media statura, capelli castani, naso aquilino con delle narici enormi, occhi scuri e pieni di astio.

Si abbassò all'altezza del mio volto e ghignò. – Finalmente. Adesso dimmi dov'è il covo di tuo fratello –
Lo fissai tranquilla
– Io non ho né fratelli né sorelle, sono figlia unica. Mio padre si chiama George Carter ed io sono Ann Carter, e credo che tu abbia sbagliato persona –
Strinse i pugni.
– Non farmi perdere tempo con queste stronzate. Hai gli occhi di quel gran figlio di puttana di tuo fratello, non m'incanti con questa storia. Non ho mai creduto alla tua morte, nonostante tutti gli altri, i presenti a quella sera, dissero di averti visto esalare l'ultimo respiro. Conosco quel bastardo di tuo fratello da anni, ed è troppo sveglio; tu sei sua sorella e provenite dalla stessa famiglia di bastardi, e la tenacia, la voglia di lottare di certo non manca a nessuno dei due. Quindi adesso parla o ti ammazzo con le mie mani. Dov'è il covo di tuo fratello? – chiese irato.
– Una storia molto triste, ma che non mi tocca minimamente. Con tutto il rispetto, signore, mi tocca ripetervi che avete sbagliato persona. – risposi senza inflazione di tono.

Fissai quell'uomo negli occhi, volevo che continuasse a raccontarmi la mia storia, volevo sapere quello che mi mancava per completare il mio puzzle, conoscevo i visi di quei bastardi, indelebili nella mia memoria, conoscevo i nomi e qualche cognome; io volevo tutti i loro nomi e cognomi, volevo sapere dov'erano, cosa facevano e soprattutto il motivo.
Rise. Si mosse appena, un movimento veloce: uno schiaffo, poi un altro.
– Parla stronzetta o ti faccio parlare, pian piano. Non ho fretta. Quegli incompetenti del cazzo! Grandi e potenti, tanto stupidi da nemmeno controllare se ti avessero ucciso o meno –
Uno schiaffo con il dorso della mano e ritorno sull'altra guancia. Mi scesero le lacrime, gli occhi bruciarono dalla rabbia più che dal dolore. – Io... Io... non so niente, le giuro, mi avete scambiata... –

– Zitta puttanella! Dimmi dove si nasconde tuo fratello con il suo gruppo. Sto perdendo la pazienza ­– e così dicendo, camminò verso la scrivania, si sedette sulla sedia, si accese una sigaretta e poggiò i piedi sul tavolo.
– Vedi Ann, così hai detto di chiamarti? – Scossi il capo affermativamente, sentivo l'odore acre e ferroso del sangue sulla lingua, ma ero troppo presa dalla voglia di sapere, per badarci. – Tuo fratello è troppo bravo nel suo lavoro, riesce costantemente a controllare il territorio e punisce in maniera esemplare chi sgarra. I piccoli trafficanti hanno vita breve, riesce a mantenere in equilibrio tutti i traffici su questo vasto territorio. Non permette a nessuno di espandersi, e io non posso crescere. All'inizio andava bene, nessuno mi poteva fare le scarpe, ero tranquillo e gestivo i miei traffici senza problemi, pagandolo regolarmente affinché potessi lavorare tranquillamente. Il problema è che tuo fratello, adesso, ha troppo potere, io ed altri vogliamo espanderci, arrivare su altri territori ed eliminare i più piccoli. Hai mai sentito parlare di oligarchia? – Mossi ancora la testa affermativamente. Ero interessata, andava tutto a mio favore e potevo riferire quanto mi diceva direttamente a mio fratello – Bene, almeno non sei un'oca senza cervello. Il potere in mano a pochi, eliminare le formiche e spartirsi il territorio in parti uguali. Non preoccuparti, che tu sia o non sia la vera Summer, tutto quello che ti dirò resterà confidenziale, tra me e te, anche perché poi ti ucciderò personalmente. Dunque, Elton Leeron, Gregory Albert, Tod e Jeremy Henson, Ruben Mc.Roy, Vance Maars e il Russo, ti dicono niente? –

– No, non vedo come potrebbero – Adesso li avevo tutti quei fottutissimi nomi.
– Non importa, comunque, prima li aizzerò contro tuo fratello, insieme ad altri, e poi una volta eliminato lui, eliminerò anche loro e sarò l'unico a comandare tutto il territorio. Ti chiedo un'ultima volta... dov'è il covo di tuo fratello? E vedi di rispondermi questa volta...– e così dicendo si alzò, prese una pistola dal cassetto della scrivania e si avvicinò a me.
Era troppo stupido per fare piani del genere, non sarebbe mai riuscito nel proprio intento, troppo prevedibile. E se avesse comunicato agli altri di avermi trovato, sicuramente sarebbero accorsi in questo posto maleodorante e li avrei visti. Il fatto che non avesse detto niente a nessuno, andava solamente a mio favore. Adesso che sapevo i nomi completi, l'unico problema era come avrei fatto ad uscire, viva, da lì.
– Parla – urlò.
– Io non so niente e non mi interessa dei suoi traffici, mi liberi e le prometto che non dirò niente a ... – Sentii un dolore fortissimo alla tempia e la vista si annebbiò.
– Sei una puttana! Parla e dimmi quello che voglio sapere, subito! – ringhiò e mi colpì ancora, questa volta con la mano. Sputai sangue.
Assottigliai gli occhi.

– Fottiti stronzo! Non mi fai paura, non ho paura di morire. Mi chiamo Ann Carter e sono figlia unica. Bastardo! – Si alzò e spense la sua sigaretta, ormai giunta alla fine, sul mio braccio. Urlai.
Un ghignò sadico comparì sul suo volto. – Devo dire che per essere una femmina, sei resistente stronzetta – e colpì, ancora, duro.
La testa iniziò a girare vorticosamente, le orecchie fischiarono, sentii una fitta atroce al naso, la pelle del viso era in fiamme e la zona su cui aveva spento la sigaretta, bruciava da morire. Scesero le lacrime che si mischiarono al sangue.
Annaspai aria per qualche istante.

Mi ripresi, lo sentii ridere. Sputai ancora. Non dovevo essere un bello spettacolo, vedevo la camicia bianca e la gonna, sporche di sangue, per non parlare delle cosce, macchie perpendicolari e schizzi vermigli. Lo fissai con odio e rabbia.
Puntò la pistola alla mia tempia.

– Sei solo un codardo! Un lurido vigliacco che spara ad una persona legata. Mi fai schifo! – e gli sputai addosso.
Si scostò abbassando l'arma e guardandosi, stupefatto, la giacca.

In quell'esatto momento, sentii la porta spalancarsi e uno sparo tuonò nell'aria.
– Tu...Tu... Cosa ci fai qui?
Domandò con una voce che non aveva niente a che fare con quella di poco prima.
– Che modo scortese di dare il benvenuto agli ospiti – disse una voce giovane, provenire da dietro le mie spalle.
Era una bella voce, intrigante e ferma.

– E' che... che... non aspettavo visite, soprattutto da... da... dal... vendicatore biondo. Come mai da queste parti? Il saldo è fissato per settimana prossima – disse lo stronzo, con gli occhi pieni di paura e sgomento.
Lo fissai e ghignai della sua paura, ma mi vide e svelto mi tirò un altro schiaffo.

– Allontanati immediatamente, posa la pistola sul bordo del tavolo e siediti subito, Dooney. Oppure ti ammazzo, come un cane, senza dirti il motivo della mia visita –
Lo stronzo fece quanto il ragazzo gli disse. Sentii dei passi avvicinarsi e poi il ragazzo mi oltrepassò.

Lo vidi di schiena. Un ragazzo biondo, dai capelli color del grano in una giornata soleggiata, alto, spalle robuste e un'ampia schiena; indossava una maglietta nera aderente, dal quale spuntavano dei bicipiti ben delineati e dei jeans blu. Aveva un discreto fondoschiena.
Puntava una pistola verso il viscido, il quale obbedì; il ragazzo, nel frattempo, prese la pistola sul tavolo e la incastrò nei pantaloni, dietro la schiena. Sentii altri passi alle mie spalle, erano entrate altre persone, Dooney alzò lo sguardo e contrasse la mascella, sul suo collo guizzò una vena.

– Dove sono i miei uomini?– domandò al biondo, che ghignò – Morti. Che domanda stupida. Di un po'... lurida feccia umana, adesso te la prendi anche con le ragazzine? – E mi fissò.
Vidi i suoi occhi. Azzurri come il cielo d'estate, azzurri come il mare dei Caraibi, azzurri come la serenità, azzurri e indifferenti, freddi come il ghiaccio delle mattine invernali, gelidi come i ghiacci artici. Lo fissai. Distolse lo sguardo.
– Sono qui perché mi è giunta voce che stai tramando qualcosa contro il mio capo. E tu sai benissimo che odio il vociferare e gli uccellini... Allora, dimmi, è vero, Dooney? –
– Sai benissimo che non oserei, mai e poi mai, mettermi contro il tuo capo. Piuttosto, dimmi, dove hai sentito questa voce? – disse cercando di essere credibile, ma l'espressione era fin troppo finta; era teso,un fascio di nervi e un pessimo attore.
– Non ti interessa. Quindi neghi? –
– Certo che nego! Dimmi quanto volete e lasciatemi in pace, devo finire un lavoro – Donney tentò la strada dell'arroganza.
Il biondino ghignò gelido
– Forse non ci siamo capiti, lurido verme, dimmi quello che voglio sentire. Non lo ripeterò più. –
– Io non so niente, non ho niente contro il tuo capo, né tramo alle sue spalle. Prendete quello che volete, ma vi prego, andatevene. –
– Dove sono i soldi? –
– In quell'armadio a sinistra, prendeteli tutti e andate, vi prego.–
Il biondo fece un cenno a qualcuno dietro le mie spalle, posò per una frazione di secondo il suo sguardo su di me e tornò a guardare Dooney, poi rise sprezzante – Forse non hai capito, Dooney tu non uscirai da qui perché tra un istante, e aggiungerei breve, sarai morto –

– Tu... no... non puoi... io... Avvisa il tuo capo... che io ho... –
Uno sparo, Dooney si riversò sul tavolo, degli schizzi di sangue arrivarono dritti sul mio viso.

Aveva la bocca digrignata e il cranio aperto, una chiazza enorme di sangue si espandeva lenta sul tavolo; la parete laterale era piena di schizzi e materia grigia.
Il biondo estrasse la pistola, incastrata nella parte posteriore dei pantaloni, la mise sul tavolo e sistemò la sua pistola al posto della precedente; si guardò intorno e posò il suo sguardo su me – Mi spiace tu abbia visto tutta la scena –
Alzai le spalle in risposta. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quel ragazzo, aveva qualcosa di particolare, qualcosa di inquietante e di attraente allo stesso tempo. Nonostante emanasse, con tutto se stesso, indifferenza e freddezza, i suoi lineamenti erano morbidi, delicati e sensuali. Aveva la parvenza di un angelo ma il ghigno, l'arroganza e la freddezza di un demone.
– Slegatela e portatela all'auto. Avete fatto tutto? – Domandò.
Una delle voci alle mie spalle rispose – Sì, Chris, tutto pronto per il botto –
L'angelo biondo si chiamava Chris. Un bel nome, mi piaceva, aveva un bel suono.
Sentii strappare lo scotch, mi trattenni dall'emettere un qualsiasi gemito, nonostante pensassi che insieme allo scotch mi stessero strappando la pelle.
Mi rilassai in quel momento e chiusi gli occhi.
Mi slegarono le mani e con delicatezza mi alzarono e mi portarono verso l'uscita.

Una volta giunta all'esterno dell'edificio, vidi che era un grosso capannone in disuso, posto in un campo pieno di erbacce.
Mi appoggiai con la schiena ad un Suv e vidi arrivare il ragazzo biondo, di corsa.

– Pronti ragazzi? I fuochi d'artificio stanno per iniziare – e così dicendo, premette il pulsante di un piccolo telecomando.

Un boato, un rumore assordante, il capannone era appena saltato in aria; fui investita da un ondata di calore e venni spinta contro l'auto. Scivolai a terra e guardai quello spettacolo. Non era da tutti i giorni.

Pezzi di lamiera volarono via, turbini di fiamme s'innalzarono al cielo e oggetti non ben identificati schizzarono ovunque. Mi toccai gli occhi, sembravano ardessero. Sospirai contenta, avevo avuto tutti i nomi ed ero uscita da quel posto, illesa, o quasi. Adesso non restava che scoprire chi fosse quel biondino e il suo gruppetto.
Sfinita, scivolai a terra e sospirai.
– Tu – disse il biondo avvicinandosi e piegandosi sulle gambe.
Ci fissammo negli occhi – Si?– risposi con nonchalance.
– Come ti senti?–

– Sono stata meglio... –
– Cosa voleva da te, il viscido Dooney?–
– Semplice scambio di persona –
– E... ti ha conciata così, solo per uno scambio di persona?– Assottigliai gli occhi, troppe domande, la cosa non mi piacque.
– Vedi tu, vado all'università, sono figlia unica, non mi drogo e non mi prostituisco. Mi ha scambiato per qualcun'altra e non ha accettato l'idea di essersi sbagliato. Semplice no? – risposi convinta.
Sorrise beffardo – Mmm... Adesso che ne farò di te? Hai visto troppo – disse gelido.

– Senti, non mi importa di quanto è accaduto, non conosco i vostri nomi e non andrò alla polizia. Voglio solo andarmene a casa e dimenticare questa brutta nottata. Non farmi del male, hai tolto una vita e ne hai salvato un'altra. Le azioni si azzerano, non trovi? –
Mi fissò negli occhi, illuminati dalle fiamme.
– Vedo che in matematica ci sai fare. Dammi un solo motivo per lasciarti andare e non ucciderti adesso. Uno solo. Sei una testimone scomoda lo stesso.–
– Vorresti una ragazza disarmata e indifesa sulla coscienza? Una vittima innocente? Saresti capace di ammazzarmi, solo perché hai ucciso il tizio che mi ha ridotto in questo stato, direi, pietoso? Fai quello che ti senti, non sta a me decidere... Io posso solo ringraziarti per avermi portato via da quel posto. –
Mi fissò con uno sguardo imperscrutabile.
– Tu non hai paura di me – disse constatando i fatti e guardandomi negli occhi, poi riprese – Perché non mi temi? Ho ucciso un uomo davanti a te. Non hai disprezzo negli occhi, non c'è paura, non c'è rabbia, niente timore... non c'è niente di negativo. Perché ragazzina?–
Odiavo quando mi davano della ragazzina, ma non era il momento di controbattere, così gli risposi diplomaticamente – Te l'ho detto, mi hai salvato. Non posso fare altro che esserti grata. Non m'importa se l'hai ucciso, avrai avuto i tuoi buoni motivi e a me non interessano. Vuoi sapere perché non provo paura, disprezzo o rabbia? Semplice, il tizio che è morto, visto il modo in cui si è comportato, non merita la mia pietà. C'è troppa gente che muore ingiustamente e preferisco provare tristezza per chi muore ingiustamente. Ma non è questo il caso. Adesso deciditi, per favore. Se arrivo tardi a casa, mio padre, non mi farà uscire per un mese.–
Alzò un sopracciglio – Dopo tutto questo casino, ti preoccupi che tuo padre ti possa mettere in castigo? – domandò sorpreso.
Perfetto, avevo sviato il discorso.

– Già, tu non lo conosci, e sa essere molto protettivo. Per favore. Prometto che non dirò niente a nessuno. Bendami, lasciami da qualsiasi parte in città. Ti do la mia parola, nessuno saprà mai niente – Si alzò in piedi e si allontanò per parlare con due ragazzi.
– Hey Chris, possiamo divertirci con la ragazza?– disse un tipo avvicinandosi a me, troppo in ombra per poterlo vedere.
– Sei una testa di cazzo! Chiami ancora per nome, e giuro che ti taglio la lingua, idiota. Allontanati da lei, immediatamente! – Il ragazzo eseguì l'ordine.

Passò qualche minuto finché uno dei due ragazzi, che stava parlando con il biondo, si avvicinò a me, tese la mano e disse – Forza, alzati. Da qui dobbiamo andarcene – Ignorai la mano e feci da sola, mi alzai.
– Forza! Tutti in auto, la ragazza viene con noi. Zac, tu nel baule, Andy e Rich, con la ragazza dietro. Muovetevi. – Obbedirono tutti.
Il ragazzo che mi tese la mano, aprì la portiera del Suv scuro e mi fece salire. Una volta in auto, partimmo. Il biondino era salito davanti, nel posto passeggero. Zac, il ragazzo nel baule, aveva iniziato a lamentarsi e Chris l'aveva zittito ancora, ma a parte questo non disse altro. Era silenzioso.

– Ciao – disse il ragazzo seduto alla mia sinistra, lo stesso che mi aveva aperto la portiera e offerto la mano – Come ti chiami? Io sono Andy – sorrise.
– Sei un cretino – proferì il biondo all'istante.
– E perché mai? Volevo fare conversazione, tutto qui. Sai che odio il silenzio. E poi volevo essere educato, se tu non te ne fossi accorto, è una ragazza – disse seccato Andy.
– Se vuoi dirle anche il cognome e il numero di telefono.., – continuò il biondo con sarcasmo.

– Ciao Andy, io sono Ann – risposi guardandolo negli occhi color cioccolato e con un lieve sorriso – E tu, biondino, se non vuoi far sapere i loro nomi, prima, avresti dovuto chiamarli in altro modo – dissi saccente.
Andy scoppiò a ridere e il biondo si girò completamente – Senti biondina, fai silenzio o cambio idea e ti faccio fuori subito

– Chris, non essere stronzo, Ann, ti ha fatto notare solo..

– Chiudi il becco o, con lei, sbatto giù anche te. Non voglio sentir volare una mosca. Anzi, bendale gli occhi immediatamente. Appena saremo in città, la lasceremo da qualche parte. – proferì con tono minaccioso, guardandomi negli occhi.
Mi morsi l'interno della guancia per evitare di rispondergli a tono.

Era veramente strano quel ragazzo, bello e sexy, ma freddo, apatico e con un alone di mistero misto ad indifferenza. Curioso, direi.
Andy mi coprì gli occhi con qualcosa e feci silenzio. Qualcuno accese della musica.
Dopo un bel po' di tempo, il Suv si arrestò. Sentii due portiere aprirsi, quella alla mia sinistra ed un' altra. Qualcuno mi strattonò per un braccio
– Ti abbiamo portata vicino al Jewish Hospital Medical Center. Vai a farti vedere, non hai un bell'aspetto, ragazzina –
Capii dalla voce che si trattava di Chris. Mi prese la mano e mi mise un cellulare sul palmo, poi sentii qualcosa cadere.
– Questo è il tuo cellulare e a terra c'è il tuo zaino. Non chiamare nessuno per almeno dieci minuti. Spero vivamente che le tue parole, che mi hai detto prima, siano vere... – Sussultai. Si era avvicinato ed iniziò a parlarmi a bassa voce nell'orecchio – Altrimenti ti giuro, e questa è una promessa, ti verrò a cercare e finirò il lavoro che aveva cominciato quel bastardo di Dooney. Sai, odio essere contraddetto e non sopporto che qualcuno non faccia quello che ho chiesto; fossi in te, farei quanto ti ho appena detto, senza battere ciglio, bellezza. – Scossi la testa in cenno di assenso.

– Posso togliermi la benda, adesso? –
– No, non puoi. Dopo che l'auto sarà ripartita, potrai farlo. E se ti vedo sbirciare, torno indietro e per te saranno guai. –
Aveva un buon profumo. Profumava di sole, di pulito e di bucato appena fatto. – Sì, sì ho capito – Con il naso sfiorò il lobo del mio orecchio, una scossa s'irradiò dalla colonna vertebrale, rabbrividii.

– Stammi bene, biondina – e, così dicendo, portò una mia ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Attimi, secondi.
Non sentii più il suo profumo, non avvertii più la sua presenza. Sentii l'auto ripartire.

Attesi secondi o forse minuti, mi tolsi la benda, presi il cellulare e chiamai George.


Mi feci una doccia e mi misi a letto, dovevo elaborare le informazioni ricevute.

Domani sarebbe stato un altro giorno.

   
 
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