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Autore: LoveChocolate    22/12/2010    0 recensioni
Un antico forziere contenente la Spada del Potere, due re a contendersela, un ladro e una schiava con il compito di trovarla.
Ramis, capo della banda di ladri chiamata Banda del Vento, viene incaricato da un re creduto morto di recuperare il forziere contenente la Spada D'oro, custodito su un'isola creata e protetta da un mago, che da a chiunque la possiede l'autorità di sovrano del regno di Arcuanta. Ma Ramis non conosce il contenuto del forziere e affronta, insieme al resto della banda, un viaggio pieno di pericoli e difficoltà, accompagnato da una misteriosa schiava con capacità innate e segrete...
Genere: Avventura, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chiuso in una vecchia capanna nella foresta di Leonsa, piccola città nel regno di Arcuanta, il “Figlio del Vento” meditava steso sulla sua branda che gli faceva da letto.
Guardava il soffitto giocando con una moneta d’oro, e si chiedeva come avrebbero fatto a passarla liscia.
Veda, sua sorella, era intenta a giocare insieme a Chilè.
Scacchi, dama o qualcosa del genere.
Lui non riusciva a capire perché la sorella si ostinasse a battersi con lui nei giochi da tavola dal momento che aveva perso praticamente ognuna delle partite già giocate – ed erano state più di un centinaio.
-Maledizione.-, imprecò quando Chilè vinse per l’ennesima volta.
Si alzò di scatto e buttò giù la sedia.
Veda aveva sempre avuto problemi nel gestire la sua rabbia.
Non era un aspetto positivo nelle missioni ad alto rischio, quando la concentrazione e la freddezza erano necessari.
In quello, lui era il migliore.
Ma quando si trattava di combattere, neanche Massur riusciva a starle dietro se era arrabbiata.
Chilè sorrise euforico, si alzò e cominciò a ballare per la stanza: -Ho vinto! Ho vinto, ho vinto!
Neanche avesse sei anni.
Chilè era la persona più intelligente che il “Figlio del Vento” avesse mai conosciuto, ma aveva la maturità di un cucciolo e la serietà di un bimbo.
Nella squadra, poi, c’era Massur, un bestione alto più di due metri che si rivelava molto utile quando si trattava di minacciare qualcuno per ottenere informazioni o di combattere.
Infine, c’era lui, Ramis.
Nessuno conosceva il suo vero nome, tranne i suoi compagni, e tutti lo chiamavano il Figlio del Vento.
Era veloce, era potente e nessuno l’aveva mai visto in faccia, né lui né nessun altro componente della sua banda di ladri.
Almeno, fino a due settimane prima. Quando a causa di una missione finita male per un eccesso di rabbia di Veda erano riusciti a vedere sia lui che la sorella abbastanza bene per poter tracciare un ritratto approssimativo dei loro volti.
Quel ritratto, poi, era finito nelle mani delle autorità che avevano posto una taglia sulla loro cattura.
Una taglia piuttosto cospicua, quasi eccessiva, ma in un certo senso ragionevole: chiunque fosse riuscito a prenderli sarebbe stato davvero un uomo dalle grandi capacità.
-Sei sovrappensiero?-, domandò Massur, intento ad affilare il suo coltello, avvicinandosi a Ramis e sedendosi sulla branda, mentre Chilè chiedeva un’altra partita a Veda.
Ramis non rispose e continuò a giocare con la moneta d’oro.
In città aveva sentito delle voci, voci che non gli erano piaciute.
-Si dice che siano sulle nostre tracce.-, rivelò a Massur.
Il gigante non batté ciglio e asserì: -Non è vero.
-E se dovesse essere vero?-, in uno scatto, Ramis si mise a sedere e lanciò la moneta contro il muro di legno della capanna.
Questo si scheggiò e la moneta cadde per terra.
Chilè e Veda interruppero il loro gioco, voltandosi a guardarlo.
Era raro, se non impossibile, che Ramis perdesse il controllo.
La sorella si alzò e si andò a sedere ai piedi della branda: -Ramis, qui non possono trovarci.-, lo rassicurò.
Lui non rispose.
Chilè aveva un sorriso ebete stampato in faccia: -Dovete stare tranquilli.-, fece allegramente. –Ho posizionato parecchie trappole intorno al rifugio, e anche se dovessero riuscire a trovarci saranno prigionieri prima ancora di poterci raggiungere.
Finalmente sul volto di Ramis si dipinse un accenno di sorriso.
Chilè riusciva sempre a sorprenderlo. Apparentemente, negli ultimi giorni era stato impegnato solo a giocare, a mangiare e a leggere. Quello sempre.
E invece aveva anche montato delle trappole intorno al rifugio. Trappole probabilmente inventate da lui e, sicuramente, efficaci.
Sospirò. Era preoccupato, come non lo era mai stato prima.
Aveva una brutta sensazione: quella taglia era l’ultima cosa di cui la sua banda aveva bisogno e nonostante il rifugio della foresta di Leonsa fosse il più sicuro di cui potevano disporre, aveva la sensazione che qualcosa sarebbe andato storto.
Massur prese la parola e con una voce tonante ma dal tono ragionevole cercò di rassicurare Ramis: -Capo, abbiamo provviste a sufficienza per tirare avanti anche dei mesi e abbastanza ricchezze per pagarci un viaggio in giro per il mondo. Prendiamoci una pausa, non accettiamo più incarichi per un po’, aspettiamo che si calmino le acque e che la gente capisca che prenderci è pressoché impossibile e poi torniamo sulla piazza.
Ramis aveva pensato esattamente la stessa cosa.
Guardò Massur con occhi pieni di riconoscenza: quasi sempre il gigante la pensava nel suo stesso modo, ed era una grande sicurezza, oltre che sollievo, averlo sempre vicino.
Veda, con la sua solita irruenza, intervenne: -Mio fratello si tormenta sempre troppo. Siamo la banda di ladri più ricca e ricercata del regno. Persino il re potrebbe avere bisogno dei nostri servigi: di cosa ti preoccupi?-, rise.
Ramis sospirò di nuovo. Aveva bisogno di svagarsi.
Si alzò senza dire niente e uscì. Tutti lo guardarono muoversi con quella lentezza e quell’autorità tipica di un capo, e Veda immediatamente si alzò per seguirlo.
Massur, però, indovinando la necessità di Ramis di stare da solo, la bloccò.
Lui tornò ad affilare il suo coltello e Veda e Chilè ai loro giochi da tavolo.
 
Ramis uscì dalla capanna: aveva bisogno di prendere un po’ d’aria.
Forse Veda aveva ragione: lui si preoccupava troppo.
Era freddo e calcolatore, e all’esterno nessuno avrebbe pensato che potesse provare sofferenza o affanno.
La paura non rientrava nella sua gamma di emozioni. Ma sentiva di dover stare in guardia.
In un sacchetto che teneva legato alla cintura, oltre a qualche moneta e ad una fiala di veleno, teneva con sé anche un foglio che aveva staccato da un muro in città.
Lo dispiegò e guardò il suo ritratto.
Gli somigliava poco, molto poco. Ma chiunque avesse descritto il suo volto al disegnatore aveva ricordato bene la sua cicatrice sul sopracciglio destro che lo rendeva troppo facilmente riconoscibile.
Si sarebbe fatto crescere i capelli in modo da coprirla, pensò.
E poi c’era il ritratto di Veda.
Il suo, invece, era fin troppo somigliante.
La bocca piccola, gli occhi grandi e attenti e i capelli corti erano identici ai suoi.
Nel disegno non era riportata la sua corporatura esile, senza forme, fin troppo per una ragazza, e sicuramente il suo temperamento irruente e la sua innata velocità non potevano trasparire.
Ramis accartocciò il foglio e lo rimise nel sacchetto.
Vicino al loro rifugio, c’era un laghetto dalle acque tiepide che in quel momento si era fatto molto allettante.
Decise che una nuotata era ciò che ci voleva.
Raggiunse il lago, lasciò i vestiti fra i rami di un albero vicino e si immerse nell’acqua fino alla testa.
Una cicatrice sul braccio, che si era procurato in un combattimento poco tempo prima, prese a bruciagli, ma gli passò poco dopo.
Il lavoro del ladro non era esattamente tranquillo.
Non rubava mai per sé, certo, ma gli incarichi che venivano dati a lui e alla sua banda spesso erano più pericolosi e rischiosi delle missioni che si prefiggevano gli altri ladri per una ricchezza personale.
Fino ad allora, aveva rubato di tutto: sfere di cristallo dai mistici poteri, ricette di pozioni magiche improbabili, pugnali che si erano rivelati semplici pezzi di ferro, ma per il quale stolti avevano pagato cifre inimmaginabili.
Così adesso Ramis e gli altri navigavano nell’oro, anche se vivevano con il costante rischio di essere imprigionati e condannati a morte.
 
Era steso nell’acqua, quando improvvisamente sentì dei rumori di voci, passi e fruscii di foglie.
Spalancò gli occhi: li avevano trovati.
In fretta uscì dall’acqua e si rimise pantaloni e camicia, che non fece in tempo ad abbottonare.
Era ancora fradicio.
Le trappole dovevano essere situate più lontano dal rifugio di quanto non fosse lui: aveva il tempo di correre dentro, armarsi e ordinare di farlo anche agli altri.
Non che non si fidasse delle trappole di Chilè, ma se qualcuno fosse riuscito ad evitarle o a fuggire, uscire allo scoperto per correre verso la capanna sarebbe stata la sua condanna a morte volontaria.
Calcolò in pochi secondi i rischi e i vantaggi.
Le voci continuavano ad echeggiare, le trappole a scattare e i passi a risuonare.
Perché le trappole non funzionavano?
Prese l’unica decisione possibile: con uno scatto fulmineo, prese a correre verso la capanna.
Con la coda dell’occhio vide due figure umane ad una ventina di metri da lui che già correvano aumentare la velocità.
Li avevano trovati, maledizione.
In un attimo, un pensiero gli attraversò la mente: se li avesse condotti alla capanna, avrebbero preso tutti.
Se si fosse fermato e consegnato, magari si sarebbero accontentati di lui e avrebbero creduto che fosse l’unico.
Non poteva rischiare di condannare anche gli altri: lui se la sarebbe cavata.
Prese un profondo respiro e si fermò.
Nonostante si fosse aspettato il dolore che avrebbe provocato l’impatto dei due omoni sul suo corpo, lo sorprese.
I due lo gettarono per terra e gli legarono le mani dietro la schiena violentemente.
Lui non si oppose.
I suoi occhi azzurri guardavano dritto di fronte a sé, e la sua mente pregava perché nessuno degli altri tre uscisse dalla capanna in quel momento.
-Il figlio del vento.-, lo schernì uno dei due.
Ben presto arrivarono gli altri.
Tutti gli uomini indossavano la stessa armatura e portavano fieramente sul petto lo stesso simbolo.
Ramis lo osservò: non era – né assomigliava affatto – al simbolo che portavano i soldati del re Arsenna Ru, crudele tiranno che ormai da anni aveva preso il controllo del regno di Arcuanta.
Lui osservò il marchio chiedendosi da dove provenissero quegli uomini.
Gli uomini sembravano essere infiniti. Pian piano ne arrivarono a decine, e circondarono il prigioniero guardandolo con occhi curiosi.
-Sei tu il Figlio del Vento?-, domandò uno di loro.
Poi tirò fuori da un sacchetto il foglio col suo ritratto, confrontandolo.
-Sì, sono io.-, rispose orgoglioso.
Fra i soldati si fece largo un uomo anziano, con una barba troppo lunga e gli occhi troppo piccoli.
Portava fra le mani una sfera di cristallo.
Le sue mani rugose e affusolate la tastarono, la girarono e la rigirarono.
Infine l’uomo si chinò sul prigioniero, che manteneva uno sguardo fiero e altero, e lo guardò fisso negli occhi.
Poi guardò nella sfera.
-Slegatelo.-, ordinò.
Come ipnotizzati, i soldati lo slegarono e, probabilmente già preparati, gli afferrarono le mani con le loro e le porsero all’uomo.
Ramis cercò di liberarsi, ma da dietro gli arrivò un calcio nella schiena che gli tolse il respiro.
Il vecchio riuscì a prendere le sue mani.
Chiuse gli occhi e le lasciò poco dopo.
-Sì, è lui.-, asserì.
Ramis roteò gli occhi: non ci voleva un genio.
-E gli altri sono là dentro.-, indicò con un dito sottile la capanna che si trovava a poca distanza da lì.
Ramis fu colto da un terrore che non provava ormai da anni.
Se si fosse opposto con troppa veemenza, sarebbe risultato chiaro che il vecchio stava dicendo la verità.
Così aspettò che il gruppo si muovesse, aspettò di venire sollevato da terra e trascinato verso la capanna, e solo dopo qualche secondo disse con voce controllata: -Lì dentro non troverete proprio nessuno. Credete davvero che siamo così stupidi da restare uniti?
Il gruppo si bloccò di colpo.
Gli avevano creduto.
Ramis manteneva gli occhi bassi, i capelli castani gli ricadevano sulla fronte e gli impedivano di guardarsi intorno.
“Fa’ che non escano proprio adesso”, pregò.
Tutti i soldati guardarono il vecchio: egli riprese la sua sfera di cristallo e la studiò ancora una volta.
Poi volle riprendere le mani del Figlio del Vento, le strinse più di prima e dichiarò con voce ferma e sicura: -Sono là dentro.
Gli altri si fidarono, e ben presto i quattro ladri conosciuti come “la Banda del Vento” divennero prigionieri.
 
 
  
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