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Autore: LoveChocolate    17/12/2010    1 recensioni
Un antico forziere contenente la Spada del Potere, due re a contendersela, un ladro e una schiava con il compito di trovarla.
Ramis, capo della banda di ladri chiamata Banda del Vento, viene incaricato da un re creduto morto di recuperare il forziere contenente la Spada D'oro, custodito su un'isola creata e protetta da un mago, che da a chiunque la possiede l'autorità di sovrano del regno di Arcuanta. Ma Ramis non conosce il contenuto del forziere e affronta, insieme al resto della banda, un viaggio pieno di pericoli e difficoltà, accompagnato da una misteriosa schiava con capacità innate e segrete...
Genere: Avventura, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La risata fragorosa del mercante di vasi risuonò ancora una volta nel deserto gelido della notte.
Le sue mani possenti strattonarono la robusta corda che legava insieme i polsi della schiava.
Stanca e infreddolita, lei cadde ancora una volta, e la sua caduta divenne ragione di altre risate.
Odiava la sua risata.
-Ehi, schiava, ti sei divertita ieri notte?-, urlò lui con voce sguaiata.
Era ubriaco, totalmente ubriaco. Come sempre.
Lei non rispose, si limitò a guardarlo con occhi assassini. Se quello sguardo avesse potuto uccidere, quegli sarebbero stati gli ultimi attimi della vita del mercante.
Non ricordava il suo nome, non le importava. Sapeva solo che aveva delle mani troppo pesanti, che si ubriacava troppo spesso e che era uno stupido.
Solo uno stupido avrebbe legato i polsi di una schiava che portava una Ganà, la cavigliera degli schiavi che li teneva strettamente legati al proprio padrone e che rendeva loro impossibile allontanarsi più di qualche decina di metri.
Stupido, ubriacone e crudele.
Il mercante l’attirò a sé. La ragazza si voltò disgustata.
-Che c’è? Non ti sono piaciuti i nostri giochetti?-
“No che non mi sono piaciuti”, avrebbe voluto dire. Ma si trattenne, sia perché non voleva dargli la soddisfazione di rispondere, sia perché aveva provato la pesantezza delle sue mani quando percuotevano, e non voleva ripetere l’esperienza.
-Beh, chi tace acconsente, no? Vorrà dire che stanotte ci divertiremo ancora di più.-, la sua risata risuonò ancora una volta nel deserto.
La schiava non sapeva dove stessero andando, lui non le diceva mai nulla dei suoi spostamenti.
Arrivavano in una città, lui vendeva quanti più vasi possibili, poi faceva rifornimento, attraversavano il deserto o il mare per qualche giorno e di nuovo si ritrovavano in una nuova città. Era la sua vita da parecchi anni, da quando il mercante l’aveva comprata al mercato dopo che i suoi padroni l’avevano venduta a poco prezzo credendola pazza.
-Ogni tanto si blocca, anche nel bel mezzo dei suoi lavori. Sembra addormentata, e né schiaffi né frustate possono smuoverla fino a quando non lo decide lei.-, avevano detto al mercante di schiavi che, per questo, l’aveva venduta facilmente ad un prezzo più basso rispetto a quello delle altre schiave.
Oltre ad essere un ubriacone, uno stupido e un uomo crudele, quel mercante di vasi era anche uno spilorcio.
Non aveva mai provato tanto odio in vita sua.
Dopo pochi secondi lui dimenticò la sua stessa minaccia e riprese a camminare per le dune strattonandola.
Lei cadde un altro paio di volte e altrettante volte si rialzò e continuò il percorso.
Il mercante continuava a ridere senza motivo.
Improvvisamente dall’orizzonte apparvero delle figure scure in controluce – nonostante l’unica luce presente fosse quella della luna e delle stelle – e iniziarono ad avvicinarsi.
Il mercante smise di ridere e la schiava smise di pensare a quanto lo odiava.
Era raro incontrare qualcun altro nel deserto di notte.
Erano tre… no, quattro uomini.
Tutti adulti e tutti possenti, con spalle larghe e braccia robuste.
Si dirigevano verso di loro, ma non avevano un’aria minacciosa.
Avevano alcuni cammelli carichi, esattamente come loro. Sembravano mercanti.
Il mercante di vasi continuò il suo percorso dopo essersi arrestato per qualche momento per la sorpresa. Gli altri non accennarono a fermarsi o a cambiare direzione.
Inevitabilmente, i due gruppi si incontrarono. La ragazza si impose di mantenersi guardinga: il mercante era tanto stupido che se quelli fossero stati ladri o assassini lo avrebbe capito solo dopo essere stato derubato. O ucciso.
-Salute, compagno, anche tu in viaggio con le tue merci?-, uno del gruppo dei quattro salutò il mercante chiamandolo “compagno”. La ragazza ne dedusse che anche loro dovevano essere mercanti.
Il suo padrone rise di nuovo, rendendo palese il suo stato di ubriachezza.
Con sguardo vigile lei notò che due uomini dietro quello che aveva parlato si scambiarono un’occhiata sfuggente, ma, a causa del buio, non poté interpretarla al meglio.
-Anche voi mercanti, eh?-, disse lo stupido.
-Vedo che hai una schiava, con te.-, fece uno dei quattro, notandola.
Il suo stato d’allerta si fece ancora più acuto quando si sentì chiamata in causa. Istintivamente fece un passo indietro, ma il suo aguzzino strattonò la corda con più violenza del solito, la tirò a sé e la fece cadere fra lui e gli altri mercanti.
Lei non emise un gemito.
Quello che aveva parlato per primo, si chinò su di lei, la prese per i capelli e le sollevò il viso.
 
La luce della luna rischiarò allora i lunghi capelli neri e gli occhi dello stesso color carbone, che risaltavano sulla pelle chiara.
Il mercante non aveva mai visto delle ciglia tanto lunghe o delle pupille così scintillanti.
Di certo era bella. E avrebbe fruttato parecchio al mercato degli schiavi.
Sorrise fra sé e sé e le lasciò andare i capelli.
-Allora, compagno, da quanto sei in viaggio?-, domandò.
-Alcune ore.
-Sarai stanco. Stavamo appunto mettendo su le tende per  mangiare. Abbiamo del vino squisito.
Si era accorto del fatto che quell’omone rozzo e ubriaco aveva un debole per il vino, e si aspettava da lui un’immediata approvazione a quella proposta.
-Assolutamente sì.-, rispose infatti.
I quattro si ritrovarono a sorridere.
A giudicare dal numero di cammelli, quel mercante aveva davvero tanta merce da portare in città, e quella schiava era un’allettante fonte di guadagno.
Montarono, quindi, le tende mentre uno di loro si occupò di preparare il fuoco per arrostire la carne e di versare il vino nei boccali.
E, nel caso del mercante di vasi, anche qualcos’altro.
 
Ovviamente non le era stato offerto né cibo né vino. E, ovviamente, lei non ne domandò, nonostante fosse affamatissima.
Non sapeva da quanto tempo quel balordo la teneva senza mangiare – almeno due giorni – ma sapeva che il suo orgoglio le avrebbe impedito di chiedergli del cibo.
Piuttosto sarebbe morta di fame, il che non sarebbe stato negativo: il mercante si sarebbe ritrovato senza una schiava e avrebbe realizzato di aver sprecato i suoi soldi.
E per uno spilorcio come lui, non poteva esserci niente di peggio.
Sorrise a quel pensiero, quando sentì che di nuovo i cinque uomini avevano ripreso a parlare di lei.
-La tua schiava è… interessante.-, disse uno dei quattro.
-Interessante?-, domandò il suo padrone di rimando. –Lei sarebbe interessante? Certo, è bella. Ma è una povera pazza. Ogni tanto si blocca, anche nel bel mezzo dei suoi lavori. Sembra addormentata, e né schiaffi né frustate possono smuoverla fino a quando non lo decide lei.-, disse citando le parole del mercante che gliel’aveva venduta. –L’ho comprata a poco prezzo. Ma cucina bene. E la notte è un buon divertimento.
Tutti risero a quella “battuta”. Lei, invece, s’incupì.
Seduta accanto a quell’uomo che odiava, teneva gli occhi bassi per non dare a vedere il suo disagio e il suo odio.
La Ganà non era visibile da sotto la veste lunga, ma lei la sentiva. La sentiva che stringeva e la odiava, perché le avrebbe impedito la fuga in qualsiasi momento e in qualsiasi situazione.
Improvvisamente avvertì qualcosa.
Chiuse gli occhi e si concentrò su quella sensazione che, lo sapeva, presto sarebbe sfociata in una visione.
E infatti vide. Vide ciò che sarebbe accaduto di lì a pochi minuti.
Uno degli omoni che porgeva il vino al mercante di vasi.
Lui che, ovviamente, l’accettava.
Il vino cadeva nella sua gola, lui si sentiva soddisfatto e ne chiedeva ancora.
Dopo qualche secondo, iniziava a tossire. Una tosse convulsa, violenta, e lui non riusciva a fermarsi.
E poi, cadeva supino per terra con gli occhi spalancati, a guardare le stelle. Per sempre.
 
Tornò in sé.
Quella visione l’aveva scossa. Da una parte l’aveva riempita di gioia: finalmente sarebbe stata libera da quel bruto.
Ma poi si ricordò ciò che gli spiriti le avevano insegnato: di non desiderare il male delle persone.
Fece un respiro profondo, e invocò il loro aiuto. Quegli spiriti che l’avevano accompagnata fin da quando era piccola e che le avevano dato quel dono. Il dono di vedere le cose, di percepire il futuro.
E il dono di guardare nel passato delle persone solo toccandone le mani, e di capire la loro essenza guardandole negli occhi.
Un dono che, però, non le sarebbe servito a niente in quella situazione. Un dono che poteva anche essere una maledizione: conoscere il futuro ma non poterlo cambiare.
In quell’occasione, però, l’unica cosa che riuscì a pensare fu: che ne sarà di me?
Dopo che quello che era stato il suo torturatore per tanto tempo sarebbe morto, cosa che sarebbe successa di lì a pochi attimi, lei avrebbe incontrato un padrone migliore di lui?
Chiese anche questo agli spiriti, ma non arrivò risposta.
Ciò che arrivò, invece, fu un calcio nelle costole che la lasciò senza fiato.
Cadde per terra e le mancò il respiro per qualche secondo.
Osservò il mercante di vasi che l’aveva colpita: ancora non aveva preso il vino.
-Ve l’ho detto, ogni tanto si blocca. E bisogna colpirla duramente per farla tornare in sé.
Gli altri la fissarono curiosi, ma senza rispondere.
Un dolore lancinante la prese anche alla schiena e sul braccio. Probabilmente, durante la visione, lui l’aveva colpita anche lì, ma non aveva funzionato.
Nulla poteva fermare una visione, né le percosse né delle parole accorate.
Tornò a sedersi e l’attirò a sé con la corda: -Chiedi scusa ai nostri compagni per la tua insolenza.-, la esortò con voce rauca.
Per la prima volta, la schiava alzò lo sguardo. Li fissò uno per uno, e loro ricambiarono lo sguardo con una curiosità sempre maggiore.
Il mercante, con la sua mano pesante, la colpì ancora una volta, stavolta sul viso.
-Chiedi scusa.-, urlò.
Era ubriaco perso, come mai l’aveva visto prima.
-Chiedo perdono.-, disse lei, parlando per la prima volta in quella giornata.
Non aveva niente da perdere: l’uomo che ora la stava torturando sarebbe morto fra qualche attimo.
 
Uno dei quattro gli offrì del vino in una coppa. Lui lo accettò di buon grado.
Lei era seduta ancora accanto a lui, abbastanza vicina da potergli parlare senza che gli altri la sentissero.
-Posso dirti una cosa, padrone?-, domandò fissando i propri piedi.
Lui non rispose ma la guardò di sbieco, prendendo a bere.
-Questi sono i tuoi ultimi attimi di vita.-, lo avvertì.
Lui alzò le sopracciglia, senza staccarsi dal bicchiere.
Dopo che ebbe finito, prima ancora di poter rispondere, iniziò a tossire.
Lei gli si avvicinò e gli sussurrò all’orecchio: -E vuoi sapere come lo so?
Abbassò ancora la voce, ma si assicurò che lui sentisse: -Perché io sono una sensitiva.
 
Per un secondo, solo per un secondo, si sentì libera.
Il suo padrone era morto, e nessuno l’aveva comprata.
Sorrise trionfante, ma, appena un attimo dopo, la corda che le teneva legati i polsi venne strattonata di nuovo.
Si voltò verso i quattro con occhi di fuoco.
-Bene, dolcezza. Adesso tu e tutte le altre merci del tuo padrone sono nostre. Ti piace la novità?
Senza aspettare una risposta, scoppiarono tutti a ridere.
Lei si sentì bruciare dentro.
Libera. Come aveva potuto sperare di essere libera?
I polsi le bruciavano, e non avrebbe sopportato di essere strattonata ancora una volta.
Per la prima volta, parlò di sua iniziativa: -Potete slegarmi: ho una Ganà.-, fece sommessamente.
Se doveva continuare a viaggiare e ad essere schiava, almeno preferiva farlo comodamente.
Uno dei quattro uomini si avvicinò al cadavere e lo spogliò del mantello, scoprendo al suo polso l’altro pezzo della Ganà, quello che spettava al padrone.
-Che stupido.-, imprecò l’uomo. Gli rubò il bracciale dal polso e lo indossò.
Dopodiché, finalmente, liberò i polsi insanguinati per le corde.
-Forza, in piedi.-, le ordinarono.
Lei, solo per un attimo, prese in considerazione l’ipotesi di non ubbidire. Di rimanere seduta, di farsi picchiare a sangue per la sua impudenza e, magari, di essere uccisa.
Forse era meglio la morte che un’intera vita di schiavitù.
Ma gli spiriti che le avevano parlato per tanto tempo, anche se poco prima avevano taciuto, le dissero ancora una volta di non mollare.
Lei sospirò e si alzò, con rinnovato vigore.
Si avvicinò ai suoi nuovi aguzzini. Uno di loro domandò: -Qual è il tuo nome?
Senza entusiasmo, guardando la luna, la ragazza disse in un sussurro: -Clio.
 
  
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