Capitolo 6
“Breve sogno”
Strizzò un’ultima volta le palpebre. Ma fu di
nuovo inutile, l’immagine monocromatica che scorgeva davanti
a sé non si decideva a cambiare.
D’altronde non si aspettava qualcosa di diverso. Poteva
affermare senza un minimo di superbia che la propria vista era
paragonabile a quella di una civetta, o perfino superiore: gli occhi,
perfettamente adattati alla penombra notturna, discernevano con
immediatezza ogni singolo elemento che lo circondava.
La sagoma, che si stava rialzando distanziandosi un poco da lui,
continuava a mantenere le fattezze di una ragazza il cui taglio corto
di capelli gli era fin troppo familiare. E adesso Ranma poteva anche
lasciar spaziare lo sguardo sulla figura intera, riconoscendo
così la lunga divisa scolastica del Furinkan.
“Ranma…” Udì ancora.
Si domandò se, ammesso che la propria fantasia gli stesse
comunque giocando un brutto scherzo, davvero anche l’udito si
sarebbe potuto fare ingannare così facilmente. Non lo
credeva possibile. Quel suono, quella voce non potevano affatto essere
frutto della propria immaginazione!
Si levò in piedi, ma più lentamente di come
avrebbe voluto. Fu stupito dal lieve torpore delle gambe e non
riuscì a evitare di barcollare.
Avanzato di pochi passi per recuperare l’equilibrio, ridusse
lo spazio che li separava e, anche se lei aveva smesso di pronunciare
il suo nome, Ranma ne avvertì in modo nitido il respiro,
ritmico e un poco ansimante.
Provando a imporsi il pensiero che, forse, sarebbe dovuto essere lui a
dirle qualcosa, considerò invece l’idea di tornare
sui suoi passi. Dopotutto, Tofu e Tendo non dovevano essere troppo
lontani. Li avrebbe raggiunti, quindi li avrebbe condotti qui, volenti
o nolenti, cosicché finalmente anche loro avrebbero potuto
vederla e sentirla.
Il proposito lo tentò per diversi istanti. Ma… se
poi non l’avesse ritrovata?
Se, nel frattempo che lui si allontanava, lei fosse scappata di nuovo?
Oppure, peggio: se lei, nonostante tutto, non ci fosse stata proprio
fin dall’inizio?
“Ranma…”
La prima alternativa era certo più allettante. Decisamente.
Perché, seguendo per un attimo l’ipotesi di non
essere ancora impazzito, Akane era davvero viva e
vegeta davanti ai suoi occhi.
“…che cosa sta succedendo?”
Si avvicinò al cratere con aria circospetta.
Non che si aspettasse di trovare l’autore di quello sfacelo,
ma sperava di individuare almeno qualche indizio, una bandana o altro,
che lo rassicurasse dell’estraneità di Ranma alla
vicenda.
Puntò la pila elettrica sul terreno circostante, con fare
metodico. Gli bastarono, tuttavia, pochi secondi per perdere di nuovo
la calma e lasciar serpeggiare il cono di luce senza più
alcun criterio, mentre le lacrime andavano ad annebbiargli la vista.
No, non di nuovo. S’impose. Non
adesso.
Si volse, ormai disperato, in direzione del dottor Tofu. Questi, dal
canto suo, non pareva propenso a una linea d’azione decisa,
come Soun si era augurato: stava sì gesticolando a sua volta
il braccio, ma verso l’alto, così da proiettare e
disperdere in cielo il raggio della sua torcia. Magari cercava anche
lui qualcosa, ma tra i pochi alberi rimasti in piedi.
“Dottore… cosa sta facendo?”
Il suo interlocutore lo guardò con un’espressione
meno tesa di quella che si sarebbe aspettato.
“Io? Oh, niente di speciale: sto segnalando agli altri la
nostra posizione.”
Gli altri, vero. Pensò che, in effetti, non erano molto
distanti dal punto di riunione prefissato. E tra l’altro, ora
che gli veniva in mente, la zona di ricerca affidata a Ukyo comprendeva
l’istituto Furinkan. Grazie all’indicazione del
dottore, a breve sarebbero arrivati tutti.
“Capisco.” Disse. “A questo punto
è inutile rimanere divisi…” Poi ci
ripensò. “Ma se rimaniamo qui in attesa, non
corriamo il rischio di perdere le tracce di Ranma? Potrebbe essere
ancora nei paraggi.”
Il dottor Tofu annuì comprensivo, ciò nondimeno
gli replicò: “Se davvero Ranma ha perso la ragione
ed è il responsabile di tutto questo, non credo che si
allontanerà troppo dal Furinkan in ogni caso. Ma se
è nei dintorni, dobbiamo considerare… ecco, come
definirlo… il nostro arrivo poco
discreto di
poco fa.”
Soun farfugliò qualche parola di scusa. Tofu
ridacchiò, con una mano dietro il capo.
“Mi perdoni, non volevo metterla in imbarazzo.” Il
suo tono di voce perse subito ogni inflessione di leggerezza.
“Dicevo… prendendo per buona l’ultima
ipotesi, allora Ranma ha avvertito certamente la nostra presenza e,
stando così le cose, il fatto che non sia uscito lui stesso
allo scoperto indica che non sarà facile riportarlo alla
calma. A questo punto, il problema potrebbe essere non più
come trovarlo, bensì come fermarlo.”
Soun s’irrigidì. La considerazione era del tutto
pertinente.
Il dottore continuò: “Si ricorda di quando le
avevo parlato delle condizioni del ragazzo?”
Annuì. Era stata l’unica visita di Tofu a casa sua
e, mentre lui lo scongiurava di salvare in qualche modo la propria
bambina, il dottore si era permesso di ignorarlo per rivolgere invece
la sua attenzione a un Ranma sdraiato contro un muro del corridoio e
come abbandonato a se stesso.
“Ricordo. Dopo averlo visitato, lei mi ha preso da parte per
parlarmi della sua aura.”
“Precisamente. Come chiropratico, non poteva sfuggirmi il
disturbo, anzi il vero e proprio squilibrio presente nel flusso
energetico di Ranma. Ecco, bisogna vagliare la possibilità
che la crisi della scorsa notte e la conseguente fuga abbiano portato
tale instabilità a un punto di rottura.”
Soun deglutì. Per quanto ci tentasse, non riusciva a
scacciare da sé l’immagine di una bomba a
orologeria prossima all’esplosione.
“Quindi”, provò a completare il
ragionamento di Tofu, “lei suggerisce che sia meglio riunirci
in buon numero prima di…”, esitò nel
trovare la parola adatta, “affrontare Ranma?”
“È la mossa più
consigliabile.” Confermò
l’interlocutore. Notando la sua crescente agitazione, si
affrettò a precisare con un largo sorriso: “Stia
tranquillo, naturalmente non intendo far correre il minimo pericolo
alle sue figlie. Stavo piuttosto pensando a Ukyo: lei potrebbe fornirci
un preziosissimo aiuto, qualora le cose si mettessero male.”
Già, Ukyo. Lei era un’artista marziale
più che valida.
Ma com’è possibile che non sia
già qui?!
Akane riprese
a scrutarlo con aria interrogativa.
Come se non fosse lui quello in diritto di porre delle domande.
Ranma non poté impedirsi di sbuffare.
Negli ultimi minuti trascorsi era leggermente arretrato, controllando
che lei lo seguisse, fino a toccare con la schiena un altro dei muretti
che delimitava il cortile della scuola. Era più basso degli
altri cosicché le luci della strada, adesso, lambivano
entrambi, riempiendo la fidanzata di colori e imprimendo una nitidezza
ancora maggiore ai suoi contorni. Lei non si era dissolta, come per un
attimo aveva temuto in cuor suo, anzi gli dava l’impressione
di essere più viva che mai.
Le sopracciglia erano piegate in un’espressione severa, le
mani chiuse a pugno e leggermente vibranti. Ranma riusciva quasi a
visualizzare la consueta aura infuocata promanare dalla fidanzata e
circondarla come uno strato protettivo.
D’altronde non le stava fornendo – e come avrebbe
potuto? – alcuna delle risposte che pretendeva. Per essere
più precisi, non riusciva nemmeno a fissarla negli occhi per
più di qualche secondo, prima di ritrarre lo sguardo come se
ne fosse stato sfregiato. Eppure, rammentò, fino a pochi
minuti prima avrebbe dato qualunque cosa per rivedere la fidanzata, per
sentire di nuovo la sua voce. La propria reazione sarebbe dovuta essere
più… beh, gioiosa, no?
“Perché non vuoi parlarmi?! Devi dirmi cosa sta
succedendo!” Riprese lei. Non aveva l’aria di
essere disposta ad aspettarlo ulteriormente. “Questo edificio
di fronte a noi non è forse il Furinkan? Ma non dovremmo
trovarci qui, non dovremmo essere nemmeno in Giappone! Un momento fa
questo posto era… Jusendo, la fonte di tutte le Sorgenti
Maledette!”
L’aspetto, la voce. La personalità. E
ora… coincidevano anche le sue memorie.
È tutto così perfetto.
“Solo pochi minuti fa stavi combattendo contro quel
ragazzino, il principe del monte Hooh. Lo so, mi ricordo ogni cosa.
Anche se ero disidratata… ero perfettamente cosciente, ho
visto e sentito tutto quanto.” Le parole fluivano rapide e
affannate. “E poi se non sbaglio tu… tu
l’avevi colpito con la tua tecnica! Sì, ne sono
sicura, eri riuscito a sconfiggerlo!”
Troppo perfetto.
“E poi… e poi…”
Finalmente la ragazza si arrestò, come per riprendere fiato.
Nondimeno, decidendosi una buona volta ad alzare lo sguardo, Ranma
incontrò un’espressione completamente diversa da
quella che si immaginava. Gli occhi erano spalancati, come terrorizzati
da un mostro invisibile. Il riflesso del lampione gli consentiva di
scorgere diverse gocce di sudore che scendevano tortuose lungo la
fronte e le guance. Notò di sfuggita che le sue labbra
– e ora perché si era messo a guardare proprio
quelle?! – stavano tremando.
“E poi il silenzio…” Accennò
lentamente, con un tono fattosi pacato. “Poi il
buio… mi pare che stessi scappando da qualcosa… e
quella… quella voce…”
Ranma sussultò.
Buio. Una voce. Se non era impazzito, né stava semplicemente
sognando, forse poteva essere semplicemente che…
Akane chinò il capo e fissò le proprie mani come
sovrappensiero.
In quel momento, una nuova fonte di luce avvolse la sua figura intera.
Quando gli parve che d’un tratto stesse diventando
più trasparente, ogni dubbio e ogni sospetto furono
dissipati all’istante.
“No! Non andare!” Gridò, gettandosi
disperatamente in avanti con un braccio proteso ad afferrarla a ogni
costo prima che fosse tardi.
Tuttavia, lei non svanì nemmeno questa volta.
Quando Ranma si avvide che la nuova luce non era che opera di un altro
lampione mezzo fulminato e che si era deciso d’incanto a
funzionare, era ormai incapace di frenare lo slancio e
rovinò addosso a una fidanzata decisamente corporea.
“Si può sapere che cosa ti è
preso?!” Si lamentò Akane, che ora si trovava
schiacciata sotto di lui. Il suo viso, tutt’altro che
trasparente, gli parve aver assunto un colorito più acceso
poco sotto le palpebre.
Ranma provò a raddrizzarsi, facendo leva sulle mani posate a
caso.
“Oh... ma allora non sei… pe-pensavo che fossi un
fa…”
Fu interrotto da un sonoro schiaffo: anche questo più che
mai corporeo, come la guancia sinistra in fiamme poté
testimoniare.
Tornò in posizione eretta mentre, prendendo
all’improvviso coscienza dell’estrema vicinanza tra
loro due, avvertiva inspiegabilmente bruciargli anche
l’altra gota.
“Scu-scusa, non è come…”
“Allora eri tu!” Gli disse, con
un’intonazione piena di collera.
La guardò confuso, allungando una mano per aiutarla a
rialzarsi.
“Ero io… ero io cosa?”
Akane scansò con malagrazia il suo braccio e si
levò in piedi da sola.
“Non fare finta di nulla! Intendo poco fa, e lo sai
benissimo!”
“Poco fa?”
“Non ripetere ogni frase come un pappagallo!” Ranma
avvertiva di nuovo nitidamente l’aura negativa della
fidanzata. “Poco. Fa. A casa mia. Dove uno scemo, in pieno
buio, mi ha gridato contro e si è messo a inseguirmi come un
forsennato. Ti suona familiare?! Dovevo capirlo subito che
eri…”
Si arrestò di nuovo. Quando riprese a parlare,
l’aura era svanita.
“Un… un attimo. Come è possibile tutto
questo?!”
Ranma si morse la lingua, quasi avendocela con se stesso per aver messo
insieme i pezzi con un tale ritardo. Provò la sensazione che
il mondo intero avesse perso il suo equilibrio, stesse oscillando
vorticosamente e fosse sul punto di franargli addosso.
La figura nell’ombra la scorsa notte… era Akane!
O perlomeno, era questa Akane.
E ciò voleva dire…
Che a casa Tendo, anche in quello stesso istante, il letto della
fidanzata poteva essere occupato da un’altra Akane.
Era sinceramente addolorato. Si stava prodigando in mille scuse, ma
ciò non sembrava in alcun modo placare la signorina Nabiki.
“Razza di idiota, ti sembra logico essermi saltato alle
spalle?! Mi hai spaventata!”
“Mi dispiace! Le ripeto che non l’ho fatto apposta,
solo che è più forte di me! Le kunoichi sono
guerriere addestrate a nascondersi nell’ombra e a mimetizzare
costantemente la propria presenza, si è trattato di forza
dell’abitudine! E quando lei è scappata via
così fuori di sé, mi sono spaventato e mi
è venuto istintivo trattenerla per il braccio! Ma non era
mia intenzione farla cadere, giuro!”
“E io che avevo creduto di… lasciamo perdere!
Almeno spero che tu abbia qualcosa di buono da riferirmi. Se sei qui,
significa che non hai dimenticato il nostro discorsetto di questo
pomeriggio.”
Konatsu sospirò.
Come avrebbe potuto dimenticarlo? La telefonata della signorina Nabiki
era stata la prima che il locale avesse ricevuto da una settimana a
questa parte e lui, udendo lo squillo, era accorso con una foga che ben
poco si addiceva a una cameriera qual era – ma nessuno questa
volta l’avrebbe punito per la sua ribellione –
sperando che finalmente la signorina Ukyo si fosse fatta viva.
“Konatsu, mi senti? Smettila di fantasticare e fammi vedere
cos’hai trovato.”
La voce della sua interlocutrice lo riscosse, ed egli si
ricordò dell’importante oggetto di gran valore che
gli era stato affidato. Sfilò da una tasca la preziosissima
macchinetta ‘polaroid’ della signorina Nabiki,
controllando che non presentasse nemmeno un graffio in più
rispetto a poche ore prima, e si accinse a consegnarla riponendo la
massima attenzione.
La signorina Nabiki, stranamente non altrettanto preoccupata di
preservare un bene così lussuoso, glielo strappò
dalle mani con un gesto brusco prima di dirgli: “Spero non
sia tutto qui. Avrai fatto qualche scatto, mi auguro.”
“Come?... Oh, sì, naturalmente.” Konatsu
porse con fare meno interessato alcune fotografie.
Lo sguardo della signorina Nabiki vi si soffermò, e
mutò all’istante.
Konatsu non riusciva a leggervi alcuna particolare emozione.
Di colpo, non vi era più traccia della ragazza eccitata e
nervosa che gli aveva gridato in faccia. Gli acuti sensi del
‘kunoichi di gran talento’ gli mostravano
nuovamente la signorina sorniona e imperturbabile alla quale era
abituato.
“Ottimo.” Mormorò, e il tono di voce,
questo sì, tradiva un certo compiacimento.
“Davvero ottimo… e dimmi un po’, loro hanno
per caso sospettato qualcosa?”
Konatsu incrociò le braccia, indignato a
quell’insinuazione.
“Il travestimento è la mia specialità,
dovrebbe saperlo.” Puntualizzò.
“Va bene, va bene… ma, per curiosità,
hai indossato anche un paio di occhiali, come ti avevo consigliato? Non
che fosse così importante, dato che quei cinesi non
dovrebbero nemmeno conoscerti, però la prudenza non
è mai troppa.”
“Certo, signorina Nabiki.” Rispose, con tono meno
indisponente. Sperò di non aver esagerato, in preda al
proprio momentaneo impeto di rabbia. “Ho seguito alla lettera
ogni sua indicazione.”
Anche se, Konatsu proseguì mentalmente, lui avrebbe
preferito travestirsi da geisha…
o almeno da chiromante. Sapeva interpretare una chiromante impeccabile
e del tutto realistica. Invece indossare quegli abiti maschili l’aveva
messo non poco a disagio: e recitare, davanti a tutto quel pubblico, la
parte del cliente imbranato gli era risultato un po’ troppo
facile.
Ciò che contava, l’anziana cuoca e il giovane
cameriere avevano inevitabilmente abbassato la guardia. Approfittando
della confusione creata ad arte, con la scusa di andare in bagno per
pulirsi aveva potuto esplorare di soppiatto ogni angolo di quel
ristorante cinese, e in particolare un ripostiglio che la signorina
Nabiki gli aveva espressamente indicato di controllare: tra
l’altro non era stato un problema accedervi, la porta era
stata lasciata aperta…
“Signorina Nabiki, queste fotografie sono ciò che
voleva?” Le domandò. “Ci aiuteranno,
come mi aveva promesso, a riavere indietro la Ukyo… la signorina Ukyo di
sempre?”
Arrossì, per l’impudenza che gli era sfuggita. Del
resto, anche se il suo era un amore proibito, teneva a Ukyo Kuonji
più della sua stessa vita e avrebbe fatto qualunque cosa, se
fosse stato per il suo bene.
Ricordava ancora il volto teso della padroncina, l’ultimo
giorno che aveva lavorato nel locale prima di trasferirsi dal signorino
Ranma.
Raramente l’aveva vista così turbata e, in cuor
suo, avrebbe tanto voluto conoscerne il motivo e fare qualcosa per
aiutarla. Ma questo non era compito di una cameriera. ‘La
riservatezza innanzitutto’ era una delle prime regole da
rispettare. E di regole ne aveva infrante abbastanza, si era detto
passando lo strofinaccio sul bancone con maggior veemenza, prima di
allontanarsi rassegnato in un’altra camera per rimanerci il
resto della serata.
Si mordicchiò quasi inconsciamente il labbro.
Perché era stato tanto stupido?! Al contrario sarebbe dovuto
rimanerle accanto, superando ogni discrezione e paura. Per fortuna era
ancora in tempo per rimediare: durante questa notte senza luna
– così propizia per loro, ‘guerrieri
ombra’ – avrebbe riscattato il suo comportamento
vile mostrandosi degno del proprio titolo di kunoichi.
“Signorina Nabiki, mi risponde?” Ripeté
deciso, pregno di tale risolutezza. “Queste fotografie le
sono utili?”
La sua interlocutrice parve scuotersi da un lungo pensiero.
Gli sorrise.
Anche questo sorriso gli era ormai divenuto familiare.
“Sì, direi proprio che mi sono state utilissime.”
Non poteva credere ai propri occhi.
A poca distanza dal suo sguardo, Ranma e Akane stavano parlando
animatamente.
E il contenuto del discorso non prometteva nulla di buono.
Non abbandonando il proprio nascondiglio ma uscendo leggermente allo
scoperto per catturare meglio le parole che si scambiavano –
tanto non c’era alcun pericolo che quei due potessero in
qualche modo scoprire la sua presenza – dovette assistere suo
malgrado a un Ranma con la rabbia delle grandi occasioni, come sul
punto di sbrogliare l’intricata matassa che aveva messo
così tanto tempo e tanta pazienza a tessere.
Adesso aveva afferrato la fidanzata per le spalle e la stava
interrogando accuratamente. Lei purtroppo sembrava vacillare e sempre
più sul punto di crollare.
Dannata Ukyo Kuonji… la colpa era solo sua!
Perché mandare ogni cosa all’aria proprio sul
più bello?!
Già l’altra sera, a dire il vero, ci era andata
molto vicina… e non aveva mancato di sottolinearlo.
Questa notte era l’ultima occasione, si stavano giocando
tutto, le aveva ricordato. Lei aveva dato la sua parola, aveva per caso
intenzione di rimangiarsela?! Ma ormai non le sarebbe convenuto, non
aveva più molta scelta, il tempo dei ripensamenti era
passato da un pezzo.
Ukyo era parsa molto scossa a quelle parole, segno che stava toccando
le corde giuste.
Così aveva deciso di rincarare la dose, ripetendo lentamente
la fatidica domanda che le aveva rivolto solo pochi giorni prima.
“Sei con me…?”
Lei aveva annuito. Aveva ribadito che si sarebbe attenuta al proposito
originale con estrema fedeltà.
Ma, a quanto sembrava, quella Ukyo aveva saputo mentire molto bene.
Stupidi ragazzini! Non ci si poteva mai fidare di loro! La
gioventù del giorno d’oggi non portava alcun
rispetto per chi era più anziano e aveva maggiore esperienza
e saggezza. E questa incoscienza tipica
dell’età adolescente stava minacciando di far
saltare il suo piano.
Tornò a rivolgere la sua attenzione a Ranma.
E scoprì che le cose stavano veramente sfuggendo
di mano.
Lui aveva appena finito di raccontare alla fidanzata di come lei fosse
misteriosamente apparsa sul piano superiore di casa Tendo per poi
svanire nel nulla mentre entrava nella camera degli ospiti, questo
mentre per tutto il tempo un’altra Akane
Tendo stava sdraiata sul letto della propria camera.
Lei sembrava ancora indecisa se credergli o no, ma entrambi avevano
scritto nelle loro espressioni che avrebbero fatto luce su questi fatti
inspiegabili a qualunque costo.
All’improvviso Ranma, che, visto il fare sempre
più agitato, sembrava averne abbastanza di qualsiasi
ulteriore indugio, propose di tornare a casa Tendo e scoprire la
verità con i loro occhi.
Beh, questo non poteva assolutamente permetterlo.
Aveva perso di colpo il preziosissimo contributo di Ukyo, ma dopotutto
il più era fatto.
Era il momento di intervenire.
L’urlo improvviso della fidanzata lo sconvolse come un lampo
a ciel sereno.
“Akane! Cosa succede?!” Le si avvicinò
con cautela.
“Basta! Lasciami stare! Lasciami stare!”
Gridò con forza la ragazza, afferrandosi la testa con
entrambe le mani e scuotendola con un vigore tale da spaventare perfino
lui.
Ranma rimase immobilizzato per qualche secondo, senza un’idea
di cosa potesse fare.
Quando si decise nuovamente all’azione, fu troppo tardi.
Un’improvvisa cortina di fumo avvolse l’intero
ambiente, nascondendo ogni elemento alla sua vista.
Una bomba fumogena?!
Ranma avanzò senza punti di riferimento, evitando ogni
movimento brusco per non rischiare di colpire Akane. Ma il terribile
presentimento che lo aveva colto fin dal primo istante si
rivelò fondato con il rapido diradarsi della nebbia
artificiale.
Akane non si trovava più di fronte a lui.
In compenso, una figura ingombrante stava allontanandosi di gran
carriera, issando sulle spalle una enorme sacca… delle
dimensioni di una persona.
Non capiva cosa stesse accadendo e, in tutta franchezza, non gliene
importava nulla.
No! Pensò
semplicemente. Non
ti perderò un’altra volta!
Lanciandosi all’inseguimento, Ranma non fu in grado di
scorgere il volto del rapitore, che gli dava le spalle. Tuttavia, la
poca visibilità non gli impedì di distinguere,
con suo immenso orrore, una figura e una corporatura inconfondibili.
Un panda?!