Anime & Manga > Soul Eater
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Autore: MrYamok    22/12/2010    2 recensioni
Maka vive in un mondo come il nostro, e, ogni mattina, scruta dalla finestra della sua camera per accertarsi che un grande pianoforte a coda nero sia sempre nello stesso posto.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blair, Franken Stein, Maka Albarn, Soul Eater Evans, Spirit Albarn
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Moonlight sonata Parte seconda – Your Hand Feels Reassuring

Quella notte dormo meno di chiunque altro al mondo. O nel vicinato, comunque sia. 
La signora della villa Tompson esclusa, lei restava sveglia da otto anni. 
La vedo ogni mattina passare la strada per andare al mercato, ed ogni mattina sembra che le abbiano iniettato la vitamina D direttamente nelle vene. È sempre arzilla e ogni volta mi saluta, forse agitando un po' troppo la mano rinsecchita -Ciao Maka!- 
-Ciao Maka.- mi ripeto come un automa. 
Il braccio che ho teso sopra la testa lo lascio ricadere, a peso morto. 
Non sono riuscita nemmeno a chiudere gli occhi. Semplicemente sono stata tutta la notte a fissare il soffitto, quasi incoscientemente. 
Ogni tanto mi alzo e vado a guardare alla finestra. La stanza di Soul è buia; non c'è nessuno alla sua finestra. 
Mi butto ripetutamente sulle coperte senza motivo. Sospiro. 
Sono le sei di mattina, ma decido di scendere ugualmente in cucina. 
Guardo con rammarico la confezione di latte: non mi va, non l’ho mai digerito la mattina. Forse è anche perchè non ne bevo che non mi “sviluppo”. 
Controllo la taglia del mio reggiseno: Una coppa B. 
Crollo sulla sedia, guardando in alto -Non è che a Soul piacciono le ragazze prosperose?- 
-A chi è che devono piacere le ragazze prosperose?- 
Scatto sull'attenti e afferro la sedia. 
Mio padre mi guarda assonnato. Per un attimo ho pensato fosse Soul spuntato da chissà dove. 
-Allora?- 
-N-Niente che ti riguardi, papà...- dico imbarazzata. 
-Sì, invece. Mi spieghi che ti succede?- 
-Insomma, lasciami in pace! Oggi devo uscire con un ragazzo.- 
-Cosa?!- 
Sbuffo appoggiandomi sul tavolo ed accendo la radio. 
“Buongiorno e benvenuti alle Shinigami News di oggi! Per oggi Lunedì 22 Novembre si prevede una giornata inaspettata! Il Sole splenderà e riderà tutto il giorno sopra di voi! 
E ora via con la prima canzone di oggi!” 
E “One” degli U2 parte dagli altoparlanti della radio. 
Sorrido e comincio a farmi un the a ritmo di musica. 


Esco di casa con la mia solita giacca di lana nera. La pecora nera. 
In effetti è proprio così, sono la pecora nera della mia classe. Anche se, in questo caso, la pecora nera non è più quella che studia poco.
Se non fosse stato per Soul e Blair forse mi sarei trovata a parlare solo con i miei libri. 
Al contrario delle persone, loro lasciano che gli parli e pianga con loro senza dire niente. 
Però forse qualcosa è cambiato. Non mi importa più degli altri. 
Finché c'era Soul, sento che tutto sarebbe andato per il meglio, e forse non mi avrebbero più presa in giro. 
Soul, dopotutto, è uno che si faceva notare. 
La casa di Soul è tetra come sempre. Suo fratello non è in casa. 
Almeno è questo quello che mi aveva riferito. 
Premo il campanello della casa-castello e un lungo suono si propaga nel silenzio mattutino. 
Al contrario dell'ultima volta, non si sente nessun rumore di passi. 
In realtà la porta non si apre e basta. Resto davanti a qual portone, indecisa se suonare di nuovo o no. Alla fine mi decido. 
Arrivo alla fermata dell'autobus con lo stesso vento che mi fa svolazzare i capelli di sempre. 
Non c'è.
Non ci penso, e nemmeno mi preoccupo. 
Soul poteva essere ovunque. Probabilmente si sarebbe svegliato tardi quella mattina, e non ha sentito il campanello. Oppure non è nemmeno in casa. 
L'autobus arriva dopo dieci minuti e mi approccio a salire. Do uno sguardo al lato sinistro del marciapiede. Non si vede nessuno. 
Salgo sull'autobus in silenzio. 
So che non c'è nulla di cui preoccuparsi. Soul mi aveva detto che ci saremmo visti quel pomeriggio, e io ci credo. 
Scendo dall'autobus, e mentre mi avvio verso la scuola capisco che quel giorno non sarebbe stato affatto semplice. 
Le mie compagne di classe mi guardano come se volessero legarmi a una sedia e lanciarmi in un lago. 
Che diavolo vogliono queste, ora, mi dico.
Una di loro mi si para davanti. -Ciao Maka.- 
Mi blocco, e non so come, ma comincio ad avere un brutto presentimento. 
-Cosa vuoi?- sbotto, stringendo di più il mio libro al petto. 
-Sembra che tu vada d'accordo con quel Soul Eater Evans.- 
-Forse.- mugugno, e cerco di oltrepassarla. La ragazza mi afferra per una manica e mi strattona indietro -Ferma, stronza. 
Il mio cuore comincia a battere come un martello pneumatico.
Avevo visto mille volte quelle scene in televisione, e ogni volta mi ero detta che per nulla al mondo mi sarei fatta mettere sotto da qualcuno che cercava di bullarmi. 
Eppure in quel momento sento le gambe tremare come dei rabdomanti. 
-Cosa vuoi, lasciami in pace!- 
La ragazza mi guarda sogghignando; non la sopporto. 
 –Non finché tu starai appresso a uno come Evans. Le sgualdrine e le sfigate devono rimanere ai loro posti.
Si mettono a ridere, sguaiate, come se fosse stata una battuta di Robin Williams. 
 -Io non farò proprio un cazzo, stronza.
Mi aspetto un silenzio teso, magari qualche faccia sbalordita e una bocca socchiusa, e invece la risposta è un pugno dritto sulla mandibola ed il rumore del mio corpo gracile sbattere contro gli armadietti scolastici. 
Il mio libro di astrofisica ruzzola per terra, gemendo. Le altre due ragazze mi prendono per le braccia. 
-Non me ne frega nulla di quello che vuoi o non vuoi fare, sei solo una secchiona sfigata.- dice l’altra tirandomi per i capelli. 
Le altre due mi lasciano andare. Mi lascio scivolare a terra come uno straccio. 
Respira, Maka, respira piano, mi dico. 
-Ti sei dimenticata il tuo pranzo, Maka.- la ragazza raccoglie il libro e me lo para sopra la testa. 
Credevo mi avrebbe colpito, invece, con un suono sgradevole, comincia a strapparmelo sopra i capelli. 
-Rassegnati. Soul Evans ti sta solo usando come passatempo, non gliene frega nulla di una come te, per cui stagli lontana.
Lascia cadere il libro, ridotto a brandelli, e se ne va velocemente, con le altre dietro. 
So quale reazione chimica sta per avvenire nel mio corpo, ma non ne sono sicura. 
Sto per piangere penso mordendomi le labbra Merda! 
Afferro il libro squartato e lo scaravento a terra –Stronze!- 
Mi risiedo con la testa fra le ginocchia. Non ho voglia di andare a lezione. Non voglio farmi vedere e deridere maggiormente. 
I miei capelli sono tutti scompigliati e sento la mandibola pulsare, il tutto aggiunto ad un irritante retrogusto di sangue in bocca. 
Entro nel bagno delle ragazze, non c’è nessuno, è la prima ora. 
Mi guardo allo specchio e noto un bozzo roseo sulla mia guancia, il mio libro di astrofisica mi guarda senza dire una parola. 
E Soul non c’è nemmeno. Scoppio a piangere. 
In quel momento spero che nessuno mi senta, ma quei bagni hanno un maledettissimo eco. 
E tra una lacrima e l’altra realizzo che la ragazza che mi ha picchiato ha ragione: Soul non sarebbe venuto. 
-Soul sei uno stronzo.- mi dico con una voce tremolante e irrequieta
Era uno stronzo, come tutti gli altri uomini.
Non avevo mai capito come la reazione di una ghiandola endocrina del cervello potesse unire un uomo e una donna. 
Sono stata una stupida ad affannarmi così per lui. 
Quindi mi chiudo in bagno e aspetto che mi passi quel respiro ansimante. Solo a ascoltarmi, mi viene da piangere ancora. 
Non ho mai odiato Soul come in quel momento, e non ho mai desiderato di averlo vicino a me come in quel momento. 
Quando esco dal bagno ho un aspetto orribile. 
Mentre cerco di scivolare via in silenzio, il dottor Stein appare per il corridoio. 
-Maka!- dice spalancando gli occhi –Che ti è successo?- 
Non voglio rispondere. Sono affari miei. 
-Allora?- 
-Niente. Ho preso un brutto voto.- 
-E il brutto voto ti ha anche provocato una contusione sul viso?- 
Cerco di andarmene , ma Stein mi afferra per il braccio –Maka aspetta…- 
-Mi lasci stare!- dico liberandomi dalla presa. Corro per il corridoio, verso il giardino. 
Spalanco la porta e sono fuori, immersa nel silenzio. 
Resto ferma per qualche secondo a fissare il vuoto e poi mi incammino verso la panchina. 
Mi siedo. Il vecchio bidello della scuola raccoglie le foglie con il rastrello a pochi passi da me. 
Non me ne accorgo subito, ma c’è una radio accesa che suona una musica stanca. È un pianoforte. 
Quasi non ci credo, mi alzo e do un calcio poderoso alla radio facendola cadere fra i cespugli 
–Maledizione!- impreco a denti stretti. 
Il bidello alza lo sguardo e mi guarda allibito –Ragazzina! Quella radio è mia!- 
Mi ritrovo nell’imbarazzo –Uh… io… non volevo…- 
-Voi ragazzi siete così maleducati…- sbuffa, andando a recuperare la radio –Ah, funziona ancora!
Tiro un sospiro di sollievo e mi siedo sulla panchina. 
Il bidello mi guarda con aria sconsolata e alza le spalle. Che dovrebbe fare dopotutto? 
-Qualcuno ti ha fatto arrabbiare, Maka?- 
-Lei come fa a sapere come mi chiamo?- chiedo alzando la testa. 
-Io conosco tutti i vostri nomi. Per un bidello che lavora da trent'anni nella stessa scuola... che passatempo credi che occupi il suo tempo, a parte pulire i corridoi e il giardino?
Rimango in silenzio, un po' esitante, di fronte a quella confidenza così diretta. 
-Non sarà...- inizia il vecchio -...quel ragazzo di cui parlano tutti?- 
-E che ne so.- dico secca. 
Non mi va di parlarne, nemmeno voglio sentire il suo nome. Vorrei che io e lui non ci fossimo conosciuti e basta. 
Forse sarebbe stato meglio per tutti e due. Soprattutto per me. 
-E dimmi...- continua il bidello raschiando il terreno muschiato -Cos'è che ti fa essere così irritata?-
Ci penso un po'. 
-Il pianoforte. Io odio il suono del pianoforte.- 
-Non è vero, il pianoforte è sempre stato il tuo strumento preferito.- 
-Cosa?- 
-Niente, niente.- divaga lui -D'altronde io sono solo un povero vecchio, che vuoi che ne sappia io del mondo dei giovani.
Il vecchio bidello appoggia il rastrello contro un albero e viene a sedersi di fianco a me. 
-Lascia che ti dica una cosa, però. Non giudicare mai le persone solo dagli abiti che portano o dalla capigliatura che hanno, e nemmeno da come parlano. 
Tutte queste cose, non sono altro che un lungo vestito. Un lungo vestito che nemmeno noi ci accorgiamo di avere, così ingombrante, che a volte ci impedisce perfino di camminare. 
Nessuno si mostra mai per quello che è, semplicemente perchè tutti si mostrano in confronto a quello che li circonda. 
Se una persona parla poco, non è perchè voglia dare fastidio agli altri o essere diverso, semplicemente vuole ascoltare. Non giudicare immediatamente Soul, dagli una possibilità in più.- 
Il suo nome non mi suona più così fastidioso, ora, ma come qualcosa di caldo e rassicurante. 
-Ma lei, però, come...- chiedo confusa. 
-Non farti troppe domande, Maka...- risponde sorridendo. 
Mi alzai e corsi a prendere il rastrello -Beh... Allora, farò come dice lei, credo.- 
Mi volto sorridendo un poco -Grazie della compagnia...- 
Ma il vecchio è sparito. Al suo posto, sulla panchina, ci sono solo una radio e un mucchio di foglie, che prese dal vento, volano via come scintille. 


Il nostro liceo non aveva mai permesso l'uso di motocicli al suo interno. 
Eppure, quel giorno, il rombo di una moto risuona in lontananza e si fa sempre più forte, fino ad un suono di una sgommata sulla ghiaia dell'ingresso davanti scuola. 
Non me ne accorgo subito, ma al rumore della sgommata, credo che metà degli studenti si siano voltati stupefatti. 
La moto è proprio venti metri da me. La guardo incuriosita come tutti gli altri, con il mio rastrello fra le mani. 
Il motociclista si toglie il casco, e nello stesso momento il mio cuore, finalista alle olimpiadi dei ventricoli, preparatosi sul trampolino, si esibisce in un triplo carpiato all'indietro. 
Solo che invece di sparire nell'acqua con un “pluf”, da una gran spanciata. 
Soul scende dalla moto e si guarda intorno. Aveva finalmente deciso di usare quella moto, oramai piena di polvere, ma per farla funzionare aveva dovuto portarla dal meccanico, non capendone nulla di motori. 
Questo io non lo posso sapere. Ho desiderato con tutta me stessa di uccidere Soul fino ad un istante prima, ma ora sento la mia mente ripulita da qualcosa. 
-Soul...- dico quasi gridando, ma la mia voce si smorza subito. 
Una tremenda fitta al cuore mi blocca. Mi hanno minacciato, mi hanno picchiata. 
Che cosa devo fare? 
Soul mi guarda, non capendo. 
-Maka...- 
-Vai via...- sussurro. 
-Cosa?- 
-Ti prego, non stare vicino a me.- 
Soul rimane con la bocca socchiusa. Non posso dirglielo, ma voglio togliermi comunque un dubbio. 
-Maka, si può sapere che ti prende? Sono venuto qua per... e questo cos'è?- 
La mano di Soul mi sfiora la contusione sulla guancia. Provo un brivido. 
-Niente.- dico togliendogliela bruscamente. 
Sono lì, ormai ho il cuore che sembra una lavatrice con la centrifuga. 
So che quelle ragazze mi stanno guardando. 
-Soul...- dico balbettando -Perchè con me?- 
Soul rimane in silenzio, lo sguardo sconcertato. 
-Voglio dire...- dico ridacchiando -Ci sono un mucchio di ragazze che aspettano da anni di essere in una situazione uguale alla mia con te.- 
Alzo la testa -Io non sono bella. 
Il suo sguardo mi perfora e mi fa imbestialire allo stesso tempo. 
-Non sono prosperosa, sono antipatica, piatta, il mio unico passatempo è leggere dei libri ammuffiti che nemmeno i nostri professori leggono, sono egoista, egocentrica, non mi piace troppo la musica, sono possessiva, perchè Soul?!- 
Non ho la minima idea di quante persone ci stiano ascoltando, ma sinceramente non mi interessa più. Non mi interessa nemmeno che mi stiano fissando quelle stronze, mentre crepano di invidia. 
Soul continua a guardarmi, senza dire nulla, probabilmente non ha neppure capito cos'era successo. 
-Rispondimi!- urlo violentemente, ma non ottengo una risposta. 
Merda, ancora... I miei occhi iniziano a bruciarmi come delle lampadine. 
Che fare quindi? Improvvisamente quella scena mi sembra un dolce finale di un film, ma non permetto che sia tale. Corro via, sbattendo contro la gente. Non riesco a vedere bene. 


Come entro in biblioteca, mi lascio cadere contro un muro. 
-Signorina, si sente bene? Vuole che chiami un dottore?- dice allarmata la vecchietta bibliotecaria. 
-No... va tutto bene...- dico stancamente. 
C'è un unico aggettivo per definire questa giornata. È mezzogiorno, e non ci voglio pensare neanche. 
Trovo un tavolo vuoto e ci appoggio la mia cartella. Allora tiro fuori i libri e li spargo uno vicino all'altro. 
Li guardo, senza aprirli. 
Molta gente definisce l'amore in molti modi. Ci sono coloro che lo definiscono romantico, coloro che lo chiamano “la porta d'accesso alla felicità”. Non ci credo. Non è solo quello. 
L'amore è anche una reazione prodotta da una ghiandola endocrina del cervello, è l'istinto di sopravvivenza, è qualcosa che uccide la gente. 
Io mi sento come uccisa, come denudata dei miei vestiti, derisa da una moltitudine di voci che dicono “Povera Maka, che pena Maka, che esagerata Maka.”
Io amo Soul Eater Evans, ma probabilmente non glielo avrei mai detto. 
E lui lo avrebbe immaginato, ma, comunque, avrebbe fatto finta di niente, perchè è questo che sanno fare gli uomini quando vogliono evitare qualcosa: Fanno finta che non esista. 
Apro il mio immenso libro e ci poggio la testa sopra. Ha un dolce profumo di colla. 
Ancora una volta, anche quel giorno, mi rifugio nel mio mondo polveroso e cartaceo, per sfuggire a quel fastidioso sentimento, e allora provo a cantare, così come un brutto anatroccolo diventato cigno che canta, triste, fino alla sua morte.
   
 
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