Capitolo 1
Willgrave
Lane
Se
c’era una cosa che Lisan sapeva fare alla perfezione, oltre trascorrere intere
nottate insonni davanti al televisore a ingozzarsi di cioccolato, quello era
rubare: per quel motivo si trovava lì, in quell’afoso ristorante che si
affacciava su Piazza del Campo, senza una meta ben precisa né un motivo che la
spingesse del tutto ad agire. Era come bloccata, paralizzata dagli eventi che
erano accaduti troppo velocemente.
Due
giorni prima si trovava a Los Angeles, rintanata nelle cantine di in ufficio di
assicurazioni automobilistiche nel quale era stata costretta a nascondersi.
Ed
ora, a distanza di appena quarantotto ore, le sue All Star logore stavamo
calpestando il pavimento ben lucidato di
uno dei locali più eleganti di Siena.
Tutt’intorno
a lei c’erano soffitti affrescati, camerieri in uniforme dall’aspetto rigido e
ben curato e carrelli ricolmi di secchielli di ghiaccio, bottiglie di Chianti e
piatti da portata decorati.
Molti
clienti l’avevano osservata come si osservava un moscerino particolarmente
fastidioso. Come biasimarli?
Lisan
non si cambiava da due giorni; aveva addosso una giacca di due taglie superiori
alla propria, i suoi capelli castani erano umidi e stopposi e le ricadevano
disordinatamente sul viso. Non l’avrebbe sorpresa il fatto che qualche
cameriere, di lì a poco, si sarebbe avvicinato per invitarla ad andarsene.
Ma
non sarebbe successo. Non quel giorno.
*°*°*°*°
I
fari della Giulietta illuminavano la scia di asfalto che correva dritta attraverso
i vasti campi di vigneti, immersi in un sottile strato di nebbia mattutina.
L’alba
stava facendo capolino alle spalle delle colline toscane, dei campi di girasoli
in fiore e dei pochi casali in pietra sparsi sulle alture, tingendo in cielo di
una delicata sfumatura rosata. I suoi raggi iniziavano a lambire le terre del
Chianti; esse splendevano di un immenso fascino antico che nessuno, in quel
tratto di strada deserta, avrebbe mai potuto scorgere.
Harry
adorava l’aria frizzantina che si respirava al sorgere del sole e il dolce
profumo di erba appena tagliata. Il vento che sibilava attraverso il finestrino
gli scompigliò i capelli corvini, riportandogli alla mente le giornate di
Hogwarts trascorse a studiare Storia della Magia nel parco della scuola insieme
a Ron ed Hermione.
E
spostò d’istinto lo sguardo sulla plancia dei comandi, dove una foto fissata
con lo scotch capeggiava al di sopra del computer di bordo. I volti dei suoi
due amici, sorridenti nelle loro nuove uniformi del Ministero della Magia, gli
restituirono lo sguardo. Erano abbracciati nell’atrio principale del Ministero
durante il primo Anniversario della Caduta del Signore Oscuro, periodo di
grandi festeggiamenti nel mondo dei maghi.
Harry
sospirò.
Erano
trascorsi nove mesi dal giorno in cui era stata scattata quella fotografia.
Quel piccolo pezzo di carta aveva attraversato tre continenti, due oceani,
almeno quaranta città differenti ed un discreto quantitativo di chilometri.
Harry
tornò a concentrarsi sulla guida.
Le
quindici torri medievali di San Giminiano svettarono nel panorama in fondo alla
valle, illuminate dai fiochi raggi dell’alba.
Durante
il periodo medievale più fiorente di San Giminiano le torri erano più di
settanta: ogni famiglia nobile ne possedeva una come dimostrazione del proprio
prestigio, arrivando a litigarsi per chi edificasse la torre più alta.
La
pensione nella quale Harry soggiornava si trovava in prossimità della Torre
Rognosa, la più alta rimasta in piedi.
Dopo
aver varcato le vecchie mura perimetrali del borgo, parcheggiò l’auto e
proseguì a piedi con la sola compagnia di qualche gatto randagio e del
frastuono fastidioso provocato dalle pulitrici che percorrevano le strade.
La
pensione si chiamava “
Harry
comparve nel piccolo ingresso in pietra della pensione quando l’orologio appeso
alla parete della repection segnava le cinque e venti del mattino. Il
campanello che sormontava la porta accompagnò il suo ingresso con un tintinnio rumoroso.
Pochi
istanti dopo, una figura minuta avvolta in una spessa vestaglia color topo
sbucò dalla porta dietro il bancone. << Signor Evans.>> lo salutò
la titolare della pensione che, nonostante gli occhi gonfi di sonno, riuscì a
rivolgergli un sorriso cordiale.
<<
Mi dispiace molto di averla svegliata.>> si scusò Harry.
<<
Non si preoccupi.>> La donnina si alzò in punta di piedi per raggiungere
il quadro di legno della reception sul quale erano appesi diversi mazzi di
chiavi. Parlava un inglese discreto, la sua voce rassomigliava ad uno squittio
acuto. << Dirò alla ragazza delle pulizie di non disturbarla, questa
mattina. Avrà intenzione di riposare.>>
Harry
la ringraziò tacitamente con un sorriso mentre riceveva le chiavi della propria
stanza. << Buona giornata.>>
mormorò in italiano, per poi sparire su per la rampa di scale. La stanza numero
117, l’unica delle dieci disponibili ad essere occupata, si trovava al secondo
piano dell’edificio ed era poco più grande del suo vecchio sottoscala di Privet
Drive. L’arredamento era semplice e ben curato, gli unici elementi di mobilio
erano il letto ad una piazza e mezza sistemato in un angolo, affiancato da un
minuscolo comodino e da un armadio. Le due finestre che si affacciavano sulla
strada principale erano alte e schermite da lunghi tendoni color porpora.
Nonostante
fosse completamente solo, si accertò che nessuno lo stesse osservando; poi
estrasse la bacchetta da una tasca interna del giubbotto e la posò sul
comodino.
Il
sole era quasi sorto. Un forte raggio di luce penetrava attraverso lo spiraglio
della finestra, illuminando un triangolo del parquet ai suoi piedi.
Aveva
bisogno di qualche ora di sonno, di una doccia e di qualcosa di più sostanzioso
del sandwich trangugiato di fretta la notte precedente.
Harry
si rese conto di essere esausto. Si sfilò i vestiti mentre avanzava stancamente
verso il letto, abbandonando i jeans e il maglioncino sullo schienale di una
sedia.
Rimasto
in boxer, si lasciò cadere all’indietro sul materasso. Una sensazione di
torpore lo invase dalla cervicale fino alla punta dei piedi.
L’ultima
cosa che vide, prima di sprofondare in un sonno profondo, furono i volti
sorridenti di Ron ed Hermione che gli sorridevano alle spalle dell’atrio
principale del Ministero della Magia.
*°*°*°*
Due
figure comparvero dal nulla nell’oscurità di un vicolo, avvolte in lunghi
mantelli neri che lambivano le loro caviglie.
Da
qualche parte, in lontananza, il rumore di una sirena. Tombini scoperchiati e
ratti solitari facevano da sfondo ad un quartiere di periferia decadente,
illuminato solo dal fioco bagliore dei pochi lampioni posti ai lati del
marciapiede.
<<
Fa freddo.>> mormorò la prima figura con voce roca, stringendosi nelle
spalle tremanti.
<<
Ti scalderai camminando, Marcus.>> disse di rimando Hermione Granger.
Marcus
Flint emise un suono a metà tra uno sbuffo ed una risata. << Perché ci
siamo smaterializzati così lontano?>>
<<
Trovo bizzarro che il sottosegretario più giovane del Wizengamot non abbia mai
letto Storie di Hogwarts.>>
Hermione non riuscì a trattenere un sorriso ironico. << A meno che il
signor Gildeus Flint, che curiosamente coordina l’Ufficio Assunzioni del
Ministero, non abbia ritenuto superfluo spiegare al figlio un concetto
fondamentale della Smaterializzazione.>> Il sorriso si fece ancora più
ampio quando Marcus Flint, tremante nel suo mantello ricamato in oro, la
osservò con gli occhi attoniti di uno studente impreparato all’interrogazione.
<<
In presenza di incantesimi protettivi posti ai confini di un territorio, non è
possibile smaterializzarvisi al suo interno.>>
Lo
sguardo dubbioso di Flint non cessò con la sua spiegazione.
<<
Come ad Hogwarts.>> soggiunse Hermione. << Perciò dovremmo
proseguire a piedi. Tieni il passo. Abbiamo poco tempo.>>
S’incamminarono
l’uno di fianco all’altra lungo il sentiero che conduceva su un’altura lontana
dal centro abitato. Si lasciarono l’umida periferia alle spalle, percorrendo
per quasi un’ora una strada provinciale che sfociava nell’aperta campagna.
Nessuno
dei due parlò.
Marcus
Flint le arrancava alle spalle con il suo passo goffo e dinoccolato.
Si
vociferava che suo padre avesse stretto importanti amicizie con i Mangiamorte
ai tempi della Seconda Guerra, ma era stato prosciolto dal Wizengamot ancor
prima dell’inizio del processo. La pace non era bastata a sollevare il marciume
dal Ministero.
Imboccarono
un sentiero che si snodava dalla strada principale addentrandosi nella fitta
vegetazione di un bosco. Gli alberi nel cuore della notte avevano un aspetto
spettrale, si piegavano ricurvi con le loro forme minacciose sui malcapitati
passanti.
Flint
accelerò il passo e, in pochi istanti, le stava camminando accanto.
<<
Siamo arrivati.>> disse Hermione, dieci minuti più tardi.
In
una radura persa nella boscaglia si nascondeva un piccolo edificio in pietra
dal tetto alto e spiovente. Un mulino di legno sulla facciata principale
roteava lentamente, attingendo l’acqua gorgogliante dal fiumiciattolo che
attraversava la radura, proseguendo a zigzag fino ad addentrarsi fra gli
alberi.
Attraversarono
un ponte di corda e giunsero in prossimità del portoncino d’ingresso.
Hermione
diede un’occhiata fugace a Marcus, alle sue spalle. Poi bussò tre volte.
<<
Parola d’ordine.>> disse una vocetta stridula dall’altra parte
dell’uscio.
<<
Polpette di Drago.>>
Lentamente,
la porta cigolò sui cardini e si aprì.
In
equilibrio precario su una grossa pila di volumi polverosi, nel tentativo di
osservare il loro arrivo dallo spioncino, c’era un piccolo e gracile elfo
domestico.
Non
appena ebbero varcato l’uscio, la creaturina balzò giù dalla scaletta
improvvisata e sprofondò in un immenso inchino. Il suo naso adunco sfiorò il
pavimento.
<<
Benvenuti a Willgrave Lane, signori.>> I suoi occhi a palla rotearono su
Hermione e, per qualche breve istante, la scrutarono con meraviglia. <<
Signorina Granger, il Capo degli Auror del Ministero della Magia!>>
squittì. E si chinò ancora, prostrandosi quasi ai suoi piedi. << E’ un
onore conoscerla!>>
Un
sorriso gentile si aprì sul viso di Hermione, che mantenne con fatica il
portamento professionale.
Prima
di diventare Auror aveva lavorato un anno nell’Ufficio Regolazione e Controllo
delle Creature Magiche, occupandosi in prima linea della salvaguardia dei
diritti degli Elfi Domestici.
<<
Il piacere è mio.>> rispose all’elfo. << Come ti chiami?>>
<<
Dobby, signorina!>> squittì, facendola trasalire. << Mio padre era
il migliore amico di Harry Potter. E’ morto per salvarlo.>> Il piccolo
Dobby si sistemò il lurido straccio che indossava come vestito. I suoi enormi
occhi divennero lucidi. << Dobby è onorato di averne ereditato il nome.
Anche lei era presente quando il padre di Dobby è morto, signorina! Lei ha
aiutato Harry Potter a sconfiggere il Signore Oscuro!>>
Marcus
Flint inarcò acidamente un sopracciglio. << Questa storia è molto
commovente, sul serio. Ma abbiamo del lavoro da sbrigare.>>
Hermione
si morse un labbro. Ebbe la tentazione di colpire Flint con un incantesimo Cresciverruche. Ma in fondo quell’idiota
aveva ragione: avevano poco tempo a disposizione prima di rientrare al
Ministero.
<<
Accompagnaci dal tuo padrone, Dobby.>> si limitò a mormorare.
Avrebbe
voluto prolungare la conversazione con il piccolo Dobby, invece fu costretta a
seguire l’elfo domestico attraverso uno stretto corridoio. Sbucarono in un soggiorno
ampio dalla forma quadrata. La pareti in pietra erano decorate con arazzi e
quadri antichi. Un fuoco scoppiettante ardeva nel grande camino di pietra,
attorno al quale erano sistemati un divano e due grosse poltrone in pelle nera.
Una
delle poltrone era occupata. Hermione poté distinguere una chioma di capelli
biondi ben pettinati che faceva capolino dallo schienale.
<<
Siete in ritardo.>> disse Draco Malfoy.
Quando
si alzò e percorse i pochi passi che lo separavano dai due, Hermione parve
essersi dimenticata di quando fosse alto.
Indossava
dei pantaloni eleganti in tweed, un maglioncino color prugna sotto il quale
faceva capolino il colletto ordinato di una camicia.
Rispetto
a Marcus, più robusto e goffo nei movimenti, Draco appariva come una figura
distinta, dal portamento aristocratico e austero tanto simile a quello di
Lucius Malfoy.
Gli
occhi di ghiaccio di Draco la scrutarono per qualche lungo istante, e fu come
se fosse percorsa da una scossa elettrica. Poi, lentamente, il ragazzo le porse
la mano. << Granger.>> mormorò. << Dopo la Caduta del Signore
Oscuro, non ho avuto mai più l’onore di incontrarti, comandante.>>
<< Comandante ad interim.>> precisò Hermione. La sua voce le risultò piò acuta
del solito. Se la schiarì nervosamente. << Sostituisco il Capo degli
Auror in carica durante la sua assenza.>>
Draco
annuì distrattamente. Si spostò verso Marcus Flint e lo salutò con un abbraccio
che le risultò quasi fraterno.
Flint,
prima di staccarsi, gli diede alcune pacche amichevoli sulla schiena.
<<
Accomodatevi.>> Draco indicò loro il divano vicino al camino con un ampio
gesto del braccio.
Hermione
prese posto nell’angolo più lontano, sedendo composta con la schiena rigida
come un manico di scopa.
Marcus,
invece, che sembrava trovarsi perfettamente a proprio agio in quell’ambiente,
vi si lasciò cadere comodamente.
<<
Mi dispiace avervi disturbato nel cuore della notte, ma ci sono alcune
importanti questioni di cui vorrei parlare con il Ministero.>> disse
Draco, che sedette sulla sua poltrona. << Tra due settimane inizierà
l’anno scolastico. Non c’è molto tempo.>>
<<
Molto tempo per cosa?>> domandò Hermione.
Draco
non si preoccupò di guardarla. Tenne gli occhi fissi sull’amico, come se lei
fosse un semplice e garbato componente dell’arredamento.
<<
Tre anni fa il Wizengamot nel Grande Processo contro i Mangiamorte ha
condannato ad Azkaban centoventidue persone, tra le quali figuravano molti miei
parenti.>> Draco fece una piccola pausa, osservando le fiamme ardenti del
camino. << Dopo la caduta del Signore Oscuro, prima di diventare docente di
Pozioni a Hogwarts, mi sono costituito volontariamente ed ho testimoniato
contro i Mangiamorte. Ho nominato almeno una cinquantina di sostenitori di
Voldemort. Mio padre, mio zio Ezius, i miei cugini di secondo grado corrotti
che lavoravano al Ministero. E molti altri.>>
Marcus
annuì in silenzio, ricordando in prima persona quei momenti.
<<
Secondo il protocollo standard di protezione del Ministero, in quanto Testimone
Protetto, ti è stata assegnata un’opportuna protezione fin dai tempi del
processo.>> disse Hermione. << Non è stata sufficiente,
forse?>>
Draco
scosse il capo. << Non sto parlando della mia protezione, ma di quella di
mia madre.>> Si passò nervosamente una mano nei capelli. << Temo
che le possa accadere qualcosa.>>
<<
Anche Narcissa Malfoy è stata assegnata al Programma di Protezione Testimoni
del Ministero.>> fece eco Hermione.
<<
Lo so, maledizione. E solo che…>>
<<
Hai ricevuto delle minacce?>>
Hermione
lo osservò attentamente e non ebbe bisogno di una sua risposta per capire di
avere ragione. Le pupille di Draco si dilatarono e, per un attimo, parve
abbandonare il muro austero dietro il quale si stava nascondendo. Aveva paura.
Glielo lesse in ogni più piccola espressione del volto.
Draco
annuì impercettibilmente.
<<
Minacce?>> Flint sobbalzò sul divano.
<<
Ti conviene informarci, in questo caso. Ogni particolare potrebbe essere
importante.>> convenne Hermione. << Non sei tu a tenere le redini
del gioco, e noi non siamo qui per divertirci. Rappresentiamo il
Ministero.>>
Draco
prese a torturarsi le mani, piegandosi in avanti sulle ginocchia come un cane
rabbioso. I suoi occhi s’illuminarono d’ira, e non bastò il bagliore del camino
ad affievolire la rabbia che emanavano.
La
sua lotta interiore era palpabile. Se Draco Malfoy aveva deciso di mettere da
parte l’orgoglio per lasciarsi aiutare da una mezzosangue divenuta capo degli
Auror, probabilmente la situazione era ben più grave del previsto.
<<
E va bene.>> sospirò infine Draco. << Vi racconterò tutto.>>
*°*°*°*°