White
Il cimitero di Osaka non
somigliava a quello di Tokyo. Innanzitutto, a terra non vi erano odiosi
sassolini, ma sentierini sterrati, nei quali i piedi camminavano con tranquillità.
Sulle lapidi non vi erano foto di volti sorridenti, ma solo nomi incisi sulla
pietra, ormai scavati dall’erosione della pioggia. Sembrava di essere in un
altro tempo. I tuoni e i lampi del temporale incombente servivano a rendere la
storica atmosfera ancora più spettrale.
Ai camminava calma tra quelle
lapidi, come se fosse un parente in visita e non una ricercata in fuga dai suoi
assassini. Fissava la strada sterrata di fronte a lei con pazienza clinica,
osservando ogni singolo filo d’erba che spuntava. La vita, pensò, somigliava
a quello, ad un campo d’erba, che poteva venire calpestata con noncuranza, a
prescindere dal fatto che fossero fili ormai ingialliti o boccioli freschi. Lei,
come andava definita? Sentì picchiettare sulla sua testa, prima dolcemente,
quindi sempre più forte.
Pioveva, o, per meglio dire,
stava per scatenarsi un temporale. Ai, nonostante la sua intelligenza e il suo
passato, era in fondo un umano come tutti gli altri, quindi ritenne opportuno
ripararsi. In parte lo trovava strano, perché la morte non avrebbe fatto
differenza tra cadaveri asciutti e bagnati, eppure reagì per istinto.
Ultimamente lo stava utilizzando troppe volte e questa cosa la sconvolgeva.
Prima che la pioggia potesse
diventare troppo forte, si diresse verso l’unica tomba di famiglia presente in
quel cimitero e che, fortunatamente, aveva la cancellata aperta. Prese fiato per
la leggera corsa appoggiando le mani sui gomiti. Si voltò verso l’ingresso,
osservando la leggera striscia di fango che le sue impronte avevano lasciato.
Alzò le spalle. Quello non sarebbe stato nulla, rispetto al sangue.
Rispetto alle solite tombe di
famiglia, bianche e pulite, circondate di angeli e Madonne, quella era scura e
cupa, più somigliante all’entrata del castello di Dracula. La dimora perfetta
per una giovane demone. Per curiosità scientifica, nulla di più, si diresse a
leggere i nomi scritti sulle lapidi centrali, illuminati dalle fioche fiammelle
dei ceri di chiesa. «Miroku Miyano…» Le parole gli si strozzarono nella
gola. «Miyano?» ripetè, facendo risuonare la sua voce chiara sulle pareti
nere. «Cosa significa?» Omonimia. Non potevano esserci altre spiegazioni.
I tuoni le risuonavano nelle
orecchie, aumentando ancora il caos che aveva nella mente e impedendole di
sentire qualunque rumore esterno. I lampi, invece, illuminavano ancor meglio le
lapidi, mettendo in luce il cognome “Miyano” che risultava scolpito su
ciascuna iscrizione.
Vi fu però un rumore che Ai non
poteva non sentire. Era stato con lei fin da quando era bambina e non sarebbe
mai riuscita a dimenticarlo. Uno sparo. Un colpo di pistola che risuonò
nell’aria tra un tuono e un altro. Ai alzò la mano per appoggiarla sul cuore,
sospirando. Scosse la testa: era sempre stata più fortunata di sua sorella, che
aveva dovuto passare interminabili minuti in compagnia della morte.
Non sentendo dolore, spostò la
mano e la osservò leggermente. Niente sangue, solo il fango del cunicolo per il
quale era scappata. Decise di girarsi. La luce dei ceri bastò per mostrale una
figura sdraiata a terra, pancia in giù, come se l’avessero colpita mentre
stava entrando nella tomba. Annusando l’aria, poteva sentire l’odore del
sangue appena versato. Inconfondibile come sempre.
Paura. Un brivido le attraversò
lo stomaco, mentre vedeva una figura nera avvicinarsi pericolosamente,
gocciolante e pericolosa, proprio come Dracula. Quel posto stava diventando
troppo affollato. Una ventata gelida spense tutti i lumini, lasciandola
completamente al buio, mentre con gli occhi della mente poteva sentire il sangue
uscire delicatamente dal cadavere ai suoi piedi e spandersi sul pavimento,
proprio come l’olio del supermarket. Ai fu tentata di immaginarsi come la
protagonista di un film horror, tenendo fra le mani la parte del demone
sconfitto dalla cacciatrice. Così era lei la cattiva, per loro.
Un lampo improvviso squarciò le
tenebre, permettendo ad Ai di vedere la figura, con la pistola puntata nella
mano sinistra, i capelli e la lunga gonna nera gocciolanti di pioggia come i
fiori mattutini per la rugiada, la bocca sottile stretta in una strana smorfia,
gli occhi verde acqua concentrati per vedere al meglio nell’oscurità.
Black Russian, ovviamente. Ai
abbassò lo sguardo, cercando di tenerlo però lontano dalla macchia scura che
rischiava di arrivare alle suole delle sue scarpe. Vi erano solo una cosa che la
rendeva felice. Almeno, non sarebbe stato Gin ad ucciderla. Non avrebbe avuto
quella soddisfazione. In quel momento, sperò con tutte le sue forze che
l’aldilà non esistesse, perché non sarebbe mai stata nello stesso posto di
Akemi, così sarebbero davvero state separate per l’eternità. Anche Akemi era
un angelo, proprio come l’altra.
«Perdonami, Kodou-kun…» sussurrò fra le labbra, in modo che nemmeno lei stessa potesse sentirlo. Non sarebbe riuscita a riportarlo da lei, perché non era riuscita a trasformasi, come lui, tempo addietro, le aveva detto.
Poiché non accadde nulla per
alcuni minuti, Ai rialzò lo sguardo, sorpresa. Black Russian aveva riposto la
pistola nella fondina nascosta sotto la gonna e adesso si stava solo
preoccupando di riaccendere i ceri sulle lapidi, come se accanto a lei non vi
fossero né una bambina bionda né un cadavere ancora caldo.
Finito il lavoro sulla parete
destra, Black Russian si alzò e osservò con espressione curiosa quella
bambina.
«Non vuoi uccidermi?» deglutì
Ai, maledicendosi di aver fatto una domanda così stupida.
«No» Alzò le spalle la donna,
tornando ad occuparsi dei lumini. «Dovrei?»
«Si, se fai parte
dell’Organizzazione» ribattè la bionda. Tutti quei nomi firmati Miyano la
stavano sconvolgendo. Si spostò, evitando il cadavere, per farle spazio sulla
parete. «Black Russian, giusto? Ti ho visto… Al cimitero di Tokyo, quello
dove Akemi…»
Allora la donna rise ed era una
risata chioccia, quasi soffocata. «Oh, certo, mi ricordo. Peccato che io non
sia Black Russian» Si voltò verso Ai, staccando l’accendino rosa che teneva
fra le dita callose. «Il mio nome in codice è White Russian»
***
Lo sguardo di Conan divenne
ardente, tanto che Heiji, sistematosi al suo fianco, temette di vederlo prendere
fuoco per una combustione spontanea. «Smettila!» gridò, arrabbiato per
quell’atteggiamento così calmo. «Dimmi dov’è Ai! Se l’hai uccisa…»
Sentì che Ai, per lui, era diventata come Watson per Sherlock Holmes. Ma
sarebbe stato disposto ad uccidere, per lei?
«Come potrei farlo?» replicò
allora Ken, con uno stupore così esagerato da sembrare falso. «Io sono dalla
sua parte»
«Si, come no» mormorò fra i
denti Heiji. «Non hai negato di essere Ken Tokaai, fratello del defunto Shiro
Tokaai» Gli sembrava di essere uno sceriffo del Far West, che doveva mediare
tra un bambino e uno dei migliori pistoleri d’America. «Che motivo avresti
avuto per trovarti un nome in codice, se non facessi parte
dell’organizzazione?»
«Io non faccio parte
dell’Organizzazione» scandì lentamente le parole, con una durezza che
lasciava trasparire un odio profondo. «Nemmeno mio fratello» Si strinse la
testa fra le mani, scotendola tristemente. «Se lo hanno ucciso, è per colpa
mia…»
I due detective sbatterono le
palpebre, continuando a non capire. Era così abile da fingere ed inventare sul
momento una storia così impossibile da essere ritenuta vera? «Senti…» iniziò
Heiji, che detestava i tipi lugubri come lui, ma Conan lo fermò. «Spiegati
meglio» Non sapeva per quale motivo, ma sentiva per istinto che quell’uomo
non faceva parte dell’Organizzazione. Forse anche lui aveva imparato, come Ai,
a percepire il loro odore, l’inconfondibile striscia di sangue che emanavano
quelli come Gin. Quello che lei non possedeva, proprio perché non era come lui.
«Come avete detto, il mio nome
è Ken Tokaai» iniziò allora l’uomo, cercando di ricomporsi. «Frequentavo
la High School di Osaka, ed è lì che ho conosciuto lei» Sorrise, in un modo
dolce e infantile. «Ci siamo innamorati, come capita spesso a quell’età e
abbiamo proseguito la relazione anche all’università.» Li osservò di
sottecchi, notando le loro espressioni di attesa. «Sarebbe andato tutto bene,
se la mia ragazza non fosse stata Akemi Miyano»
Conan sputò l’aria fuori dei
polmoni. «Akemi? La sorella-»
«La sorella maggiore di Shiho, o
Ai, come la chiami tu» finì Ken per lui. «Per questo non potrei mai farle del
male… E’ l’unica cosa che Akemi mi ha… lasciato, in un certo senso»
Guardò lontano e, per un secondo, in quegli occhi Conan vide Ran, la sua Ran,
che pensava a lui. Quindi diceva la verità, perché quello sguardo non mentiva.
«Cosa c’entra tuo fratello con
questa storia?» chiese allora, fiducioso. «E cosa sai dell’Organizzazione?»
«Solo quello che mi ha detto
Acchan, che non è né poco né molto» rispose Ken, sibillino. «Mi raccontò
di appartenere a questa Yakuza quando io cominciai a parlare di matrimonio» La
sua bocca assumeva sempre forme strane, in conformità ai ricordi che gli
affioravano alla mente. «Decisi di aiutarla, perciò accantonai ogni
prospettiva futura e mi dedicai al presente. Lei, per proteggermi, iniziò a
chiamarmi col nome di mio fratello… Per questo, dopo aver ammazzato lei, hanno
ucciso anche lui, credendolo me» Deglutì. «L’unica maniera per ridurre i
miei sensi di colpa era aiutare Shiho, ma nelle mie condizioni non potevo fare
nulla per lei…»
Gli sguardi di Conan e Heiji
erano indecifrabili. Nessuno dei due parlava.
«Fortunatamente, ho incontrato
Russian» proseguì allora Ken, titubante. «Lei mi ha aiutato, fornendomi una
nuova identità e una nuova vita… Così, abbiamo iniziato a controllare Shiho,
per essere sicuri che non potessero trovarla, nemmeno per sbaglio…» Sorrise
vagamente. «In realtà sono stato molto contento di sapere che c’è qualcuno
al suo fianco…»
«Russian?» ripetè Heiji. «La
Russian del cimitero?»
Ken riflettè, grattandosi il
mento. «Suppongo di si… Quando io sono andata a portare il girasole sulla
tomba di Acchan, ho visto le bocche di leone… Poteva averle portate solo
Russian, perché nemmeno Shiho sapeva quanto Acchan si divertiva, da piccola,
con le bocche di leone…»
«Ma Black Russian vuole uccidere
Ai!» esclamò Conan.
«Già, proprio così…» annuì
Ken. «Per questo non volevo che Shiho venisse a Osaka, perché avrebbe potuto
incontrarla…» Vedendo le loro espressioni interrogative, fece un risolino
divertito. «La Russian che intendo io, e che è andata a cercare Shiho, non è
“black”» Si alzò, stiracchiandosi. «E’ White Russian e ama
profondamente Shiho. Non potrebbe mai ucciderla»
***
«Io sono White Russian» ripetè
quella donna, pensando che il tuono avesse offuscato la sua voce, come una
cascata copre il suono delle gocce di pioggia.
Ai scosse la testa. Aveva sentito
la frase precedente, nonostante il rumore del temporale che ancora imperversava,
ma era rimasta in silenzio perché ancora non capiva. Esistevano due Russian,
quindi? Un altro lampo squarciò il cielo nero con la sua luce sfolgorante,
permettendole di osservare il corpo ancora caldo ai suoi piedi, simile ad
un’isola in un lago di magma caldo, le mani allargate come in un disperato
gesto di resa, il viso, per metà a terra, aperto in un strana smorfia tra il
dolore e la felicità, i capelli lunghi ormai rossi. «Ge-gemelle?» comprese
finalmente, nell’istante che precedette il tuono, nascondendo la sua
affermazione. «Hai ucciso tua sorella, nata dallo stesso ovulo…» La voce
incrinata tradiva un ricordo interno che non avrebbe voluto risvegliare. In
fondo, visto che Akemi era morta per strapparla all’Organizzazione, era come
se l’avesse uccisa lei. Poco importava che non fosse stata lei a premere il
grilletto.
«Si» rispose White Russian
senza alcuna esitazione, accendendo l’ultimo cero. «Però era lei la
maggiore, o almeno così mi hanno detto»
Ai alzò la mano, sfiorando il
leggero graffio che l’orologio di una delle due gemelle le aveva inferto sulla
guancia. Osservazione e deduzione, come diceva Sherlock Holmes. La donna del
cimitero era mancina, perché portava l’orologio al polso destro, quindi non
poteva essere quella che l’aveva salvata da Gin poco prima, altrimenti non si
sarebbe spiegata la sua ferita sulla guancia sinistra. «Eri tu, al cimitero…»
mormorò.
«Esatto» assentì White Russian.
«Portavo i fiori sulla tomba di Acchan»
Un brivido di rabbia attraversò
il corpo di Ai, ma grazie al suo autocontrollo riuscì a dominarlo. Prima aveva
bisogno di altre risposte. Le aveva detto che non la voleva uccidere, ma non si
fidava affatto, finchè aveva tempo, doveva sapere. Colpa della curiosità
patologica degli scienziati, probabilmente. «Gin ti ha chiamato “Black”…»
«Oh!» White Russian si voltò
verso di lei, con la bocca sottile piegata in un’espressione stupita. «Non mi
sono accorta che mi avevi seguita…» Poi sorrise, con un sospiro talmente
leggero da essere più silenzioso del rumore dell’erba che spunta. «Ti avevo
visto alla tomba, ma non ti credevo così intraprendente. Sarei dovuta stare più
attenta»
«Stavi aspettando me, quel
giorno?» “Acchan” doveva essere Akemi. La lingua di Ai prudeva per sapere
chi in realtà fosse questa donna, che si prendeva così tanta confidenza con
sua sorella.
«Ammetto questa mia debolezza»
Lei saltò con una mossa agile il cadavere, quasi fosse un semplice ostacolo
durante una corsa di atletica. «Ancora non capisci, vero? Gli scienziati devono
sempre cercare una spiegazione a tutto, prima di capire che non esiste una
spiegazione a tutto» Alzò gli occhi al cielo, quasi con esasperazione, ma un
sorriso sottile le attraversò il volto. «Questa volta esiste, però. Vuoi
sentire una bella favola?» Ai non rispose, ma continuò ad osservare quella
donna, negli occhi dello stesso suo colore.
Allora, White Russian iniziò. «Circa
sedici anni fa – odio questo tipo di imprecisioni, d’altronde sono una
matematica, ma tant’è…» Fece un risolino leggero, come un battito d’ali
di farfalla. «Mia sorella ebbe un incidente aereo e di lei si persero tutte le
tracce. A quel punto io, che avevo deciso di scomparire, presi il suo posto,
trasformandomi da “White” a “Black”» Aspettò che Ai le chiedesse una
spiegazione, ma lei rimase in silenzio. «Circa un anno fa, poco dopo la morte
di Acchan, mia sorella è tornata. Era finita in coma a causa dell’incidente e
si era risvegliata solo qualche mese prima. All’Organizzazione ora servivo
nuovamente come studiosa, visto che tu eri scappata, perciò perdonarono il mio
piccolo imbroglio» Sorrise, ma era un sorriso forzato. «Solo che, a causa di
ciò, nemmeno Gin, che pure si crede così intelligente, riesce a distinguerci,
perciò capita che mi finga ancora mia sorella» Sorrise di nuovo, finalmente un
sorriso autentico. «L’unica cosa che ci distingue –ci distingueva, in
effetti, è che io sono mancina, mentre lei no…»
La bionda bambina osservò ancora
una volta il cadavere, ora illuminato debolmente da tutti i ceri a stelle del
firmamento, quasi fosse un agnello sacrificale di una messa satanica. Una ruga
le attraversava la guancia, di fianco alle labbra. Nonostante il nome, non era
White a sorridere, ma Black. Eppure, lo sentiva, i suoi erano sorrisini ironici,
conformemente a tutte le regole dell’Organizzazione. «Lei mi ha salvato da
Gin… Perché, quindi, voleva uccidermi?»
«Per vendetta» Fece una strana
smorfia. «Uno dei moventi più noiosi…»
«Vendetta» ripetè Ai. In
questa situazione, avrebbe dovuto essere lei, quella con un simile desiderio, ed
un simile motivo per uccidere. Eppure, aveva paura di farlo. Le avevano
insegnato che uccidere non era sbagliato, ma chi stabiliva che la loro logica
fosse autentica?
Visto che la bambina non parlava,
fu direttamente Black White a spiegarle la situazione, come una maestra che
risolve un problema di quinta elementare. «Io ho ucciso suo figlio. Ho ucciso
il figlio di mia sorella»
Ai spalancò gli occhi,
rivolgendoli nuovamente verso di lei. Quella donna non le faceva paura, né
pena. La inquietava. Sembrava una persona come tutte le altre, tranquilla e
calma, invece era un’assassina capace di uccidere a sangue freddo persino le
persone a cui era legata dal sangue, sempre che, nel XXI secolo, avessero ancora
qualche valore.
«L’ho fatto per una buona
ragione» aggiunse. Aveva sul volto un’espressione colpevole, ma che risuonava
quasi falsa.
«Esistono?» domandò Ai
fiaccamente.
«Giudica tu» L’espressione
cambiò repentinamente, diventando aggressiva. «Come ben sai,
nell’Organizzazione trovano sempre il modo per farti eseguire gli ordini»
Sorrise beffardamente. «Mi comandarono di uccidere mio nipote. Chiaramente, non
avevo per nulla voglia di farlo. Era sempre un mio parente, dopotutto. A quel
punto, mi ricattarono. “Qualcuno deve morire. Se tu non ucciderai il figlio di
Black Russian, allora ci penseremo noi ad uccidere…» Esitò, continuando a
guardarla negli occhi. «…tua figlia”»
Iniziò a camminare a grandi
passi in circolo. «Era ancora in fasce a quei tempi… Era tutta colpa mia,
perché sapevo che diventare madre in quelle condizioni non sarebbe stato
facile… Ho preferito uccidere mio nipote piuttosto che veder farmi ammazzare
la figlia» Le scoccò un’occhiata di infinita tristezza. «Disprezzami quanto
vuoi…» Si bloccò, abbassando lo sguardo, mentre i capelli neri le
ondeggiavano attorno come le lancette di un pendolo. «Se mi sono finta mia
sorella, è anche per lei… Sai, mio marito non faceva parte
dell’Organizzazione, perciò le mie figlie, visto che ne ho avuta un’altra,
tre anni dopo, non erano considerate delle purosangue… Mi avevano già ucciso
il marito, non potevo permettermi di perdere anche loro…» Si bloccò ancora.
«Hai capito, vero?»
Ai scosse la testa. Probabilmente
aveva capito, ma si rifiutava di crederci. A cosa serviva, quindi, la
comprensione se mancava la fede? Risultava nulla di più che una semplice
lettura, come un matematico incapace di risolvere un’equazione solo perché,
pur sapendolo, ritiene il teorema inutile allo scopo.
Allora, White Russian si chinò verso il cadavere, accarezzando la guancia che andava raffreddandosi con le nocche delle dita. «Prima che l’Organizzazione ci dividesse, noi eravamo la stessa persona in due corpi diversi» mormorò, come se non stesso più parlando a lei. «Le gemelle Miyano» Mordendosi il labbro e cercando allo stesso modo di sorridere beffardamente, aggiunse «Yumi e Yuki Miyano» Si rialzò, scostando le ciocche nere carbone dagli occhi di Akemi. «Che tu ci creda o no, sono tua madre»
Note di Akemichan: Reviews: Kari1:
Ciao ^^ Grazie della recensione. Anche io adoro Ai ed Heiji, invece Kazuha non
mi piace troppo, la trovo un po' troppo gelosetta, ma fa nulla ^^ Sono contenta
che la storia ti piaccia. Bye ^^ MelanyHolland:
Ciao ^^ Grazie della recensione. E io che pensavo che quella battuta fosse
banale! Mi fa piacere che ti abbia divertito ^^ Spero che la risoluzione di
tutti questi interrogativi, in questo capitolo, non ti abbia delusa ^^ E il
codice mi domando più come abbia fatto a capirlo Conan... ^^ Rispondi alla
recensioni per la nostra storia, appena poi, così vedo se riesco a pubblicarlo
prima di natale. Bye ^^ Ginny85:
Ciao ^^ Grazie della recensione. Sai, non vedendo una tua recensione prima,
avevo paura che la storia non ti fosse piaciuta, mi fa piacere sapere che non è
così ^^ La perfezione... Non credo, ma apprezzo il complimento ^///^ Comunque
no, ho cambiato idea, non sono più una Conan/Ai (ho trovato un ragazzo ideale
per lei *_*), ma, dato che Ran non è all'apice delle mie simpatie, non riesco a
scrivere troppo su di loro. preferisco scrivere di Ai, che amo *_* Ma non
preoccuparti, so quanto Conan ami Ran, e non potrei mai farlo finire OOC per non
far soffrire Ai, purtroppo ç_ç Ma vedrai come risolverò questa questione
spinosa ^_- Quando all'altra storia, aspetto le risposte alle recensioni di
Melany e poi lo pubblico... perciò non so precisamente quando, spero prima di
natale ^^ Bye ^^
Ciao
a tutti ^^ Lo so, quest'ultima rivelazione (con cui spero di avervi, almeno un
poco, sorpreso) fa molto Star Wars, ma volevo assolutamente fare una storia in
cui Ai, che ha sempre pensato di essere sola al mondo, dovesse confrontarsi con
sua madre. Mi piaceva studiare la sua reazione (che si vedrà nel prossimo
capitolo, ovviamente ^_-), anche se non so se sia venuta bene... Spero di si! E
spero anche che la storia non sia risultata noiosa e banale, con questa trovata
del ragazzo e della madre.
White
e Black Russian sono due alcolici, ma non ho idea di che cosa consistano. Li ho
solo letti su un menù in un pub (io sono astemia, figuriamoci ^^'') e da lì ho
preso l'idea delle gemelle. Per questo non potevo parlavi prima dell'ispirazione
che avevo tratto. Effettivamente, qualcuno che avesse conosciuto i due alcolici
avrebbe potuto capire subito.
Il
prossimo capitolo lo pubblicherò giovedì 23, non mi sembra il caso di
pubblicarlo la vigilia di natale ^^'' E sarà anche l'ultimo. Sette, come al
solito ^^ Bye e grazie per aver letto la storia ^^