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Autore: past_zonk    23/12/2010    5 recensioni
Matthew viveva di poco, sopravviveva più che altro, respirava solo un po’ e gli bastava. Al vecchio lercio Matt bastavano un letto e dei pensieri suoi da accarezzare e da riporre nel comodino al momento giusto. A lui bastavano degli scomparti rossi nelle cassettiere incasinate che formavano il suo cervello, gli scomparti di ricordi giovanili/ post-pubertà che pulsavano ancora di veridicità.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In procinto d’essere.
 
 
Non potete capire il peso di un’ossessione. Quando certe convinzioni cominciano a strisciarti sottopelle, piano, come serpenti sibilanti che ti sussurrano parole d’odio. Non potrete mai capire, voi, quanto può far male la luce diretta del sole, e quanto il ripudiarla mi faccia collassare. Come una stella troppo vecchia e gravida d’elio e idrogeno e gas e luci e mille altri componenti che ballano nel suo nucleo malato d’emicrania. Ecco come mi sento, costantemente gravido d’idee, costantemente malato, insano. Certe volte, cerco di nascondermi nel mio stesso profilo, di affondare fra pelle e maglioni di lana, di sprofondare dietro un sipario di capelli. Non per il mondo –mio dio- quanto per gli sguardi. Occhi inquisitori che t’entrano dentro e non vogliono lasciare la presa su di te. Odio gli sguardi. Ci sono quelli materni, che ti vorrebbero dire ‘mangia, caro, sei uno scheletro.’, quelli amichevoli che pensano che non possono far altro che volerti bene e quelli ‘d’amore’ che ti cingono il cuore e lo bramano a vita, succhiandolo come fosse un frutto oppure un dolce natalizio;
Pochi hanno presente la triste sensazione d’essersi troppo impiastricciati di vita; quasi fosse una marmellata appiccicosa, sulle  mani, sulle labbra…ovunque.
Sì, ok, esistono tante cose positive e belle. C’è il tramonto; ma precede la sera e il buio. C’è il sorriso, ma una volta consumatosi muta in una normale maschera di neutralità.
Il mio pessimismo cronico non ha precedenti; neanche quando ero proprio nero di dolore.
Luogo comune: il periodo più brutto della mia vita è stato quando i miei si son separati. Non è affatto vero!. Ero un ragazzino, e per me non c’era cosa più cazzuta di vivere in casa solo con mia madre (e Paul che praticamente non esisteva e che se esisteva era più paragonabile ad un paramecio che ad un uomo). Comandavo, fumavo, mi facevo di tutto e non ero mai a casa. Praticamente ero il “dio” non solo della mia camera fatta di Tour Eiffel di cicche di sigarette, ma anche dell’intera casa poco illuminata e troppo umida, più umida delle nuvole del nord Inghilterra.
Pensavo male; probabilmente, ora, ci soffrirei di più. Ora, nella pozza grigia di pessimismo cronico, ci affogherei fino ai capelli e riemergerei dopo un bel po’ di tempo. Sono una radio sintonizzata male. Per quale altro lontano motivo, allora, ora starei riflettendo sul male della mia vita da star ricca e viziata? Non sono più io.
Matthew viveva di poco, sopravviveva più che altro, respirava solo un po’ e gli bastava. Al vecchio lercio Matt bastavano un letto e dei pensieri suoi da accarezzare e da riporre nel comodino al momento giusto. A lui bastavano degli scomparti rossi nelle cassettiere incasinate che formavano il suo cervello, gli scomparti di ricordi giovanili/ post-pubertà che pulsavano ancora di veridicità.
Il primo bacio; la prima volta; le liti con professori; la prima vera volta in cui suonò su un palco.
Viveva di prime volte. La prima volta che provò la paura, l’amore, la gioia, la gelosia, la tristezza, la sensazione di non essere nulla, di non valer poco più d’un granello di sabbia. Erano sensazioni cosmiche, esistenziali, che riempivano i suoi pensieri pre-dormita e che lo scuotevano dal sonno di mattina presto, quando con occhi rossi da –“che cazzo vado a fare oggi a scuola?” – si guardava allo specchio.
Era una bella vita, perché pensavo a vivere alla giornata, pensavo di poter per sempre ignorare lo sguardo della ragazza più bella (per me ed i miei strani gusti) che sfiorava appena le mie guancie completamente glabre e poi ritornava a guardare le nuvole, impegnate in un moto gonfio e rigonfio. C’erano le rapine. M’acquattavo nel buio d’un lampione fulminato, strisciavo e mi mimetizzavo nel nero pece della notte; le auto erano la mia specialità. Ricollegavo i cavi giusti e partivo ‘a marcia indietro’ fino al rivenditore bastardo, che mi dava pochi soldi per un auto, e che minacciava di denunciarmi alla polizia se avessi preteso più denaro (ricordo che sputava parlando). Da quando conobbi Dom in poi è storia; anche se la frase ad effetto non rende, in questo caso.
La mia ossessione, quella della quale parlavo alla prima riga, è la morte.
Ho una porca paura di morire. Non di scomparire da questo mondo, di dissolvermi nell’aria, o chissà cosa. Io ho paura di essere dimenticato.
Un giorno, verrà un uomo al nostro concerto e mi sparerà dritto in fronte, fra le urla della folla, fra gli occhi verdastri di Dom e il basso di Chris che sbatte in terra. Io, la scena, la posso vedere riflessa nei miei occhi. La immagino nei minimi particolari, quasi fosse una macabra profezia della quale aspetto solo l’avverarsi. Si parlerà di me. Dominic Howard e Christopher Wolstenholme faranno una conferenza stampa e piangeranno e Dom, forse, non si capaciterà di ciò che è successo. Mi vuole un gran bene. Chris non parlerà, non più. Dopo qualche mese dovrà far finta d’essersi calmato per sostenere la colonna di dolori di Dom. Non vorrei sembrare egocentrico, facendo soffrire nei miei pensieri così tanto Dom, ma io lo so che sarà così. Perché se solo lui morisse (guarda cosa mi tocca pensare!) io non mi riprenderei. Chris, anche se mi vuole bene in egual modo di Dom, soffrirebbe meno, per forze superiori quali: figura paterna generale di troppe persone, figli & non figli.
Dicesi pensieri intricati come rovi, o forse addirittura di più.
Le mie mani sono eleganti, mentre suono il piano. Mi piacciono. Corrono veloci sui tasti, aleggiano a mezz’aria durante le pause e poi ritornano ad accarezzare la madreperla del Kawaii. I miei occhi tendono a chiudersi. Mi piace suonare Chopin; lo trovo divino, oltre questa realtà…capace di far rinascere fiori. Enfatico, potente e raffinato, mi ricorda le foglie che cadono o il vento che alza le gonne o il gelo che ti screpola le labbra. Mi ricorda l’arte romantica. Non credo d’essere completamente ateo, soprattutto quando ascolto Chopin; può essere davvero questa perfezione, questo candore, nato dal nulla? Da forti scontri di molecole e gas? Da esplosioni? .
Dal rombo mostruoso del Big Bang sorse Chopin, ed allora la sua musica rischiarò tutto; pianeti nascenti, comete e meteoriti. Fece impallidire per un attimo il Sole, e arrossire madama Luna.
Domani cadrò dal cielo lucente che m’ero costruito con assi dipinte d’un azzurro posticcio.
Cadrò giù e con un rombo esploderò nel disegno cubista del mio artista preferito;
In mille schegge colorate, in mille sensi.
E questa società, troppo vecchia per dettare leggi, esploderà in un vecchio Caravaggio tenebroso.
Perché in fondo siamo qui a protestare inutilmente contro le regole della natura. A testare su di noi profumi odiosi, in qualche profumeria nauseabonda.
Vorrei che la guerra finisse, che la gente sparisse. Per natale voglio una dose endovena di ignoranza. Di anestetico. Di saliva.
Natale è qui. La neve cade, corposa, mi sfiora il viso. Esiste. Sembra troppo piccola, eppure è capace di sfiorarti e di ‘farsi sentire’.
E lui, l’amore, un segnalibro fra i miei pensieri.
Un dannato segnalibro che segna la linea di confine fra me ed un’altra persona, frutto di freddi inverni e notti e letti e pelle.
Amore, attorno a me nient’altro che il freddo insediatosi con forza sotto le mie unghie, freddo che lo proclama detentore di questi luridi pensieri da inscatolare.
Sul mio diario adolescenziale scrivevo:
‘Sai, mio disperato alterego. Certe volte vorrei esplodere d’emozione, abbandonare la mia vecchia pelle d’apatia e penetrare in un corpo seviziato di passioni. Rinascere nel caldo insopportabile d’un primo pomeriggio. Vorrei fumare e bere e cadere e rialzarmi e baciare.’
Ora dov’è il mio amore adolescenziale?; le sensazioni che tanto invocavo?.
M’ha appannato come si fa con il finestrino. Sui fianchi c’è la condensa causata dal suo soffio caldo e umido d’alito. Sapeva di chewinggum tardo adolescenziale. Sapevi di zucchero e manna e spago doppio.
Ricordo Teignmouth fredda e callosa. Con i nasi rossi e i maglioni alti.
E anime fredde e dolore e solitudine e un amico e due amici e una band e un’ancora di salvezza.
Teignmouth sarebbe sparita via nel cesso, per me, quindici anni fa. Ma ora, ora la stringo a me. Più forte. Come se fosse l’assurdo pretesto per continuare a respirare, per respirare più forte la passione con Dom e Chris, per riemergere e suonare, suonare. Quando sul palco le luci si accendono il mondo scompare. I problemi si spengono.
La mia gabbia toracica s’apre e il mio vero cuore spicca il volo, in pasto a riff famelici.
Mi ricordo ancora di te; non preoccuparti, don’t worry. Di te mi ricordo.
Ti avvicini sempre più a me, con sguardo di sfida.
E brina fra i capelli, e labbra viola e dita gelide. E mi guardi, con il fiocco rosso che ti strozza e cela il tuo pomo. T’inchini con gesti suntuosi e mi premi sul petto una sigaretta per niente asettica.
Mi bruci il velluto e compri una ciocca dei miei capelli. Profumi di neve sciolta, di pellicola, di coca cola. Di menta piperita, di flauto, di dita, di conchiglie, di cera, di mare, di pelle morta, di saliva e labbra screpolate.
Mordi dentro.
Ricorda che qui dentro esisti ancora, ti direi.
Ma ora basta; fa freddo, il naso mi gocciola e le mani si sono pietrificate.
Dopotutto nessuno può salvarmi, se io non tendo la mano.
Se non mi lascio pescare, se non mi lascio uccidere dall’aria per poi aspirarne.
Non posso pretendere salvezza, se m’accascio nelle rughe del mio corpo.
Non piangere, mi dici.
Che poi sei il primo a piangere per i tuoi dolori, mentre un po’ del mio furore vola via.
Basta riflettere. Fa freddo.
Se non erro avevi una stufa nel tuo appartamento londinese. Verrò. Verrò solo per la stufa; giuro.
 
 
 
Spazio dell’autrice.
Salveee! Beh, sì. Lo so che ho Breathe da continuare (se dio vorrà) e che sono rompipalle e che mi volete tutti uccidere. Ma devo dire che l’aria natalizia ispira.
Beh, spero vi piaccia e spero che non sia noiosa. Sono delle strane riflessioni di Matt in prima persona. Bah…
Auguri di buon natale, cioccolatini.
Loooooooooooooooooooooooooooooooove. ♥
   
 
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