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Autore: Nakara86    24/12/2010    1 recensioni
Storia partecipante al Phantom of the Opera Contest, indetto da GiulyRedRose e Kenjina
Erik, il famigerato Fantasma dell'Opera, non è più ricercato e dopo quasi un anno dall'incendio del teatro è tornato a vivere nei suoi sotterranei. La sua quiete però, non durerà a lungo perchè la sua vita verrà scombussolata dall'arrivo di un angelo e dal fantasma del suo eterno amore: Christine, ormai Viscontessa, intrappolata in un infelice matrimonio con il suo principe azzurro Raoul. I destini dei personaggi si intrecceranno inaspettatamente, uniti da un omicidio del passato che ha toccato, in modi diversi, le vite di tutti loro.
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera a tutte ragazze, con questo capitoletto vi auguro buon Natale! Un bacio.
Nakara
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Passò quasi tutta la notte a controllare che le sue trappole non fossero state sabotate da nessuno ed infatti erano tutte perfettamente funzionanti. Non riusciva a spiegarsi come fosse possibile che quella ragazza fosse arrivata fin lì senza un graffio e senza paura. Evidentemente il Fantasma dell’Opera stava perdendo colpi, così decise di tornare al suo organo a comporre. Suonò l’ennesimo lugubre requiem che la sua mente era riuscita a partorire ma a metà esecuzione, fece cadere la copertura sulla tastiera e si portò le mani alle tempie. Da quando la sua dolce musa era fuggita sembrava che l’ispirazione l’avesse abbandonato. Probabilmente sarebbe stato più salutare per lui smettere di cercare conforto nella sua musica perché quando ci provava, la sua pena si alzava dalle bocche dello strumento amplificata, straziandolo e distruggendolo ad ogni nota.
La timida luce dell’alba invase la sua grotta dandogli il buongiorno. Un buongiorno amaro, come tutti quelli che da qualche mese a quella parte si erano susseguiti. I bracieri erano ancora accessi e così pensò di tentare di riposare almeno un po’.  Si era appena mosso verso il letto quando inciampò  mettendo il piede su qualcosa che sembrava di tessuto. Abbassò lo sguardo incuriosito ma sembrava che non ci fosse niente. Mosse la mano alla cieca vicino a dove aveva appena appoggiato lo stivale e sentì sotto le dita qualcosa di morbido e caldo. Lo sollevò alla luce rigirandoselo tra le dita per cercare di dare un senso a quel enorme pezzo di lana che giaceva per terra. Sembrava un mantello, un bel mantello anche. Era di lana nera, pregiata e morbida. Doveva essere anche molto caldo a giudicare dal flebile calore che amava anche dopo una notte per terra. Quella ragazza doveva averlo perso e forse l’aveva rubato chissà a chi. Se era così, aveva portato a segno un bel colpo! Gli dispiacque quasi pensare che aveva perso quel cappotto fantastico per causa sua. Ma tutti i suoi sensi di colpa svanirono nel nulla quando si rese conto che la fibbia della mantella era d’oro massiccio e riportava…
“Il Blasone degli Chagny!” esclamò furibondo.
Quel animale doveva averla mandata o per controllarlo, o per farlo trovare e farlo uccidere. In preda ad un raptus distruttivo, strappò il blasone d’oro dal tessuto pregiato e lo lanciò nel braciere davanti a lui, con tanta foga che rischiò di farlo rovesciare. Poi buttò il cappotto per terra lanciandogli sopra il contenuto di brace rovente.
“Maledetto!” urlò il musicista dando un calcio al contenitore di metallo e facendone saltare la copertura. Il legno annerito ancora avvolto dalle fiamme bruciò in poco tempo quel cappotto non lasciando altro che cenere.

“E’ successo qualcosa piccola mia?” le chiese sua madre osservandola critica.
Non le piaceva essere osservata così e nemmeno amava avere segreti con sua madre, non tanto per il rapporto che aveva sempre avuto con lei, ma perché era in grado di scoprire qualunque cosa. Si era sempre domandata come facesse, poi si rispose che forse, negli anni passati con un uomo taciturno come lo era stato Erik, aveva imparato a scoprire tutto da sola. Era sempre stata una donna intelligente ed in quel momento, niente era più scomodo di una madre intelligente!
“No, niente madre, sono solo un po’… stanca.” Rispose Meg.
“Ma se ti sei appena alzata!” rispose cercando di mantenere un tono leggero.
“Si, ma intendevo che devo ancora svegliarmi bene…” rispose la giovane tormentando il tovagliolo davanti a lei. Poi sua madre la osservò ancora.
“Sei sicura che vada tutto bene? Sai che se vuoi parlare, con me puoi farlo…”
“No, madre non voglio parlare. Non ho niente di cui parlare! Se lo volessi fare lo farei ma non ho niente!”
“Suvvia Meg, lo sai che a me non puoi nascondere niente…”
Si lo sapeva. “Non ho niente da nascondere!” ringhiò la giovane.
“Ah, bene… ti vedevo così seria ed ho pensato…”
“E’ questo che sbagliate, non dovete pensare!” la interruppe la giovane, ed abbandonando parte della colazione tornò in camera sua lasciando sua madre attonita.
Questa guardò la domestica e le disse “Ma cosa ho detto questa volta?”
“Madame, vostra figlia ultimamente è un po’ suscettibile. Magari è scontenta per il futuro che si vede davanti…”
“Oh, Cècile! Non riesco a pensare ad un futuro migliore da offrirle…” disse rassegnata la donna.
“Madame, vostra figlia è giovane ma non è più una bambina, magari ha solo i suoi piccoli segreti… come tutte le donne…”
“E’ questo che mi preoccupa… io e lei non abbiamo mai avuto segreti…”

Meg era sul letto, tremante e preoccupata. Sapeva che sua madre non le avrebbe perdonato tanta sfacciataggine e per un attimo accarezzò l’idea di dirle tutto. Non ce la faceva a tenersi dentro quel segreto e la gioia che quel amore le stava donando. Ma non poteva! Non quando quel uomo era il marito di Christine, la ragazza con cui era cresciuta e che era per lei come una sorella. Si buttò sul letto e tutto ad un tratto le sembrò di riuscire a capire cosa avesse spinto Erik, Il Fantasma dell’Opera, tanto oltre. L’amore! Un amore cieco ed incondizionato, tanto forte da spingerlo a fare pazzie, proprio come lei. Per amore stava tradendo la persona che aveva più cara al mondo. Sprofondò il viso nel cuscino ma non pianse. La sua mente era troppo occupata da mille pensieri per potersi ricordare anche di piangere. Sentì lo stomaco contorcersi poi qualcuno bussò alla sua porta.
“Meg?” chiese la voce di sua madre.
“Entrate madre…” disse, sedendosi sul letto pronta a prendersi le sue responsabilità.
“Madre io…”
“No! Non voglio sentire una sola parola di più uscire dalle tue labbra.”
“Mi dispiace…” sussurrò la giovane.
“Si, lo so, ma sei troppo grande per prenderti due ceffoni quindi non lo farò…”
Meg divenne sempre più piccola. Le punizioni - non punizioni, di sua madre erano il castigo peggiore a cui era stata abituata crescendo. Voleva dire che aveva rovinato il rapporto e che ci sarebbe voluto tanto tempo per far rientrare tutto.
“So che c’è qualcosa che ti turba, ma non ti chiedo di mettermene a parte se non vuoi. - Disse fredda la madre - Ti chiedo solo un minimo di rispetto. Se tu stai male, sto male anch’io e non c’è niente di peggiore che vedere soffrire le persone a noi care senza poter fare niente per aiutarle. Sai che io sarò sempre qui, pronta ad ascoltarti finché sarò viva. La tua colazione è ancora sotto se vuoi mangiare… Io devo uscire.”
E detto questo, Eloise Giry uscì.

“Madame! Madame! Venite a vedere!” sentì Elenoire urlare.
Christine, preoccupata, corse da lei.
“Cos’è successo?” chiese.
“La giovane bionda…”
“Le è successo qualcosa?”
“E’ scappata…”
Christine allora corse verso la stanza che l’aveva ospitata ed entrò. Il letto era ancora da fare ed i suoi abiti puliti erano ancora lì, sulla sedia dove glieli aveva lasciati. Si mosse all’interno della stanza e notò un foglietto piegato abbandonato sullo scrittoio. Sopra c’era scritto “ Per Christine.”  La ragazza allora lo aprì e lo lesse.

“ Vi ringrazio Madame per la vostra disponibilità, ma non posso proprio stare qui con voi. Mi dispiace.
Grazie per le premure che mi avete  riservato, non saranno mai dimenticate.
Con gratitudine .”


La lettera non era firmata, c’erano solo una nota ed un violino stilizzati a conclusione di esso.
“Se ne è andata sul serio…” disse.
“Così pare, Madame…”
“Ma perché?”
“Non saprei Madame, probabilmente non è abituata a tante attenzioni ed ha preferito tornare alla sua vita…”
“Non dire sciocchezze Elenoire, quale essere umano preferirebbe la vita di strada ad un letto caldo ed un tetto sopra la testa?!”
“Non so rispondere Madame, probabilmente non aveva intenzione di stare qui a lungo.”
“Non avevo intenzione di farla stare qui tanto… non se non avesse voluto almeno! Ma comunque, non preoccuparti Elenoire, torna pure di sotto io… io controllo che tutto sia a posto.”
La domestica allora abbandonò la sua padrona e scese di sotto a preparare la colazione al Visconte.
Christine ora era sola in quella stanza ad osservare pensosa quella lettera.
“Chi sei giovane musicista? Perché avevi il violino di Erik? - si chiese osservando il foglietto - e soprattutto, perché sei scappata?”

Erik si stava muovendo per la prima volta tranquillo per i corridoi dell’Opera chiedendosi perché avesse voluto dare fuoco al suo Regno. Fino a poco tempo prima non poteva muoversi liberamente per quei sfarzosi corridoi, ed ora che invece poteva farlo, l’aveva ridotto ad un cumulo di cenere. Uno scheletro annerito e lugubre, dentro il quale l’odore della morte e della paura aleggiavano ancora per i suoi corridoi. Non era ancora riuscito a calmare la furia che la vista di quel blasone aveva risvegliato in lui, una furia cieca, di quelle che solo il Fantasma conosceva, non Erik.
Quella volta invece era stato Erik a provarla, riversandola anche sulla giovane che era riuscita a sfuggire ai suoi trabocchetti ed a scovare il suo nascondiglio.
“Dannazione! Non avrò mai pace!” urlò lui osservando una scheggia di vetro lunga ed affilata che giaceva sul pavimento. Per un momento pensò al gesto più estremo. Nessuno avrebbe sentito la sua mancanza, nessuno avrebbe mai scoperto il suo cadavere. Sarebbe stato divorato dai corvi, come una carcassa qualunque, a prescindere dal suo volto sfigurato dalla nascita. Avrebbe suonato un altro requiem quel giorno e l’idea di farlo non lo allettava affatto. Sentiva la mancanza di quell’ ispirazione buona, dolce e delicata come la sua Musa. Avrebbe voluto risentire la sua voce, solo una volta… una volta ancora. Ma le sue preghiere non erano mai state esaudite da quel giorno. Anzi, a dire il vero, non gli risultava che le sue preghiere fossero mai state esaudite in vita sua. Fu con l’umore nero che tornò verso il suo antro, là dove il suo organo ed il suo violino lo attendevano. Poteva quasi immaginarseli smaniosi di sentire ancora le sue mani addosso. Rise di quel pensiero poi entrò n
el camerino della prima donna per raggiungere i suoi sotterranei.
  
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