Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: MrEvilside    27/12/2010    2 recensioni
Stranamente, ogni singolo inverno, in quel giorno preciso, in quel luogo dimorava il silenzio.
E nel silenzio echeggiava Claude.

[per la community Syllables Of Time]
[I classificata al contest Il giorno che mi cambiò la vita indetto da DominoWhite]
[Claude/Alois]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alois Trancy, Claude Faustas
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Immaginiamo un “e se…?” in cui Claude non ha ucciso Alois: semplicemente, una volta arrivato sufficientemente vicino a Ciel Phantomhive, ha cancellato il Contratto con il conte di Trancy – la domanda “perché hai ucciso Alois Trancy?” gli viene posta comunque nel labirinto di rose, poiché “l’omicidio” è inteso come assassinio del cuore di Alois. Durante lo scontro finale con Sebastian, Claude non muore, tuttavia riconosce, come nell’anime, che forse Alois meritava di essere divorato.
Immaginiamo che la fanfiction si svolga dieci anni dopo tutto questo, in un ipotetico ritrovarsi di Claude e Alois.
Prompt utilizzati: Hurt (Christina Aguilera), vento forte, sciarpa, Io non colgo i fiori: chi vuole ammirarli deve venire a vederli sulla pianta: non appassiti e morti nei vasi (La polizia bussa alla porta) ~ Per il contest. Indugia sulla punta della lingua ~ Per la community Syllables Of Time.

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On The Tip Of The Tongue Butler
 
Seems like it was yesterday when I saw your face
( If only I knew what I know today )
 
Alois avvolse strettamente la sciarpa viola attorno al collo e premette la bocca contro la sua stoffa per ripararsi dal vento freddo che spirava quella sera.
Nuvole ingrassate dalla neve avevano inghiottito la luna, le stelle e forse anche il rumore, poiché il giovane non riusciva ad udire nemmeno lo scalpiccio dei suoi piedi sul terreno. Non il più piccolo tra gli insetti, non il più insignificante degli animali.
Il conte si fermò innanzi un antico albero dal tronco spesso, si aggrappò con ambo le braccia al pomello del bastone da passeggio e rovesciò la testa all’indietro, verso il cielo scuro.
Quella notte vidi la luna, rifletté e levò una mano a sorreggere il cappello, in procinto di scivolare giù. Questa notte lui non verrà a salvarmi, come non è venuto in questi ultimi dieci anni.
Stranamente, ogni singolo inverno, in quel giorno preciso, in quel luogo dimorava il silenzio.
E nel silenzio echeggiava Claude.
Ogni sua parola, ogni deferente yes, Your Highness, poteva sentire persino ogni gesto, come fosse stato una melodia nostalgica al suo orecchio.
«Houhe o Taraluna, Ron de Rotarel» accarezzò con la voce la sciarpa calda.
Oramai di quella frase era rimasta soltanto l’accezione di sciocca filastrocca per bambini, adesso che Claude non rispondeva più ad essa; tuttavia era sempre sulla sua bocca, indugiava sulla punta della sua lingua e inevitabilmente, ogni anno, almeno una volta si perdeva in quel silenzio così fitto che Alois stesso quasi non si udiva pronunciarla.
«… Houhe o Taraluna, Ron de Rotarel».
Il giovane sussultò.
D’improvviso il silenzio sembrava essere stato rimpiazzato da qualcos’altro: una presenza, un respiro quasi inesistente, la filastrocca mormorata a fior di labbra.
O, per meglio dire, il silenzio si era reincarnato in Claude, che adesso sedeva accanto a lui, perfettamente uguale a com’era stato dieci inverni prima, e lo guardava come per ammonirlo – si sta facendo tardi, dovremmo tornare alla magione, padron Alois –, come se non se ne fosse andato mai.
«Houhe o Taraluna, Ron de Rotarel».
Nemmeno se ne avvide, il conte, d’averlo ripetuto ancora: era stato un riflesso incondizionato, un qualcosa di giusto che semplicemente andava fatto, perché quella frase era parte di lui – Claude era parte di lui – ed era come se, qualora il demone avesse risposto, avesse potuto sincerarsi in quel modo che fosse davvero lui e non mero frutto di un’immaginazione istigata da un cuore malato che invocava quel nome da anni – Claude, Claude!
Quasi a voler imitare la sua posizione, Claude distolse lo sguardo dal suo – che lo rifuggiva, temendo il distruggersi dell’illusione – e l’affisse sul cielo nero.
«Houhe o Taraluna, Ron de Rotarel, Your Highness».
Soltanto allora Alois l’osservò a lungo, in silenzio, e ritrovò il suo volto esattamente com’era e come sarebbe stato finché il demone l’avesse voluto. Si girò su un fianco perché tutto il suo corpo fosse rivolto nella sua direzione, tese una mano, accarezzò la bianca pelle d’una sua gota.
E, quando anche Claude si volse verso di lui per consentirgli di toccarlo come più gli aggradasse, il vento, che prima aveva a malapena smosso le loro figure, adesso spirava direttamente tra i loro capelli – scompigliava da dietro quelli del demone, appiattiva quelli del giovane sulla sua testa – e metteva disordine nelle vesti di Claude, i cui orli sembravano dispiegarsi parimenti ali nere attorno a lui.
«Che cosa sei venuto a fare?» chiese infine il conte, si ritrasse e studiò il palmo con il quale l’aveva sfiorato, come se potesse scoprirvi qualcosa di diverso dal consueto – come se il demone avesse potuto ustionarlo, o come se non si capacitasse di come ogni cosa di lui sembrasse suggerire che si fossero detti addio soltanto il giorno prima.
«Sono tornato a prendervi, padron Alois» rispose Claude.
«Non era necessario». Alois gli mostrò la lingua, in parte con disprezzo in parte con malinconia. «Lo vedi? Non esiste più alcun Contratto da almeno dieci anni».
«Ho commesso un errore». Il demone gli prese il viso tra le mani ed inevitabilmente il giovane arrossì parimenti dieci anni prima, quando il tepore di quella pelle, il tepore dell’amore che Claude gli donava – menzogne, nient’altro che sporche menzogne – era stato tutto ciò al quale il suo cuore agognava – come se fosse realmente cambiato qualcosa da allora. «Ho combattuto per un’anima che credevo meritevole d’essere divorata, ma soltanto quand’era troppo tardi mi sono reso conto che, sin dal principio, avevo fatto la scelta giusta, che avrebbe dovuto essere lo spirito di Alois Trancy a riposare nel mio ventre per l’eternità».
Il conte lo scacciò con uno schiaffo e si portò all’impiedi per poter ingannarsi di stare ergendosi sopra di lui e sopra tutte le bugie che gli erano state raccontate – ingannarsi di non dipendere sia dall’uno che dalle altre.
«Per una volta anche tu hai sbagliato, Claude,» commentò, increspando le labbra in un velenoso sorriso pregno di derisione «ed il tuo errore è tanto grande che non è possibile porvi rimedio. Ciel Phantomhive non ha voluto accontentarti? Oh, povero Claude, mi dispiace così tanto!» Scoppiò a ridere di quella sua cristallina, beffarda risata, poi sul suo volto calò l’oscuro velo del tradimento e si strinse le braccia attorno al corpo, come per difendere quanto esso conteneva. «Ma questa volta non ti permetterò di saziarti di me: tu non meriti quest’anima. Non ti appartiene più».
 
You know it’s so hard to say goodbye when it comes to this
( There’s nothing I wouldn’t do
To have just one more chance )
 
Infine fuggì, pur consapevole che Claude avrebbe potuto catturarlo senza difficoltà, se l’avesse voluto – forse sperava che lo facesse per davvero, che lo punisse e che il castigo fosse quanto più doloroso possibile e gli si incidesse nella pelle per l’eternità, per ricordargli che quella carne sarebbe appartenuta al demone anche quando i vermi l’avessero totalmente divorata.
Corse sino a quando non ebbe più fiato per farlo e soltanto allora si lasciò ricadere lungo disteso tra fiori bianchi e lilla dei quali non conosceva il nome, che davano mostra della loro corolla soltanto con la luna piena. I loro steli erano cresciuti liberamente grazie alla mancanza d’intervento dell’essere umano e adesso si piegavano alla forza del vento che sferzava la radura.
«Ripetetemi l’ultima domanda, padron Alois».
Claude si chinò su di lui, sostenendosi con le mani sulle ginocchia, ed i suoi occhiali scivolarono giù dal suo naso e caddero sul petto di Alois.
Il giovane li afferrò prima che il vento potesse rubarglieli e ci giocherellò distrattamente mentre parlava. «Perché hai ucciso Alois Trancy?» mormorò con un fil di voce, seppur in modo leggero, quasi fosse una richiesta comune quanto una qualunque altra.
Il demone assentì, quasi avesse smarrito il ricordo di quel quesito ed esso fosse riemerso dalla sua memoria ora che l’aveva udito ancora una volta, e si inginocchiò sino a che le punte dei suoi capelli solleticarono le guance del conte, arrossate dal vento che le aveva sferzate durante il suo patetico tentativo di fuga.
«Ho ucciso Alois Trancy a causa dei sentimenti proibiti che provavo nei suoi confronti».
Il giovane chiuse gli occhi, annuì.
Sì, proprio come hai detto quella volta.
«Il motivo per cui quell’amore aveva vita…»
«Sta’ zitto!» l’interruppe Alois con una nota d’isteria nella voce e portò le mani alle orecchie per non sentirlo. «Oramai quella risposta non ha più nessun significato: non lo capisci, Claude? Sei proprio stupido, lo sai? Questo è un addio! Ad-di-o!»
E rideva, rideva, folle, rideva per non piangere, rideva perché le sue risate coprissero il suono del terribile ricordo, del suo cuore che scricchiolava sotto il peso della sofferenza dell’addio di dieci anni prima.
Claude attese compostamente che le risate del giovane si sciogliessero in un acuto risolino ed infine si spegnessero del tutto senza che un solo sentimento intaccasse la sua espressione contegnosa.
«Il motivo per cui quell’amore aveva vita – ed ha vita ancora adesso – è che il conte Alois Trancy è l’anima più gustosa sulla quale abbia mai avuto occasione di mettere le mani».
Il conte sorrise d’un sorriso d’amara mestizia, ben più lucido dell’eccesso di risa di poco prima.
«Che cosa vuoi da me, Claude? Che cosa sono, il tuo premio di consolazione dopo il fallimento con Ciel? Dicesti che il mio spirito era marcito a causa dei sentimenti che nutrivo, che il fiore che avevi scelto di cogliere era appassito – i tuoi occhi mi dissero questo, quegli occhi che tanto ho amato, quegli occhi che non mentono mai, diversamente dalla tua voce, per quante belle parole essa possa pronunziare. Dunque, dimmi la verità: che cosa vuoi?»
Il demone si chinò a sfiorare il suo orecchio con le labbra. «Se non volete credere alla mia voce, allora cercate nel mio sguardo, padron Alois, e ditemi che cosa vi trovate» sussurrò.
Ed Alois fu preda di quegli occhi d’oro che per dieci anni aveva potuto incontrare soltanto nei sogni: occhi che non lo guardavano con disgusto, come se si trattasse di vermi radunati attorno alla spazzatura, bensì quegli occhi che l’avevano visto, che avevano visto lui quando non era niente e l’avevano desiderato quando, in fondo, non aveva nulla per il quale essere voluto.
Che l’avevano amato e che lui aveva amato.
Occhi che incessantemente ripetevano un’unica frase.
«Houhe o Taraluna, Ron de Rotarel» rispose loro il giovane.
«… Yes, Your Highness?»
«Andiamo a casa, Claude» ordinò il conte ed allungò le braccia in alto, verso di lui, che prontamente lo sollevò e lo strinse al petto per ripararlo dal vento freddo, com’era sempre stato solito fare.
«Ad ogni modo, padrone,» disse, mentre gli sfilava gli occhiali di mano e li sistemava meticolosamente poco al di sotto della radice del naso «se posso permettermi di contraddirvi, i miei occhi non possono avervi detto che “il fiore che avevo scelto di cogliere era appassito”. Vedete, io non colgo i fiori: chi vuole ammirarli deve venire a vederli sulla pianta: non appassiti e morti nei vasi. E, sulla vostra pianta, laddove vi ho erroneamente abbandonato, voi non siete mai appassito: al contrario, la vostra anima ha avuto modo di germogliare e farsi ancor più squisita».
«Allora desideri ancora divorarmi, Claude?»
Alois fece per allentare il nodo della sciarpa per adagiarsi più comodamente contro il tessuto vellutato della giacca di Claude.
«Ovviamente, padron Alois. Sino al nocciolo più intimo del vostro spirito».
Il maggiordomo glielo impedì ed al contrario strinse maggiormente la stoffa viola intorno al suo collo. «Non è proprio il caso che vi prendiate una qualche malattia, mio signore» lo redarguì con pacatezza.
Il giovane arricciò le labbra in una smorfia infastidita, tuttavia nel replicare il suo tono era quello controllato e solenne di un padrone con il proprio servo: «Dovremo modificare i termini del Contratto, allora: non voglio più Ciel. Voglio te. Rimani con me sino a che non morirò; dopo, potrai fare della mia anima ciò che preferisci».
E di nuovo indugiavano sulla punta della sua lingua, le parole, come se avessero saputo da sempre che quel giorno sarebbe arrivato e fossero semplicemente rimaste in attesa.
«Houhe o Taraluna, Ron de Rotarel».
Il demone piegò la testa nell’elegante accenno d’un inchino e catturò i suoi occhi con i propri, che si tinsero di cremisi.
«Houhe o Taraluna, Ron de Rotarel. Yes, Your Highness».
«E, questa notte,» riprese il conte, con una nota di scaltrezza nella voce e nel sogghigno «poiché è così freddo, il tuo primo ordine come mio maggiordomo per la seconda volta sarà tenermi compagnia nel mio letto e fare in modo di scaldarmi».
Claude accostò il viso al suo e l’inclinò di lato, tanto che le loro bocche quasi si sfioravano.
«… Yes, Your Highness».
E vi fu il suo sapore, quella notte, ad indugiare sulla punta della lingua di Alois.

  
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