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Autore: Nakara86    29/12/2010    1 recensioni
Storia partecipante al Phantom of the Opera Contest, indetto da GiulyRedRose e Kenjina
Erik, il famigerato Fantasma dell'Opera, non è più ricercato e dopo quasi un anno dall'incendio del teatro è tornato a vivere nei suoi sotterranei. La sua quiete però, non durerà a lungo perchè la sua vita verrà scombussolata dall'arrivo di un angelo e dal fantasma del suo eterno amore: Christine, ormai Viscontessa, intrappolata in un infelice matrimonio con il suo principe azzurro Raoul. I destini dei personaggi si intrecceranno inaspettatamente, uniti da un omicidio del passato che ha toccato, in modi diversi, le vite di tutti loro.
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Va bene, ammetto di aver sbagliato le tempistiche, ero consapevole che sarebbe passato in sordina perchè il 24 la gente ha di meglio da fare. Nonostante ciò posto oggi il capitolo perchè domani non ci sarò, quindi, mi auguro che questo capitolo vi piaccia e colgo l'occasione per augurare a tutti Buon Anno!

-- ALLARME ROSSO --
Vi avverto che questo capitolo ha dei contenuti forti, e non quel tipo di forte che a noi piace tanto, ma parla di violenza su una donna. Spero caldamente di non urtare la sensibilità di nessuno. Un bacio a tutte. Erica


Capitolo 4 - Trovatela!

Seduto alla sua scrivania fissava i due uomini che stavano in piedi di fronte a lui con finto fare ossequioso, ostentando un rispetto che sapeva essere più per i suoi soldi che non per la sua persona. I nobili si servivano spesso di gente come loro quando avevano bisogno di sbrigare faccende spinose senza sporcarsi le mani e sopratutto, i nobili pagavano bene chi riusciva a risolvere le loro grane. Non avevano delle facce raccomandabili, ma dopotutto, se le avessero avute non avrebbero potuto essere sicari.
Raoul sapeva che erano affidabili, con anni d’esperienza e che avevano ucciso già molte persone, persone potenti. Una povera mendicante non sarebbe stata un problema per loro.
“Prego signori, sedetevi…posso offrirvi qualcosa?” domandò il ragazzo indicando le due poltrone davanti a lui. I due uomini si sedettero declinando l’offerta ed attendendo che parlasse.
“Mi ritrovo in una situazione spinosa ed avrei bisogno dei vostri servigi… - disse Raoul andando subito al punto. - C’è una donna, una mendicante, che ha scoperto troppe cose sul mio conto, cose che sarebbe meglio non passassero di bocca in bocca.”
Parlarono a lungo, ma Raoul non si scoprì mai, si limitò solo a dare indicazioni della possibile locazione della giovane e dell’eventuale compenso a lavoro finito. Poi fornì loro una descrizione dettagliata del suo aspetto e fece loro alcune raccomandazioni:
“Niente pistole. La ragazza vive in strada, porta con se un violino, molto prezioso a quanto pare. Un rapinatore di strada non si servirebbe di armi da fuoco ma di armi da taglio come pugnali, molto meno costosi delle pistole ed in alcuni casi, più efficaci. Mi raccomando signori, se mi porterete le prove che vi ho richiesto, il compenso sarà certamente uno dei migliori che la vostra carriera abbia mai visto.” Detto questo, congedò i due uomini e si concesse un whisky. Quella mattina non avevano più trovato la ragazza, sembrava che si fosse volatilizzata, senza lasciare tracce. L’aveva avvertita, poteva scegliere se vivere o morire… ebbene, aveva fatto la sua scelta. Lui le avrebbe solo dato ciò che voleva.

L’unica speranza che aveva per riavvicinarsi ad Erik era scappata senza una spiegazione e suo marito era chissà dove a parlare di cose che lei non capiva e che non le interessavano. Era rimasta in camera sua con quella lettera in mano a farsi solo domande alle quali non riceveva risposta. Avrebbe voluto qualcuno con cui parlare, con cui sfogarsi ed in quel momento le era venuta in mente solo una persona: Madame Giry, la donna che l’aveva adottata dopo la morte di suo padre e che l’aveva cresciuta insieme a Meg come un figlia. Si sedette allo scrittoio, prese carta e calamaio e le scrisse.
Dopo aver riletto la lettera varie volte, la sigillò con il marchio degli Chagny e gliela mandò.

Stava scendendo le tantissime scale che lo dividevano da casa sua e quando vi arrivò si mosse immediatamente verso il suo organo. Ripulì il pavimento dalla cenere del mantello di Raoul buttandola nel lago e risistemò il pasticcio di carbone ormai freddo che era sparso per terra. Era pomeriggio e quando il sole era così alto preferiva non uscire di casa. Una passeggiata gli avrebbe fatto bene per far sbollire un po’ la rabbia ma si disse che avrebbe comunque atteso il crepuscolo. Detestava stare con le mani in mano, senza idee, senza la compagnia della sua musica, senza la sua ispirazione, con la consapevolezza che quel posto non era più sicuro. Si guardò intorno torvo alla disperata ricerca di qualcosa da fare, ma niente in quel posto richiedeva la sua attenzione...dannazione! E non c’erano nemmeno topi da torturare! L'unica speranza che aveva di ritrovare un po' di serenità, era quella di riprendere in mano il suo violino ed abbandonarsi a quelle dolci note, così diverse da quelle dure ed altisonanti dell'organo. Da quando Christine se ne era andata non lo aveva più utilizzato abbandonandolo in un angolo della sua caverna.
“Eppure era qui… - si disse Erik incredulo. - O almeno… dovrebbe essere qui.”
Cercò in tutta la caverna, anche nei posti più strani e nascosti in cui sapeva che non l’avrebbe messo comunque.
“E dire che qui non l’avrei mai messo… anche se... in quei giorni ero talmente fuori di me che posso averlo messo ovunque. - poi osservò un disegno di Christine - te lo ricordi?” disse lui sorridendo. Sollevò le cataste di fogli su cui era appoggiato quel disegno pensando che lo strumento fosse rimasto sepolto nel disordine che da troppo tempo regnava nella sua dimora. Immaginò Madame Giry rimproverarlo per la sue scarse attitudini domestiche per poi ridere da solo di quel pensiero.
"Non può essere sparito da solo - borbottò - diamine! Sono io l'unico fantasma in questo posto!" Andò anche vicino al letto disfatto sopra il quale c’era una montagna di biancheria… sporca ovviamente.
Scostò una camicia che era finita dietro la testata del letto e sobbalzò quando sentì un dolore lancinante alla punta del dito. Ritrasse la mano e vide una delle sue trappole per topi penzolare dalla punta del suo guanto nero. La fissò con aria di sopportazione e staccò via il marchingegno a molla lasciandolo cadere a terra sbuffando stizzito.
"Saranno stati loro a portarlo via... per vendetta... quei piccoli roditori non si accontentano di mangiucchiare il mio cibo e di lasciare i loro escrementi sui miei spartiti! Maledetti... si vede che ne devo seviziare qualcuno in più!"
Poi si soffermò un attimo sugli ultimi accaduti della sua triste vita. Cercò di ricostruire i giorni prima della fuga di Christine e dove avesse messo il violino dopo il loro incontro al cimitero. Sempre là, al suo posto, dove aveva già guardato ma dove non l’aveva trovato. Un pensiero terribile gli si affacciò alla mente: se li non c’era, dovevano averlo rubato!
Urlò selvaggiamente per la rabbia. “Maledetti! Maledetti!”
Rovesciò i mobili e tavolini per cercarlo ormai lontano dalla calma di poco prima, gettò per terra la biancheria sporca sul suo letto, tirando via anche la calda coperta rossa ed abbandonandola sul pavimento. Col fiato grosso, scosso dalla collera urlò ancora liberando l’ultimo strascico di violenza che quella scoperta aveva risvegliato in lui.
“Ti troverò! Chiunque tu sia e dovunque tu sia, ti troverò e ti ammazzerò con le mie mani!” ringhiò all’aria mentre indossava un cappello nero a tesa larga e prendeva il suo mantello. Non avrebbe aspettato il crepuscolo, ma sarebbe uscito subito a cercare ciò che gli era stato sottratto.
Andò verso il passaggio segreto che conduceva all’esterno ed inciampò in un bellissimo candeliere d’oro. Alzò gli occhi al cielo infastidito poi lo prese e lo lanciò con foga nel lago.
“Togliti dalla mia strada!”. Spinse via il leggìo che cadendo riversò i fogli nel lago. “Maledizione!” urlò, dandogli un calcio che lo immerse per metà in acqua. Dopo aver velocemente passato in rassegna i danni del suo sfogo sopirò con impazienza ed uscì.

Cominciava ad imbrunire e le strade di Parigi si stavano svuotando per riempire le case chiuse. La giovane guardava disgustata gli uomini che entravano ed uscivano da quei locali in cerca di avventure facili e senza responsabilità. Addentò il frutto che quella sera avrebbe costituito la sua cena ed iniziò a suonare il violino.
Le strade erano stranamente vuote, sembrava che Parigi si fosse rinchiusa nelle proprie case, al sicuro, mentre lei era lì fuori priva di ogni genere di protezione. Il suono celestiale del violino riuscì per un po’ a farle dimenticare il marcio del mondo e del luogo in cui era obbligata a vivere.

Erik camminava per le strade di Parigi senza meta, spinto dalla ricerca del suo adorato violino. L’imbrunire colorava di rosso le strade, un rosso cupo che sembrava infuocare tutto quello che illuminava. Le ombre si stavano allungando ed i parigini si muovevano con le carrozze per raggiungere le loro case, là dove qualcuno li attendeva. Lui non aveva nessuno da cui tornare, solo cose da ritrovare. Si muoveva tranquillo per le vie cercando di passare inosservato, ma sembrava che nessuno si accorgesse di lui. Non sapeva dove cercare, ma pensò che il primo luogo in cui avrebbe potuto trovare un oggetto rubato, sarebbe stato nei bassifondi parigini. Dovunque fosse il suo violino e dovunque avesse suonato, lo avrebbe riconosciuto.
Era già notte quando raggiunse il primo quartiere malfamato della città sicuro che in quel ricettacolo di gente di ogni genere e grado, nessuno avrebbe notato un uomo ammantato di nero aggirarsi per quelle vie.
Girò per le strade stranamente vuote e costeggiò molte case dalle quali provenivano rumori inequivocabili, aveva capito esattamente che genere di locali fossero.
Sentì lo stomaco accartocciarsi per il disgusto. Aveva sempre detestato quel genere di persone. Lui l’amore non l’aveva mai conosciuto veramente, ma conosceva la passione. Era stata sua fedele compagnia per diverso tempo e gli aveva fatto scoprire sfaccettature che non avrebbe nemmeno mai immaginato. Nonostante ciò però, non si sarebbe mai abbassato a tanto, ad obbligare una donna, pagandola, a prestarsi per placare i suoi istinti. Aveva preferito imparare a domarli anziché riversarli su una donna che non ne poteva niente, nemmeno ribellarsi.
Poi sentì una voce lontana, una voce che avrebbe riconosciuto all’istante, che cantava una canzone che solo lui conosceva… il suo violino. Sembrava lontanissimo, disperso chissà in quale quartiere, ma l’avrebbe trovato. Si tolse il guanto e si umettò il dito per capire se ci fosse vento e da dove arrivasse. Non ce n’era! Il suo violino doveva essere lì vicino.

Doveva essere tarda sera ormai. La città era silenziosa, se non fosse stato per i rumori dei bordelli si sarebbe potuto dire che la città, insieme ai suoi abitanti, si fosse addormentata. Il violino l'aiutava a sentirsi meno sola. Dopo la notte precedente, la ragazza aveva perso la sua tranquillità e non sentiva più la notte come una madre, non quella notte almeno. Era sola quella volta, i suoi fratelli non erano lì con lei. Sentì dei passi cadenzati battere sul selciato della strada. Poi due ombre si bloccarono davanti a lei lanciandole parecchie monete nel sacco.

Era vicinissimo, il suo violino non doveva essere molto lontano, probabilmente era proprio oltre quell'angolo. Poi, ad un certo punto, la musica cessò. Pensò che il ladro avesse deciso di spostarsi da lì e corse fino alla strada. Vide due uomini davanti ad una figura incappucciata che impugnava il suo violino. Una voce di donna disse “Grazie Signori...” e si liberò il viso dal cappuccio per guardare i due uomini. Rimase nascosto poco dietro l'angolo, al buio, tanto addossato alla parete da sembrare parte di essa. Non aveva pensato alla possibilità che chi lo aveva derubato potesse essere una donna. Era una bella complicazione dal momento che con le donne non era mai ricorso alla violenza. Le donne non dovevano essere toccate da una mano violenta ma solo da quella dolce e delicata di un amante o di un gentiluomo e lui era sempre stato un gentiluomo.

“Grazie Signori...” disse la mendicante dopo essersi tolta il cappuccio per vedere in faccia i due uomini che le avevano lasciato tutti quei soldi. Aveva smesso di suonare ed aveva sorriso riconoscente ai due.
Poi uno di loro si abbassò ad osservarla e le prese il mento tra indice e pollice. La giovane tentò di liberarsi da quella salda stretta, senza riuscirci. L'uomo teneva lo sguardo fisso su di lei che appoggiò il violino per terra. Non aveva armi e non poteva nemmeno difendersi.
“Sei veramente carina... - disse l'uomo continuando ad osservarla sorridendo maliziosamente - Sei qui tutta sola, non vuoi un po' di compagnia?”
A quelle parole la ragazza affondò le unghie nella carne che occhieggiava tra la manica della giacca ed il guanto.
“Ahia!” urlò questo e la lasciò ma lei sentì un dolore lancinante al braccio sinistro. Appena fu libera tentò di alzarsi e fuggire ma l'altro uomo la bloccò contro di se'. “Quanta fretta piccola” e sentì la gelata lama di ferro avvicinarsi pericolosamente alla sua gola. L'uomo la spostò con forza facendola indietreggiare fino a farle sbattere la testa contro il muro. La botta le pulsava in testa come una mandria di cavalli impazziti. Era bloccata contro di esso ed il primo uomo le si stava avvicinando... troppo.

Erik si allungò piano, senza farsi vedere per raccogliere il suo violino. Poi alzò lo sguardo e riconobbe la ragazza che stavano maltrattando. Era la giovane che era entrata in casa sua! Quella che indossava il maledetto mantello degli Chagny. Beh, se lei era una di loro ed in più, una ladra, si meritava quello che le stava succedendo. Detto ciò, fece per tornare all'Opera.
Dopo aver mosso il primo passo però, sentì qualcosa nel profondo dello stomaco che gli impediva di abbandonare lì quella giovane, indipendentemente da quello che aveva fatto, era indifesa, ed era una donna che non avrebbe mai dovuto essere trattata così. Nemmeno lui che si sentiva il più spregevole assassino di tutta Parigi aveva mai osato tanto.

“Lasciatemi!” urlò la giovane cercando di divincolarsi, poi il primo uomo le si avvicinò ancora:
“È un peccato che debba ucciderti altrimenti... - poi questi osservò l'altro, lanciandogli uno sguardo che non faceva presagire niente di buono. - E pensare che saresti anche carina senza questi stracci...” e col pugnale le strappò un lembo della gonna. Il lungo spacco lasciava intravedere la pelle bianca sotto la luce della luna. Quello che la teneva contro il muro allungò la mano accarezzandole l'interno coscia.
“Scommetto che non hai nemmeno mai provato...” disse il primo ormai davanti a lei.
“No! No, vi prego!” disse la ragazza che tentava di resistere al dolore alla testa ed allo svenimento. Cercò di liberarsi ma era troppo debole. Sentì il petto riempirsi di angoscia e di paura, una paura cieca e terribile.
“Aiuto!” urlò ma il secondo uomo le tappò la bocca facendola sbattere ancora contro il muro. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime e le parve di vedere un'ombra muoversi dietro i suoi aggressori. Sapeva che quello doveva essere solo un riflesso dei suoi desideri, era in trappola e non poteva fare niente! Sentì il respiro del suo aggressore contro il collo, chiuse e gli occhi e sperò che tutto finisse presto.

Erik si mosse silenziosamente dietro i due ed assestò un pugno col calcio della spada in testa al primo. Questo si accasciò cadendo addosso alla giovane che lo allontanò da se' prendendolo a calci. Il secondo uomo si era spaventato e per quanto la tenesse ancora contro il muro il suo sguardo era volto al buio attorno a lui. La ragazza tentò di sferrargli un pugno in un posto qualunque ma lui fu più veloce e posatosele addosso tentò di allargarle le gambe. Erik sentì la bile salirgli in gola per il disgusto e con una cattiveria maggiore sferrò un altro pugno all'uomo che però resistette e si voltò verso di lui. La ragazza tentò di raggiungere i suoi pochi averi ma si accasciò per terra spaventata e prostrata dalla botta che aveva preso. Fece solo in tempo a vedere il suo secondo aggressore cadere privo di sensi per terra e sentire il fruscio del mantello del suo salvatore muoversi accanto a lei.
Aveva un braccio ferito e la manica dell'abito era zuppa di sangue. Si sentiva tremare e scoppiò a piangere, spaventata e dolorante com'era. Quando lo sconosciuto le si avvicinò tentò di respingerlo ma lui non si diede per vinto, prese il sacco coi soldi, la custodia del violino e lei, portandola in braccio. La giovane cercò di resistere, ma fece solo in tempo a sentire la voce dell'uomo che la stava appoggiando al suo petto dire “Animali...”. Poi, fu il buio.
  
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