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Autore: Ilaja    29/12/2010    3 recensioni
Ci troviamo in Austria, in un periodo sempre più prossimo al nostro presente. Un'Austria combattuta, che sfocia nell'oscurità. Un'Austria abitata sia da umani che da creature sovrannaturali, che dovrebbero costituire un unico gruppo, un unico branco.
Così non è. Perchè a regolarne lo svolgimento è una forza malevola e potente, una animata da un interebbe ben più alto del semplice 'dominio sul mondo'.
Lei detta legge. E non una legge uguale per tutti. L'Egalitè, la Fraternitè e la Libertè francesi sono poste contro il loro naturale opposto. Stiamo parlando dell'Adìkia, in greco letteralmente "ingiustizia". Stiamo parlando della legge della selezione naturale.
Della legge del più forte.
Storia classificata seconda al contest "Supernatural mistery" indetto da Oyzis
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Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Adikìa - La legge del più forte

Capitolo 3. Notti buie

Per il signor Moseley quella era stata proprio un’ottima giornata. Aveva risolto brillantemente tutte le incombenze dovute al lavoro e gustato un buon panino ai wurstel. Dopo essersi sfogato al telefono per un po’ e fatto qualche urlaccio, aveva finalmente chiuso lo studio e ora si stava dirigendo tranquillo verso la stazione per prendere il treno delle cinque.

Vienna a pomeriggio inoltrato sembrava un’altra città. Calma, romantica. Con il sole basso che baciava le pareti di cemento che, tutt’un tratto, assumevano sembianze rosso sangue, o rosso passionale, a seconda dell’umore dello spettatore. Nuvole varcavano il cielo, e la gente si affrettava per le strade, in volto espressioni rilassate, di chi si era lasciato indietro il cattivo tempo, e si preparava a vedere il sole, e a sdraiarsi sotto i suoi raggi rasserenanti.

L’avvocato superò alcuni locali serali, delle botteghe d’artigianato e un vicolo che faceva da traversa alla via principali. Dei ragazzacci si accingevano ad accendere un vecchio braciere per riscaldarsi in vista della notte. Lui storse il naso. Che pezzenti. Avrebbero dovuto iniziare a lavorare, invece di speculare a danno di onesti cittadini. Preferì cambiare strada.

Svoltò in una strada frequentata da gente più a modo. Lì le signore giravano in abiti costosi e gli studenti chiacchieravano dentro bar esigenti. Tutto molto più rassicurante.

Moseley si fermò di fronte ad un negozietto di cioccolato, rimuginando tra sé se portare alle figlie quella torta ripiena o i biscotti appena sfornati che le stavano accanto. Il vento soffiava tra le pieghe della giacca nera. L’uomo poggiò un attimo la valigetta ventiquattr’ore per chiudersela. Non voleva che la camicia si sgualcisse.

Quando fece per riprenderla, non la trovò. Alzò lo sguardo. Uno dei ragazzacci che aveva superato prima l’aveva afferrata e ora correva per il selciato.

Moseley sentì montare in sé la rabbia. Quel bastardo! Come si permetteva?!

“Al ladro!” gridò, inseguendolo tra i negozi. Il ragazzo volava come il vento, ma non se lo sarebbe lasciato sfuggire. Nossignore. “Al ladro!”

Una ragazza lo guardò incuriosita. Poi sentì le sue parole, individuò il ladruncolo, e si precipitò ad affiancare Moseley nella corsa.

“E lei chi è?” sbraitò lui, squadrandola.

“Agente Jones” disse mentre lo superava. Anche lei avanzava come una gazzella.

L’avvocato le stette dietro, arrancando, ma con un’espressione soddisfatta sul volto. Era lì che si vedeva l’efficienza delle forse dell’ordine austriache!

Il ladruncolo non si fermò dopo molto. Imboccò una viuzza del quartiere popolare, dietro i cassonetti di un vecchio palazzo fatiscente. Moseley pensò che prima o poi avrebbero dovuto far abbattere quei rottami di edifici. Erano così antiestetici!

Il ragazzo si trovò la strada bloccata da un ammasso di spazzatura e un muro di mattoni. Era spiazzato.

Anche Moseley corrugò la fronte. Possibile che un ragazzo che viveva in quel quartiere non sapesse di star andando in un vicolo cieco?

L’agente Jones non perse tempo, né lo fece l’avvocato con i suoi pensieri. Ora voleva solo indietro la sua valigetta e andarsene a casa. Senza comprare biscotti al cioccolato.

“Posa la refurtiva” ordinò la giovane. Il ladro lo fece.

“Mani in alto!”

Tenendo sott’occhio il ragazzo, la poliziotta ingiunse a Moseley di prendere la valigia. “E’ la sua?”

Lui controllò. “Ne sono certo.”

“Manca qualcosa?”

Era tutto a posto. Scosse la testa.

“Bene, ragazzo. Ora mi segui in centrale. Senza obiezioni.”

Il giovane chinò il capo. Lei si rivolse all’avvocato. “Grazie, signorina Jones” fece lui.

“Eseguo il mio lavoro” ribatté la ragazza. Gli sorrise freddamente. Era molto carina.

Tornò a rivolgersi al pezzente. “Tu! Con me in auto.”

Moseley stava per girare su i tacchi e ritornare alla sua quotidiana, apprezzata vita, quando accadde l’inevitabile.

L’urlo della donna fu attenuato dalla sua scomparsa.

 

***

 

“Non osare disubbidire, Jones! Gli ordini sono ordini! Non si discute!”

Kitty si morse il labbro, ma non abbassò lo sguardo. Gli occhi gelidi del suo comandante la penetravano con disprezzo. Sentì la pelle fremere. “Lì ci è morta Anne, capitano! Non posso rimanere impassibile se anche lui…” La voce le si spezzò. Calde lacrime iniziarono la loro discesa sulla sua guancia.

Lui la fissò, e la ragazza capì che non avrebbe cambiato idea. In realtà, non aveva mai nemmeno preso in considerazione le sue proteste.

“Austin è il più competente, pertanto manderò lui. Non m’interessa se la sua fidanzata si rode il cuore dall’angoscia. Non è un mio problema.” Scandendo con forza le ultime parole, le voltò le spalle. “Qui non c’è posto per i sentimentalismi, Jones. Farai bene a ricordartelo, prima di provocare la tua espulsione dal gruppo.”

La porta si chiuse, e Kitty si ritrovò sola. Distrutta. Con un cuore in mano che ancora non trovava la forza per battere.

Due braccia l’avvolsero, e lei affondò la faccia nel maglione che le copriva. Acqua salata e lana si fusero insieme.

“So che sei sconvolta dalla scomparsa di tua sorella” disse lui. “Ma non devi lasciarti andare. Stai tranquilla. In men che non si dica cattureremo quel mutante.”

“Ma…”

“Non hai fiducia in me, Kitty?”

Lei rinunciò.

 

Erano settimane che quel dannato mutante imperversava per le strade di Vienna. Uno dopo l’altro, avvocati, membri del governo, corpi armati e calciatori importanti erano caduti sotto la sua morsa. Prima il signor Beckford, ministro dell’Informazione: era stato trovato morto nei bagni del Parlamento cinque ore dopo il decesso, quando gli altri suoi colleghi avevano lasciato perdere le loro chiacchiere inutili e si erano accorti della sua scomparsa.

Per secondo, era caduto il signor Sackville, membro di un’importante compagnia, amministratrice dei principali canali televisivi dello Stato: a dare l’allarme era stata la segretaria, che l’aveva rinvenuto senza vita sul balcone dell’ufficio, mentre era fuori a fumare, come ogni mattina, meditando sulle posizioni da prendere in riunione.

Il terzo a morire era stato mister Shelton, un calciatore ormai in pensione che allenava la nazionale tedesca, ricercato in tutto il mondo per i suoi preziosi consigli: più di un ragazzo aveva trovato fama e ricchezza grazie alla sua pubblicità. Sua moglie aveva scoperto il cadavere il secondo giorno della loro annuale vacanza in campagna: a quanto pareva, era deceduto mentre annaffiava le siepi della casa.

L’episodio fu seguito a ruota, dieci giorni dopo, con la caduta di miss Whittier, avvocato di fama internazionale, ricercato e temuto in tutto il mondo: era in colloquio con un cliente quando questi aveva chiamato la polizia e il pronto soccorso, dicendo che la signora era improvvisamente svenuta e che era preoccupato da morire. Successivamente, dell’uomo non si era più avuta traccia, come non si erano ritrovate informazioni sulle impronte digitali rinvenute sul corpo delle vittime. Lì, le molecole vorticavano vertiginosamente, si addensavano, si rimodellavano. Tra tutti gli importanti indizi trovati sulla scena del delitto – capelli, peli, tracce di pelle secca, impronte su dei vetri – non uno faceva risultare un individuo registrato, nemmeno tra le schede delle creature sovrannaturali.

Nonostante la situazione drammatica in cui si trovava la scientifica, però, il capo del gruppo cui apparteneva Kitty aveva trovato un aspetto molto interessante di tutta la vicenda. Non che ne fosse saltato fuori molto, anche se effettuato; quel particolare, però, quell’irrealizzabile progetto che sfiorava i limiti del fantascientifico, stava dando speranza a tutta la sua squadra. E, se era vero che la speranza era l’ultima a morire, di sicuro non sarebbe stata la remissività di Kitty a farla soccombere.

Doveva fare qualcosa.

Mentre rimuginava tra sé, rannicchiata su un sedile fetido della metropolitana, Kitty lasciò che lo sguardo scorresse sulla moltitudine di luci e rumori che investivano il finestrino. Buio totale prima, sprazzi di bianco dopo, ad una delle fermate. Gente che scaricava, parlava, passeggiava, correva, piangeva, contava… Un demone con indosso un mantello viola ricambiò il suo sguardo con un’occhiata profonda. Kitty ne percepì all’interno desolazione, tristezza, un’infinita voglia di cambiare che si era ormai arenata come conchiglie su una spiaggia inquinata. Distolse gli occhi, mentre la metro sfrecciava via.

Rassegnazione… Quegli occhi rassegnati fecero nascondere il cuore di Kitty ancora di più. Se solo lei fosse stata all’altezza… se solo avesse avuto la forza giusta per combatterla, ci sarebbe riuscita. Aveva gli elementi per farlo.

Però era pericoloso.

E completamente astruso.

Se solo potessi… se solo fossi una gemella perfetta di te, Anne, forse…

Sentì le lacrime salirle agli occhi.

Se solo avessi il tuo stesso coraggio…

Forse ti potrei vendicare.

Represse un singhiozzo. Una donna anziana accanto a lei la guardò con compassione.

Aiutami, Anne…

Chiuse le palpebre.

Per tutto il viaggio, non provò nemmeno ad ascoltare la musica.

 

***

In certi giorni di pioggia, Nathalie non riusciva proprio a fare niente. Fissava con aria assorta il computer ronzante, e la pagina vuota che avrebbe dovuto riempire di informazioni. L’aria condizionata dell’ufficio faceva frusciare i foglietti del suo taccuino, riempiti di scritte che aspettavano la loro pubblicazione. Nathalie, però, aveva ormai deciso che per quel giorno avrebbe lasciato stare. Si rilassò sullo schienale della sedia imbottita, e chiuse gli occhi. Fuori, il picchiettare delle gocce contro la finestra aggiunto al tuonare del vento che sbatteva le imposte iniziò a farsi ritmico e accentuato.

Plick. Plick. Plick.

Nathalie sospirò. Quando una giornalista di fama internazionale come lei non riusciva a buttare giù tre righe decenti, allora voleva dire che proprio non era giornata. Il suo capo avrebbe dovuto arrangiarsi e trovare qualcun altro. Non poteva certo far fare tutto il lavoro a lei!

Per schiarirsi le idee, navigò fino al sito della BBC. Trasmettevano notizie radio ventiquattr’ore su ventiquattro. Sia mai che, con un po’ di fortuna, non riuscissero a farle venire in mente le parole giuste.

“Battuta del premier italiano Silvio Berlusconi con il presidente…”

Ma che gliene fregava a lei?

“Situazione critica in Afghanistan: l’America richiede…”

Bah, se la potevano cavare anche senza il suo aiuto.

“Pubblicato nuovo libro di…”

Chiuse la finestra internet. Si aspettava che almeno la BBC trasmettesse cose interessanti, non le solite baggianate da giornali locali.

Si arricciò una ciocca dei suoi capelli rosso fuoco in un impeto di nevrosi. Odiava quando accadeva! S’impallava tutto il suo geniale sistema nervoso, e non c’era più nemmeno la voglia di battere i tasti al computer.

Decise che sarebbe stato meglio uscire a prendere qualcosa da mangiare. La pioggia avrebbe mandato via quel mal di testa orrendo e le avrebbe fatto venire in mente dei buoni periodi da adattare a quel maledetto articolo.

 

Il bar affianco al suo ufficio era conosciuto e rinomato dalla gente di tutto il quartiere. Era un locale accogliente, caldo, e i camerieri erano gentilissimi. Per non parlare del caffè e delle paste che, se Nathalie non avesse fatto un servizio proprio sulla loro provenienza, avrebbe giurato fossero italiane.

“Lungo, grazie, con un bel cornetto” ordinò a un ragazzo in grembiule, il quale, riconoscendola dal tesserino, si fece subito rosso e corse dietro il bancone a preparare la portata. Nathalie sospirò. Eh sì, quando si era una celebrità come lei, nemmeno in un bar frequentato da gente ignorante si poteva essere a propria volta ignorati.

Nell’attesa, tirò fuori dalla borsa un quadernetto e una penna, con cui iniziò a buttar giù una scaletta dell’articolo. Prese a ispezionare i cassetti vuoti della parte creativa del suo cervello.

“Buongiorno, Sam!”

“Ciao Kitty! Vieni pure, c’è tanto lavoro da fare stasera…”

“Ehi Kitty!”

“Ciao!”

Una ragazza minuta, che non dimostrava più di diciotto anni, entrò di corsa nel locale, bagnata da capo a piedi e con le scarpe che schioccavano per l’acqua sulla gomma. “Odio questi temporali” si lamentò, mentre afferrava il grembiule offertogli da un collega. “Eh, già” fece questi, togliendole con gentilezza il cappotto fradicio.

Lei rise. “Grazie, Paul, ma non c’è proprio bisogno di tornare all’epoca medievale!”

Il ragazzo arrossì, sorridendole.

Sam, il proprietario, le corse incontro, e iniziò a parlarle a bassa voce. Nemmeno Nathalie, che sedeva al tavolo più vicino, riuscì a carpire qualcosa. Quando finì, la ragazza che si chiamava Kitty sembrò rimanere interdetta. Poi sorrise al vecchio burbero. “Grazie, Sam. Ora me la sbrigo io” disse, raccogliendosi i lisci capelli castani in una coda di cavallo e afferrando il primo vassoio a portata di mano. Così facendo, si voltò in un istante, sorprendendo Nathalie, che la stava fissando curiosa. “Salve!” salutò, solare. “Posso essere d’aiuto?”

La donna ricambiò il sorriso luminoso con un’occhiata gelida. “Affatto. Mi hanno appena portato quanto richiesto”, rispose, indicando la tazzina da caffè e dei fazzoletti di carta sporchi, un tempo contenenti la pasta.

La ragazza annuì, sempre sorridendo, prese il piattino e il resto e andò al bancone, dove prese a prendere le ordinazioni. Dopo dieci minuti, però, era di nuovo lì.

Nathalie alzò gli occhi al cielo, apparentemente infastidita. “Sì, sono io. La Nathalie del servizio sulle armi di nuova generazione dotate dalla NASA, la Nathalie che ha svolto da sola un’inchiesta sulle nuove tattiche nigeriane, la Nathalie che ha lavorato al “New York Times”, sempre io. Tieni.” Scarabocchiò sul taccuino un autografo e glielo diede. “Ora lasciami. Ho da fare.”

Lei l’occhieggiò dubbiosa. “Scusi?”

“Tieni” ripeté Nathalie. “Non ho tempo da perdere con dilettanti. Evita di scocciarmi.”

Kitty scoppiò a ridere. “Temo che lei abbia frainteso.”

Adesso era Nathalie a rimanere interdetta. “Frainteso su cosa, esattamente?”

Kitty continuò a ridere. “Senta, lasci stare l’autografo. So esattamente chi è lei, e non ho bisogno della sua firma a confermarmelo.” Sorrise. “Avrei bisogno di un favore.”

Nathalie la fissò, stupita.

“Vedo che poi non ha molto da fare. Glielo giuro, si tratta di qualche ora.”

La donna abbassò lo sguardo sul taccuino. In effetti, dubitava di riuscire a combinar qualcosa quel pomeriggio. Ma cosa importava a una bambina come quella là?

Si abbandonò sulla sedia. “Senti, allora fa’ presto. Vuoi un’intervista per la scuola? D’accordo, ma muoviti, chiaro?”

La ragazzina era sempre più divertita. “Giuro, non la immaginavo così boriosa!”

Nathalie spalancò la bocca. “Prego?”

Kitty fece un’altra risatina. “Scusi, mi è uscito di getto. Presumo che nessuno debba chiamare qualcuno ‘borioso’, quando sta per chiedergli un favore!” Mentre rideva, si prese una sedia e le si sedette accanto. Nathalie era scioccata.

“Le cose mi escono di bocca così, senza pensarci. Le chiedo scusa, è un mio grande difetto” prese a dire la ragazzina, giocherellando con un ciuffo di capelli castani. “La prego di perdonarmi, e di starmi a sentire. Le devo chiedere una cosa importante.”

La giornalista si rassegnò. Era chiaro che quella non avrebbe smesso di tartassarla fino a quando non le avesse chiesto quello che doveva. “E sia” sospirò. “Dimmi”.

Lei si sistemò meglio sulla sedia. “Ecco… avrei bisogno dei suoi servigi.”

“Servigi?”

“Sì, delle sue doti. Ho bisogno di pubblicare una notizia importante ed inedita, e chi meglio di lei…”

La questione si stava facendo interessante. Anche Nathalie si raddrizzò sulla seggiola e chiuse il taccuino. “Di che notizia si tratta?” chiese, facendo trasparire un’indifferenza completamente falsa.

La sua brama di fama non si sarebbe fermata di fronte a nulla, nemmeno al doversi abbassare a spulciare notizie da una liceale. Se la novità era interessante, e se le fossero venute le parole giuste al momento giusto, magari poteva anche rimediare a quel fiasco di articolo che non si scriveva, e recuperare il posto in prima pagina, invece che nel trafiletto di lato.

Nathalie era fiera di potersi considerare un personaggio machiavellico. ‘Il fine giustifica i mezzi’, soleva ripetere, quando, per esempio, si trovava a copiare riflessioni segrete di sua sorella dal suo diario, oppure a prendere spunto da altre parole di altre persone, che non potevano rendersi conto di quello che stavano dicendo. Tra i suoi più celebri articoli, spiccavano opinioni del suo passato professore di storia, di suo padre, un operaio paziente e laborioso, e di scrittori sconosciuti perché mai pubblicati. Se sapessero che i loro manoscritti si ritrovano, nascosti, nei miei articoli, mi pagherebbero più di quanto non faccia il mio capo. Almeno gli ho dato un futuro. Erano questi i pensieri che giravano per la testa di Nathalie Marlison, giornalista di successo che screditava con ogni uscita in televisione almeno tre aspiranti novellieri, che si erano affidati a lei nella speranza di un suggerimento.

La donna stava già architettando il modo di togliere con l’astuzia il titolo di cooperatrice alla giovinetta, quando questa la sconvolse, per quanto possibile, più di prima. “Le concedo tutti diritti alla notizia: scoperta, articolo, idea. Basta che lei aiuti me e il mio capo a far luce su questa faccenda.”

Nathalie non sapeva se saltare in aria per la gioia o trattenersi per far colpo sulla sua povera vittima. Molto scioccamente, quella scema le stava dando l’opportunità di fare un gran colpo. La paura nei suoi occhi le faceva intuire che era roba grossa, importante. Subito, tirò fuori il taccuino. Aprì una pagina bianca e fece scattare la biro. “Di che si tratta?” ripeté, fervente.

Gli occhi della giovane scattarono. Non c’era ironia, non c’era malizia. Solo determinazione.

“Lo dovrà vedere da lei” affermò.

Il proprietario del locale, Sam, tossì sul bicchiere che stava pulendo.

Nathalie s’accigliò. Quell’uomo aveva un nonsochè…

Prima che ci potesse pensare su, la ragazzina l’aveva già trascinata via dal locale, sotto la pioggia fragorosa.

 


>>Ilaja: Scusatemi per la lunga assenza, ragazzi!! E' stata davvero imperdonabile!! T-T Che tristezza passare la vita a studiare greco per la scuola. Davvero. Non è che lo faccia apposta di stare assente così a lungo *sigh*

Sempre per il greco (no, scherzo, non posso usare la stessa battuta. Troppo deprimente =.= E' per letteratura -.-") purtroppo non ho la possibilità di rispondere individualmente ad ogni singola recensione lasciatami (compresa quella della mia amata LeFauconD'Argent al primo capitolo *me commossa*). Comunque, credo che nei prossimi giorni vi risponderò per messaggio privato, sempre che non vi dispiaccia, e sempre se i miei prof non si decidono di farmi una visitina durante le vacanze di Natale per darmi altri compiti. Sarebbe davvero sgradevole u.u

Aehm, per il capitoletto, non c'è molto da spiegare: vi avevo già accennato che questa storia si basa su due personaggi, e qui vi viene presentato il secondo, l'agente Kitty (che di poliziesco non ha nemmeno l'uniforme ^^). Per i misteri...be', qui faccio la sadica: DOVRETE ASPETTARE IL PROSSIMO CAPITOLO

Come sono gentile con i miei lettori ^_^"

mi spiace ancora, davvero, non ho tempo...una ricerca sul tempo interiore di Virginia Woolf mi attente -.-"

Buon Natale e felice 2011 a tutti!!!

Vostra,

Ila <3

 

  
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