I
giorni dopo passarono veloci.
I
sensi di colpa che l'avevano assillata stavano pian piano svanendo,
sembrava
che tutto stesse ritornando come di consueto, ma era più che
convinta che
sarebbero ritornati.
Intanto
aveva deciso di non dire nulla ad Evan, non voleva che lui sapesse.
Forse
per vergogna o forse perché non amava sbandierare ai quattro
venti i suoi
affari privati. Quando si vedeva con lui faceva finta di niente, come
se quello
che fosse successo in realtà non fosse mai accaduto. A volte
sperava di
svegliarsi e dire a se stessa che era stato tutto un brutto sogno.
Ma
come scappare ormai? Era stata proprio lei a voler creare questa
società, la
responsabilità era solo sua e adesso aveva paura di reagire
alla stessa maniera
nel momento in cui giornalisti le avrebbero fatto delle domande
riguardo La
[I]Avril Lavigne Foundation[/I]. Ma non voleva tirarsi indietro, questo
no.
Erano quasi due anni che meditava su questo progetto e ne andava fiera,
ne era
proprio orgogliosa.
Doveva
solamente fingere. Fingere di fronte ai giornalisti di essere forte e
imperturbabile e che, al di là della magnanimità,
non ci fosse nient'altro.
“Vi
prego lasciatemi! Non fatemi del male!
Aiuto!”
Una ragazza mingherlina era stesa per terra con un labbro sbucciato ed
il naso
sanguinante ed implorava aiuto. Delle ragazze più grandi e
di corporatura
robusta la circondavano e poi buio totale.
Avril
si rialzò di soprassalto, si passò una mano sulla
fronte e si accorse di essere
fradicia di sudore. Da quando aveva fondato la [I]Avril Lavigne
Foundation[/I]
faceva spesso questo sogno. Sapeva a cosa si riferiva e si chiedeva per
quanto
tempo ancora le cose sarebbero andate avanti così.
Scese
dal letto scalza, si diresse in bagno, si sciacquò la faccia
e visto che era
stata scossa da quel sogno, decise di andare a fare colazione. Erano le
7.30
del mattino.
Dopo
aver consumato una tazza di latte con i cereali al mais, si
vestì.
Quel
giorno si sentiva un po’ ribelle, perciò si
infilò una minigonna rossa e nera,
calze a righe, cintura con borchie, camicetta bianca e una cravatta
nera, che
non guasta mai.
Indugiò
alcuni minuti nel suo salotto della casa di Los Angeles, poi si decise.
Prese
il telefono e digitò il numero.
“Pronto?”
“Puoi
farmi un favore?”
“Avril?”
“Sì,
sorellina sono io. Non ti ricordi più di me?”
Chiese scherzosa.
“No
infatti. Non chiami mai a casa per sentire come stiamo e per farti
sentire.”
Disse scocciata.
“Miche,
dai! Lo sai che c’è tanto da lavorare. Comunque ho
bisogno del tuoi aiuto.”
“Sentiamo”
“Cerca
nell’elenco telefonico Maggie Stradford e poi
richiamami.”
“Eh?
Perché?”
Riattaccò.
Stava
facendo qualcosa che avrebbe dovuto fare 10 anni fa.
[I]Meglio
tardi che mai[/I], pensò.
Magari
una volta per tutte quei rimorsi sarebbero finiti definitivamente.
Lo
sperava.