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Autore: Good Girl    31/12/2010    11 recensioni
[SPOILER - Future Fic - Titolo: Morning After Dark - Timbaland feat Nelly Furtado & SoShy]
Volume II.
Sono passati quattro anni dalla fine di Oh! Forever, e tutto sembrava andare alla perfezione.
Certo, sembrava. Perché non può essere tutto perfetto a Manhattan.
Cosa succederà? Quale evento porterà scompiglio nelle vite degli UESiders, sconvolgendole, forse, per sempre?
{E' una specie di giallo, ovviamente Chair. La lettura di "Oh! Forever" non è fondamentale per la comprensione della storia, ma, tuttavia, è raccomandata per una migliore visione d'insieme}
Genere: Drammatico, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blair Waldorf, Chuck Bass, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Empire State Of Waldass'
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AN: Non ho più scusanti; vi do il libero arbitrio per insultarmi apertamente!
Ieri, poi, come se non bastasse, ero quasi alla fine della stesura di questo capitolo e, ovviamente, è saltata la corrente a casa mia. *depression mode*
Mi spiace non aver aggiornato prima. Colgo, comunque, l'occasione per augurare Buon Natale (in ritardo) e Buon Anno a tutti!

 

Morning After Dark
The Kids Aren't Alright

The Offspring




Blair's POV
Partire fu una delle cose più difficili che io abbia mai dovuto fare. Sì, davvero, sono serissima. Ovvio, non difficile quanto partorire due volte, ma abbastanza difficile. Perché quando Chuck Bass decide di essere in ritardo... bé, lo fa con stile. Come tutte le cose che fa, d'altronde.
Di solito, è una persona piuttosto puntuale. Insomma, rispetta sempre gli impegni dati, soprattutto sul lavoro, ed è sempre o in anticipo, o in perfetto orario. Rare sono le volte in cui è in ritardo. A Chuck Bass non piace essere in ritardo. Ci sono, però, quei periodi in cui proprio DECIDE di essere in ritardo. Soprattutto se non ha impegni da rispettare. Bé, quella era una di quelle volte.
Non so se fu più difficile svegliarlo o farlo alzare dal letto. Forse la seconda. So solo che, per farlo entrare in doccia (e con “in doccia” intendo “in doccia con me”, ma sono dettagli), ci misi circa un’ora. E non dico quanto per farlo uscire - anche se, forse, il fatto che fossi in doccia con lui ha contribuito un pochino al ritardo. Ma dico forse.
Arrivammo in aeroporto con circa tre quarti d’ora di ritardo, e, una volta giunti in prossimità del jet privato dei Bass (che, lasciatemelo dire, era davvero uno dei jet privati più belli che abbia mai visto), ci accorgemmo che nessuno dell’equipaggio era nelle vicinanze. Nessuno, a parte Amanda, l’assistente di bordo, che stava fumando tranquillamente una sigaretta. Era un bella ragazza, quell'Amanda. Tempo addietro ero stata particolarmente gelosa di lei. Particolarmente gelosa. Soprattutto quando Chuck era dovuto andare a Mosca per un paio di giorni e lei era con lui. Mi fidavo di Chuck, ciecamente. Dopo anni con lui, era normale che mi fidassi. Ma il fatto che, come assistente di bordo, ci fosse lei, Amanda, con i suoi riccioli biondi e le lunghe gambe da modella... bé, non mi rassicurava. Per niente. Chuck aveva trovato molto divertente tutto questo, dicendo che Amanda non era certamente un pericolo per me.Enfatizzando quel per me.
Cosa voleva dire? Per spiegarmi il tutto, si limitò a dire che era più un problema per lui, in quanto Amanda seguiva una “dieta” particolare, come mio padre. Ci misi poco a collegare. Dopo quel momento, devo dire che non fui più gelosa di Amanda. Anzi, fu Chuck che cominciò ad essere geloso.
La ragazza ci disse che gli altri erano andati a fare una pausa, ma che non sapeva dov’erano. Un gesto solidale nei confronti dei suoi compagni di sventura? (Sì, perché lavorare per Chuck Bass era spesso una sventura.) 
Fatto sta che un quarto d’ora dopo, dopo averli cercati per tutto l’aeroporto (o meglio, dopo aver mandato qualcuno a cercarli), li trovammo tutti da Starbucks a fare colazione. Offriva il capitano.
Non potevo di certo biasimarli, sarei andata anch’io a fare colazione, d’altronde.
Chuck Bass e i suoi 'elegantemente in ritardo'.
Riuscimmo a recuperare tutti, e fummo finalmente in partenza mezz'ora dopo. Chuck, non appena mettemmo piede sull'aereo, mi portò in una delle camere del jet, adducendo la scusa che non aveva dormito abbastanza. Certamente, dormirenon fu quello che facemmo.
Quello era un altro dei piccoli inconvenienti che lo stare con Chuck Bass ti procurava. O meglio, era uno degli inconvenienti che l’essere Blair Waldorf e stare con Chuck Bass ti procurava. Eravamo come magneti, due elettrodi, incapaci di stare lontani l’uno dall’altra. Converrete con me che questo genere di attrazione può portare a delle conseguenze spiacevoli. Relativamente parlando, ovvio. Perché dal nostro punto di vista, le conseguenze erano più che piacevoli. Ma quando, ad esempio, vi beccavano impegnatiin attività ricreative nel guardaroba di un ristorante o, ad esempio, nella sala del personale all’Empire… diciamo solo che non era proprio il massimo.
 
Il jet privato dei Bass era dotato di ogni genere di comfort possibile e immaginabile. L’interno era piuttosto spazioso ed era arredato quasi con la stessa cura e raffinatezza del nostro attico sulla Quinta. Ovviamente, non con la stessa cura. L’aereo non veniva usato molto, soprattutto perché Chuck non andava più tanto spesso in viaggi di lavoro come soleva fare prima. Non gli piaceva stare lontano da casa, così diceva. Ogni volta che era richiesta la sua presenza, mandava sempre un ambasciatore di sua fiducia a rappresentarlo, perché non voleva allontanarsi da noi, dalla sua famiglia. Ci credete? Io faccio ancora un po’ di fatica. Era, però, capitato che la sua presenza fosse strettamente necessaria, e che fosse necessario, di conseguenza, che lui partisse per prender parte alle riunioni e agli incontri di lavoro. Non accadeva spesso, forse una volta all’anno o anche meno. Memorabili erano gli spettacoli da prima donna che inscenava la piccola Charlie, quando veniva a conoscenza del fatto che suo padre si sarebbe assentato per qualche giorno. Cominciava con il chiedergli, l’implorargli, di portarla con sé e alla risposta di Chuck che no, non era possibile che lei andasse con lui, Charlotte assumeva un’espressione affranta, capace di spezzare il cuore anche alla persona più crudele del mondo. Dopo il rifiuto da parte del padre, si potevano scorgere lacrime silenziose che rigavano il suo bel visino, e, addolorata, procedeva a passo lento verso la sua camera, chiudendosi dentro con le sue chiavi immaginarie (la porta di camera sua, per ovvie ragioni, non disponeva di chiavi vere) e rifiutandosi di parlare con chiunque. L’unico che era poi in grado di smuoverla e di farla uscire era proprio suo padre. Dovevate vederli insieme! Charlie riempiva sempre suo padre con sguardi carichi di ammirazione e adorazione e Chuck la guardava sempre con così tanta dolcezza e amore che quei due, insieme, mi facevano letteralmente sciogliere.
Dopo averla fatta calmare, Chuck e Charlie uscivano entrambi mano nella mano dalla camera e raggiungevano me e Will in sala. Charlie, allora, mi si avvicinava e mi abbracciava sorridente. Si sedeva accanto a me, mettendo la testa sul mio grembo, e si lasciava accarezzare i boccoli castani. Chuck prendeva Will tra le braccia e si metteva accanto a noi, mettendomi il braccio libero intorno alle spalle e dandomi un bacio sulla guancia. Era uno dei miei momenti preferiti in assoluto.
 
Il viaggio proseguì, per la maggior parte del tempo, in modo tranquillo. A circa un’ora dall’atterraggio, però, Amanda bussò alla nostra camera, dicendo che avevano ricevuto una chiamata d’urgenza da New York.
Preoccupata, mi alzai dal letto e, infilandola vestaglia, corsi ad aprire la porta. Dopo avermi squadrata in apprezzamento, mi porse un biglietto, dove c’era scritta una piccola nota. Era un messaggio da parte di Serena, che diceva “B, perché non siete ancora arrivati? Chiamami appena scendete dall’aereo e venite subito a casa. E’ MOLTO importante.”
“Sai a cosa si riferisca?” le chiesi.
“No, mi spiace, Mrs Bass. Questo è tutto ciò che abbiamo ricevuto. I cellulari possono interferire con gli apparecchi elettronici del jet e non è il caso di rischiare.”
Ringraziai Amanda e mi voltai verso Chuck, che si era appena alzato per venirmi incontro.
“Cosa succede?” mi chiese.
“Non lo so. E’ un messaggio di Serena, dice che è urgente.”
“Non dice nulla a proposito di cosa si tratti?”
“No, niente.”
Mi prese il biglietto e se lo rigirò tra le mani.
“Le costava molto dirci a cosa si riferiva, vero?” mi chiese.
“Chuck, sono preoccupata.”
E lo ero. Avevamo dato l’ordine preciso di chiamare sull’aereo solo in caso di emergenza, di vera emergenza.  Doveva essere davvero importante, se si era mobilitata così.
Ci rivestimmo in fretta e ci preparammo all’atterraggio.
Finalmente, scesi dall’aereo e accesi immediatamente il cellulare, per chiamare Serena.
Rispose al primo squillo.
“Oh, B!”
“Serena! Serena, cos’è successo?”
“Oh, B, è terribile.” Disse singhiozzando.
“Cosa? Cosa è terribile?”
Serena piangeva, mormorando qualcosa tra le lacrime che non riuscivo a capire.
Chuck mi prese delicatamente per un braccio e mi condusse verso la limo, che ci aspettava per condurci a casa. Non appena entrammo nel veicolo, misi la chiamata in vivavoce, cosicché pure Chuck poteva ascoltare.
Cominciai ad agitarmi seriamente. Perché Serena non parlava? Cos’era successo di così terribile?
“Io…” disse interrompendosi per le lacrime.
“Serena, parla. ORA.” Ordinò Chuck, visibilmente irritato.
Ci fu un attimo di silenzio, finché Serena non riprese a parlare.
“Stamattina io e Dorota avevamo deciso di andare a casa vostra, per vedere come stavano mia madre e i bambini.”
Si fermò ancora, piangendo.
“Serena, ti prego.” Dissi quasi piangendo io stessa. Avevo un’orribile sensazione, una di quelle sensazioni che sai essere vere e fondate.
“Noi… eravamo praticamente davanti al vostro palazzo, quando abbiamo visto un’enorme folla davanti alla porta. Non appena ci hanno visti, alcuni hanno cominciato a bisbigliare e un paio di giornalisti ci sono venuti subito incontro, chiedendoci cosa ne pensavamo di ciò che era successo e chiedendoci dove eravate voi e perché non eravate a casa…”
Serena stava piangendo, e le lacrime le impedivano i parlare.
“S…” sussurrai, come per pregarla di proseguire.
“Non capendo a cosa alludessero, siamo andati incontro alla polizia, che ci ha sbarrato la strada. Ci hanno chiesto i nomi e, una volta capito chi eravamo, ci hanno portato dentro, spiegandoci tutto e… oh, B, è stato terribile! Appena siamo entrate, abbiamo visto Dimitri, il vostro portiere, che veniva portato via incosciente su una barella. Perdeva tanto di quel sangue! La polizia ci ha detto che probabilmente aveva opposto resistenza e che, quindi, hanno dovuto renderlo innocuo…”
“Arthur, vai più veloce!” ordinò Chuck all’autista.
“Sto facendo il possibile, Mr Bass!” rispose lui, preoccupato.
“Tra quanto riusciamo ad arrivare?”
“Pochi minuti, signore!”
“Opposto resistenza a chi, Serena?” chiesi ormai piangendo, sapendo già quello che doveva dirmi.
Chuck mi prese per mano e chiuse gli occhi, visibilmente agitato.
“Oh, non si sa, B! La polizia sa solo che non era Dimitri l’obiettivo. E nemmeno mia madre. Hanno colpito pure lei! La polizia l’ha trovata a terra, priva di sensi.” Disse lei, piangendo ancora più forte.
Chiusi gli occhi, lasciando cadere una lacrima, che bagno la mano di Chuck. Lui mi strinse ancora di più la mano. E io riuscii finalmente a fare quella domanda, la domanda che mi stava uccidendo.
“Serena, dove sono i bambini?”
 “Oh, B!” disse lei tra i singhiozzi.
Un nodo mi si fermò in gola, quasi impedendomi di respirare. Il cuore pulsava veloce, così come il mio cervello. Se non fossi stata seduta, sarei senza dubbio svenuta.
“Serena… dove sono i bambini?” chiese Chuck, con la voce strozzata.
“...”
“Serena.” La implorai, cercando di mandare giù quel nodo che mi opprimeva.
“Non lo so.” Rispose lei.
 
La limo si fermò. Eravamo arrivati. Lo capimmo anche dalla folla di giornalisti e paparazzi che ci si parò di fronte, quasi impedendo ad Arthur di farci uscire.
Chuck mi prese per mano e, una volta aperta la portiera, mi fece uscire dal veicolo. Milioni di flash ci accecarono, e un numero incalcolabile di microfoni ci fu messo davanti, con la richiesta di lasciare una dichiarazione.
Odiavo i giornalisti. Non capivano mai quand’era il momento di smetterla, di non infierire. E invece no, si vedeva che loro godevano nel trarre dei vantaggi dall’infelicità altrui. Perché a loro non accadevano mai queste cose? Perché nessuno andava a far del male ai loro cari, a rapire i loro bambini?
Bloccai subito i miei pensieri. Nonostante il profondo odio che provavo nei loro confronti in quel momento, non avrei mai augurato a nessuno di provare una sensazione simile di vuoto e di dolore. Nemmeno al mio peggior nemico avrei augurato una cosa simile.
“Cosa farete ora, Bass?”
“Dov’eravate quando i vostri figli venivano rapiti?”
“Cosa ne pensate della sicurezza del palazzo? Avete in mente di denunciare l’amministratore?”
“Avete qualche idea su chi potrebbero essere i rapinatori?”
“Mr Bass, crede che questa vicenda sarà un’ottima pubblicità per la sua catena alberghiera?”
“E’ vero che avete pagato delle persone per rapire i vostri bambini e che questa è tutta una trovata pubblicitaria?”
Mi fermai di scatto, cercando tra la folla quella voce che aveva osato dire una cosa del genere. Lo vidi. O, perlomeno, capii che era stato lui. Chuck si era fermato anche lui, ma teneva lo sguardo fisso davanti a sé.
Mi avvicinai al giornalista, con le lacrime agli occhi, e lo guardai, fisso negli occhi.
Chuck mi si avvicinò, dicendo di lasciar perdere. Avevamo cose più importanti a cui pensare.
Ma non riuscii ad allontanarmi.
Calò il silenzio tra i giornalisti e tutti si concertarono sulla scena in atto.
Il giornalista mi guardava negli occhi, turbato e un po’ preoccupato.
“Non si azzardi mai più a dire una cosa del genere. E’ chiaro?”
In sottofondo si sentiva solo il rumore delle macchine fotografiche.
“Mi scusi.” Sussurrò lui.
Mi asciugai una lacrima con la mano libera, visto che Chuck mi stringeva l’altra. Mi voltai, e seguii Chuck e la polizia, che ci stava facendo strada tra la folla per entrare nella hall del palazzo.
Quella giornata aveva vinto il premio come “peggiore giornata della mia vita”.
 
 
Chuck’s POV
 
Anche mentre i poliziotti ci spiegavano la dinamica degli eventi, non riuscivo a realizzare. Stavo in silenzio, incapace di proferire parola. Mi limitavo ad ascoltare distrattamente, fissando un punto indeterminato nell’aria.
A cosa serviva ascoltare? Sapevo che la polizia era inutile.
Avevano rapito i miei figli, i miei bambini.
Mi sentivo come se mi avessero svuotato di tutto ciò che avevo in corpo. Mi sentivo come se, al posto degli organi, avessero messo delle pesanti pietre. Grossi e pesanti macigni.
Avrei preferito morire.
Era colpa mia. Perché se non avessi convinto Blair a partire, tutto questo non sarebbe successo. Charlie e Will sarebbero stati nelle loro camere, nei loro letti, e starebbero ancora dormendo.
Guardai Blair. Mi teneva per mano, piangeva. Ascoltava in silenzio, come me, ciò che la polizia aveva da dirci.
“Lily Van der Woodsen è stata trovata a terra, priva di sensi. E’ lei che ci ha detto di andare a controllare i bambini, non appena si era ripresa. Siamo andati nelle loro camere, ma non c’erano. All’inizio pensavamo si fossero nascosti. A volte, i bambini, in caso di pericolo, si nascondono. Tuttavia, abbiamo perlustrato tutta la casa e di loro non c’era traccia. I rapinatori, apparentemente, non hanno toccato nulla, solo…”
“I bambini.” Disse Blair sussurrando.
“Li troveremo, Mrs Bass. Glielo prometto.” Rispose il comandante della polizia, cercando di confortare Blair, che sembrava stesse per avere un crollo. Come me, d’altra parte.
Lo guardai sprezzante. “Le sue promesse sono solo parole. Inutili e insignificanti parole! Dove sono i miei bambini? Perché siete ancora qui a girare senza meta, invece che essere a cercarli?”
“Chuck…” mi disse Blair, mettendomi una mano sul braccio.
“Mr Bass, è fondamentale prima che lei risponda a qualche domanda. Dobbiamo pur avere delle piste da dove cominciare. Le telecamere di sicurezza sono state messe fuori uso e…”
“Domande, certo.” Risposi sarcastico.
“Mr Bass,” disse un tizio con un bloc notes in mano “le viene in mente, per caso, qualche nome di un possibile rapinatore? Magari qualcuno che vorrebbe metter mano sulla sua compagnia?”
“Qualche nome?! Sono uno degli uomini più ricchi di Manhattan! Sinceramente, non le so dire QUALCHE NOME.”
Mi irritava. Profondamente. E’ come quando i bambini chiedono ai loro compagni “a quanta gente stai antipatico?”. Sperava davvero che io avessi una risposta? Ma è chiaro, ovvio. Se qualcuno è deciso a danneggiar la tua azienda, si palesa e si mette pure in mostra, prima di rapire i tuoi figli. Di gente che voleva mettere le mani sulla compagnia era pieno, ma di certo tutto ciò non si limitava a “qualche nome”!
“Potrebbe compilare una lista, per favore? Con almeno un paio di nomi, i primi che le vengono in mente. Abbiamo ragione di credere che il rapinatore sia collegato ai suoi affari, Mr Bass.”
Sospirai, stanco. “Va bene. Va bene, le farò la lista.”
“Bene. Dunque, eravate a Parigi per lavoro, giusto?” proseguì il tipo con il bloc notes.
“Sì.” Rispose Blair mogia.
“E ci siete stati per circa 5 giorni, è corretto?”
Entrambi annuimmo.
“E… a chi avevate lasciato i bambini?”
“Alle nonne, giorni alterni. I primi due giorni erano con Evelyn Fisher, gli altri due con mia madre, Eleanor Waldorf-Rose, e l’ultimo con Lily Va der Woodsen, Bass, Humphrey, o come si fa chiamare adesso.” Disse Blair.
“Abbiamo parlato con la signora Fisher e con la signora Rose, ma ci hanno detto che non hanno notato nulla di sospetto nei giorni precedenti. Tuttavia, abbiamo modo di credere che i rapinatori sapevano bene dove eravate voi, quando sareste tornati, e chi c’era con i bambini. E’ probabile che abbiano intercettato le chiamate e che vi abbiano spiato, ultimamente. Non è la prima volta che capita.”
“Dov’era l’addetto alla sicurezza? Perché le telecamere sono state messe fuori uso con così tanta facilità?” chiesi.
“Il signor Kaine, l’addetto alla sicurezza, era in malattia. Ci ha detto che avrebbe dovuto esserci un sostituto, ma evidentemente costui non si è presentato. Per quanto riguarda le telecamere di sicurezza… bé, è per quello che abbiamo avanzato l’ipotesi che vi spiassero da un po’. Sapevano come muoversi all’interno del palazzo, e sapevano chi possedeva le chiavi della centralina delle telecamere.”
“Ma perché i bambini?” chiese Blair, con voce strozzata.
“Li leggono tutti i giornali, Mrs Bass. E la gente gira per Manhattan. Sanno che Mr Bass tiene ai suoi figli più delle compagnia, e sanno pure che sarebbe disposto a qualsiasi cosa pur di riaverli. I figli sono sempre un punto debole in queste situazioni.”
Un idiota. Ecco cos’era questo tipo. Un grosso e completo idiota.
“Lei ha figli?” chiesi.
“No.”
“Dunque è per questo che non capisce.”
“Mr Bass, è come con i figli del presidente del nostro Paese. Certo, la faccenda, in quel caso, è portata a livello nazionale, ma anche in questo fatto si rischia parecchio.”
“Che cosa intende?”
“Bé, lei è Chuck Bass, il magnate dell’industria, uno degli uomini più ricchi degli Stati Uniti. Possiede compagnie, catene alberghiere, azioni tra le più quotate. Ogni faccenda che lo riguarda è sempre in prima pagina, sia nei quotidiani cittadini, che in quelli nazionali, che nelle riviste di Gossip. Lei e sua moglie regnate nella terza pagina, affiancati da Mrs Archibald e suo marito Nate Archibald. Siete un punto di riferimento per questa città ed è inevitabile avere nemici. Dico solo che è, in un certo senso, normale che i vostri figli siano in pericolo.”
Rimasi spiazzato.
“Non siamo noi che desideriamo ardentemente finire in prima pagina.” Rispose Blair indignata.
“Oh, no, Mrs Bass, non mi fraintenda! Non dicevo questo!”
“E cosa diceva, allora?” disse Blair, irritata.
“Intendevo dire che con la vostra visibilità è normale che…” continuò il tipo con il bloc notes.
“Va bene, va bene, basta così.” Intervenne il capo della polizia. “Credo possa bastare.”
Io e Blair guardammo con aria truce l’individuo con il bloc notes. Come se a noi facesse piacere vedere in prima pagina cose che ci riguardano!
Mi feci un appunto mentale. Quel tipo era da eliminare. Ok, non proprio eliminare. Licenziare, diciamo.
Ci dissero che potevamo salire in casa. Salutammo Serena e Dorota, presi per mano Blair e andammo verso l’ascensore. Arrivammo davanti all’atrio di casa, con delle persone della polizia che stavano uscendo dal nostro attico.
L’ultimo degli agenti chiuse la porta bianca alle sue spalle e, quando ci vide, ci fece un debole sorriso.
“Mi dispiace.” Disse.
Io e Blair avanzammo verso la porta e, sospirando pesantemente, aprimmo la porta.
Tutto era in ordine.
L’orologio analogico, che segnava l’ora non solo di New York, ma anche delle nostre città europee preferite, era giusto. Il tavolino lucido, i pavimenti di marmo splendenti. La cucina era impeccabile, le tende alle grosse finestre voluminose come piacevano tanto a Blair. Non c’era nemmeno un segno di ciò che era accaduto lì quella notte. Nulla. Come se non fosse nemmeno successo.
Andammo nella nostra camera, sempre tenendoci per mano. Blair si avvicinò al letto, si tolse le scarpe, e si sdraiò, dandomi di schiena, senza dire una parola. Io feci lo stesso e mi avvicinai a lei.
La abbracciai, sentendo i suoi profondi respiri e vedendo le lacrime che le rigavano il viso.
Si addormentò in fretta. Per un po’, rimasi a guardarla. Poi, non resistendo più, mi alzai e mi diressi verso le camere di Will e Charlie. Passai prima nella camera del bambino. Il letto era sfatto, segno che stava dormendo ancora. Mi si strinse il cuore. Lo stesso accadde nella camera di Charlie. Non c’era nemmeno Catherine, la sua bambola preferita.
Stavo per andarmene, quando vidi un nastro blu per terra. Era uno di quei nastri che Charlotte soleva mettere per legare i capelli, prima di andare a letto. Lo raccolsi, e lo attorcigliai attorno al dito. Lo annusai, e sentii il suo profumo.
Mi venne un’incredibile voglia di scotch. Tenendo il nastro fra le mani, andai in sala, al piano bar, e mi versai un bicchiere. Mi misi davanti ad una delle grandi finestre, ammirando New York.
Sentii, poi, qualcuno abbracciarmi da dietro. Blair. Appoggiai l’avambraccio al vetro della finestra, posandoci sopra la testa e chiudendo gli occhi. Sentii Blair darmi un bacio sulla schiena e accarezzarmi.
“Li troveremo. Ti prometto che li troveremo.”
E, insieme, guardammo Manhattan. Sapevo che li avrei trovati. Non credo sarei stato in grado di sopravvivere, altrimenti.
New York, I love you, but you’re bringing me down.
   
 
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