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Autore: Elos    01/01/2011    5 recensioni
Gabriel non ricorda di essere stato umano, Gabriel non ha più nessuno. C'è stato un tempo in cui era bello, molto bello, bellissimo, ma adesso quel tempo è passato. Gabriel viaggia con un armadio al seguito e quattrocento anni di ricordi perduti sulle spalle.
In una casa antichissima piena di cose rotte e di cose preziose avrà inizio la più bizzarra delle convivenze.
Prima classificata e vincitrice del Premio Attinenza al concorso Once upon a Bloody December indetto da storyteller lover.
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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4. benda



- Sento un po' di freddo. - aveva detto Etienne, e poi il vaso gli era caduto di mano.

Gabriel pensò per un attimo che l'avrebbe uccisa, mentre ringhiava e poi ruggiva e si spingeva nella stanza con forza tale da divellere la porta. Morrigan rimase immobile al suo posto, seduta in mezzo alle cose dell'armadio, le cose di Etienne, di Etienne, finché Gabriel non si chinò, non l'afferrò per un braccio e la strattonò in piedi.
La scrollò con violenza e non ebbe pietà nel sentire l'osso della spalla cigolare, la cartilagine spezzarsi. Morrigan spalancò la bocca e gridò per il dolore, la voce acutissima e infranta e come nuova, una voce mai usata. Morrigan non aveva mai parlato, prima. Non aveva mai pianto, mai urlato. Gabriel sentì di volerne ancora, di quella voce.
- Ti avevo detto di non farlo! - La trascinò fuori dalla stanza reggendola per il braccio lesionato e, quando la sentì afflosciarsi, le ginocchia che cedevano, invece che lasciarla andare insisté con maggiore ferocia.
Da Morrigan emerse un suono a metà tra un rantolo e un singhiozzo, debolissimo, prima che un altro strattone di Gabriel la facesse gridare nuovamente.
Scesero le scale e per un attimo lui pensò di portarla fuori, di buttarla in mezzo alla neve del cortile e straziarla lì, bere da lei, berla, finalmente fare quello che avrebbe dovuto fare sin dall'inizio. Avrebbe potuto ucciderla in cucina. L'aveva imboccata su quello stesso tavolo, e invece adesso ce l'avrebbe sgozzata sopra, come su un altare. Nell'atrio, sulle scale. Sul divano.
- Hai pensato che sarebbe stato divertente guardare dove non dovevi? - Sibilò feroce. - Hai pensato che non ti avrei fatto nulla? Che saresti stata perdonata? Ti stavo risparmiando! - La urlò, l'ultima parola, rabbiosamente. - Ti stavo risparmiando! Saresti vissuta ancora un po' se tu non fossi stata così stupida! -
Ai piedi delle scale, finalmente, si fermò. Morrigan tremava lì accanto, la spalla slogata piegata ad un'angolazione innaturale, il braccio che oscillava vistosamente, rigida per la sofferenza. Aveva il viso pallido, gli occhi sgranati, le pupille gigantesche. Guardava nel vuoto, con il respiro a sollevarle affannosamente il petto.
In cucina? Si chiese Gabriel, serrandole il polso con forza bastante a farlo scricchiolare. In cortile?
E invece spalancò la porta del ripostiglio delle scope, ai piedi delle scale, e ce la buttò dentro. Morrigan finì in ginocchio sul pavimento di legno. Si rannicchiò a chiocciola attorno al braccio leso, non appena si fu ripresa dalla caduta, e alzò gli occhi per guardare Gabriel.
Uccidila. Si disse lui. Uccidila, uccidila.
Ha disobbedito. Ha toccato le cose di Etienne, e le avevi detto di non farlo. Uccidila, uccidila. E' il momento giusto.
Sbatté la porta con forza, facendo girare la chiave due volte nella serratura, e le urlò attraverso il battente di legno:
- E ci morirai, lì dentro! -

Fu l'alba, poi di nuovo il tramonto.
Scese le scale di legno e accostò l'orecchio alla porta. Non proveniva nessun suono, dall'interno, nessun rumore: ma, aguzzando l'udito, Gabriel sentì Morrigan respirare.
Era ancora viva.
C'era un ubriaco che camminava da solo in una strada buia a due isolati da Candledoore Square. Era ancora molto vicino a casa, ma lui aveva molta fame. Gli scivolò alle spalle senza nessun rumore, gli posò un braccio intorno alla schiena. Lo tenne fermo mentre gli affondava le zanne nella gola e l'uomo mugolava, inorridito, con le corde vocali lacerate e il sangue che scorreva addosso a entrambi come un fiume, e poi lo colpì ancora e ancora, con ferocia, finché non ci fu più nulla, dentro di lui, che potesse essere bevuto.
Tornato nella casa, si fermò nuovamente davanti alle scale.
Doveva ucciderla, ucciderla, si disse. Doveva farla a pezzi, buttare i resti in mezzo alla neve e poi lasciare quella casa, quella città. La gens del cimitero ne sarebbe stata sollevata - Gabriel era un ospite inquietante e inopportuno - e tutto sarebbe tornato a posto.
Aveva avuto il suo giocattolo. Aveva avuto il suo carillon. Si era divertito abbastanza, e adesso il giocattolo si era rotto. Era tempo di cambiare zona.
Uscì nuovamente. Seguì una coppia appena uscita da un pub e stette loro alle calcagna per un po'. Erano giovani, erano carini. Lei forse aver bevuto un po' troppo, barcollava, lui la teneva in piedi. Uccise per primo il ragazzo, senza astio, per poi bloccare a terra la donna. Aveva lunghi, lunghissimi capelli neri che assomigliavano un po' a quelli di Morrigan.
- Ti prego. - singhiozzò lei. - Ti prego. -
La voce non era quella di Morrigan. Morrigan alla quale aveva slogato il braccio, che aveva fatto urlare. Morrigan che aveva chiuso nell'armadio delle scope.
Le spezzò l'osso del collo, prima di bere da lei. Quando ebbe finito con entrambi aveva la camicia viscida di sangue, la gola e il mento sporchi, appiccicosi. Trascinò i cadaveri fino al fiume - il fiume di Londra, grigio come il petrolio - e ce li lasciò cadere dentro: poi, senza pensare a ripulirsi la bocca, riprese la strada di casa.
Sentiva ancora fame, sentiva ancora vuoto.
Quando si fermò ad ascoltare, con la testa appoggiata alla porta dello sgabuzzino in Candledoore Square, il respiro di Morrigan era spezzato e affannoso.

Gabriel chiuse tutte le imposte, poco prima che il sole sorgesse. Mise i cuscini attorno al letto, si sdraiò su un fianco. Cercò la posizione più comoda e si portò le mani vicino al viso. Le bende erano circondate da un olezzo sottile e persistente, penetrante come una lama scura, che era sopravvissuto agli anni, ai secoli, ai viaggi.
Le bende venivano da un posto dove Etienne respirava ancora, da una camicia che Etienne indossava, da un tempo in cui Etienne era stato vivo, e con lui. Odoravano di vecchio. Di malato.
Gabriel le teneva accostate alla bocca perché così, pensava, nel sonno potevano parlarsi. Almeno nel sonno.
La luce del sole filtrò in Candledoore Square, ma non raggiunse l'interno della vecchia casa.

- Sento un po' di freddo. - aveva detto Etienne, e poi il vaso gli era caduto di mano.
Gabriel si era precipitato ad afferrare suo fratello prima che seguisse sul pavimento il vaso; l'aveva sollevato e preso in braccio in un unico movimento, era corso al piano di sopra e l'aveva deposto nel letto. Etienne scottava, bruciava di febbre. Aveva gli occhi lucidi.
- Fa molto freddo. - aveva detto ancora, bisbigliando. - Molto. -
Gabriel aveva pensato
aiuto. Aiuto, aiuto, aiuto...

La terza notte non aveva ancora voglia di vedere Morrigan, ma sapeva che, se l'avesse lasciata nello sgabuzzino senza far nulla in proposito, sarebbe morta lì dentro di fame e di sete, molto semplicemente. E questo non andava bene, pensò Gabriel. Se fosse morta così non avrebbe potuto berla.
Aprì la porta ai piedi delle scale e un odore rancido di fluidi, di secrezioni e di dolore emerse in una nube quasi tangibile. Morrigan era esattamente dove l'aveva lasciata, raggomitolata nel buio, e lo guardava con un'espressione confusa, annebbiata. Non sembrava troppo presente a sé stessa.
Gabriel aveva pensato di buttarle dentro qualcosa da mangiare e di richiudere la porta subito dopo, ma il fetore era troppo anche per lui. Non lo sopportava. Non gli piaceva. Non si sentiva l'odore di Morrigan, così, non si sentiva il suo sangue.
Provò a tirarla fuori dallo sgabuzzino a forza di strattoni, ma lei inciampava, barcollava. Sbatté contro una parete e singhiozzò quando l'urto le scosse la spalla ferita. Gabriel si risolse, alla fine, a prenderla in braccio e portarla in bagno. La mise nella vasca, così vestita com'era, e aprì l'acqua corrente per lavarla: quella che usciva dai lavandini era rugginosa, come sempre, e a malapena tiepida, ma, quando Gabriel ebbe finito, Morrigan era pulita. Le tolse i vestiti, senza troppo curarsi del suo braccio dolorante, e gliene diede di puliti. La imboccò e la ragazza mangiò dalle sue mani, avidamente. Aveva provato a bere l'acqua che usciva dal tubo, prima, ma Gabriel gliel'aveva impedito colpendola sulla faccia ad ogni tentativo. Le diede una bottiglia di latte, adesso, e l'acqua pulita che acquistava in casse al negozio all'angolo. Morrigan bevve tutto, mangiò tutto, e si lasciò tirar fuori dalla vasca e riportare indietro senza cercare di resistere.
- Ti strapperò gli occhi, forse. - disse, e lo pensava davvero. - O le orecchie. Se non le usi per ascoltare gli ordini, allora a che ti servono? -
Morrigan strinse con una mano il braccio di Gabriel, quando furono nuovamente ai piedi delle scale, ma lui si limitò a scrollarsela di dosso e a spingerla nuovamente dentro lo sgabuzzino.
Un attimo prima che la porta si chiudesse vide gli occhi della ragazza levarsi a guardarlo, argentati come specchi rotti.

Gabriel aveva supplicato Edouard.
- Aiutami. Ti prego. L'anno è quasi finito. Avevi detto che l'avresti trasformato. Avevi detto che l'avresti fatto, se ti avessi servito, e io ho fatto tutto quel che mi hai ordinato. Farò tutto quello che mi ordinerai fino alla fine dell'anno ma, ti prego, fa' questo per me. -
E' il momento giusto, questo, è l'ultimo momento possibile. Edouard non rifiuterà. Edouard trasformerà Etienne. Lo renderà immortale. Edouard lo salverà.
Ma Edouard alza la testa, fissa Gabriel con quello strano sguardo che ha sempre sul viso quando si parla di Etienne e, molto semplicemente, dice:
- No. -


Un grazie a schwarzlight, che partecipa al programma Adotta una storia anche tu
, e a Piccolo Fiore del Deserto, Tatan e Thiliol che si sono fermati a commentare lo scorso capitolo. Grazie a Ichibanme_Arisu per la segnalazione di questa storia per la Scelte.

Un'osservazione di schwarzlight sulla scelta del nome di Morrigan mi ha fatto realizzare che, in effetti, non avevo spiegato ancora il perché dei nomi.
Partiamo proprio da Morrigan: Mòrrigan, (vedi qui) è una divinità femminile irlandese che governa la morte, la passione, la guerra. Generalmente raffigurata come una donna dai capelli e dalle vesti rosse, o sottoforma di corvo, uno dei possibili - ma non probabili - significati del suo nome è regina dei morti; alcuni linguisti associano il suo nome alla stessa radice di Muirgen, derivato di "mor", "mare", che in italiano diviene Morgana. Gabriele, (vedi qui), angelo o arcangelo, è figura comune alla religione cristiana, a quella ebraica o a quella musulmana. Il suo significato, derivato dall'arabo, è "Dio è grande", ma anche "Uomo di Dio". Tradizionalmente è messaggero di Dio, portatore del suo giudizio. Etienne, o Stefano (vedi qui), è il primo martire cristiano. Il nome Edouard deriva da "ead", "terra", "proprietà", "ricchezza", e "ward", "custode", "guerriero", "guardiano"; è poi un nome ricorrente nelle famiglie regnanti d'Inghilterra. Per un personaggio così possessivo, mi sembrava l'ideale.

Immagine di Prisca Turazzi
  
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