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Autore: samskeyti    01/01/2011    9 recensioni
Raccolta di episodi estratti da un passato troppo bello per essere dimenticato. "Take us back again."
Contiene:
Would you be my Valentine?; And you've killed my fear; Button of Love; Where I end and you begin and more...
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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NDA: Dedicata a Deathnotegintama perché, tra le tante passioni a legarci, volevo dare un posto centrale al Giappone. I hopelessly love you, my MB.
AVVERTENZA: Zucchero a volontà, sconsigliabile alle persone diabetiche.
RINGRAZIAMENTI: oltre alla mia Musa già sopra citata, tutti i recensori che ho l'onore di annoverare e, a loro detta, di emozionare!

INFORMAZIONE FONDAMENTALE: "Sotsugyou shiki" è il nome di una cerimonia giapponese che si svolge in occasione della fine della scuola.
Durante Sotsugyou shiki, le ragazze chiedono al ragazzo di cui sono innamorate il secondo bottone della divisa; se egli accetta, vuol dire che ricambia il sentimento. Fu inventato per venire incontro alle persone più timide, ma anche per creare un'alternativa alle comuni dichiarazioni.
Perché il secondo bottone? Non esiste chiara ragione, ma dicono che sia il posto il più vicino al cuore, inoltre una giacca senza primo bottone si noterebbe troppo.


Button Of Love

Quando la campanella dell'ultima ora dell'ultima lezione dell'ultimo giorno scolastico suonò, una fiumana di ragazzi si riversò fuori dalle aule, strillante e gioiosa come mai alla prospettiva dell'estate, del riposo, dell'assenza dei compiti.
Simili a formiche che fuggono da un formicaio incendiato, essi correvano fuori dalle porte, verso l'aria aperta e quel posto chiamato casa, posto che dovrebbe essere un conforto per tutti -e che anche se poi non lo è, rimane comunque meglio delle aule scolastiche.
Libri e cartelle vennero lanciati nell'aria calda di luglio, quasi fossero macigni di cui i portatori si fossero finalmente liberati, e quindi i giovani, legittimati a sfogarsi, si diedero ai giochi più folli, caricando pistole d'acqua contro i professori, per esempio. Si prospettava un mese intero di vacanza, e nessun motivo era buono per non sorridere a quel sole splendente...nonostante qualcuno non fosse d'accordo.

Quel 2 luglio 1994, in classe di Matthew e Dominic si era concluso il programma di Geografia e Storia con il Giappone, un paese importante da studiare sia per la sua attuale potenza economica, che per il suo magico passato, di certo senza scordarsi il suo ruolo fondamentale durante la Seconda Guerra Mondiale -che poi aveva coinvolto anche l'Inghilterra, per intenderci.
La professoressa aveva voluto chiudere in bellezza con il racconto del "Secondo Bottone", una storia che affascinò ognuno di quei 20 alunni sedicenni ancora abbastanza infantili per permettersi di sognare con semplicità. Era un veloce aneddoto d'amore, che però, profumando di fiori di ciliegio e di tè alla pesca, se si era facilmente influenzabili dalle immagini che scorrevano sui libri, illustrazioni di una cultura troppo interessante per non essere approfondita, lasciava un sapore così dolce da valere la pena di essere ascoltato.
Due ragazzi, due ragazzi leggermente isolati rispetto al resto della classe, sfogliavano insieme il libro che condividevano sul banco; ascoltavano in silenzio le parole della professoressa, senza farsi distrarre dai giocosi raggi di sole che cadevano sulle loro teste attraverso i trasparenti vetri delle finestre, e poi annuivano di tanto in tanto, lanciando un'occhiata in direzione dell'educatrice.
Nelle loro menti fantasiose tutto quel parlare di sentimenti uniti all'arte aveva avuto ottima presa; erano appassionati di musica, di rock, e capivano cosa significasse avere difficoltà di comunicazione, perciò sviluppare tecniche più sofisticate per raggiungere uno scopo in realtà comune. Piaceva loro la scuola, piaceva loro quel modo di stare insieme costruendosi una base culturale; talvolta si confrontavano, risolvevano insieme esercizi, filosofeggiavano fra un cambio d'ora e l'altro.
Questo, tutto questo, avvolti in una strana solitudine. Non per dire che fossero gli stereotipi di secchioni-sfigati, no, tutt'altro; erano due perspicaci giovani talmente carini e carismatici che un futuro promettente era implicito nei loro destini intrecciati. Intrecciati non da molto, tra l'altro.
Tornando al mondo che li circondava...ebbene, se già durante la narrazione le ragazze, sentendo che le loro coetanee giapponesi chiedono il secondo bottone, o, meglio, lo ricevono spontaneamente dal ragazzo di cui sono innamorate se lui ricambia, drizzarono le antenne, una volta che scattò la libertà definitiva non si fecero problemi a slanciarsi in un'improvvisata Sotsugyou shiki: al posto di gonfiare gavettoni, cominciarono ad adocchiare il loro prediletto e la sua divisa. E non solo ad adocchiare.

Dominic, il biondo diciassettenne dal volto d'angelo, venne raggiunto dall'amico più piccolo di un anno e compagno di banco Matthew, l'ossuto, il silenzioso, il frenetico occhi di ghiaccio-Matthew, a metà del corridoio, mentre tutt'attorno si scatenava l'inferno.
Subito il moro piegò la bocca di lato, e sentì l'incontenibile necessità di esprimere il suo disappunto a Dom.
"Ridicoli. Festeggiano tanto, ma fra solo un mese ricomincia, che c'è da stare allegri?" sbottò, camminando spedito, ma gobbo per il peso della cartella.

"Cercano di cogliere l'attimo, suppongo" rispose calmo il biondo, lanciando qui e là sorrisi di circostanza alle persone che lo salutavano.

"La storia del Giappone ti ha dato alla testa?" chiese Matt, schifando la saggezza di Dom senza troppe spiegazioni.

"No. E ti dirò di più: mi è molto piaciuta. A te?"
Matthew fece finta di trattenere un conato di vomito. Arricciò il naso, un naso troppo grande per il resto del viso, e disse a denti digrignati: "Per niente."

Tuttavia mentiva; la verità è che sotto la sua usuale maschera da io-sono-superiore-a-voi-e-mi-fa-tutto-schifo, si nascondeva un animo sensibile. Sensibilissimo, molto più sensibile di quelli che si commuovevano pubblicamente. Infatti la cerimonia giapponese Sotsugyou siki gli era apparsa a primo impatto come una scemenza, ma, riflettendoci, aveva trovato questo gesto dolce, intelligente. Quale azione più delicata di questa, quale modo migliore per sconfiggere la timidezza ed esporsi alla persona amata?
Matthew aveva finito col ritenere tutto ciò una cerimonia bellissima; niente da spartire con i sogni romantici che ci avevano subito fatto su le ragazze della sua classe, semplicemente un qualcosa di tenero e, perché no, di simpatico.

A Dominic bastò osservarlo pensieroso per qualche istante prima di capire che, come si aspettava, Matthew aveva detto una bugia. Quello sì che era un difetto. Le bugie! Le aveva sempre raccontate Matt, ma anche senza motivo, solo per sotterrare la verità, qualsiasi essa fosse. Non sopportava che la verità venisse a galla, mai.
Stava per domandargli il perché del suo disgusto, in modo da risvoltare la situazione fino a farlo contraddire, ma accadde quello che più temevano. Le ragazze stavano per circondarli!
Sì, perché non era bastato loro chiedere, anzi, pretendere il bottone di mezza scuola, passando per deficienti; dovevano esaurirli tutti i ragazzi, dal primo bellimbusto all'ultimo ragnetto.
Ovviamente si gettarono su Dominic, innanzi tutto.
"Dom! Dom! Dài a me il tuo bottone?" chiese una morettina graziosa, con le mani in preghiera.

"Dom! Non ascoltarla, voglio io il tuo bottone!" strillò subito dopo un'altra, questa volta bionda, piena di lentiggini.

"Non se ne parla! Dominic lo darà a me, vero?" gridò una terza, battendo i piedi per terra e sbracciandosi.
Dom divenne rosso paonazzo. Aveva una ventina di occhi addosso, e altrettante vocette urlanti nelle orecchie, non capiva più come comportarsi. Evadere era lo scopo, ma uno scopo irraggiungibile, considerata la ressa.
Si bloccò e cercò una via d'uscita, ma erano a chiuse cerchio attorno a lui! Sentì seccare la gola e accelerare il cuore; non gli piaceva nessuna, anzi, gli davano solo fastidio, un gran fastidio. Aspettate, sicuramente erano belline, sicuramente aveva sbirciato almeno una volta sotto alla loro gonna a pieghe, sicuramente avrebbe curiosato sotto la loro camicetta senza indugio, però quel frastuono era inammissibile. Così si affrettò a dire:

"Scusate, io non intendo dare il mio bottone a nessuna" proprio prima che una quarta gli gridasse una supplica, magari tentando con un approccio più fisico.
Le ragazze non lo udirono neppure; due secondi dopo era ripresa la lamentela, visto che così suonava quell'indistinto coro di voci languide.


Questa situazione aveva fatto scordare a Dom, per un minuto, chi veramente era importante: Matthew, Matthew che era sparito.
Appena se ne rese conto, si mise in punta di piedi per cercarlo oltre la folla accalcata, ma niente, solo una marea di teste tutte uguali. Gli salì una punta d'ansia che lo infuriò ulteriormente; stava per tirare un pugno ad una ragazza, a dieci, venti, trentamila ragazze se non si fossero tolte di mezzo all'istante.
"Fatemi passare!" gridò, cominciando a pensare ai posti dove poterlo ritrovare, dal giardino alla fermata dell'autobus, sperando che non avesse tagliato per i campi.
Una particolarmente decisa, dai capelli rossi e gli occhi di azzurrissimi, gli si piazzò davanti minacciosa; gettandogli le braccia al collo, a quel morbido e latteo collo, lo supplicò:
"Dominic, da quanto tempo mi piaci! È la mia occasione, non deludermi così!"

In realtà Matthew era ancora lì, nell'atrio della loro High School. E sapete come? Spalle al muro, braccia conserte e sguardo imbronciato. Esattamente così, ad osservare la scena con un'espressione di disgusto indescrivibile. Era proprio quell'atteggiamento di massa, quella banalità diffusa a farlo chiudere a riccio; non poteva sorbire la superficialità di quelle ragazze, a prescindere dal fatto che avevano messo le mani addosso a Dom, ma per principio, per il principio che lui odiava quel comportamento, quella mentalità, se di mente ne avevano una.
Si sentiva così escluso, così diverso da star male. Si chiedeva se Dom non fosse poi lusingato da quei corteggiamenti, si chiedeva se Dom presto non si sarebbe scordato di lui, nanetto rognoso che forse era meglio non mettere al mondo. Lo guardava di sottecchi con un misto di gelosia e rabbia; perché non se ne liberava, perché non usciva da quel cerchio di pazze e lo prendeva per mano, lo portava fuori sotto il sole a giocare come un tempo?
Si sentiva al centro delle sue attenzioni solo quando suonavano. E come gli piaceva fare lunghi assoli, o altissimi acuti pur di ottenere uno sguardo soddisfatto, un sorriso d'approvazione... uno di quei gesti che erano capaci di farlo sognare per qualche secondo, ovviamente prima di rientrare nella normalità e dire: -fermati, è solo Dom.
"Già, solo quel coglione di Dom!" mormorò, ormai quasi in procinto ad andarsene, e a non venire più umiliato dall'assenza vergognosa di scrupoli di Dom.

La cosa che lo convinse del tutto fu l'arrivo della ragazza più carina e gettonata della scuola. Era un'ammaliante snob di città, trasferitasi per poco lì, che imbambolava il mondo con le sue gambe lunghe e il suo sguardo da gatta morta o leonessa possessiva. Un'ondata d'odio rimescolò il sangue di Matt quando questa disse al suo migliore amico, ancora in balìa delle ragazze:
"Howard è mio."
Una frase semplice, soggetto e predicato, che chiaramente non significava nulla: lei non aveva mai notato Dom, era solo attirata dalle sfide. Una frase che mise a tacere le altre e paralizzò Dominic che, per quanto fosse a disagio e bramoso di libertà, non si sarebbe mai aspettato l'arrivo di lei, della più bella.

"Cos'è questa storia dei bottoni?" domandò ancora la gatta, dato che era di un'altra classe, e di conseguenza non aveva partecipato alla lezione sul Giappone. Nel silenzio più totale, mentre Dom respirava sempre più veloce e la ragazza gli era sempre più vicina, una voce isterica disse:

"È una cerimonia giapponese che avete sconsacrato!"


Matthew, fattosi spazio nel muro di fanciulle (ma non voleva andarsene?), era finalmente arrivato dove voleva, dove gli spettava: affianco a Dom.
La signorina lo squadrò dall'alto dei suoi capelli arruffati al basso dei suoi stivali infangati; poi perse interesse per quel piccoletto malconcio e riprese a fissare il biondo arrossito.
"È così, Howard?" gli domandò mielosa. Matt puntò i piedi per terra e strinse i pugni; se avesse osato compiere un solo altro passo in direzione del suo migliore amico, se avesse osato...

"Howard?" ripeté lei, avanzando fino a essergli ormai vicinissima.
Le altre ormai si erano arrese. Alcune osservavano incantate, altre prendevano spunto per il futuro, altre ancora se ne andavano rassegnate.

"Lo dài a me, questo famoso bottone?" sussurrò la ragazza, pronta ad allungare la mano dalle unghie smaltate sulla divisa di Dom per prenderne il bottone.

Matt ribolliva di rabbia. Non poteva mettersi fra Dom e una sua spasimante, lo capiva, anche perché avrebbe fatto una figura indecente se poi l'amico, un po' preda delle tentazioni, lo avesse per sbaglio tradito, magari accettandola o ricambiandola.
Dom però non era a tal punto raggirabile. Sì, una bella ragazza aveva il suo bell'effetto, ma rimaneva dell'idea che...che nessuna di loro avrebbe mai potuto somigliare all'ideale di persona di cui era innamorato. Innamorato forse è esagerato da dire; tuttavia, con assoluta certezza, sentiva un'attrazione mentale e fisica fortissima già per qualcun altro, e questo non gli permetteva di farsi distrarre.
"No. Non lo darò a nessuno. Cheers!" disse pacifico, come suo solito, imperturbabile fino all'inverosimile. Come dimenticò l'imbarazzo che lo inibiva nell'arco di un secondo e chiuse con classe il triste avvenimento restò un mistero. Fatto sta che la reazione che scaturì questa sua tagliente risposta fu ovvia: la belloccia, offesa nell'orgoglio, girò sui tacchi e alla velocità della luce sparì in uno sciame di ragazzi che le facevano la corte spudoratamente.
"Che me ne importa di quel cieco" cinguettò delusissima, pronta a farsi consolare dai corteggiatori. Le altre, stupite e ancora più cotte di Dom, si sciolsero in commenti sussurrati, e in promesse del genere "l'anno prossimo lo conquisto, giuro!".
Solo un paio di quelle aveva notato l'amico, Matthew, ma spaventate dalla situazione generale, avevano preferito non darci peso, e lasciare al Giappone le sue tradizioni.


Il pomeriggio s'allungava sul campo di grano. Tirava una brezza leggera, gentile, che odorava di frutti e di fiori. Il sole era ormai verso l'orizzonte, ma illuminava ancora perfettamente tutto il paesaggio rigoglioso.
Matthew e Dominic si erano appisolati alle radici di un melo; erano andati lì subito dopo la scuola, ma, appoggiati gli zaini per terra, dopo un veloce pranzo si erano addormentati per la stanchezza accumulata, e il tepore estivo li aveva cullati in un sonno genuino.
Durante il tragitto avevano litigato come dannati. Matthew si era quasi consumato le corde vocali, da quante volte aveva urlato in faccia a Dom che era un donnaiolo, un allocco, una casanova. Gli aveva rinfacciato ogni errore, dal fermarsi nel corridoio all'indugio con la belloccia, e aveva concluso che si sarebbe dovuto impiccare con la casacca della divisa. Il quieto batterista, invece, dopo averlo lasciato sfogare, aveva esposto le sue ragioni: non era facile sfuggire a tutte quelle sceme senza dare loro una botta in testa, e, visto che la botta in testa era da escludere, gli era rimasto solo da far calmare le acque, rifiutare e poi salutare educatamente.
Matt lo aveva mandato al diavolo ed era corso via offesissimo; Dom lo aveva inseguito per mezzo km, fino a che il moro aveva svoltato nei campi e allora sarebbe stato possibile riappacificarsi.
Infatti, una volta fra le spighe biondeggianti e gli alberi sparsi qui e là, Dom con uno scatto si era caricato Matthew in spalla e lo aveva poi legato ad uno spaventa-passeri, facendogli il solletico finché l'imbronciato aveva pregato con le lacrime agli occhi pietà.
Dom, buono e misericordioso, gliel'aveva concessa a patto di mangiarsi un panino sotto il vecchio melo e restare lì a chiacchierare per il resto del pomeriggio.
Matt, avvolto ancora da un alone di negatività, si era piegato alla volontà dell'amico, e così, a stomaco pieno, si erano messi sdraiati all'ombra del melo a guardare i coriandoli di cielo fra le foglie dell'albero, raccontandosi cretinate o scambiandosi pareri musicali.
A quei tempi ritrovare la pace era solamente una questione di tempo, solo un "fare i preziosi" prima di cedere, sorridere e tornare a vivere insieme ogni cosa.

Solo verso il crepuscolo, quando le tinte celesti scemarono nel rosso, e gli uccelli volavano bassi, mentre i loro volti s'ingentilivano risvegliati dopo il sonno ristoratore, venne loro voglia di parlare ancora.
"Che farai quest'estate?" domandò Matt, dopo un breve sbadiglio.
Dom, raddrizzandosi al suo fianco, sempre mantenendo la sua spalla contro quella dell'amico, rispose:

"Penso che papà mi porterà giù al mare a pescare. Tu?"
Matt s'incupì. Non aveva programmi, e benché meno col padre.

"Boh. Forse andremo anche noi al mare, forse sì..." mentì, sperando che Dom non lo capisse.
E invece Dom se ne accorse, e gli mise un braccio attorno alle spalle.

"Matt, e se mia madre chiedesse alla tua di lasciarti venire con noi?"
Il moro, già leggermente emozionato per quell'abbozzo di abbraccio, impiegò qualche secondo per riordinare le idee.

"No, mamma è già problematica di suo, non voglio aumentare il carico di problemi. Ci rivedremo a scuola, davvero."
Dom sospirò, poi lanciò lo sguardo verso l'orizzonte sempre più rosso. Gli piaceva sentire sotto il braccio le ossute spalle di Matt, e gli piaceva vedere come reagisse con timidezza a quegli slanci d'affetto.

"Come preferisci; ma intanto vedi di comporre, okay? Chris è ormai nella band, possiamo farcela con la gara il prossimo anno..."
Matt s'illuminò nuovamente. La musica era davvero la sua vocazione. Sorrise e guardò il suo prezioso amico, desiderò quasi baciarlo sulla guancia.

"Promesso, ho già un paio di idee."
Dom abbassò gli occhi su di lui e sentì la voglia di toccarlo di più, non in modo malizioso, solo baciandogli i capelli, o la fronte, o quel nasetto rosso.

"Adoro le tue idee" disse, con voce più bassa.
Una folata di vento scosse la chioma di foglie sopra di loro.
-Sono le uniche cose che possiedo veramente, Dom, pensò Matthew.


Matt capì che era giunto il momento di dividersi. Si stava formando la solita intimità pericolosa. Per questo tossicchiò, si guardò attorno e si alzò senza attendere.
Dom si vergognò un po' di quelle voglie appena provate, le dimenticò e si drizzò in piedi anche lui.

"Allora...tu vai di là, io di qua..." disse Matt, raccogliendo la cartella.
Dom annuì, già intristito al pensiero di doverlo lasciare per un mese intero.

"Ci possiamo sentire al telefono" propose, speranzoso.
Matt scosse la testa.

"Non ho il tuo numero quando sei al mare."
Dom si sentì un po' sciocco per non essersene ricordato. Pensò che doveva finire lì, doveva girare e andarsene a casa prima che si preoccupassero. Tanto lo avrebbe rivisto dopo 30 giorni, cos'erano 30 giorni?

"Allora ciao, Matt."


Stava per incamminarsi, quando Matthew lo chiamò.
"Dominic, senti, lo so che non è molto, e che non lo vuole nessuno, né che tu me lo hai chiesto, né che io abbia intenzione di-"
Dom lo interruppe con uno sguardo d'impazienza.

"Okay, insomma: ti andrebbe di conservare il mio bottone? Ma così, in senso d'amicizia, formalment-"
Dom gli strappò il bottone dalla giacca e lo guardò come un tesoro nel palmo della mano. Non ci poteva credere, non di avere addirittura il bottone che aveva spiato più volte nel pomeriggio, ma che non aveva mai avuto il coraggio di chiedere!

"È un sì, credo!" scoppiò a ridere Matt, così felicemente sorpreso dalla risposta affermativa di Dom.
Amava la sua decisione, la sua sicurezza; e quanto invidiava la sua pace, la sua gioia di vivere.
Dom lo strinse nella mano sinistra, sicuro che appena fosse arrivato a casa lo avrebbe chiuso a chiave nel suo cassetto personale. Poi si guardò il suo, di bottone. Quello stupido tondino luccicante che avevano desiderato in tante, in troppe per ottenerlo. Lo staccò con la mano libera, dopo di che si fece serio.
-Il bottone dell'amore... pensò velocemente Matt, senza accorgersene, come se fosse stato pensato da qualcun altro.
Dom glielo consegnò, e gli venne anche da sorridere, perché avevano infranto la cerimonia, visto che nella cerimonia era solo uno a dare il bottone, e perché fra i tanti a spasimare quell'oggetto, beh, era andato proprio nelle mani del più trascurabile, invisibile, ma infinitamente amabile ragazzo.
Le dita si sfiorarono appena.
"Ci vediamo, Dom." Concluse il ragazzo talmente ignorabile da aver stravolto un'altra volta i sentimenti di quello imperturbabile, di quello calmo.
"Ci vediamo, Matt." Concluse il ragazzo talmente donnaiolo da aver dato il suo bottone al suo migliore amico (un tipo così distaccato da arrossire davanti ad un sorriso!).

E, anche se si avviarono verso due direzioni opposte, anche se per quei giorni sarebbero stati divisi, quindi isterici per la mancanza, portavano con loro un bottone. Un piccolo, ma fondamentale pezzo della loro, chiamiamola così, amicizia.





<- AMICI? Sì, ti piacerebbe (perla di cattiveria finale.)






  
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