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Autore: GwenCassandra    02/01/2011    5 recensioni
“Forse è meglio lasciarlo solo.” Sussurrò il batterista, alzandosi e andando verso la zona letto. “Dominic.” Continuò, poggiando una mano sulla spalla del batterista.
“Io” Cominciò, digrignando i denti e assottigliando lo sguardo “Io resto con lui.”
Rivisitazione della One-Shot omonima pubblicata nell'agosto 2008.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hurt him to save him

Terzo Capitolo – Share the darkness

Ore 4 AM

Tour bus

Dominic si rigirò ancora una volta nel minuscolo spazio vitale che tutti si ostinavano a chiamare letto: un minuscolo bunk con tendina, il cuscino poco più grande della sua testa, la punta dei piedi che toccava il muro e si ostinavano ancora a chiamarlo letto. “Gabbia” sembrava un termine molto più appropriato, nella mente di Dominic.
A stento si portò un braccio a coprire gli occhi, sbattendo – come ogni volta – con il gomito contro il muro. Maledetta gabbia.
Ripensò a quello che aveva fatto o – se proprio vogliamo dire – a quello che non aveva fatto: ripensò a Boca Raton, alla folle corsa nei camerini e alla sua incapacità nel fare qualsiasi cosa a parte chiudersi la porta alle spalle, in silenzio. Cosa aveva fatto? In una situazione come quella, con una persona importante come solo Matthew poteva essere, cosa aveva fatto? Nulla. Né quella sera né nei giorni successivi: a dirla tutta, lui ci aveva provato. Nei pochi giorni passati dal concerto di Boca Raton – e stiamo parlando di nove giorni – aveva provato ad instaurare un minimo di rapporto con il suo migliore amico, cosa che quest’ultimo, invece, non aveva fatto altro che evitare. Matthew lo stava evitando.
Poteva esistere qualcosa di peggiore?
Sospirò e qualcosa attirò la sua attenzione: odore di fumo. “Maledetto bassista.” Commentò a denti stretti, uscendo senza non poche difficoltà dalla sua gabbia. Chris aveva ripreso a fumare nei bunks! Già era un ambiente estremamente piccolo e claustrofobico!
“Chris!” Urlò, tirando la tendina del bunk del bassista e con suo sommo stupore, lo trovò addormentato. E allora da dove veniva quella puzza insopportabile di fumo? Che fosse successo qualcosa al motore?
“Chris.” Lo chiamò, poggiando una mano sulla sua spalla.
Nessuna risposta.
“Chris!” Riprovò, cominciando a scuotere l’amico, nella speranza di svegliarlo – o almeno di ricevere un grugnito in segno di vita, ecco.
“Christopher Anthony Wolstenholme! Svegliati, porca puttana!” Urlò in fine e un leggero grugnito risuonò nel bunk.

Ok. A mali estremi, estremi rimedi, no? E allora Dominic decise di passare al piano B che, a differenza di ciò che immaginate, non è il successivo al piano A: il piano B è in realtà… Il piano Birra.
“Oh mio Dio, Chris! La tua scorta di birra!” Fece una pausa, giusto per creare un po’ di suspense e poi bisbigliò al suo orecchio: “Distrutta!”

E improvvisamente, esattamente com’era previsto, gli occhi di Chris si aprirono di scatto, colmi di un terrore che solo in casi come quello poteva affliggere un uomo calmo e razionale come lui. “Cosa?”
“Oh, niente.” Rispose Dominic, facendo il vago. “Non senti anche tu puzza di fumo?”
Chris lo guardò torvo: eppure era sicuro d’aver sentito le parole “birra” e “distrutta” nella stessa frase. Comunque, si concentrò per qualche secondo e poi annuì: sì, c’era effettivamente una strana puzza di fumo. “Prega che non sia il motore” sussurrò “O siamo fottuti. L’ultima cosa che ci serve è un guasto a questo catorcio.”
Si alzò, indossò le sue ciabatte a forma di panda – un vecchio regalo di Matthew – e, seguito da Dominic, si avviò verso il living space. Qui trovarono Matt seduto sul divano, una coperta a coprirgli le gambe incrociate e una sigaretta consumata a metà fra le dita.
“Hey, Matt. Da quando fumi?” Chiese Dominic, avvicinandosi all’amico.

Cazzo. Non sarebbe dovuta andare così! Non dovevano essere lì!

Il cantante, spaventato dai suoi amici, spense velocemente la sigaretta in un bicchiere sul tavolino e nascose le braccia sotto le coperte, tirandole fino alle spalle.
Chris aggrottò la fronte, sospettoso. Cosa stava succedendo?
“Che nascondi?” Domandò, avvicinandosi lentamente, come se avesse avuto paura di vederlo scappare da un momento all’altro.
Matthew non rispose, limitandosi ad alzare le coperte fino al mento. Il cuore sembrava impazzito: batteva così veloce da poterlo sentire sbattere contro la sua stessa pelle e gli occhi – come cavalli impazziti – correvano da una parte all’altra della stanza, alla ricerca di un punto in cui lo guardo indagatore dei suoi amici non lo colpisse.
“Matt?” Lo chiamò ancora Chris e, non ricevendo risposta, afferrò saldamente la coperta e la buttò a terra. I secondi che seguirono furono, per tutti i presenti, i più lunghi delle loro vite. Quando la coperta cadde per terra, accasciandosi su se stessa come una montagna di foglie morte e ingiallite, il braccio destro di Matthew rimase scoperto. Una serie interminabile di bruciature era presente sulla sua pelle: precise, concentriche, perfettamente allineate in quattro colonne. Sembravano uno schema di qualche gioco da tavolo, tanta era la precisione con la quale erano stati fatti.

“Porca troia.” Bisbigliò Chris, portandosi una mano alla bocca.

Era un malinteso, sicuramente. Va bene, Matthew era una persona piena di piccole fisse e manie, ma nonostante questo non era il tipo da fare… quello. Non poteva aver perso la sanità fino a questo punto! E a giudicare dallo stato di quel braccio, la sanità, l’aveva persa da un pezzo. “Porca troia!” Urlò questa volta Chris, voltandosi e dando un calcio ad una sedia lì vicino.
Dominic, invece, era rimasto lì, immobile, esattamente nella stessa posizione di pochi minuti prima: i suoi occhi, di solito così pieni di vita, in quel momento erano velati da leggere lacrime. Lacrime che non caddero, però, come se fossero state troppo orgogliose per lasciarsi andare e scivolare lungo il viso del ragazzo.
“Chris. Lasciaci soli.” Ordinò al bassista, non riuscendo a staccare gli occhi dal braccio di Matt.
Dopo aver aspettato che Chris sparisse nel suo bunk, Dominic si avvicinò a Matthew: gli posò una mano sul braccio, accarezzandone le cicatrici con delicatezza, percorrendone l’ordine preciso e maniacale. Matthew avrebbe davvero voluto spostare il braccio - il tocco di Dominic sembrava far tornare le cicatrici vive, come appena fatte – ma qualcosa dentro di lui lo spingeva a mantenere quel contatto, la cosa più delicata che quella pelle avesse provato negli ultimi mesi.
“Matt, che cazzo hai fatto?” Domandò, cercando di mantenere una calma che in quel momento proprio non gli apparteneva. Matthew chiuse gli occhi, sospirando, ma qualcosa lo costrinse a riaprirli: Dominic aveva stretto il suo polso, cominciando a scuoterlo leggermente e sussurrando la stessa frase di prima come un mantra.
Matthew, in quei secondi, non pensò più al fatto d’essere stato scoperto: Dominic stava piangendo e la colpa – tutta la dannata colpa - era solo sua.
Con delicatezza sciolse la presa di Dominic dal suo polso e – dopo averlo guardato negli occhi per interminabili attimi – lo strinse a sé, abbracciandolo come non aveva mai fatto e sperando quasi di poter diventare tutt’uno con lui. “Da quanto tempo è che va avanti questa storia?” Domandò Dominic, posando la fronte contro la spalla dell’amico.
“Tre mesi e mezzo, circa.”
Tre mesi e mezzo.
Tre fottutissimi mesi e mezzo.
A sentire quelle parole, Dominic sciolse l’abbraccio e lo guardò con lo sguardo più ferito che sia mai esistito su questa terra. “Si può sapere come cazzo ti è venuto in mente di fare una cosa del genere?” Domandò, non ricevendo alcuna risposta. “Voglio proprio saperlo! Cazzo, e io cosa ci sto a fare qui?” Domandò più a se stesso che a Matthew.  “Sono sempre stato con te. Potevi, non so, chiedere aiuto! Non mi vuoi nemmeno un po’ bene, Matt?”
E ancora, Matthew tacque: in fondo, non poteva certo dire che era quello, la causa di tutto.

Stanco e ormai stufo dei silenzi dell’altro, Dominic tornò da Chris, spalancando la tendina del suo bunk. “Prendi il kit del pronto soccorso e aiutami. Non ce la faccio da solo.” E senza commentare, Chris obbedì. Quando tornarono nel living space trovarono Matt ancora a gambe incrociate, il braccio ferito piegato così da avere la mano poggiata sul collo e l’altro braccio piegato davanti a quello ferito, come a proteggerlo. Ondeggiava quasi impercettibilmente avanti e indietro, come a volersi cullare. Chris lo bloccò delicatamente, facendogli stendere il braccio e dicendo a Dominic di tenerlo fermo: poi, con tutta la delicatezza che possedeva, cominciò a disinfettargli le bruciature.
Matthew, in quel momento, si estraniò completamente: i rumori e le parole dei suoi amici gli risultavano quasi ovattate, tutto intorno a lui sembrava stranamente sfocato. Era come se stesse osservando la scena dall’alto: improvvisamente era un’altra persona, un semplice spettatore impietosito dalla disgrazia in cui quell’omino magro e malaticcio era caduto grazie alle sue stesse azioni.
Perché, in fondo, non poteva accettarlo: non poteva credere che tutto quello stesse accadendo a lui.
Vedete, la parte peggiore quando si è scoperti, non è l’attimo successivo alla scoperta, come tutti credono: no, la parte peggiore è quando si comprende ciò che è successo. Al momento, neanche si pensa. Non si capisce d’essere stati scoperti e si è quasi sorpresi, soprattutto dalla reazione degli altri. Perché, in fondo, cosa può esserci di male? È una cosa che ti entra, da non poterla concepire come negativa. Diventa una parte delle tue abitudini, una pura e semplice valvola di sfogo. Serve a distrarsi, serve a rilassare i nervi, come bere un caffè. Eppure è difficile comprendere perché nessuno rimanga scioccato quando, invece di farsi del male, qualcuno beva un caffè per rilassarsi.
Il momento peggiore, quello che proprio non si può sopportare, è quando si realizza che non si potrà più. Sapere che tutti controlleranno, spieranno: non è tanto l’essere additato come “pazzo” – perché arrivati a questo punto, di quello, non t’importa più nulla. Pensi solo a quanto potrai sentirti perso e solo quando non potrai farlo più.
E quella sensazione uccide.

Matthew sentì uno strano senso di nausea mentre veniva accompagnato a letto da Dominic: il batterista lo teneva per mano, come se avesse paura di vederlo svanire da un momento all’altro. Lo mise sotto le coperte e gliele rimboccò, lasciandogli un bacio sulla fronte. Quando Dominic chiuse la tenda del suo bunk, Matthew restò a fissare il buio per qualche minuto, domandandosi per quale ragione non avesse pensato di chiedergli di restare con lui: ma ormai, era troppo tardi.

Il buio, con Dominic, avrebbe fatto molta meno paura.

 

PurpleMally’s Notes
Buonsalve!
Allora, mi scuso con quelli che riterranno questo capitolo una schifezza. Davvero, mi dispiace. Non so cosa avevo in mente quando ho creato questa trama, tre anni fa. Questo, però, è uno di quei particolari che non posso cambiare e alla quale – comunque- sono affezionata. In fondo, questa fan fiction è nata così, che ci posso fare.
Voglio ringraziare di cuore tutte le dolci personcine che seguono questa fan fiction: non mi aspettavo di ricevere recensioni così positive! Che posso dire, sono veramente felice che vi piaccia. Non potete immaginare quanto.
E mentre mi preparo a ricevere uova marce per questo capitolo, vi avviso che sono le 5.05 di mattina e che domani risponderò a tutte le recensioni. In questo momento, sinceramente, già è tanto che io sia in grado di accendermi l’ultima sigaretta prima di andare a dormire.

Ps. Non ricordo chi mi ha chiesto quando lo slash entrerà nel vivo: da questo capitolo possiamo cominciare a notare i primi accenni, ma credo che per qualcosa di più slash bisognerà aspettare il prossimo capitolo (che, se i miei calcoli non sono errati, è anche l’ultimo – a meno che io non decida di fare un prologo fuori programma.- )

Bacibaci, Mally.



   
 
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