Anime & Manga > Il grande sogno di Maya
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Autore: Nisi    02/01/2011    1 recensioni
Ayumi non ha più scelta: se non vuole perdere con Maya dovrà evolversi anche come persona e fare i conti con se stessa. I susini come contorno di questa storia e la Dea Scarlatta a far ripercorrere le sue vicende ad altre due anime gemelle. Ayumi capirà, crescerà grazie anche a coloro che incontrerà sul suo cammino. Ayumi Himekawa/Peter Hamil
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Ayumi Himekawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I tre volti della Dea'
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 “Ayumi-san? Ayumi-san? Sveglia, sveglia!”
“Cosa? Ma che succede? E’ tardi?”
“Sono le sei meno un quarto, alle sei comincia la funzione!”
“Non sono praticante, mi lasci dormire, buonanotte.”
Sayaka era una persona piuttosto energica, che capiva quando le parole non servivano: senza troppi complimenti le tolse il materassino da sotto il sedere, facendola rotolare sul tatami.
“Cosa sta facendo? Fa un freddo cane, mi ridia le coperte.”
“E’ ora di alzarsi, fra un quarto d’ora comincia la funzione.”
“Le ripeto che non sono praticante.”
”Va bene, ma fin che è qua deve partecipare alla vita del tempio, quindi alle sei deve venire alla funzione del mattino.”
“Va bene. Ora mi vesto e andiamo alla funzione. Contenta?”
“Non deve fare una visitina in bagno?”
“Non sono come lei, non è una cosa immediata. E ieri sera non ho mangiato.”
“Si è addormentata come un bébé, ecco perché non ha mangiato… Ha almeno dormito bene?”
Aveva dormito come un sasso, ecco la verità.
“Devo bere del tè.”
“Avrà del tè dopo…”
”Ho capito, dopo la funzione mattutina.”
Ayumi cominciava a pensare che Sayaka fosse una catastrofe quasi peggiore di Maya Kitajima.
La funzione non durò molto, ma le sue gambe già provate dalla scarpinata in montagna del giorno prima soffrirono parecchio, anche perché in casa sua, arredata all’occidentale, non ci si sedeva praticamente mai sui talloni; quando rientrò in camera sua, si buttò sulla colazione, senza nemmeno cercare di capire cosa stesse mettendo in bocca.
Poco dopo arrivò Sayaka. “Ha in mente qualcosa di speciale per stamattina?”
“No, niente di particolare.”
“Vorrebbe aiutarmi? Devo finire di preparare gli o-mamori, i talismani…”
Anche in quel caso, non aveva pianificato niente e non aveva niente di meglio da fare. “Va bene, ma non posso fare molto.” disse, alludendo alla sua cecità.
“Non si preoccupi, deve solo inserire le frasi beneauguranti nella bustina e legarla. Lei ha delle dita sottili e delicate, riuscirà benissimo.” E senza aggiungere altro, le pose in grembo due scatole.
“Stamattina stiamo qui, ho portato del tè.”
Cominciarono a lavorare e per un po’ rimasero senza dire niente. Il silenzio fu interrotto da Sayaka, che a bruciapelo le chiese: “Ha il fidanzato?”
Sotto le bende, Ayumi strabuzzò gli occhi. “No, certo che no.”
“Beh, peccato, alla sua età dovrebbe.”
“Perché, lei quanti anni ha, Sayaka-san?”
”Io? Ventitre.”
“Lei è una monaca ben strana. Non avrei mai pensato che una monaca mi facesse questo tipo di domanda.”
“Perché no? Siamo esseri umani come tutti: abbiamo testa, naso, occhi… abbiamo anche la stessa anima che avete voi. Nemmeno un corteggiatore?”
Ayumi divenne di brace.
“Oh, allora c’è qualcuno!”
“No, assolutamente no, è uno scocciatore.”
“Ma è uno scocciatore attraente?”
“Non ci ho mai pensato…” rispose diventando ancora più rossa.
“E’ diventata rossa, quindi ci ha pensato. Come si chiama?”
Ayumi non rispose e si chiuse in un mutismo ostinato.
“L’ha ferita?”
“Certo che mi ha ferita, ma non nel modo che pensa lei.”
“Cosa ha fatto?”
Ayumi appoggiò rudemente la scatola al tatami. “Mi ha detto quello che pensava, ecco cosa ha fatto.”
”E’ una bella dimostrazione d’amore, non è facile.” commentò tranquilla Sayaka mentre in bella calligrafia e servendosi di un pennello vergava le frasi beneaugurati sui cartoncini.
“Io avrei un’altra idea delle dimostrazioni d’amore.”
“Forse anche lui. Gli ha permesso di dimostrarle il suo amore in altro modo?”
Un rossore cocente bruciò ancora una volta le guance pallide di Ayumi. Si immaginò tra le braccia di Peter Hamil in quel modo… e la cosa le fece uno strano effetto. “Io… io penso che una monaca non dovrebbe parlare delle cose che non conosce.”
La religiosa rispose sorniona: “E chi glielo ha detto che sono cose che non conosco, Ayumi-san? In ogni caso, allora, è di bell’aspetto?”
“Sì, potrebbe piacere, ma non è il mio tipo con quei capelli ricci e biondi e quel grosso naso…”
Sayaka non disse più niente, ma sorrise e continuò il suo lavoro coi cartoncini beneaugurati.
* * *
La mattinata passò velocemente, il pranzo fu ancora una volta delizioso e, quasi come stesse diventando un’abitudine, Sayaka si presentò nella sua stanza per proporre qualcosa da fare.
“Devo fare delle compere in città, viene con me?”
“Sì, a patto che non mi chieda più di fidanzati o di corteggiatori.”
Sayaka ridacchiò e promise: “Un giorno sarà lei a volermene parlare.”
“Ci credo poco, visto che fra una settimana me ne sarò andata e l’unica persona che ho visto è solo lei.”
La giornata era fresca e il sole piacevolmente caldo. Le due ragazze percorsero il Nakamise. Sayaka cominciò a fare acquisti, poi fece accomodare Ayumi su una panchina, si avvicinò a uno dei negozi dal quale tornò pochi istanti dopo, cacciandole qualcosa in mano. “Ecco, prenda.”
“Cos’è?”
”Gelato al miso.”
“Ma ho appena pranzato!”
“Cosa le importa, questo gelato è buono, lo mangi.”
Ayumi obbedì. Il gelato era buono e se lo gustò sotto lo sguardo di approvazione di Sayaka.
“Devo sbrigare una commissione personale. Se la sente di aspettarmi qui per un po’?”
Al sole si stava bene e Ayumi si sentiva ancora stordita dalla levataccia. “Sì, prego, vada pure.”
Aveva anche bisogno di far riposare le orecchie: Sayaka parlava molto. In realtà ammise tra sé che era lei a non essere abituata a sentir chiacchierare la gente, era spesso sola e il silenzio di casa sua era una costante.
“Mi scusi, le dispiace se ci sediamo qui?”
Ayumi si riscosse. Una voce di donna, giovane e gentile. “Prego, fate pure.”
“Mamma, chi è quella signorina?”
Era un bambino piccolo, a giudicare dalla voce.
“Mi chiamo Ayumi.” rispose la ragazza, divertita dall’ingenuità del piccolo: di solito tutti sapevano chi fosse e non aveva mai bisogno di presentarsi.
“Perché hai gli occhi coperti?”
“Perché la luce mi dà fastidio”.
“Shinji, smettila di disturbare la signorina.”
“Non si preoccupi.”
Improvvisamente, Ayumi sentì che Shinji aveva preso a toccarle i capelli. Si irrigidì per un secondo e fece per spostarsi bruscamente, a lei non piaceva essere toccata. Improvvisamente le tornarono in mente le parole della signora Tsukikage, quando aveva detto che lei, Ayumi, non permetteva a nessuno di avvicinarlesi. In fondo, era solo un bambino, e anche simpatico e lo lasciò fare, le manine che si facevano strada tra le sue ciocche. “Shinji, lascia stare la signora! Mi scusi, signorina… non so perché ma mio figlio ha un debole per i capelli lunghi!”
“Non si preoccupi, non mi dà fastidio. Shinji, non mi devi tirare i capelli, però!”
“Hai dei bei capelli, Ayumi”.
Un complimento sincero, per una volta. “Grazie, sono contenta che ti piacciano.”
Improvvisamente, si ritrovò tra le braccia il piccolo che la stringeva.”
Il volto le si atteggiò a una espressione sorpresa.
“Shinji, per favore…”
”No, lasci, non mi dà fastidio” ripeté. Quel bambino sconosciuto le trasmise una forte sensazione di calore e di tenerezza inaspettata. Era stata abbracciata altre volte, dai suoi pseudo fidanzati, ma non aveva mai provato quello struggimento che le aveva trasmesso quel bambino che l’aveva stretta d’impulso e senza sapere chi fosse. Forse la verità era che non era mai stata abbracciata sul serio e il pensiero la fece sentire triste. Esitante, nascose il viso nel collo di Shinjii. La sua pelle era morbida e sapeva di borotalco e di pulito. Shinji si era messo in piedi sulla panchina, per stringerla meglio. “Stai attento a non cadere, piccolo, mi raccomando.” E ricambiò il suo abbraccio, con cautela. Era piacevole.
Fu così che la trovò Sayaka, quando tornò qualche minuto dopo.
“Ayumi-san!”
“Ha visto, Sayaka-San? Voleva sapere del mio corteggiatore? Eccolo!”
“E’ molto carino, il suo corteggiatore, ma lo facevo più alto.” Ayumi le sorrise, poi si rivolse al bambino che ancora la stringeva.
“Shinji? Ora devo andare, lasciami i capelli.” Ayumi mormorò con voce stranamente dolce.
“Sì, ma Ayumi, andiamo a bere il tè assieme?”
La mamma di Shinji era sempre più imbarazzata: “Mi scusi, deve scusarlo…”
”Ma no, è un bambino molto dolce. Se lo vuole davvero, un giorno possiamo prendere il tè assieme.”
La signora Hotaru se ne andò con Shinji pensando che i giornali che descrivevano Ayumi Himekawa come una persona fredda e distante non avessero capito niente. In ogni caso, il giorno dopo si sarebbero trovate per il tè. Certo che la vita era ben strana, chissà cosa avrebbe detto suo marito quando glielo avrebbe raccontato!
Shinji si girò a salutarla con la manina e Ayumi, pur non vedendolo ricambiò il saluto
* * *
 “Ha voglia di far due passi, Ayumi-san?”
“Sulla montagna?”
“Esatto. Oggi vorrei provasse a fare meditazione da sola.”
Ayumi la guardò dubbiosa.
“Non ha molto tempo, no? Cercheremo di fare quello che possiamo” e subito Sayaka partì, trascinandosela dietro, come due giorni prima. Anche questa volta Ayumi arrancò e sbuffò, ma il sentiero era lo stesso e si sentiva più sicura. Arrivarono al masso e Ayumi si sedette.
“Cominci con la respirazione e sciolga i muscoli. Poi cerchi di meditare da sola, va bene? Io sarò qui accanto a lei.”
“Va bene, allora ci provo.”
Ayumi si limitò a respirare correttamente e a cercare di mantenere la mente sgombra da ogni pensiero. Sentì piano piano le tensioni abbandonare il suo corpo e il respiro fluire e defluire liberamente. Ora era totalmente concentrata su se stessa, e le sue sensazioni, la serenità e la calma erano diventate tutt’uno col suo essere e meditò, questa volta totalmente inconsapevole di quello che la circondava, cercando di sondare le profondità della sua anima.
“Ayumi? Ayumi-san?” si sentì scuotere gentilmente.
“Sayaka-san?”
“Penso che per oggi basti. L’ho vista molto concentrata, credo dovremmo fermarci qui. Come va?”
“Sto bene, ma sento freddo.”
“E’ normale, quando si medita la temperatura corporea si abbassa. Prenda, metta la felpa e poi scendiamo. Nel pomeriggio non deve incontrarsi con la mamma e quel bambino, Shinji?”
“Oh, sì.” Rise Ayumi. “Mi faccio un bagno caldo, mangio e poi vado.”
“E’ carino, quel bambino.”
“Sì, è vero.”
“Allora non facciamo aspettare il suo cavaliere, scendiamo!”
* * *
“Ayumi!” il bambino le volò tra le braccia e le afferrò i capelli.
“Ciao, Shinji, come stai?”
“Bene!”
“Bene, grazie si dice.”intervenne la signora Hotaru.
“Signorina Himekawa, buongiorno. Sta bene?”
“Sto bene, grazie e lei?”
“Anche io sto bene.”
“Ha idea dove possiamo andare a berci il nostro tè?”
“Qui c’è un posticino dove fanno anche dei buoni dolci, che ne dice?”
“Bene, da quando sono qui ho una gran fame!”
“E’ l’aria di montagna che mette appetito. E’ bene che lei mangi, le darà le forze per affrontare l’operazione.”
”La ringrazio. Allora, vogliamo andare?”
La sala da tè non era molto lontana. A Nagano quasi tutto è concentrato a pochi isolati dallo Zenko-ji, tranne forse la via commerciale, per cui nel giro di pochi minuti le due donne e il piccolo si erano già accomodate al tavolo. La signora Hotaru stava leggendo la lista ad Ayumi.
“Lei cosa mi consiglia?”
“Qui hanno un buon tè Uji, lo conosce?”
“Sì, mi piace. E’ buono, credo che prenderò quello. Cosa hanno qui come dolci?”
“Hanno del parfait…” Vedendo l’espressione un po’ perplessa di Ayumi, proseguì: “… e anche della pasticceria francese, una torta panna e fragole…”
”Prendo quella! E tu cosa prendi, Shinji?” chiese al bambino che nel frattempo le si era arrampicato in grembo dopo una serie di manovre per sfuggire alla madre.
“Io voglio la tua torta e il tuo tè!”
“Allora due Uji e due torte. E lei, signora?”
“Penso che prenderò un macha e un daifuku.”
Arrivò il cameriere per prendere le ordinazioni.
Davanti a un tè e una fetta di torta è facile parlare, infatti le due donne chiacchierarono a lungo del più e del meno. Per Ayumi quella era una novità, non aveva mai provato a fermarsi per ore a conversare in maniera così piacevole. Era sempre di corsa, passava da un impegno all’altro e non aveva il tempo materiale per rilassarsi. La signora Hotaru era molto timida, ma raccontava volentieri, soprattutto di suo figlio e di suo marito, che lavorava per una multinazionale americana e che spesso era fuori per lavoro. Ayumi ordinò una seconda teiera, per sé e per Shinji, che era sempre accoccolato in grembo a lei e che la fissava e la ascoltava con grande interesse parlare del suo lavoro e del teatro.
Hotaru controllò l’ora sull’orologio: “Oh, si è fatto davvero tardi, fra un po’ dovrò iniziare a preparare la cena a mio marito! Sono già le cinque e mezza.”
Ayumi non ci poteva credere che fosse passato tutto quel tempo e tanto in fretta. “Credo che sia meglio che rientri anche io.” Quindi, entrambe presero le loro cose e dopo aver pagato uscirono dal locale.



* * *
Tre giorni prima
Peter Hamil fissò il letto vuoto e la camera sgomberata con espressione perplessa. Aveva ancora tra le braccia il mazzo di frangipani.
“E’ venuto a cercare la signorina Himekawa? Mi dispiace, ma la signorina ha appena lasciato l’ospedale.”
”Non avrebbe dovuto rimanere ancora per qualche giorno ad aspettare gli esiti?”
Kobayashi-san si strinse nelle spalle. “Sì, ma non c’era motivo per farla rimanere qui, per cui sua madre ha firmato per le dimissioni e ha lasciato l’ospedale. Non l’ha incontrata per poco.”
“Va bene, la ringrazio. Andrò a trovarla a casa, allora.”
”Temo che stia sprecando il suo tempo, signore. La signorina Himekawa ha lasciato Tokyo.”
“Dove è andata?”
Kobayashi-san si strinse ancora nelle spalle. “Non sono autorizzata a dirglielo. Sappia solo che fra dieci giorni sarà di ritorno per ritirare gli esiti e per parlare col chirurgo della sua operazione.”
“Non posso fare niente per convincerla?” sorrise il francese.
“Temo proprio di no, mi spiace.”
Hamil abbassò lo sguardo a fissare i frangipani: “E’ un peccato sprecare dei fiori tanto belli. Li tenga lei, infermiera.”
”La ringrazio molto. Vado a recuperare un vaso, mi scusi.”
Peter Hamil fece per uscire dalla stanza per andarsene, quando incontrò una signora anziana vestita in maniera tradizionale. Quella donna aveva un qualcosa di familiare. Sembrava contrariata quanto lui di non aver trovato Ayumi. Reggeva tra le mani la busta di un negozio che sembrava contenere dei maglioni accuratamente ripiegati.
“Sono arrivata in ritardo perché c’era traffico. Ora Ayumi come farà a Nagano, senza maglioni? Lassù di sera fa freddo.” Si lamentò la vecchietta.
Peter Hamil non era tipo da farsi sfuggire un’occasione, tanto meno una ghiotta. Quella donna era tata Umeno, la donna che si prendeva cura di Ayumi!
“Signora, non si deve preoccupare. Devo andare anche io a Nagano, posso consegnare io i maglioni ad Ayumi.”
”Dice davvero? Scusi, ma non mi sembra di conoscerla.”
”Mi scusi lei, signora. Sono scortese, non mi sono presentato. Mi chiamo Peter Hamil e sono un fotografo. Ho fatto tante foto ad Ayumi e volevo farne delle altre.”
”Ayumi è andata via per riposare, non per lavoro.”
”Lo so, signora, ma non la disturberò, ha la mia parola.”
Raddolcita, tata Umeno gli porse il sacchetto. “Mi raccomando, glieli faccia avere il prima possibile. E li tenga con cura.”
“Non si preoccupi signora, e vorrei vedere Ayumi al più presto.” finalmente, poteva dire la verità.
“La ringrazio tanto. Ora devo andare, arrivederci.”
”Arrivederci, signora. E’ stato un piacere.”
Hamil ringraziò la sua proverbiale faccia di bronzo. Si sentiva un po’ in colpa per essersi preso gioco di quella simpatica signora, ma come si dice, in guerra e in amore tutto è permesso e lui aveva troppa voglia di vedere Ayumi. Non volle domandarsi come lei avrebbe reagito a saperlo lì a Nagano. Probabilmente, con un’espressione infastidita e delle parole gelide.
* * *
Tutto sommato, come viaggio era abbastanza breve e da Tokyo gli shinkansen diretti a Nagano erano frequenti.
Arrivato sul piazzale della stazione, cercò un taxi. Sorrise nel vedere la portiera aprirsi da sola, non si era ancora abituato a quell’automatismo dei taxi giapponesi.
“Dove la porto, signore?”
“Allo Shimizuya ryokan, per favore.”
Il tragitto fu anche in questo caso piuttosto breve e nel giro di pochi minuti, faceva il suo ingresso nel ryokan.
“Irasshaimase!” fu il benvenuto dei due anziani proprietari.
Alla reception c’erano pile e pile di carte dappertutto e quel disordine gli diede l’impressione di essere a casa.
I proprietari parlavano poco l’inglese, lui parlava poco il giapponese, ma si intesero comunque.
Gli mostrarono la sua stanza, una camera in stile tradizionale scrupolosamente pulita, dal tatami impeccabile e un futon che gli fece venire voglia di tuffarcisi dentro. Possibilmente con Ayumi.
Dopo essersi rinfrescato, uscì a dare un’occhiata in giro. Dopotutto, era sempre un fotografo e gli avevano parlato dello Zenko-ji come di un magnifico tempio, dal passato illustre. Si mise a tracolla la macchina fotografica, prese la borsa che gli aveva dato tata Umeno e uscì.
Aveva percorso solamente pochi metri, quando una scena attirò la sua attenzione.
“Signora, la ringrazio per il piacevole pomeriggio.” La ragazza bionda dagli occhi bendati si inchinò davanti a una giovane signora che era con lei e che la ringraziò a sua volta. “Anche io la ringrazio molto, è stato molto piacevole stare con lei, e credo che anche Shinji sia stato bene, vero, piccolo?”
“Sì, Ayumi, ci vediamo presto!” e abbracciò strette le ginocchia di Ayumi, la quale rise di gusto e si chinò a stringere il bambino e a baciargli la guancia rotondetta e soffice.
Hamil osservava rapito Ayumi, la stessa Ayumi Himekawa, la principessa di ghiaccio dai gesti sempre regali e misurati, abbracciare quel bambino e ridere con lui. Quasi senza rendersene conto, afferrò la macchina fotografica e scattò una foto, due foto, tante foto.
 “Molto bene, allora arrivederci!” fu il commiato definitivo della signora, poi si allontano con Shinji, che mandava baci verso Ayumi che continuava a sorridere. La ragazza si voltò poi bruscamente verso il fotografo e incrociò le braccia sul petto: “Allora, Monsieur Hamil, si può sapere cosa è venuto a fare qui?”
La ragazza dolce era definitivamente scomparsa e al suo posto una donna bellissima dalla voce gelida.
“Come ha fatto…” Hamil era sinceramente sorpreso.
“Lei dimentica che i non vedenti sviluppano gli altri sensi rimasti. E il rumore della sua macchina fotografica lo riconoscerei tra mille, da tante volte l’ho sentito.”
“Complimenti. Mademoiselle, la vedo bene e in forma.”
“Sto bene, grazie.” Ancora quella voce gelida. Ayumi era irritata che lui l’avesse vista (e fotografata) in un momento privato, nel quale era vulnerabile. “Non ha risposto alla mia domanda. Cosa è venuto a fare, qui?”
Ma anche Hamil era vulnerabile, aveva visto quella che pensava fosse la vera Ayumi e ne era rimasto totalmente rapito. Ed era totalmente indifeso, perché non si sarebbe mai aspettato di vederla così, a baciare e a coccolare beatamente un bambino mentre rideva contenta, come se fosse la cosa più normale per una come lei.
La cosa più assurda era che si sentiva geloso di un ragazzino alto un soldo di cacio perché, mon Dieu, avrebbe voluto essere lui quello ad essere baciato e coccolato. Doveva però ammettere che i baci che avrebbe desiderato dare ad Ayumi Himekawa erano più torridi ed erotici di quelli di un bimbo. Platonico e Ayumi erano due concetti che per lui erano l’uno l’antitesi dell’altro.
“Si può sapere cosa fa qui?”
“Sono venuto a portarle i maglioni” rispose con una faccia di bronzo da manuale piazzandole in mano il sacchetto che gli aveva dato tata Umeno.
“I maglioni?” Ayumi sembrava perplessa. Meglio perplessa che gelida da far male, pensò Hamil.
“Me li ha dati la sua tata.” Proseguì imperturbabile. “Ha pensato che qui a Nagano dovesse fare freddo e…”
“E’ stata tata Umeno a dirle che ero qui?” Ayumi era sempre più sorpresa.
“Mademoiselle, attenzione, le stanno cadendo i maglioni…”
”Ah, già, è vero. Scusi. Comunque, gliel’ha detto la tata?”
“Non si arrabbi con lei, non ha fatto apposta. Sono stato io che ne ho approfittato.” Non si diede nemmeno la pena di negare.
“Va bene, non mi arrabbierò con la tata. Ora che mi ha dato i maglioni, se ne torni a Tokyo, per favore.”
“Magari, quando tornerà anche lei, così faremo il viaggio assieme.”
“Lei è impossibile! Ma perché non mi lascia in pace?” Ayumi era esasperata.
“Mi dispiace, le chiedo scusa per il disturbo, ma avevo tanta voglia di vederla, mademoiselle.”
“Io non capisco che cosa ci trovi lei, in me. Pensa che sia fredda, che sia una bambola e che non sia capace di trasmettere emozioni. Perché spreca tempo dietro a una come me?”
”Perché sono innamorato di lei, Ayumi. Perché non si sceglie la persona che si ama, capita e basta.”
Quelle parole erano di una sincerità disarmante.
“In che albergo alloggia?” Ayumi cambiò repentinamente argomento e Hamil non se ne stupì.
“Allo Shimizuya, è un bel posto.”
“Cenerà lì?”si morse la lingua perché un secondo dopo aver parlato, indovinò cosa avrebbe detto lui.
“Io speravo di convincerla a cenare con me.”
Infatti.
Ayumi aveva passato un bel pomeriggio con Shinji e sua madre, anche se era stata tentata almeno dieci volte di trovare una scusa e non andare. Peter Hamil era un uomo intelligente e se non faceva il cascamorto era di buona compagnia, per cui Ayumi, memore delle parole della Tsukikage sensei, decise che forse con Hamil avrebbe potuto passare una bella serata. Le venne da ridere: “Lei non molla mai, vero?” ad un tratto, la situazione aveva cominciato a sembrarle paradossale.
“Non se ci tengo.” E ricambiò il sorriso.
”Va bene, ha vinto, cenerò con lei. Però deve promettermi di non cercare di fare il romantico con me, lo sa che non attacca. Ha già idea dove andare?”
“No, volevo chiedere consiglio ai proprietari del ryokan.”
“Chiediamo a Sayaka, lei non farebbe altro che mangiare, un posto lo conosce senz’altro.”
“Chi è Sayaka?”
“E’ la sorella di Kobayashi-san, è una monaca del tempio. Sto quasi tutto il tempo con lei. Se mi riaccompagna al tempio, la conoscerà di sicuro.”
“L’accompagno volentieri, venga.” La prese delicatamente per il gomito e si diressero verso il tempio. Avrebbe voluto prenderla a braccetto, ma si sentiva come in bilico su una corda. Lei avrebbe cenato con lui, quella sera ed era più di quanto potesse sperare. Non voleva rovinare tutto, ci teneva troppo.
Oltrepassato il Daimon, Hamil vide una monaca rotondetta dirigersi verso di loro. “Ayumi-san, pensavo fosse già tornata!”
“Ho preso il tè con la signora Hotaru, una parola tira l’altra, poi ho incontrato Monsieur Hamil.”
Solo in quel momento la monaca parve accorgersi della sua presenza. Lo guardò con curiosità, specialmente i capelli e il naso. “Ayumi-san, è per caso il suo corteggiatore?”
Vedere Ayumi Himekawa arrossire fino alla radice dei capelli non era cosa da tutti i giorni.
“Grazie tante, Sayaka-san.” E fu la volta della monaca, di arrossire.
“Sì, Sayaka-san, sono il corteggiatore di Ayumi, mi chiamo Peter Hamil.”
Infastidita dall’indiscrezione di Sayaka e dalla faccia tosta di Hamil, Ayumi proruppe in un: “Va bene, io vado a farmi un bagno caldo.”
“La vengo a prendere alle sette.”
Sayaka guardò entrambi parecchio incuriosita.
“A proposito, Sayaka-san, ci consiglierebbe un buon ristorante?”
* * *
Li avevano fatti accomodare a un tavolo appartato. Era un ristorante vecchiotto, quello, e tutt’altro che di lusso, ma molto tranquillo. Ayumi stava bevendo il tè che le avevano portato.
“Qui non c’è il menu.”
”No, infatti. Sayaka mi ha detto che però qui fanno dei soba favolosi.”
“Allora vada per i soba. Quali mi consiglia?”
”Pare che la specialità di questo posto siano i sansai soba, vorrebbe assaggiarli?”
”Certo, vada per i sensei soba (sansai sono le verdure di montagna, sensei vuol dire maestro NdA) o come si chiamano.”
“Se le piacciono i funghi non se ne pentirà.” Lo rassicurò Ayumi, sorridendo appena nel sentire lo strafalcione. Si sentiva un po’ strana, quella sera. Quando Peter Hamil era passato a prenderla, aveva avvertito chiaramente il profumo del bagnoschiuma e del dopo barba. Lui non era un uomo che badava troppo alle apparenze, ma le fece piacere che ci avesse tenuto a mettersi in ordine per lei. Magari si era anche pettinato. Sorrise fra sé.
Anche lui la stava guardando. Si era vestita in modo molto più semplice del solito, indossava uno dei maglioni che le aveva mandato tata Umeno, dei calzoni chiari e delle sneakers. I capelli sembravano appena lavati e profumavano di shampoo.
“Perché ride? A cosa sta pensando?”
”No, a niente. Pensavo a Sayaka” mentì.
“E’ un bel tipo.”
”Già, mi sta aiutando molto.”
Hamil la guardò interessato. “In che senso?”
“Mi trascina sulla montagna, mi lascia da sola a meditare, mi fa lavorare, mi butta giù dal futon all’alba, mi mette in imbarazzo. Cose così.”
“Non la facevo così masochista” rise lui.
“Non lo sono. In realtà mi fa un po’ da sorella maggiore e non mi prende molto sul serio. Non è male.”
”Avrebbe voluto avere dei fratelli?”
“Sì, mi sarebbe piaciuto, ma pensarci non cambierà le cose.”
”Io ho quattro fratelli e a volte avrei voluto essere da solo.”
”Perché?”
”A casa c’era sempre un grande caos, c’erano troppi pochi soldi e troppo da fare. Tutto qui. Ah, ecco che arriva la nostra cena. Itadakimasu.”
“Itadakimasu”
Mangiarono in silenzio, Ayumi aveva la sensazione che gli stesse raccontando troppe cose di se stessa e troppo facilmente e ciò la turbava perché lei era una persona molto riservata, lo era sempre stata. Trangugiò i soba più velocemente che poté e quando la ciotola fu vuota si rivolse ad Hamil, nervosamente: “Grazie per l’ottima cena. Ora devo proprio andare, sono molto stanca e ho sonno.”
Il fotografo la guardò con gli occhi sbarrati. Ayumi aveva preso troppo alla lettera quel “ceniamo assieme” perché a quanto pareva, aveva l’intenzione di limitarsi a quello. Sembrava che stesse cominciando ad abbassare la guardia e invece… non gli restava che riaccompagnarla al tempio e tornarsene in camera per una bella dormita, la speranza di un bacio della buonanotte svanita nel nulla.
Più tardi, quando si trovò da solo nel bagno termale dell’albergo, ripensò a quella serata lampo. Si era creata tra loro un’atmosfera di complicità e aveva avuto la chiara impressione che anche Ayumi se ne fosse resa conto, e avesse fatto poi marcia indietro, forse per paura di essersi aperta troppo. In maniera molto maldestra, perché da quando la conosceva, era la prima volta che la vedeva meno che impeccabile, lei e la sua mania di essere perfetta. La signora Tsukikage aveva visto giusto nell’assegnarle la parte di Oligerd: Ayumi era una ragazza ombrosa dall’apparenza raggiante, mentre Maya era il suo esatto opposto, un carattere solare racchiuso in un fisico ordinario. Tutti coloro che erano rimasti stupiti da questa scelta avevano considerato solamente l’aspetto esteriore delle due ragazze, mentre l’anziana attrice aveva tenuto conto della loro anima. Per quello l’interpretazione di Ayumi era stata così buona, perché era una ragazza lunare e spigolosa, dal carattere complesso, proprio come Oligerd.
Si passò la mano sul viso, come a cercare di scacciare la frustrazione: era per questo che con Ayumi sembrava fare un passo in avanti e due all’indietro. Ma doveva accettare questa situazione come un dato di fatto, lei con i rapporti umani non aveva grande dimestichezza e aveva il sospetto che quei due attorucoli da strapazzo coi quali era uscita per un po’ non fossero andati molto lontano con lei, in tutti i sensi.
Ma ormai si era innamorato, si era completamente arreso al suo sentimento. Il problema, ora, era far sì che anche lei facesse chiarezza nel suo cuore, questo anche a rischio di vedersi respingere.
Rise di se stesso: era la prima volta che impersonava il cavaliere senza macchia e senza paura.
Chi l’avrebbe mai detto!
 
* * *
Altra levataccia, altro servizio mattutino alle sei in punto, altra colazione letteralmente divorata.
Altra mattinata passata a lavorare sui talismani, un altro pranzo e, infine un’altra sgroppata sulla montagna per la meditazione.
Ayumi si era appena seduta sul solito masso e si apprestava a seguire le istruzioni di Sayaka per la meditazione. Aveva chiuso gli occhi, aveva cominciato la respirazione, sgombrando la mente da tutti i pensieri.
“Com’è andata ieri?”
Ayumi sussultò: “Non sono cose che la riguardano.”
”E’ tornata presto.”
”Non pensavo che mi controllasse.”
”Passavo di lì per caso…”
”Sì, come no!” era proprio una sorella maggiore, Sayaka, e di quelle ficcanaso.
“Non è successo niente?”
”Cosa avrebbe dovuto succedere?” domandò Ayumi, gelida.
“E’ inutile che glielo spieghi, è grande abbastanza per saperlo, non le farò un disegnino. Allora, le piace?”
Ayumi tacque.
“Mi sembra un bell’uomo ed è preso da lei. Allora, le piace?”
Ayumi si morse il pollice nervosamente e ammise. “Non lo so…”
“Mi sembra un bel passo avanti rispetto all’altro giorno quando diceva che era uno scocciatore. Senta, io devo tornare al tempio, devo incontrare dei pellegrini. Verrò a prenderla non appena finito.
Mi aspetti qui, va bene?”
“Certo, non si preoccupi.”
Quel giorno faceva particolarmente caldo, per cui Ayumi aveva tolto la felpa ed era rimasta con una semplice maglietta sbracciata di cotone.
Sayaka aveva un talento speciale nell’estorcerle le cose sue personali e a metterle le pulci nell’orecchio, anche a dispetto di lei stessa. Per esempio, se qualcuno le avesse chiesto fino a dieci minuti prima se Peter Hamil le piacesse, avrebbe risposto un bel “NO” deciso, ora invece… quel “non lo so” le fece paura.
Meglio meditare, e svuotare la testa.
* * *
Ed ecco che entra in scena il fotografo invadente e Ayumi comincia a farsi qualche domanda.
Colgo l’occasione per augurarvi un ottimo 2011 che, per quanto mi riguarda, spero sia meglio di quello appena finito.
Ringrazio coloro che leggono (non mi aspettavo che una fanfic su Ayumi potesse interessare), ma un arigatou particolare va a Tetide.
Vi lascio, domani parto per Barcellona, ci si sente la prossima settimana.
Un bacio dalla Nisi
   
 
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