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Autore: Malika    03/01/2011    1 recensioni
Com’è, per un immortale, veder continuare la vita delle persone che ama? Questo breve scorcio, lo racconta.
E c’ero, quando poi sono scomparsa, quando hai pianto lacrime per me. Non avrei voluto farti stare così male, avrei preferito saperti felice.
N.B.:Partecipante al "Volterra&Nomadi Contest" di Miser13, classificandosi al secondo posto.
Hope you like it!
Genere: Malinconico, Poesia, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Volterra&Nomadi Nick autore: Malika
Titolo: Io c’ero
Personaggi: Makenna, Altro personaggio
Pairing: //
Genere: Triste, Malinconico, Poesia
Raiting: Giallo
Avvertimenti: Flash-Fic
Lettera: L-Terra
Intro: Com’è, per un immortale, veder continuare la vita delle persone che ama? Questo breve scorcio, lo racconta.
E c’ero, quando poi sono scomparsa, quando hai pianto lacrime per me. Non avrei voluto farti stare così male, avrei preferito saperti felice.
NdA: Ho deciso di utilizzare questo personaggio perché è uno di quelli di cui, in assoluto, si sa di meno. Mi sono sembrati adatti per questa storia un po’ diversa. P.S.: la poesia in fondo è mia, scritta appositamente per questo contest.
Testo della storia:
Osservo la tua lapide, gli occhi lucidi di lacrime che non verserò mai.
Neppure adesso, nel giorno del tuo ultimo saluto a questo cielo grigio, che sembra quasi piangere la tua scomparsa, io posso essere lì con te, per vedere il tuo viso un’ultima volta.
Quanto mi manchi…
Sai, io c’ero, tu non mi hai visto mai, ma io c’ero.
C’ero al tuo diciottesimo compleanno, c’ero, quando hai conosciuto lui, che è riuscito a conquistare il tuo cuore, c’ero, quando ti sei sposata.
Quel giorno, eri bellissima. Ma, per me, lo sei sempre stata, anche quando, da bambina, ti sporcavi la faccia di fango e poi, se ti sgridavo, facevi un visetto innocente e ti buttavi nel fiume con tutti i vestiti.
Quante risate! Sembra ieri che sei cresciuta, che mi hai detto: «Io non gioco più con il fango! E neanche con le bambole! Sono una bambina grande, io!». Mi sono commossa così tanto, quel giorno, mi hai ricordato me stessa, quando avevo la tua età.
E c’ero, quando poi sono scomparsa, quando hai pianto lacrime per me. Non avrei voluto farti stare così male, avrei preferito saperti felice, cosa che poi è successa: pian piano hai riacquistato quel tuo bel sorriso, uguale a quello che mi hai sempre rivolto, quando eravamo bambine e tu avevi quello tipico dei bambini, quasi completamente sdentato. E’ lo stesso sorriso che ho visto molte volte, forse cresciuto, più maturo e consapevole del mondo, ma sempre quello.
«Cenere alla cenere, polvere alla polvere.».
Le parole del sacerdote mi feriscono, nonostante sia enormemente felice che tu abbia raggiunto il Paradiso, perché, ne sono certa, sei lassù,mentre io neppure nella morte potrò starti accanto: sono condannata a un’esistenza immortale su questa terra.
Ma sono felice anche perché so che finalmente hai raggiunto i nostri genitori, tuo marito e tua figlia, morta prematuramente.
Ero in viaggio, quando successo; sono arrivata qualche giorno dopo, mentre tu piangevi china sulla bara e tuo marito, di fianco a te, tentava di consolarti, anche se le lacrime gli offuscavano la vista, mentre il tuo bambino fissava il vuoto con occhi pieni di tristezza. Ero con te il giorno in cui hanno trovato il suo assassino e quando, dopo lunghi anni, hai avuto la soddisfazione di vederlo in prigione per averti ucciso la tua primogenita, una dolcissima bambina che portava il mio nome, cosa di cui ti sarò eternamente grata.
Ricordo che, durante la gravidanza, non facevi altro che mangiare schifezze, visto che avevi voglia delle cose più assurde; il tuo povero Peter non sapeva che pesci pigliare! Sai, era la stessa cosa che faceva nostra madre, quando era incinta di te: andava in giro per casa con una tavoletta di cioccolata o un tubetto di maionese (lei! Che non la sopportava!) e ne mangiava parecchio! Una volta a chiesto al nostro povero padre le fragole e un gelato alle more ed era dicembre! Papà, dopo qualche ora, è tornato, ma lei non lo voleva più. Tu hai fatto esattamente la stessa cosa.
E quando hai partorito e ti hanno adagiato la bimba sul petto, hai sorriso con così tanto amore che ne sono stata sopraffatta! Eravate uno splendido quadro, tu, tuo marito e la vostra bambina tra le tue braccia. Vi ho fatto una foto, la porto sempre con me.
Un po’ ti invidio, però… io non proverò mai le gioie della maternità, anche se con Charles, mi sembra di avere a che fare con un bambino capriccioso troppo cresciuto.
Hai avuto la stessa reazione quando è nato il piccolo John, era così piccolo. Quanto ti ha fatto arrabbiare, da piccolo, quando pestava i piedi e frignava. E da adolescente, quando tu gli dicevi di studiare ma lui scappava di casa per andare alle feste con gli amici. Ricordo che c’è stato un periodo in cui tu e Peter non sapevate che cosa fare con lui: era maleducato e insofferente a tutto.
E adesso eccolo lì, avvocato di un’azienda, sposato da un po’ e padre da qualche mese, mentre getta il primo pugno di terra sulla tua bara.
E’ l’unico legame con te che mi è rimasto, se ne sono andati tutti. Non permetterò che gli succeda qualcosa, non preoccuparti! Lo proteggerò, insieme a sua moglie e ai loro futuri figli.
La fossa è quasi piena, non riesco a trattenermi oltre e comincio a singhiozzare.
Sento Charles abbracciarmi e mi appoggio a lui, premendo la fronte sul suo petto per togliermi da davanti agli occhi l’immagine della tua lapide.
Un dolore mi dilania il petto, mentre penso che, se mai morirò, non ti raggiungerò sotto terra, ma mi disperderò nell’aria.
«Andiamo.» mi dice Charles e io mi lascio trasportare via.
Tornerò, piccola Jenna. Tornerò, cara sorellina.
E chissà, forse un giorno ci rivedremo.
 
Occhi lucidi di lacrime sparse,
E un sorriso pieno di tristezza.
Ricordo le tue guance arse
Dalla tua grande contentezza
Di viver felice una vita pura
Come la fresca rugiada d’estate.
Ora ti ricopre terra scura
E molte rose non curate
La tua lapide come foglie
D’edera la parete ricoprono.
Di vedert’un giorno le voglie
Da me desiderate sono.
   
 
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