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Autore: Nicole Bawer    04/01/2011    1 recensioni
E chi l'ha detto, vecchio, che non ci sia un'incredibile euforia, nell'ebbrezza dell'oscurità?
Io non credo nel male, o nel bene. Non credo nella trappola delle parole. Sai a cosa credo? Al brivido di quel giorno. Il giorno in cui ho scoperto di essere diverso. Lo vedi? Il mio spirito. Non è. Misero.
Silente diceva che Tom Riddle non avesse mai conosciuto gioia, o qualsivoglia emozione umana. Silente si sbagliava.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom O. Riddle
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Dust

DUST

 

Non c’era persona al mondo che Fedora Thomas odiasse più di sua nonna. Heather Huxley.

Secondo lei, smistare dei ragazzini a undici anni è quanto di più idiota si possa fare, dato che, evidentemente, c’è chi nasce Serpeverde e muore Tassorosso.

Sua nonna ne è un lampante esempio. Era stata una Grifondoro. Ora è un’insopportabile, acida e vecchia strega che succhia opache caramelle zuccherate e mollicce, stringendo le labbra in un’espressione piuttosto idiota.

2013: la vecchia ha ottantacinque anni. Ha ottantacinque anni e riesce ancora a insegnare Storia della Magia in tedesco.

Fintanto che rimaneva lì in Germania, Fedora poteva persino provare un certo affetto da nipote, per quella sua nonnina. Eppure da quando si era presa il meritato anno sabbatico, per scrivere quel dannato libro, non aveva fatto che crearle problemi.

All’uscita da Hogwarts, Fedora avrebbe voluto sposarsi, lavorare come una matta assieme a Logan, arrancare per un posto fisso e stipendiato, comprare una topaia di casa e mettere su famiglia. Non le sarebbe importato di cominciare da un livello tanto basso. A lei andava bene, anzi la divertiva l’idea.

I suoi genitori non si erano troppo impicciati. Era bastata nonna Heather a far sparire in fretta e furia Logan.

Voleva il suo aiuto, aveva detto, per quel libro.

La prima risposta era stata “no”, successivamente l’idea degli incassi le aveva fatto pensare che approfittare di una nonna tanto meschina, non sarebbe stato poi esattamente sbagliato.

Lei avrebbe messo da parte dei soldi, ritrovato Logan, e avrebbe vissuto come le pareva.

La certezza di Fedora era che qualsiasi idiozia avesse scritto nonna Heather, sarebbe certamente stata pubblicata e ben venduta. Ovvio, naturalmente, con la sua fama: attualmente a Hogwarts e in altre tre o quattro scuole in Europa, il libro di Storia della Magia redatto da lei, era il più aggiornato, il più comprensibile e dunque quello più in voga.

Era certo: avrebbero pubblicato anche gli sbadigli di Heather Huxley.

Ora il suo obiettivo era scrivere la biografia del Mago Oscuro sconfitto sedici anni prima, il mago di cui lei era quasi coetanea: Tom Riddle.

Non c’era persona al mondo che Fedora Thomas odiasse più di sua nonna. Specialmente in quel momento: si trovavano a Notturn Halley a ficcanasare nella casa affittata a Riddle, nel periodo in cui era commesso presso Magie Sinister.

La proprietaria di casa – una donna fastidiosamente somigliante a nonna Heather – aveva chiarito fin da subito che la casa era stata affittata anche ad altri, dopo Riddle e che quelli avevano lasciato lì roba loro. Fedora sperava fosse sufficiente questo a cambiare posto, invece sua nonna l’aveva ugualmente trascinata là dentro.

Che il posto fosse poco illuminato e, a dirla tutta, piuttosto lugubre, se l’aspettavano entrambe. In compenso era in ordine.

“Guarda guarda” aveva sorriso la nonna uscendo dalla camera da letto, con uno strano ghignetto divertito.

“Le coperte sono state rubate dai dormitori di Hogwarts, che tipo”

Giusto, si dice Fedora. Appunto numero ottantaquattro: Riddle aveva tendenze cleptomani. Quando hanno esplorato la sua stanza all’orfanotrofio hanno trovato un tacco, un soldatino di piombo e la pagina di un vocabolario di latino.

Tutto maledettamente decrepito.

Nasce il trentuno dicembre del ventisei, spaventa i ragazzini, ruba. È mezzosangue, ma discende da una famiglia pura per generazioni. I Gaunt.

Deglutisce, entra nella stanza da letto. Coperte verdi. Cuciture in filo argentato, quella trapunta sembra la cosa più calda dell’intera stanza.

L’unico oggetto che contiene un ricordo. Forse.

Comincia a rovistare nella cassettiera, tenendo il block notes tra i denti, la penna dietro l’orecchio.

Il primo cassetto è vuoto, il secondo no. Tira fuori una camicetta ingiallita, sulla schiena la stoffa è trattenuta da una spilla da balia. Come sui manichini dei negozi, le viene in mente: lo fanno per far sembrare l’abito più sfiancato. Trova un reggiseno color crema con una frase scritta col rossetto: “cute as hell”.

Tira fuori, poi, un calzettone sottile, appallottolato.

Sul fondo c’è un sacchetto di tabacco da quaranta grammi, con ancora del tabacco dentro. Delle cartine, invece, c’è solo la confezione.

La nonna fa capolino dietro di lei, le prende la camicia dalle mani.

Fa un ghigno strano.

“Divertente” dice, solo.

“Cosa è divertente?”

La nonna non risponde, fa per andar via.

“Oh be’, qui possiamo anche lasciar perdere, sai? Pare che dopo Riddle qui ci sia venuta a vivere un’altra persona. Ormai avrà contaminato quanto di utile si poteva reperire su di lui”

Esce dalla stanza canticchiando “What the little boys are made of?”, come una matta.

Fedora la insegue: che nervi. La padrona di casa gliel’aveva anche detto.

“Hai riconosciuto quei vestiti?” le chiede, seccata.

“Sì” risponde la nonna girando la testa bianca, sbirciando distrattamente Fedora con i rugosi occhi marroni.

“Sono piuttosto sicura: si trattava di una Serpeverde più grande di me di due anni. Tale Gray. Niente di ciò che cerchiamo, in ogni caso”

Fischietta, ora. Fedora sbuffa, s’infila in tasca il sacchetto di tabacco e il calzino nella borsa. Non che fumi, ma le va. Scende, seguendo la nonna, appuntando sul block notes solo il dettaglio della coperta.

“Una Mangiamorte, lei. Morta quasi subito, in realtà. Non era granché”.

Fedora fa un versetto per assentire.

“Per esempio, è durata molto di più Virginia Haze”.

Ok, pensa Fedora, ma chi se ne frega? Chi se ne frega che sa tutte queste cose, quella vecchia. Sono superflue.

Scendono in strada. C’è uno strano tintinnio d’intorno, a Fedora ci vuole un po’ per capire che sono i sonaglietti alle porte dei negozi. Guarda per un momento le vetrine impolverate. Una strega sulla trentina esce da un negozio con un cofanetto di mogano e scivola via, tutta curva.

“Penso che questo ambiente calzasse a pennello, a Riddle” commenta la nonna.

Fedora scuote la testa.

“Sarebbe piuttosto banale. Secondo me era attratto dagli ambienti più aristocratici”

La nonna non risponde, sorride un po’.

“Hai appuntato tutto, vero?”

“Sì”

“Voglio intervistare qualche orfano” dice, “tra quelli che sono ancora vivi”.

 

___________________________________________________________________

 

Alla fine si tratta sempre di soldi, a pensarci.

Mi basterebbero quelli e, per esempio, non mi troverei qui. Mi basterebbero quelli e non dovrei trovarmi in certe situazioni degradanti, per così dire.

E tutto sarebbe: perfetto. Obbediente.

Esattamente come lo si vuole, elastico, modellabile secondo il proprio pensiero. Ad esempio, ecco: mi ritroverei a toccare scuro e raffinato legno lucido, a sedermi su poltrone comode e a leggere un libro con una rilegatura come si deve.

Invece le cose sono un po’ diverse, direi.

Alla fine, no. Non si tratta di soldi: la parola giusta è potere. Esatto: si tratta sempre di potere.

Strofino tra i polpastrelli un galeone. Un prestito: i miei insegnanti me ne fanno parecchi; mi adorano, loro. Tutti. Lui no, però.

Chissà perché, poi.

Con gli altri è talmente semplice, far sembrare sincero un sorriso, affabile e brillante un discorso. Eppure sotto quegli occhi, sotto quei dannati occhi, ogni cosa deve necessariamente vacillare. Ed essere esaminata. Chissà, poi, secondo quali criteri.

Strofino ancora un po’ la moneta, cerco con la magia di calcolarne i contatti.

È stata toccata da ottocentonovantatre persone, due delle quali sono Babbani.

Chissà in quale assurda circostanza è accaduto.

Faccio sparire il galeone tra le dita, come per magia, mi ritrovo a pensare, con un sorrisino.

Chiudo il libro che stavo leggendo, appoggiato alla stessa finestra dove un mese prima avevo involontariamente causato la follia di Phinny. L’avevano portato via, d’allora.

Tanto meglio.

Faccio per andar via, ma mi soffermo giusto un po’. Che seccatura: troppa confusione.

Sollevo un sopracciglio, ignoro. Questi dannati orfanelli, chissà che avranno da divertirsi: la maggior parte di loro finirà col crepare sotto una bomba. Sempre che non finiscano col farmi arrabbiare prima che ciò accada, come insegna il buon Phinny.

Sorrido, di quel pensiero. Dannazione, fortuna che nessuno mi legge nella mente.

Un paio di persone scendono le scale. Una ragazza, anzi due, una che sembra più o meno della mia età e una più piccola che le corre dietro.

La grande attraversa tutta la stanza, guardandomi, per un attimo, con un sorrisino di chi in realtà sta per scoppiare a ridere, dopo un dispetto.

Nuova, tra gli orfani, ma ha un’aria conosciuta. È possibile che sia una strega.

Cerco di ricordarmi. Poi mi viene in mente che sia addirittura una mia compagna di casata a Hogwarts. Soltanto che non ne ricordo neppure il nome. Questo significa matematicamente che è una studentessa piuttosto insignificante, altrimenti l’avrei registrata, come faccio con tutti.

Dà una risposta sgarbata ai balbettii della Babbana, non capisco neppure cosa abbia detto, in realtà, fatto sta che quei modi troppo vistosi sono piuttosto irritanti. Giusto un po’. Non abbastanza da rimanerne perplesso.

Davanti a loro passano un paio di orfani, m’impediscono di tenerla d’occhio, si fermano a guardarla, come confusi. Aggrotto le sopracciglia per comprenderne il motivo.

Poi lo sguardo va a finire sui vestiti di lei. Gonna nera e un maglione verde da uomo, più grande di parecchie misure.

Il mio.

La squadro e serro la mascella.

Davvero irritante.

  
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