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Autore: nainai    04/01/2011    7 recensioni
“You Belong to Me I Believe”
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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I’m not okay (I promise)

What will it take to show you that it's not the life it seems?
I'm not okay
I've told you time and time again you sing the words but don't know what it means
I'm not okay
To be a joke and look, another line without a hook
I held you close as we both shook for the last time take a good hard look!

I'm not okay
I'm not okay
I'm not okay
You wear me out

Forget about the dirty looks
The photographs your boyfriend took
You said you read me like a book, but the pages all are torn and frayed

I'm okay
I'm okay!
I'm okay, now
I'm okay, now

But you really need to listen to me
Because I'm telling you the truth
I mean this, I'm okay!
Trust Me

I'm not okay
I'm not okay
Well, I'm not okay
I'm not o-fucking-kay
I'm not okay
I'm not okay
Okay
 
“I’m Not Okay (I Promise)”
My Chemical Romance
“Three Cheers for a Sweet Revenge”
 
-Grazie.
Non era esattamente il tipo di saluto che Frank si era aspettato. Sbatté le palpebre facendo una certa fatica nel mettere a fuoco prima il profilo scuro della tazza - un leggerissimo filo di fumo indicava che il contenuto era ancora caldo e c’era un profumo piacevole di caffè – risalì poi lungo le dita che gliela stavano porgendo e riconobbe il proprietario di quella mano. Gerard.
…“grazie” di che?
-Prego.- ritorse- Cos’ho fatto, stavolta?- aggiunse credendo di cogliere un certo sarcasmo nella voce dell’altro.
Si tirò su sul divano con qualche difficoltà, sentendo le ossa dolergli fastidiosamente dopo tante ore di sonno in posizione tutt’altro che comoda. Si grattò la nuca, i capelli aggrovigliati e sporchi, davanti a lui Gerard fece una smorfia e bevve dalla propria tazza nel tentativo di prendere tempo e decidere come rispondergli. L’altra tazza continuava a spingerla verso il suo viso, per cui Frank si decise ad accettare l’offerta e rischiare che fosse caffè avvelenato, era comunque troppo invitante.
-Per l’altra sera.- spiegò Gerard, che evidentemente no, non era affatto sarcastico nel ringraziarlo. Solo che riusciva ad ammettere quelle cose soltanto a denti stretti, quasi ringhiandole, e Frank si rese conto di starlo praticamente torturando nel chiedergli di aggiungere altro. Annuì per fargli capire che poteva bastare, ma Gerard continuò imperterrito, distogliendo gli occhi.- Ed anche per ieri.- aggiunse secco prima di allontanarsi.
Frank sorrise tra sé e sé, sorseggiando il caffè, apparentemente non era avvelenato constatò con una certa soddisfazione. Si alzò rapido dal divano – e questo gli costò un dolore feroce alla base della schiena, maledette le sue idee del cazzo! – e raggiunse Gerard in cucina, dove il bruno sedeva al tavolo centrale con aria cupa. Prese posto direttamente dall’altro lato, senza chiedere permesso e ricevendone in cambio un’occhiata malevola dal più grande, che comunque non commentò.
-Posso chiederti una cosa?- domandò dopo che il silenzio si fu protratto per un po’ senza che nessuno dei due desse segno di volerlo interrompere.
Gerard mise giù la tazza con un rumore sordo e sospirò.
-Se non puoi farne a meno…- commentò soltanto.- Del resto ero stupito che fossi riuscito a rimanere zitto finora!- sbuffò velenoso con un mezzo sorriso storto dei suoi.
-Beh, sì, vaffanculo anche a te, Way.- ribatté pratico Frank, ma non si scompose perché in quei mesi di lavoro assieme se n’erano scambiate sicuramente di peggio.- Posso o no?
Gerard assentì con un gesto annoiato della mano e riprese a sorseggiare il caffè.
-Hai ricominciato a bere?
Detta così a bruciapelo faceva un male fottuto! Gerard strabuzzò gli occhi e per poco non si affogò, tanto che sputò il caffè che aveva in bocca direttamente nella tazza, mettendola giù subito dopo, disgustato.
La sua prima tentazione fu di prenderlo a calci. Perché non gliel’aveva mai dato il permesso di farsi i cazzi suoi! Il fatto che gli avesse concesso di dormire nel suo salotto e non lo avesse buttato fuori di casa non significava certo che aveva perdonato quei fottutissimi due anni di silenzio e crudeltà gratuita! …e vaffanculo se gratuita non lo era affatto!
Poi però incrociò gli occhi di Frank, così assurdamente seri da scaraventarlo indietro di…Dio, aveva completamente perso il conto degli anni che erano passati!
-Non avevo nessun motivo di farmi del male, non credi? Non sarebbe servito a nessuno.- sbottò con un sorriso incattivito, ma siccome spostò lo sguardo sul tavolo e sulla tazza mentre lo diceva quel sorriso perse gran parte della sua cattiveria e diventò solo molto triste visto con quell’inclinazione lì, quella che Frank aveva dal suo lato del tavolo.- ….una volta saresti stato molto orgoglioso di me, per questo.- aggiunse Gerard piatto.
-Se vuoi proprio saperlo, sono orgoglioso di te anche adesso, Gerard.
No, non era sicuro di volerlo sapere. Qualcosa dentro il suo stomaco non faceva quello che avrebbe dovuto, un nodo che si serrava un po’ troppo stretto e finiva per fargli venire voglia di correre a chiudersi in un cesso a vomitare. Cosa poi non lo sapeva nemmeno lui, perché era quasi certo che avrebbe voluto vomitare parole, idee e concetti che erano tutti accatastati e tutti insieme nella sua testa. E tutti avevano a che fare con Frank.
Gerard alzò il viso ad incrociare di nuovo il suo sguardo.
-Che ne dici se adesso te ne vai?- chiese con durezza.
Eliminiamo il problema, tutto sarà più facile.
Frank si alzò, Gerard non lo guardò nemmeno, rimase seduto mentre lui riprendeva a parlare.
-Chiama Mikey, sarà preoccupato.- consigliò pacatamente.
Rimase seduto anche mentre lui usciva. La strada, tanto, la conosceva.
***
-Gerard?!
Sorrise. Non si era aspettato nulla di diverso che quel tono “affamato” dal fratello. Brian gli aveva di sicuro detto tutto quello che c’era da sapere ma Mikey non si sarebbe mai accontentato delle parole di qualcun altro, doveva sentire la sua voce e sapere da lui – dalle sfumature che avvertiva – se era davvero tutto a posto. Immaginava quanto gli fosse costato non venire il giorno prima davanti al Tribunale a riprenderselo di persona.
-Sono o.k., Mikey.- gli disse prima di qualsiasi altra cosa, sforzandosi di suonare convincente senza sapere, in realtà, quanto potesse funzionare. Con Frank non aveva funzionato affatto.- E lì come va? Giornalisti fuori la porta?
Sentì suo fratello sbuffare. Era un sì, ma Mikey non glielo confermò perché immaginava che Gerard non ne avesse bisogno – né di avere conferma di una cosa ovvia, gli bastava affacciarsi alla finestra e guardare in strada sotto il proprio palazzo per saperlo, né di avere addosso anche quella responsabilità.
-Vuoi che venga da te?- lo sentì chiedere.
Si scosse, realizzando a fatica che lui gli aveva posto una domanda di qualche tipo.
-N…no- mormorò appena. E poi spiegò di getto – C’è stato Frank, qui, fino a poco fa. Sono o.k. davvero, Mikey.- ribadì.
-…Frank?
Gerard si lasciò scappare uno sbuffo di divertimento. Non che non lo capisse, lo stupore dell’altro, eh!
-Sì, Frank. Si era messo in testa che dovessi tagliarmi le vene o affogarmi nella vasca da bagno o che so io!- ci scherzò su.- Ha dormito qui stanotte.
-Ah.- recepì lento suo fratello.
-Michael, che c’è?
-No, nulla.- mentì lui, per riprendere con leggerezza- Beh, io so che non ti sei tagliato le vene o affogato nella vasca da bagno, posso venire lo stesso da te?
Gerard rise, arrendendosi all’evidenza che non se lo sarebbe scollato di dosso facilmente. Erano più di ventiquattro ore che non si vedevano!
-Fai come vuoi, piattola, ma sono quasi certo che Brian non approverà.- lo mise in guardia.
-Che vada a farsi fottere Brian.- ribatté il piccolo Way in modo candido – L’ho ascoltato abbastanza. Dammi mezz’ora e sono lì.
Gerard ci si affacciò davvero alla finestra, guardando in strada e chiedendosi oziosamente come Frank fosse passato incolume da lì.
-Portati un kalashnikov.- consigliò contando almeno tre furgoncini appostati in attesa della sua faccia. O di quella di un qualsiasi membro a caso dei My Chemical Romance.
***
Dopo due giorni senza lavarsi, una doccia calda era stata la cosa più simile al Paradiso dopo una scopata con tutti i crismi. Frank uscì dal bagno con i jeans già addosso ed una salvietta a strofinarsi i capelli ancora ingarbugliati nonostante lo shampoo, il balsamo, le amorevoli cure di Jamia che aveva passato mezz’ora a districarglieli – “cosa diavolo hai fatto in prigione per conciarti così?! Oh mio Dio, Frank! è sangue questo?!”.
Probabilmente era sangue davvero. Non suo, sperava, comunque non ricordava di aver preso botte in testa. Neanche tanti pugni in faccia, a dirla tutta. A dirla proprio tutta, pensò sghignazzando ed entrando in camera da letto, era stato quasi divertente. Era un po’ che non facevano a botte con nessuno e farlo quando sei nel giusto da’ sempre una gran soddisfazione!
-Jam! – strillò mentre rovistava inutilmente dentro un cassetto- Hai visto la mia maglietta rossa?
-Quale maglietta rossa?- gli gridò lei di rimando dalla cucina.
-…quella rossa!- obiettò lui stralunato, come fosse ovvio.
E quando lei si limitò a mandarlo al diavolo senza rispondergli – ma usando il suo nome per intero, segno che era vagamente esasperata – lui trotterellò a raggiungerla in cucina e la osservò maneggiare soddisfatta la trinciapollo.
-Quella che ho comprato due giorni fa.- piagnucolò cercando di richiamare la sua attenzione. Lei gli scoccò solo un’occhiata stizzita e riprese a fare a pezzi il volatile con gusto evidente.- L’avevo presa al mio negozio preferito! Ero tornato a Belleville apposta! Doveva essere il mio portafortuna per il tour e…
-Punto primo!- esordì Jamia voltandosi di scatto ed agitandogli contro la trinciapollo.- E’ presumibile che dovendo essere il tuo portafortuna per il tour tu l’abbia infilata in valigia: per portarla in tour, tipo! Ci hai guardato?- non lo lasciò rispondere perché sapeva già quale sarebbe stata la risposta.- Punto secondo, Frank, non mi pare che ti abbia portato grande fortuna finora.
-Sei arrabbiata?- si ritrovò a chiedere suo malgrado.
Lei respirò a fondo, rilassandosi sotto il suo sguardo. Infilzò la trinciapollo in ciò che restava della povera bestia e si scostò i capelli dal viso chiudendo gli occhi.
-No.- mormorò.- Ero preoccupata. Vorrei che smettessi di fare certe cazzate, Frank.- ammise.
-Lo avresti fatto anche tu.- sussurrò lui con convinzione.
Lei riaprì gli occhi e lo guardò fisso. In realtà, sembrava starlo semplicemente studiando. Frank sapeva che la risposta ce l’aveva già nella testa, voleva solo guardarlo e chiedersi cosa avesse lui nella propria, di testa.
“Sei arrabbiata perché sono rimasto da Gerard?”
Era questo che Jamia si aspettava – voleva – lui le chiedesse. In questo caso non sapeva davvero cosa avrebbe risposto. Forse di no, perché sapeva che mettere Frank davanti ad una scelta di quel tipo significava rischiare davvero di perderlo, come non lo aveva mai rischiato nella loro vita – se non due anni prima. Forse di sì, perché un po’ arrabbiata ci si sentiva ed aveva tutti i diritti di esserlo. A lei le bugie che avevano raccontato erano sempre suonate per ciò che erano. E pazza ad accettarlo fino al punto di dire di “sì” a quella sottospecie di moccioso che ora la scrutava fiducioso!
-Certo, lo avrei fatto anche io.- confessò senza problemi. Poi sorrise con affetto sincero.- Come sta Gerard?
Non ricordava più nemmeno l’ultima volta in cui, in quella casa, era stato lecito fare una domanda simile. Adesso lo era di nuovo, lei lo sapeva.
-A pezzi.- le rispose Frank, improvvisamente serio – Non mi ero accorto proprio di quanto cazzo si fosse fatto male, sai?
Lei sospirò, voltandosi per finire di preparare il pollo.
-Probabilmente non volevi chiedertelo nemmeno.- lo rimproverò quietamente.
E lui sapeva che era così e, quindi, non si difese.
-Vado a cercare la mia maglietta.- disse voltandosi.
-Disfa le valigie anche.- ordinò lei pratica.- Tanto mi sa che per un pezzo non mi libererò di voi!
Nel silenzio della cucina, in cui il solo rumore era quello che produceva lei sbrindellando la carne del loro pranzo, Jamia si ritrovò a pensare che la sua, di fortuna, le aveva voltato le spalle. Era una cattiveria…o meglio, era il suo egoismo a parlare per lei, perché non poteva davvero dirsi che la morte di Lindsay fosse stata “un colpo di sfortuna”. La morte di Lindsay era stata una tragedia, tutti loro l’avevano vissuta in quel modo e tutti loro avevano avuto davanti agli occhi Gerard mentre, soffocato dagli eventi, fissava il vuoto come se non ci fosse proprio nulla dentro su cui concentrare l’attenzione. Per quanto Frank potesse essere stato accecato dai propri demoni personali, Jamia non lo era stata abbastanza dalla propria gelosia per non leggere in faccia a quello che restava un amico un dolore tanto pesante da ucciderlo. Per assurdo aveva sempre saputo che l’unica persona che poteva recuperare Gerard dall’Inferno che aveva scelto come vita era proprio Frank, così quando si era accorta che suo marito, invece, passava il proprio tempo ad infierire con una cecità crudele, il suo primo istinto era stato quello di costringere Frank a vedere, appunto. Ma poi un istinto più forte – quello di sopravvivenza – aveva prevalso e lei era passata sul cadavere di Gerard con la stessa incuranza che ci stava mettendo Frank.
Del resto, si era detta, non era stato bello e non era stato facile per lei accettare una verità che la rendeva “l’ultima ruota del carro” in un rapporto a due dove lei era finita a fare l’altra anche se il suo ruolo sarebbe stato ben diverso. Né Frank né Gerard in quell’occasione si erano posti il problema di cosa provasse – soprattutto non Gerard, che si poneva il problema di cosa provassero gli altri solo se serviva a fornirgli il testo di una nuova canzone – entrambi l’avevano dimenticata in un angolo dal quale lei aveva osservato in un silenzio obbligato i colpi che le infliggevano. Passare sul cadavere dell’altro – quello vero, quello il cui ruolo doveva essere tale – era un suo sacrosanto diritto.
Per cui, in quest’ottica, la morte di Lindsay diventava un tragico colpo di sfortuna. Frank lì per lì poteva anche non aver letto negli occhi di Gerard il bisogno che aveva di lui, ma era chiaro che a lungo andare sarebbe successo.
“Lo avresti fatto anche tu
Jamia si disse che no, magari non era stata sincera. Lei voleva vedere Gerard distrutto in modo definitivo e completo.
Dopo S. Bernardino, nel precipitarsi al Project Revolution, la mente di Jamia era stata un libro vuoto. Tutta la storia che lei e Frank ci avevano scritto assieme era stata cancellata in un colpo solo dall’evidenza. La cosa che più la feriva era proprio l’indifferenza con cui loro due l’avevano fatto – entrambi – calpestandola solo perché non l’avevano vista e non perché le volessero fare del male: Jamia scompariva davanti a Gerard. Era arrivata al Project con questa consapevolezza ed insieme con nessuna consapevolezza, perché ogni suo pensiero era stato azzerato e la sua era una mente vuota su cui scrivere tutto da capo. Anche se aveva sorriso a Frank nel rivederlo, anche se era stata felice quando lui l’aveva abbracciata, sollevata e baciata davanti a tutti, festeggiando il suo arrivo come se fosse davvero contento di quell’improvvisata, Jamia in quei momenti era pagina bianca. Riscriveva se stessa senza confidare in nulla del proprio passato ed ancor più senza confidare in nulla di quel futuro che aveva creduto possibile. Forse era stato questo suo atteggiamento di disillusione ed insieme di attesa a permetterle di rivedere Gerard, di parlare con lui e scambiarsi sorrisi come se fosse tutto “come sempre”. Vista dall’interno quella cosa era anche più contorta e malata che da fuori, mentre camminava accanto a loro Jamia si rendeva conto lentamente che per almeno uno dei due – Gerard – tutto si era svolto in un limbo perfetto, da cui nulla era trapelato anche se il mondo intero aveva potuto vederlo. L’altro – Frank – si rodeva in un silenzio teso e nervoso, fatto di indecisione e di speranze mal riposte.
Jamia lo sapeva.
Jamia lo sapeva benissimo che sarebbe stata solo il ripiego. Lo aveva saputo ancora prima di vedere Frank sparire una sera nel tourbus dietro Gerard – erano stati lì dentro forse un’ora scarsa, Frank ne era uscito stravolto e le era passato davanti senza neppure vederla – lo aveva saputo anche senza bisogno di interpretare il viso di lui mentre le chiedeva di sposarlo - non c’era già più nessuna luce negli occhi di Frank quel giorno – lo aveva saputo indipendentemente dalle parole di Gerard sul palco e senza doverlo vedere respingere con furia disperata il bacio di Frank a giorni di distanza – erano giorni che giocavano a fare gli estranei l’uno per l’altro.
Jamia lo sapeva di essere la ruota di scorta, ma aveva detto di “sì” comunque, perché tanto aveva vinto lei, no? Se avesse saputo che in premio avrebbe avuto metà del cuore che l’aveva amata – l’altro pezzo non era semplicemente rimasto attaccato a Gerard, era proprio morto – probabilmente avrebbe detto di “no”, chissà. Da allora del suo Frank non era rimasta che l’ombra e quello sconosciuto arrabbiato e deluso ed amareggiato con cui condivideva il letto non era affatto la stessa cosa. Per cui, magari, il prezzo della sua “fortuna” era stato un po’ alto e per bilanciarlo Dio – o il Diavolo – si era preso qualcosa che valesse altrettanto. Jamia questo non lo sapeva, no. Sapeva che la sua fortuna era finita il giorno in cui Lindsay e suo figlio erano morti.
 
Nota di fine capitolo della Nai:
 
Buon 2011 a tutte voi, signorine!!!
Chiedo perdono perché avevo promesso a me stessa di lasciarvi il capitolo nuovo come “regalo” prima delle vacanze natalizie, ma gli eventi mi hanno letteralmente travolta…
Mi faccio perdonare, sperando che possa rappresentare un “buon inizio” per tutte coloro che seguono questa storia e che ringrazio come sempre di cuore!
Alla prossima!
MEM
 
  
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