Pairing: Anna/Antonio;
Seconda persona: Anna.
Desiderio
“Si
è addormentata?”
ti chiese Antonio con la stessa premura con cui un padre avrebbe potuto
parlare
della figlia. Era seduto sulla poltrona dell’ingresso con le
braccia appoggiate
ai braccioli e la giacca slacciata sul petto. Solo quando
corrugò la fronte ti
rendesti conto di aver trascorso gli ultimi secondi a studiare il suo
aspetto.
Riprendesti
il
controllo di te, annuisti e allargasti le braccia per lasciarle
ricadere come
un peso morto sui tuoi fianchi.
“Elisa?”
domandasti
con finta padronanza della conversazione.
Antonio
alzò il capo
in un sorriso. “È andata a dormire anche lei, ma
non so come potrà passare la
notte.”
Nessuna
frase di
circostanza sarebbe stata consona come risposta, perché
potevi immaginare, sì,
la sua condizione, ma non ci riuscivi comunque.
“Tu
come stai?”
Perché
non l’aveva
chiesto mesi prima, quando Elisa era ancora straziata dal dolore,
mentre tu
proseguivi da anni con lo stesso odio nei confronti della tua vita?
Forse era
troppo complesso leggere nei tuoi pensieri, o forse era lui ad essere
felice con
Lucia e a non porsi domande su chi potesse non esserlo.
Se
non si hanno
preoccupazioni, poco importa di coloro che sono costretti a viverci
quotidianamente circondati.
Alzasti
gli occhi
sui suoi. “Facendo la media dei miei stati d’animo,
direi normale.”
“Se
hai bisogno di
qualcosa…” ma non era convinto di
quell’incipit.
“L’unica
cosa che mi
servirebbe per dormire sarebbe sapere che Fabrizio uscirà
dal carcere, ma non
per salire su un patibolo” percorresti due passi nella sua
direzione e inspirasti
profondamente osservando il soffitto.
Sussultasti
quando
la sua mano toccò la tua: non era proponibile
l’impiego di una siffatta
confidenza se tra voi non sussisteva nessun rapporto di tipo
amichevole, né
tantomeno amoroso dichiarato.
Eppure
ti eri
lasciata adagiare sulle sue ginocchia e abbracciare forte, come fosse
un giorno
qualunque di vent’anni prima, quando gli errori che compivi e
le consolazioni
che richiedevi erano ben più effimeri di quello che ti
serviva in quel momento.
Sarebbe
stato troppo
banale baciarlo senza dirgli nulla.
Sarebbe
stato
altrettanto insignificante sussurrare quanto ti fosse mancato a
quell’orecchio
così vicino senza
guardarlo negli occhi.
Ti
scappò da
sorridere, anche se sapevi che non avresti dovuto, o almeno non in una
situazione simile, che tuttavia sarebbe stata l’occasione
perfetta per farlo.
Scivolasti
tra le
sue braccia, trasformando così il fatto di essere seduta
sulle sue gambe in una
logica risposta alla scusa di essere rassicurata della speranza di un
futuro
con tuo fratello libero e felice.
E,
perché no, con
tuo marito incatenato in un manicomio o più semplicemente
atterrato dalla
malattia.
Prima
che tu potessi
idealmente realizzare anche solo una delle tue elucubrazioni, sentisti
il suo
fiato sulla pelle delle spalle lasciate scoperte dal corpetto allentato
e ti
mancò per un attimo il respiro.
Ti
stuzzicò il collo
con le labbra e d’istinto portasti il tuo corpo ad aderire al
suo, così che i
vostri occhi fossero allo stesso livello.
Fu
un bacio diverso
da quello che ti aveva accompagnata da quel giorno in biblioteca.
Non
vi era imbarazzo,
né la paura di lasciarsi coinvolgere in un errore da
rimpiangere.
C’erano
solo le sue
mani addosso a te che cercavano di riconoscere un corpo mai
più sfiorato e
brividi lungo braccia e gambe che lo imploravano di continuare.
Appoggiasti
baci sul
triangolo di petto lasciato nudo dalla camicia che lentamente stavi
sbottonando
e le sue mani ti accompagnarono a slacciargli gli abiti per permetterti
di
soddisfare il desiderio delle tue labbra sulla sua pelle liscia.
Volevi
che quelle
mani ti toccassero, volevi che ti spogliassero lentamente, assaggiando
la pelle
liberata dai pesanti abiti con le labbra che stavi di nuovo baciando.
Le
sue dita
attraversarono la massa riccia di capelli castani per sostenere il tuo
capo
mentre ti percorreva il viso con le labbra sulle guance e sul contorno
del
volto, come a volerlo disegnare.
Quando
scese sui
seni respirasti più velocemente e lui se ne accorse,
tant’è che li sfiorò con
l’altra mano, un attimo prima di abbandonare i tuoi capelli
con la sinistra e
cercare i lacci del bustino che iniziò a slegare per
lasciarti in sottoveste.
I
vostri fiati si
confondevano, tra le vostre labbra era un continuo cercarsi, come
steste
tornando pian piano indietro nel tempo.
Ti
sentivi sospesa a
metà tra un passato lontano e felice e un presente
inesistente se non tra le
sue braccia, legati tra loro solo da un intermezzo di sospensione
costruito su
ricordi e illusioni.
Prima
o poi, ti eri
detta, sarebbe successo di nuovo.
O
tu, o lui, o
entrambi, avreste sentito il bisogno del vostro opposto.
“Quanto
mi sei
mancato, amore mio…” ti uscì spontaneo,
quel sussurro, e ti domandasti come mai
non glielo avessi confessato giorni prima in biblioteca.
Lui
non rispose, né
a te, né più ai tuoi baci.
Ti
discostasti, il
cuore che batteva forte, la bocca socchiusa e un desiderio pulsante di
tornare
ad essere sua.
“Ho…
detto qualcosa
di sbagliato?” tentasti di rimediare, balbettando.
Forse
le tue parole
gli avevano riempito di nuovo la mente del suo passato.
Forse
non riusciva
più a pensare a te come la ragazza di una volta ma solo come
la donna che aveva
rifiutato per un’altra.
E
non sapeva che a
te non importava più e che, se lei fosse stata ancora in
vita, non saresti
stata in grado di tacere per altro tempo.
È
mai possibile
amare due persone nel corso di una vita con la stessa intensa forza?
Non
riuscivi a capacitartene, e il motivo era così
evidente…
“Sono
io che ho
sbagliato tutto, Anna!” ti ricondusse addosso a lui in uno
scatto così
improvviso che ti costrinse a poggiare le mani sulle sue spalle.
“E tu fidi
ancora di me” era un’affermazione al limite della
domanda retorica.
“Non
sono in grado
di dirtelo.”
Perché,
da qualsiasi
punto di vista avessi traslato la vostra storia, lui avrebbe sempre
avuto meno
ragione di te.
Ma
l’assurdità delle
vostre vite ti assicurava che avresti continuato a desiderarlo
eternamente.