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Autore: Dea Elisa    06/01/2011    3 recensioni
Semplice raccolta di drabble/one-shot con protagonisti Anna e Antonio. I titoli delle storie seguiranno un ordine alfabetico, tecnica abusata, ma a mio parere ideale per lavorare di fantasia.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Pairing: Anna/Antonio;
Seconda persona: Anna.







Desiderio




“Si è addormentata?” ti chiese Antonio con la stessa premura con cui un padre avrebbe potuto parlare della figlia. Era seduto sulla poltrona dell’ingresso con le braccia appoggiate ai braccioli e la giacca slacciata sul petto. Solo quando corrugò la fronte ti rendesti conto di aver trascorso gli ultimi secondi a studiare il suo aspetto.

 

Riprendesti il controllo di te, annuisti e allargasti le braccia per lasciarle ricadere come un peso morto sui tuoi fianchi.

“Elisa?” domandasti con finta padronanza della conversazione.

 

Antonio alzò il capo in un sorriso. “È andata a dormire anche lei, ma non so come potrà passare la notte.”

 

Nessuna frase di circostanza sarebbe stata consona come risposta, perché potevi immaginare, sì, la sua condizione, ma non ci riuscivi comunque.

 

“Tu come stai?”

Perché non l’aveva chiesto mesi prima, quando Elisa era ancora straziata dal dolore, mentre tu proseguivi da anni con lo stesso odio nei confronti della tua vita? Forse era troppo complesso leggere nei tuoi pensieri, o forse era lui ad essere felice con Lucia e a non porsi domande su chi potesse non esserlo.

Se non si hanno preoccupazioni, poco importa di coloro che sono costretti a viverci quotidianamente circondati.

 

Alzasti gli occhi sui suoi. “Facendo la media dei miei stati d’animo, direi normale.”

 

“Se hai bisogno di qualcosa…” ma non era convinto di quell’incipit.

 

“L’unica cosa che mi servirebbe per dormire sarebbe sapere che Fabrizio uscirà dal carcere, ma non per salire su un patibolo” percorresti due passi nella sua direzione e inspirasti profondamente osservando il soffitto.

Sussultasti quando la sua mano toccò la tua: non era proponibile l’impiego di una siffatta confidenza se tra voi non sussisteva nessun rapporto di tipo amichevole, né tantomeno amoroso dichiarato.

Eppure ti eri lasciata adagiare sulle sue ginocchia e abbracciare forte, come fosse un giorno qualunque di vent’anni prima, quando gli errori che compivi e le consolazioni che richiedevi erano ben più effimeri di quello che ti serviva in quel momento.

Sarebbe stato troppo banale baciarlo senza dirgli nulla.

Sarebbe stato altrettanto insignificante sussurrare quanto ti fosse mancato a quell’orecchio così vicino  senza guardarlo negli occhi.

Ti scappò da sorridere, anche se sapevi che non avresti dovuto, o almeno non in una situazione simile, che tuttavia sarebbe stata l’occasione perfetta per farlo.

Scivolasti tra le sue braccia, trasformando così il fatto di essere seduta sulle sue gambe in una logica risposta alla scusa di essere rassicurata della speranza di un futuro con tuo fratello libero e felice.

E, perché no, con tuo marito incatenato in un manicomio o più semplicemente atterrato dalla malattia.

 

Prima che tu potessi idealmente realizzare anche solo una delle tue elucubrazioni, sentisti il suo fiato sulla pelle delle spalle lasciate scoperte dal corpetto allentato e ti mancò per un attimo il respiro.

Ti stuzzicò il collo con le labbra e d’istinto portasti il tuo corpo ad aderire al suo, così che i vostri occhi fossero allo stesso livello.

Fu un bacio diverso da quello che ti aveva accompagnata da quel giorno in biblioteca.

Non vi era imbarazzo, né la paura di lasciarsi coinvolgere in un errore da rimpiangere.

C’erano solo le sue mani addosso a te che cercavano di riconoscere un corpo mai più sfiorato e brividi lungo braccia e gambe che lo imploravano di continuare.

Appoggiasti baci sul triangolo di petto lasciato nudo dalla camicia che lentamente stavi sbottonando e le sue mani ti accompagnarono a slacciargli gli abiti per permetterti di soddisfare il desiderio delle tue labbra sulla sua pelle liscia.

Volevi che quelle mani ti toccassero, volevi che ti spogliassero lentamente, assaggiando la pelle liberata dai pesanti abiti con le labbra che stavi di nuovo baciando.

Le sue dita attraversarono la massa riccia di capelli castani per sostenere il tuo capo mentre ti percorreva il viso con le labbra sulle guance e sul contorno del volto, come a volerlo disegnare.

Quando scese sui seni respirasti più velocemente e lui se ne accorse, tant’è che li sfiorò con l’altra mano, un attimo prima di abbandonare i tuoi capelli con la sinistra e cercare i lacci del bustino che iniziò a slegare per lasciarti in sottoveste.

I vostri fiati si confondevano, tra le vostre labbra era un continuo cercarsi, come steste tornando pian piano indietro nel tempo.

Ti sentivi sospesa a metà tra un passato lontano e felice e un presente inesistente se non tra le sue braccia, legati tra loro solo da un intermezzo di sospensione costruito su ricordi e illusioni.

Prima o poi, ti eri detta, sarebbe successo di nuovo.

O tu, o lui, o entrambi, avreste sentito il bisogno del vostro opposto.

“Quanto mi sei mancato, amore mio…” ti uscì spontaneo, quel sussurro, e ti domandasti come mai non glielo avessi confessato giorni prima in biblioteca.

Lui non rispose, né a te, né più ai tuoi baci.

Ti discostasti, il cuore che batteva forte, la bocca socchiusa e un desiderio pulsante di tornare ad essere sua.

“Ho… detto qualcosa di sbagliato?” tentasti di rimediare, balbettando.

Forse le tue parole gli avevano riempito di nuovo la mente del suo passato.

Forse non riusciva più a pensare a te come la ragazza di una volta ma solo come la donna che aveva rifiutato per un’altra.

E non sapeva che a te non importava più e che, se lei fosse stata ancora in vita, non saresti stata in grado di tacere per altro tempo.

È mai possibile amare due persone nel corso di una vita con la stessa intensa forza? Non riuscivi a capacitartene, e il motivo era così evidente…

“Sono io che ho sbagliato tutto, Anna!” ti ricondusse addosso a lui in uno scatto così improvviso che ti costrinse a poggiare le mani sulle sue spalle. “E tu fidi ancora di me” era un’affermazione al limite della domanda retorica.

“Non sono in grado di dirtelo.”

Perché, da qualsiasi punto di vista avessi traslato la vostra storia, lui avrebbe sempre avuto meno ragione di te.

Ma l’assurdità delle vostre vite ti assicurava che avresti continuato a desiderarlo eternamente.









   
 
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