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Autore: WindGoddess    06/01/2011    3 recensioni
Era stato imprudente e, non appena si sentì strattonare a sinistra come se qualcuno lo stesse tirando con violenza, capì che la sua ingenuità gli sarebbe costata molto cara.
Troppo cara, considerando che stava perdendo quota ed era ancora troppo in alto per poter avere la minima speranza di salvarsi.
“Sto per morire, cazzo”.
[Argh! Spero che adesso si veda decentemente...]
Genere: Drammatico, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Eric Cartman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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eag Con passo strascicato e il capo abbassato, padre Maxi si incamminò con estrema lentezza verso l’improvvisato altare: un semplice gradino di legno ai piedi di una fossa.
Una fossa fresca, scavata appena la notte prima e che non si aspettava di certo venisse riempita proprio da una persona tanto giovane, sedici anni appena. Gli parve di raggiungere la sua postazione dopo un tempo infinitamente lungo. Salito sul gradino e alzata la testa, un senso di profondo disagio lo colse non appena posò lo sguardo sui volti dei suoi compaesani, riuniti in quel piccolo cimitero gomito a gomito gli uni con gli altri.
Nelle file più lontane riuscì a scorgere qualcuno chiacchierare come se quella fosse una riunione del condominio, probabilmente presenti lì quel giorno per pura curiosità o, semplicemente, perché non avevano altro da fare, considerando che indosso non avevano neppure un solo indumento che fosse nero. Nonostante lui non fosse mai stato un esempio di virtù e moralità, non poté fare a meno di storcere la bocca sottile in una smorfia disgustata.
Non era quello il comportamento da aversi ad un funerale.
Spostò gli occhi sulle prime file, avvertendo una stretta allo stomaco quando notò meglio le facce, il comportamento e l’espressione di coloro che circondavano la tomba sospesa a sei piedi(¹) dal fondo della fossa.
Distolse lo sguardo, incapace di sopportare oltre quella vista terribile e sentendo, per la prima volta in vita sua, lacrime fastidiose pizzicargli le palpebre. Deglutì, tossicchiando un paio di volte e respirando profondamente come a volersi dare forza, cercando la spinta necessaria per poter aprire la bocca e parlare.
< Fratelli e sorelle, siamo qui riuniti oggi p- > ma un urlo disperato lo bloccò, facendolo sussultare e rabbrividire. Non mosse un solo muscolo, incapace di guardare alla sua destra la persona che aveva emesso quel grido acuto e penetrante, che aveva persino zittito i perdigiorno delle ultime file. Si concesse qualche secondo per riprendersi dallo spavento, poi andò avanti.
< P-per dare l’estremo saluto a… a uno dei nostri giovani, un nostro parrocchiano che il Signore ha deciso di portare via da questa terra troppo presto. Diamo oggi l’addio a… >.


+++++++++++++++

All through the night he is lying awake
Wondering how much more can he take
Watching the walls where shadows dance
Drifting away into a trance


Cambiò nuovamente posizione, sperando così che il sonno lo accogliesse finalmente tra le sue braccia.
Niente da fare, proprio non riusciva a dormire.
Guardò di nuovo la sveglia, lasciandosi sfuggire una bestemmia sussurrata a denti stretti quando vide che erano ancora le quattro e mezzo del mattino. Stupido aggeggio, sapeva suonare troppo presto solo quando doveva alzarsi per andare a scuola! Calciò via le coperte, sentendo improvvisamente un gran caldo. Stette immobile per qualche minuto in posizione supina, cercando di calmare l’ansia, rigido come un palo. Sentì passare un’automobile, probabilmente qualche giovane di ritorno da qualche discoteca, con i fari tanto alti che la luce aveva raggiunto la finestra della sua stanza e, per un paio di secondi, aveva proiettato sul muro opposto ad essa un’ombra che lo ipnotizzò. Non durò che qualche decimo di secondo ma a lui sembrò che quella proiezione, che sembrava allungare le estremità della sua forma come fossero scuri tentacoli, fosse durata almeno un’ora. Dopo che l’auto fu passata, rimase impressa nella sua mente l’ultima immagine che quell’ombra, prima di sparire completamente, aveva lasciato sul suo soffitto.
Gli era sembrata un’aquila che, aprendo le grandi ali, era pronta a spiccare il volo.

And his eyes are blazing with fire

Evidentemente stava impazzendo, la sua impazienza lo stava portando ad immaginare cose inesistenti, ma la cosa non lo turbò affatto. Sorrise, mettendosi a fissare nuovamente il soffitto, incantato come se fosse caduto in uno stato di trance. Non seppe dire quanto tempo passò in quella posizione, gli sembrò persino di aver trattenuto il respiro per ore. A fargli compagnia, solo il battito accelerato del suo cuore e la sensazione di qualche goccia sporadica di sudore che gli colava lentamente giù per la fronte.
Dopo un po’, però, ebbe la sensazione che nella sua stanza ci fosse più luce. Era solo una leggerissima patina rosastra che, però, rendeva gli oggetti più nitidi e le ombre sempre meno definite. Scattò a sedere e guardò la sveglia, che segnava finalmente le cinque e mezzo del mattino. Balzò in piedi, esasperato da quell’attesa, cercando di contenere la sua euforia per non fare alcun rumore. Finalmente si era fatto giorno, finalmente avrebbe potuto…
Ma non perse ulteriore tempo. In punta di piedi, silenzioso come un gatto, corse in bagno per darsi una veloce rinfrescata, poi ritornò in camera a vestirsi. Dieci minuti ed era già in garage, la sua adorata attrezzatura era poggiata ad una parete. Era poco costosa, nulla di particolarmente professionale per cominciare, eppure per lui era il tesoro più grande del mondo.
Dopo mesi di corsi specializzati, mandando giù ogni insulto dell’istruttore per la sua impazienza, finalmente avrebbe preso quel dannato brevetto(²).
Il signor Bennett, l’istruttore, sarebbe però arrivato a South Park solo quel pomeriggio per la loro ultima lezione insieme.
Per essere sicuri che tu sia pronto, poi potrai fare tutto da solo” gli aveva detto.
Si fottesse se sperava davvero che lui avrebbe aspettato altro tempo per la sua prima volta da solo! No, l’impazienza lo stava davvero mangiando vivo, non aveva più motivo per aspettare ancora. E poi ormai non era bravo, era divino. Persino quel vecchio bacucco gli aveva detto di non aver mai avuto un allievo promettente come lui e con la sua stessa passione.
Prese la sua attrezzatura, uscendo poi dalla porta del garage che, miracolosamente, non cigolò. Inspirò a pieni polmoni l’aria fredda e pulita del mattino, mentre il primo raggio di sole faceva capolino tra le montagne, colpendolo in pieno viso. Non distolse lo sguardo, e i suoi occhi s’accesero di un rosso intenso come il fuoco e in essi vi balenò una fredda determinazione. Sorrise.

Finalmente avrebbe volato da solo.

Dreams burnt to ashes so many times
Highest of mountains, still he climbs
Ready to fly cause he just can't stay
Flame burning brighter with every day


+++++++++++++++

Kenny tirò le cinghie del cappuccio del parka nero in modo tale che nessuno potesse vederlo in volto. Non era abituato che qualcuno lo vedesse piangere, né aveva tutta questa voglia di mettersi in mostra. Sentì una mano gentile poggiarsi sulla sua spalla sinistra e stringerla con estrema delicatezza, ma non si voltò. Il proprietario della mano non lasciò la presa, e mentre quei quattro bambocci dei chierichetti cantavano un inno dalle parole incomprensibili, lo sentì avvicinarsi al suo viso.
< Kenny >.
Sentendo pronunciare il suo nome, si voltò leggermente, alzando un poco la testa per incontrare le iridi smeraldine di Kyle velate da una sottile patina rossastra. Aveva pianto, e anche parecchio.
Chi l’avrebbe mai detto.
< Sto bene > sussurrò, sapendo perfettamente che l’amico non avrebbe mai creduto ad una bugia tanto banale.
Perché no, non stava affatto bene. Stava male, malissimo, si sentiva morire al solo pensiero che dentro quella tomba ci fosse proprio lui.
Finalmente il concertino finì e vide padre Maxi avvicinarsi, lento come un bradipo, alla pedana di legno che aveva messo lì di fretta e di furia qualche suo concittadino, evidentemente troppo stupido per rendersi conto che un altare non serviva proprio a un bel nulla, soprattutto se aveva la presunzione di essere tale ma in realtà era molto più simile ad un palchetto. Nemmeno dovesse andare qualcuno a fare un concerto, su quella cazzo di pedana.
< Fratelli e sorelle… >.
“Eh, col cazzo!”
Kenny fissò il prete con odio. Padre Maxi era sempre stato in prima fila quando si trattava di insultare la persona di cui ora si apprestava a tesserne fantastiche lodi. Tutti cliché da funerale senza un briciolo di onestà.
Lei, invece, era l’unica che, con tutta probabilità, sarebbe dovuta essere lì quel giorno. Di sicuro, in quel momento, doveva più vicina al dolore assoluto di chiunque altro lì attorno.
E infatti la sentì urlare pochi secondi dopo, interrompendo padre Maxi. La guardò in volto, una maschera di pura, assoluta disperazione. Ma era bella. Dio, quanto era bella! L’aveva sempre pensato ma mai l’avrebbe confessato ad anima viva. Mosse un passo nella sua direzione, quando un brivido gli percorse la schiena. Le parole che il prete stava blaterando si stavano avvicinando pericolosamente a trasformarsi nel suo nome.
< Diamo l’addio a… >.
< IL MIO BAMBINO! >.
Di nuovo Kenny guardò l’uomo con odio, poi il suo sguardo andò a lei. Vide tutti i suoi compaesani fissarla con pietà, Sheila Broflovsky e Sharon Marsh avvicinarsi con espressione contrita, entrambe con un fazzoletto alla mano, ma lui fu più svelto. Con una paio di grosse falcate la raggiunse, abbracciandola.
< Signora, la prego… >.
< IL MIO BAMBINO! > continuò, imperterrita. < Lo rivoglio indietro! Ridatemelo! >.
< Signora >.
Kenny insistette, guardandola negli occhi. Ma lei lo scostò, andando invece ad abbracciare quel freddo feretro di legno scuro. I suoi pianti, i suoi lamenti, i suoi singhiozzi ferivano le orecchie e pungevano l’animo, tanto che molti di coloro arrivati a curiosare si allontanarono, non riuscendo a sopportarli. Sembravano aver finalmente capito che, per quanto South Park potesse essere piccola e noiosa, il dolore di una madre ferita non poteva diventare spettacolo.
Kenny la raggiunse di nuovo, allontanandola con forza ma incontrando una fiera resistenza.
< Lasciami! Non mi allontanare dal mio bambino! ERIC! Eric, la mamma è qui con te! >.
< Signora! > urlò stavolta, stringendola per le spalle e piantando gli occhi cerulei in quelli castani di lei, mentre il cappuccio del parka gli cadeva all’indietro.
< Signora Cartman… Per favore, si calmi > le sussurrò. < Per Eric, solo per lui… Si faccia coraggio, la prego >.
Liane rimase impietrita, persa in quegli occhi azzurri così seri. Nuove lacrime cominciarono a rigarle il viso.
< Kenneth… > mormorò, prima di chiudere gli occhi e accasciarsi al suolo in ginocchio, come se non avesse più nessuna energia nemmeno per poter stare in piedi.
Kenny cadde in ginocchio con lei, cercando di sorreggerla come meglio poteva. Le accarezzò il capo, coperto da un velo nero, allontanando con lo sguardo gli adulti che si stavano avvicinando a loro e voltandosi, invece, per cercare un aiuto dai suoi amici. Aiuto che, dopo aver visto le loro condizioni, capì non sarebbe mai arrivato.
Kyle lo guardava immobile, con la stessa espressione stupita di un bambino che sta per mettersi a piangere. E infatti, dopo appena un paio di secondi, si portò un braccio sul viso e scoppiò in lacrime. Venne prontamente abbracciato dal povero Ike, che alla notizia della morte di Eric non aveva proferito parola per mezza giornata. Povero Kyle, doveva essere frustrante per lui non sapere cosa fare, non avere nulla da dire, nessuna parola di conforto per coloro che amava per la prima volta in vita sua.
Lo sguardo si posò prontamente su Stan, che sembrava non aver assistito affatto alla scena. Fissava solo la tomba con sguardo vuoto, come se non la stesse guardando realmente. Vicino a lui la sua Wendy, che cercava di fargli un po’ di coraggio e, incredibilmente, piangeva un po’ anche lei.
Più lontano dal resto del gruppo, rannicchiato sotto un grande cipresso, sedeva Butters, la testa affondata nelle ginocchia strette al petto. Vide Linda Stotch avvicinarsi al figlio per cercare di tirarlo su, ma lui la strattonò e ritornò a singhiozzare, rannicchiandosi ancora di più.
Kenny sapeva che c’erano tutti i loro altri amici ma non riusciva a vederli. Poco male, non avrebbe di certo chiesto aiuto a loro. Ciò che lo fece deprimere ulteriormente fu che, quella volta, doveva essere lui quello forte che sosteneva gli altri e, soprattutto, la madre del suo migliore amico. Gli stava dannatamente stretta, quella parte. I suoi pensieri vennero interrotti da un sussurro lieve che solo lui fu un in grado di sentire, mentre tutti gli altri erano troppo occupati a piangere o a far finta di ascoltare le parole di padre Maxi.
< Kenneth >.
< Mi dica, signora Cartman > rispose, senza smettere di abbracciare la donna.
< S-sono stata… una m-madre tanto orribile? >.
< Per niente. Lei è la madre migliore del mondo >.
E lo pensava sul serio. Sentì Liane piangere nuovamente, emettere gemiti soffocati che lo fecero star tanto male da fargli venire voglia di scappare via. Ma non poteva, non doveva farlo.
< E al-allora perché… Dio me l’ha portato via? >.
Kenny alzò gli occhi al cielo. Piangeva di nuovo anche lui ma stavolta non si premurò di rimettersi il cappuccio del parka.
< Mi dispiace, signora. Non la so, la risposta >.


+++++++++++++++

And his eyes are blazing with fire
Longing for the deepest desire

Eric chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro, sentendo che l’aria fredda e pungente gli pizzicava le narici e gli andava a riempire i polmoni. Inspirò nuovamente, concentrato e, al contempo, emozionato. Ci aveva messo un po’ per montare il deltaplano, maggiore tempo era occorso per riuscire ad allacciare l’imbracatura in maniera corretta, ma finalmente era pronto. Si concesse un momento per dare modo allo sguardo di spaziare libero, riempiendosi gli occhi con le cime bianche delle montagne, i pesanti cumulonembi(³) che sembrava volessero schiacciarle ma che, invece, riuscivano solo a dissolversi in cerchi di fumo e a circondarle come fossero delle titaniche aureole. Il sole, ormai quasi del tutto sorto, sparava una luce intensa su tutto il paesaggio, rendendo netti i contorni di alberi, rocce, montagne e nubi. Un paio di rapaci, che Eric non seppe distinguere a che specie appartenessero, volteggiavano contro il grande disco giallo, finendo poi per diventare null’altro se non due ombre che volavano in lontananza. Quando si fu reputato soddisfatto e pago della vista, Eric trasse un altro sospiro, rafforzò la presa sulla barra orizzontale del deltaplano, fece due passi indietro e poi…
“Via!”
Cominciò a correre freneticamente lungo il lieve pendio, sentendo mano a mano l’adrenalina che gli pizzicava il cervello, lo stimolava a fargli battere il cuore più forte e ad accelerare il respiro.
Spiccò un piccolo balzo e subito sentì l’amata sensazione di vuoto allo stomaco, della terra che gli mancava sotto i piedi e della distanza che, ne era sicuro, mano a mano stava acquistando dal suolo. Si issò sulle mani, mettendosi in posizione orizzontale con le gambe ben tese e poi proruppe in un urlo liberatorio.
Stava volando, stava volando sul serio. Da solo, finalmente, e ci era anche riuscito al primo colpo!
Heart of an eagle
He flies through the rainbow
Into a new world and finds the sun
Spreading his wings above all the sorrows
The glory of Eagleheart

Il vento ora gli sferzava il viso impietoso, il prato correva sotto di lui e, se non fosse che poteva sterzare a piacimento, avrebbe anche potuto pensare che fosse tutto un’illusione, che il suo deltaplano fosse fermo e che quello che vedeva sotto di lui fosse nient’altro se non una proiezione, un’immagine animata. Invece era tutto vero. Non era la prima volta che volava, ma non si era mai goduto appieno quella stupenda sensazione quand’era in compagnia dell’istruttore. Ora che era da solo si sentiva il re del mondo, un vero e proprio dio dei cieli sceso dalle nuvole per potersi fare un giro sulla terra e ammirare le splendide valli verdi tra le maestose montagne di South Park. Urlò di nuovo, scendendo leggermente in picchiata e poi risalendo più volte, per poi sterzare leggermente a sinistra per poter tornare un po’ indietro e trovare un buon punto per atterrare, deciso a ripetere il giro quanto prima.

Fever is burning in his veins
Determined with courage breaking the chains
Back against the wall under blood red skies
Prepared to fight…

Fu mentre osservava con attenzione il pendio per poter cercare il punto migliore e più sicuro per una dolce discesa che un’ombra nera gli passò davanti agli occhi. Per un attimo credé che si fosse trattato di un piccolo uccello, ma poi la rivide di nuovo e si rese conto che non era affatto un uccello.
Ebbe paura. Una paura irrazionale e fottuta.
Era un pezzo di cinghia dell’imbracatura.
In un solo attimo sentì sulle sue spalle il peso del senso di colpa, dovuto al fatto che aveva controllato solo le ali del suo amato mezzo di volo e non la barra, né tutte le cinghie. Se l’avesse fatto si sarebbe accorto che una era in cattivo stato, magari rosicchiata da qualche topo e a quel punto col cavolo che si sarebbe lanciato! Era stato imprudente e, non appena si sentì strattonare a sinistra come se qualcuno lo stesse tirando con violenza, capì che la sua ingenuità gli sarebbe costata molto cara. Troppo cara, considerando che stava perdendo quota ed era ancora troppo in alto per poter avere la minima speranza di salvarsi.
“Sto per morire, cazzo”.
Fu il suo primo pensiero. La consapevolezza del suo destino imminente aveva soppiantato la paura, ma solo per poco. Eccola ritornare, appena qualche decimo di secondo dopo, ad attanagliargli le budella e a contorcergliele con brutalità, ad afferrargli la nuca in maniera tanto stretta che Eric ebbe la sensazione che qualcuno gli stesse strappando le vertebre cervicali. Eccola che si impossessava dei suoi nervi, rendendolo un unico fascio tremolante non appena sentì che tutte le altre cinghie, sorelle di quella rotta e altrettanto traditrici, si stavano slacciando e lo stavano abbandonando. Decisamente un’orrenda sensazione. Sentì un vuoto d’aria rivoltargli lo stomaco quando, libero da ogni impiccio, si ritrovò a cadere liberamente verso il basso, mentre i resti del suo amato deltaplano andavano a schiantarsi da qualche altra parte. Pochi secondi prima dell’impatto, non più di sei o sette, la sua mente riuscì a formulare un oceano di pensieri.
Si sentì dannatamente stupido. Sarebbe bastato aspettare solo qualche altra ora l’arrivo dell’istruttore e le cose sarebbero di certo andate in maniera diversa.
Perché cazzo non aveva aspettato qualche altra, stupida ora?
Perché cazzo doveva essere sempre così impaziente?
Di lì a pochissimo sarebbe morto spiaccicato ed era molto probabile che i brandelli del suo corpo che sarebbero rimasti se li sarebbero mangiati gli orsi o qualche volpe, prima ancora che qualche soccorritore lo avesse trovato. E allora, che cosa avrebbe pensato sua madre?
“Oddio, mamma!”
Sarebbe morta di dolore, ne era sicuro. E, cazzo, la cosa lo faceva sentire davvero male. Le avrebbe arrecato il dispiacere più grande di tutti, il peggiore nella lista di tutte le cose che aveva fatto e che avevano fatto intristire sua madre.
“Sono stato un figlio pessimo”.
Era quella la verità. Strano come il suo smisurato orgoglio venisse meno ora che era faccia a faccia con la morte. La cosa che lo infastidiva, poi, era che non avrebbe avuto la possibilità di assistere al proprio funerale. Beh, non l’avrebbe avuta comunque in nessun caso, ma in quel momento si sentiva davvero piccato. Avrebbe davvero voluto vedere come avrebbero reagito i suoi cosiddetti “amici” alla sua scomparsa.
Per un attimo si immaginò Kenny che ci provava con qualche ragazza lì presente, usando magari la carta “Sono il miglior amico del morto, oh, come sono affranto”.
Vide poi Stan, che di certo se ne sarebbe uscito con qualche cazzata sul fatto che si meritava di aver fatto quella fine, supportato da quella troia di Wendy.
Oh! Come aveva potuto dimenticare Kyle? Era più che certo che, per la gioia della sua morte, avrebbe organizzato un secondo bar mitzvah(⁴) a Casa Bonita per festeggiare l’accaduto.
Forse solo Butters avrebbe versato una lacrimuccia, per poi andarsene a giocare un secondo dopo con Hello Kitty o a scoparsi il bambolotto di Ken e fare anche la linguaccia a Barbie.
Era ancora più probabile, però, che al suo funerale non ci sarebbe stato nessuno.
Probabilmente quello stronzo di Padre Maxi, pur di non essere costretto ad esserci, avrebbe chiesto al becchino di celebrarlo al posto suo e a piangere sulla sua tomba, alla fine, sarebbe rimasta solo sua madre. Non seppe perché, ma l’immagine di sua madre che si struggeva per la sua morte prematura non seppe proprio delinearla, nella sua testa. In fondo era meglio così, sarebbe morto con l’animo meno triste di quanto già non fosse. Ma ecco, il terreno era a poche decine di metri da lui, forse poco più di una cinquantina. Sarebbero bastati appena pochi secondi e tutto sarebbe finito, ma si sentiva più rilassato. La velocità di pensiero della sua mente gli aveva dato il tempo per prepararsi un po’ alla fine, ma non per questo era meno spaventato.
Si chiese dove sarebbe finito, una volta superato il confine.
Aveva sempre creduto di essere meritevole del Paradiso, ma in quel momento era più che certo che sarebbe finito all’Inferno. Era stato davvero troppo stupido, non credeva che San Pietro(⁵) accettasse persone tanto stupide, a meno che lui stesso non fosse uno stupido e… No, era una ragionamento troppo stupido, quello. Quando si rese conto che allo schianto mancavano appena una trentina di metri, si sentì rivoltare e finì per dare le spalle al terreno. Meglio, non avrebbe visto l’impatto. Alzò gli occhi verso il cielo, spalancando la bocca e meravigliandosi di quanto si stava offrendo alla sua vista.
Le grosse nuvolone che prima sembrava si stessero dissolvendo o allontanando dalle montagne, trascinate dal vento, gli sembrava che stessero facendo tutte cerchio attorno a lui, stagliate contro un cielo di un azzurro così incredibilmente acceso da sembrare vivo. Chissà, forse erano solo curiose di vedere un cretino che si sfracellava al suolo. Oppure, ed Eric ne era sicuro, avevano deciso di circondarlo in uno slancio di generosità, per fargli compagnia fino alla fine e non farlo sentire troppo solo. Beh, considerando lo spettacolo che gli stavano offrendo, come fine non era poi così orrenda.
Un attimo appena prima dell’impatto al suolo Eric si sentì davvero in pace con sé stesso, sentendosi quasi fortunato a morire a quel modo, con quell’ultima immagine davanti agli occhi. Riuscì anche a ringraziare le grasse amiche bianche per la compagnia.
“Non è poi tanto male, come ultimo sguardo”.

…until he dies.

_____________________

Note dell’autrice

(¹): è la profondità a cui s’interra una bara negli U.S.A., corrisponde a 1,83 metri
(²): per poter guidare un deltaplano, è necessario seguire un corso specializzato, alla fine del quale bisogna affrontare un esame per poter avere il brevetto di volo
(³): grosse e spettacolari nubi che si formano in condizioni di instabilità atmosferica. Per capirci, sono quelle che assomigliano a grossi ammassi di soffice panna montata *w*
(⁴): termine che indica il momento in cui un bambino ebreo raggiunge la maggiore età e gli viene concesso di partecipare alla vita della comunità. Corrisponde a 13 anni e un giorno e viene festeggiato con la lettura di un brano della Torah (primi cinque libri del Pentateuco, il libro sacro della religione ebraica) e un successivo rinfresco per amici, parenti e il resto della comunità
(⁵): secondo la religione cristiana, San Pietro è il possessore delle chiavi del Regno dei Cieli

Dunque, qualche piccola nota.
Questo è un piccolo esercizio di scrittura, nato dalla mia volontà di fare un po’ più di pratica con le introspezioni e di scrivere una song-fiction (un’altra) con un pezzo degli Stratovarius.
La canzone scelta è “Eagleheart”, ovvero "Cuore d'aquila", una delle mie preferite, di cui consiglio caldamente l’ascolto anche a chi non ama il genere power metal (o non amasse questa storia XD).
Ovviamente il fatto che Eric muoia è rilevante solo a fini di trama, non certo per bashing.
Non potrei mai visto che, come magari qualcuno ha già avuto modo di capire, lo adoro dal più profondo del mio piccolo cuoricino. Allo stesso modo, non mi sono di certo arrogata il diritto di sapere come può sentirsi una madre che ha perso un figlio, a maggior ragione una devota e amorevole verso la propria creatura come Liane. L’argomento è importante e delicato, ho cercato di affrontarlo con la maggiore sensibilità possibile e spero di non aver peccato di presunzione, né di superficialità.
Importante, come forse si è intuito, è stata l’ispirazione che mi hanno dato le puntate 8x13 “Cartman’s Incredibile Gift” e la 10x12 “Go, God, Go”.
La prima mi è servita da base per elaborare un po’ tutta la trama, la seconda per scrivere la scena di Eric che si contorce nel letto e non riesce a dormire.
Per chi non se le ricordasse, la prima è quella in cui Eric cerca di volare saltando giù dal tetto di casa sua (e finendo all’ospedale), mentre la seconda è quella in cui lui è impaziente che esca la Nintendo Wii e si fa congelare per potersi svegliare nel futuro e poterci giocare senza aspettare (quanto è mitico, tutto ciò? Quanto??).
Per quanto riguarda la scena finale, ci tengo a precisare, nel caso non si capisse, che Eric non è affatto contento di morire. Solo, è felice del fatto che, nella tragedia, gli è stata concessa una vista stupenda come l’ultima della sua vita, cosa che gli ha fatto anche calmare un po’ la paura (che, tuttavia, non ho voluto far emergere troppo perché la storia non è incentrata sulla paura di morire).
Credo di aver detto tutto, quindi posso tornarmene a studiare XD
Un grazie a chi ha commentato “202”, l’ha letta senza commentare e messa tra i preferiti e, ovviamente, a chi legge e commenterà quest’altra mia ennesima follia.
Vi lascio con la traduzione del testo della canzone (che non è proprio perfetta, ma l'ho presa da Internet):

Durante la notte lui giace sveglio
e si chiede quanto può sopportare ancora,
guarda il muro sul quale ballano le ombre,
cade in uno stato di trance.
E i suoi occhi si incendiano
I sogni sono andati in fumo così tante volte.
Più alto delle montagne, ancora sale
pronto a volare perché non può stare,
fiamma che brucia più luminosa ogni giorno
E i suoi occhi si incendiano
cercando il più profondo desiderio
Cuore di un’aquila,
lui vola attraverso l’arcobaleno
in un nuovo mondo e trova il sole,
aprendo le sue ali sopra tutti dispiaceri
La gloria del cuore di aquila
La febbre brucia nelle sue vene,
coraggiosamente determinato a rompere le catene
contro il muro sotto cieli rosso sangue,
preparato a combattere sino alla morte

P.S.: ho litigato con NVU. Perdonatemi, quindi, se i caratteri dovessero uscire eccessivamente grandi o piccoli o troppo sballati.
Un bacio.

WindGoddess



  
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